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La casa di Kikko (il mio blog)

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Il blog di Enrico Rotelli: la mia Rimini, appunti, viaggi, racconti, articoli, libri e qualche foto…
Aggiornato: 3 giorni 2 ore fa

Il telefono senza fili, Marco Malvaldi, Sellerio editore Palermo, 2014 (pag 87)

Dom, 08/02/2015 - 21:45

I pensieri deprimenti, si sa, magari fanno il giro largo, ma non perdono mai la strada di casa. Basta un minimo appiglio, un collegamento apparentemente ridicolo, e loro si ripresentano, ancorandosi al fondale del tuo cervello come una nave: magari fluttuanti come posizione, ma impossibili da mandar via.

Qui, era bastato a Massimo pensare a Zio Paperone per ripiombare nello sconforto. Perché, dopo il primo memento di frenesia dovuto alla casa nuova, l’entusiasmo iniziale si era perso, grazie alla misteriosa forza dell’abitudine. E cosi, a furia di passare e ripassare sugli stessi gesti, Massimo si era scavato un solco all’interno delle proprie giornate. Esattamente come Zio Paperone, che lamentandosi delle sue perdite finanziarie cominciava a passeggiare in cerchio, finendo per scavare con i suoi stessi passi un solco a forma di ciambella di dimensioni contenute, ma di cui non si vedeva la fine del cammino.

Pensare a quanto ci ridevo, da bambino.

E ora che invece ci si ritrovava, cominciava a rendersi conto non solo che esisteva, ma che diventava sempre più profondo, ’sto maledetto solco. Guardare al di fuori, dare un’occhiata al mondo reale, diventava sempre più difficile. Per non parlare di uscirne. Con le proprie forze, manco a pensarci. Ci voleva qualcuno dotato di tenacia, e di tanta pazienza, per tirarlo fuori. Purché arrivasse presto, prima del momento in cui non sarebbe stato più in grado di guardare al di là dei bordi, e avrebbe confuso la propria vita con il tunnel che si era scavato coi suoi stessi piedi, e non ci sarebbe stato più alcun motivo per uscire. Ci sarebbe voluto qualcuno, per tirarlo fuori. E invece, era solo. Come tutte le notti, da una decina d’anni a questa parte.

Per cui, ribadisco: buonanotte un cazzo.

Anzi, mi correggo: buonanotte una sega. Volgare sì, ma con coerenza.

Una mia amica ha detto che basta un'immagine per salvare un libro. Io dico che questa è l'unica immagine che si salva dall'ultimo lavoro di Malvaldi su un BarLume ormai logoro.

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Non siete andati a votare? Ecchissenefrega.

Lun, 24/11/2014 - 01:30

Non sono preoccupato per l'astensione. Anzi, non me ne frega niente. Non credo nemmeno sia lo specchio della “cattiva” politica. Credo sia lo specchio di una cattiva società. Perché dovrei preoccuparmi di chi non vota, di chi non si interessa della cosa pubblica? Se non ha nemmeno mezz'ora da dedicare a una passeggiata al seggio vicino e a fare un segno elementare, come una croce sul simbolo, non credo sia il sintomo di una cattiva politica. E' il sintomo di un'apatia sociale. Alle elezioni delle Regionali ce n'erano di liste – e di candidati - adatti a tutti i gusti. Una destra becera, una in doppio petto, un centro conservatore, un centrosinistra così così, una sinistra variopinta, liste civiche, grillini. Credo che l'universo politico e umano sia stato ampiamente rappresentato e messo in mostra, per esprimere una preferenza su come dovrà essere governato il futuro della nostra Regione. Eppure, la maggioranza delle persone non ha trovato il tempo di scegliere. Dovrei preoccuparmi della “cattiva” politica e assolverli per la loro noncuranza? Non ci penso nemmeno: mi preoccupo della cattiva politica, che mi riguarda, il resto sono cazzi loro.

Guardiamoci, cari elettori e non elettori. E' facile, sfiliamo ogni giorno intruppati insieme. Sappiamo tutto sugli ultimi movimenti del mercato calcistico, cosa fa la nostra squadra locale, commentiamo i gol nostri e quelli avversari, conosciamo i campionati europei e i palmares delle migliori scarpette straniere. Non sono competenze che si costruiscono in un minuto: sono ore e ore di studio sulla Gazzetta, davanti alla tv, in ascolto sulla radio. Io ci ho messo una vita a non capire niente di calcio e mi stupisco ancora di quanta professionalità esprimono i miei amici, quando si sfondano di cibo a tavola come se non ci fosse domani. Eppure, sbagliamo i nomi dei politici, non sappiamo la differenza tra elezioni amministrative e politiche, siamo incapaci di andare oltre il titolo di un articolo di giornale. Quando lo leggiamo, un giornale. Eppure è la malapolitca che ci tiene lontani. Per carità, l'ignoranza? Noi non siamo ignoranti. E' vero, non parliamo l'inglese, i nostri post sono ricchi di anno senz'acca, qual è con l'apostrofo, parole sconosciute che però vanno di moda, condividiamo foto di citazione errate, false o sgrammaticate, ma questo cosa conta? Noi non siamo ignoranti e menefreghisti della nostra cosa pubblica. Noi siamo stufi di essere ingannati.

Vogliamo parlare di economia? Parliamone. Facciamo code per l'i-phone, android è una figata, povere oche che spiumano in Ungheria ma Report ha fatto una forzatura con Moncler: già siamo in crisi e smontiamo un marchio italiano? Dai, siamo speciali per farci del male... Ecco, è tutta qui l'economia che mastichiamo. Passiamo la vita a produrre soldi, a conoscere quel che passa il mercato e a comprare la cosa giusta del momento, se ci da quel plus che il marketing ci racconta. Spippoliamo su wazzap mandandoci video porno, foto orrende e link a blog di decerebrati sgrammaticati. Siamo perfette macchine per mandare avanti un sistema economico che funziona grazie a noi: produciamo, consumiamo, crepiamo. Ecco. Facciamo beneficenza, mia moglie in parrocchia, la mia compagna nell'associazione contro la violenza sulle donne, la mia amante condivide le foto dei bambini con il cancro. Ma siamo degli ignoranti sociali, profondamente ignoranti. Degli aridi sociali. E dopo una settimana a cercare di raggranellare soldi, con le palle schiacciate dal sistema, dalla moglie, dai figli, dal padrone di casa, dal capoarea, dal direttore, per carità non mi fate pensare. Non posso perdere tempo a informarmi come si vota, chi è o chi non è il candidato. Faccio prima: rubano tutti. Lasciatemi il piacere di nascondere la mia ignoranza insieme agli altri, cantando in coro la stessa litania assolutoria: son tutti uguali.

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L'ultima marcia del tenente Roberto

Sab, 22/11/2014 - 15:51

Ieri sera Roberto Gabellini ha presentato la sua ultima fatica letteraria, L'ultima marcia del tenente Peguy (edizioni Ares). Ammiro chi ha la forza e la costanza necessaria a completare un'opera, ma le rime, le strofe non sono mio territorio. Lui, sornione, mi ha ribattuto al telefono: «guarda che è un lavoro di prosa poetica». Ok, così si può fare, allora... Non conosco Charles Peguy, l'unica cosa che collega a me il letterato francese, tenente della Riserva morto sulla Marna nei primi giorni della Grande Guerra, è Roberto. Un filo esile, tutto sommato. Sono entrato con la libertà di defilarmi se la prova era troppo ardua, tutelato dalla sua intelligenza e comprensione.

La sottile corazza di diffidenza che forse si percepisce nel mio racconto si è slacciata quando, accomodato, ho letto l'incipit:

Noi siamo la riserva della Francia, noi,
riserva di memoria, riserva della storia,
noi riserva di popolo e di Chiesa;
riserva d'obbedienza, d'onore,
riserva di anime da usare, noi,
riserva di altri tempi.

Dopo i braccianti e dopo gli artigiani, dopo gli operai,
dopo gli onesti cittadini, i bravi cristiani;
dopo gli eroi e dopo i santi, dopo gli altri soldati,
noi ultimi, peccatori, noi già dimenticati, noi
che saremmo passati senza essere visti,
noi, pronti.

Scorta di sangue, scorta di gambe,
di braccia e di bende, scorta di lacrime e di orrore;
scorta di fame, scorta di sudore, di grida,
di monconi e di stampelle, di dolori;
scorta di cuori, di corpi
in fila per un nome.

E quando il nemico verrà avanti, quando i fanti
cominceranno a cadere, quando ognuno avrà avuto
l'onore stabilito, noi prenderemo il loro posto,
rifaremo il loro passo; noi saremo il fronte,
le trincee, saremo la terra, tutta, di Francia;
noi, i campi per le fosse.

L'incipit mi ha messo in ascolto.

Si accomodano i relatori - Alessandro Rivali, poeta e editor Ares (che ha introdotto la serata), Roberto Gabellini e Francesco Napoli, critico ed editor poesia Mondadori - e inizia la presentazione. Il Nostro si defila una misura indietro a osservare le parole che scandiscono l'incontro. Rivali racconta gli aneddoti del suo manoscritto e il sorpreso vaglio redazionale che ha generato poi la pubblicazione, mentre Roberto mi ruba un sorriso quando tradisce gli stati d'animo di essere soggetto della rappresentazione, tormentandosi il volto nell'anedottica, con attenta fissità ascoltando il critico. Poi a sua volta assume un altro, inconsueto per me, atteggiamento, quando spiega la sua ricerca, storica e poetica, in uno svolazzio nervoso di fogli. Per poi assentarsi nelle note delle danze di Bach e Debussy, inseguite dal cieco movimento della testa.

Fin qui la mia cronaca ingrata e divertita di una sera inconsueta. Del resto, fatico a raccontare il fascino che è stato dato a un autore sconosciuto e che scoprirò percorrendo le altre pagine del libro. Mi accontento di registrare l'intensità del dipanarsi delle due marce parallele, la militare di Peguy nell'avvicinarsi al fronte, la militante di Roberto nel ripercorrere con il tenente la poesia e la Fede. Un'intensità sorretta dall'intelligenza che anche a un ateo come me dona preziose emozioni.

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Ragazzini per sempre

Dom, 28/09/2014 - 17:14

Venerdì solitario spataccando sul web. Squilla il cellulare. E' l'una passata e sul display campeggia il nome di uno degli irriducibili della tagliatella, che sapevo in trasferta in Valmarecchia. Stupito per l'ora – da branda inoltrata per quei bradibi – rispondo immaginando un possibile invito alla birra della staffa. Talvolta, capita che inseguano la gioventù perduta. «Cosa fai?» Studio un template per un sito di un amico. «A quest'ora?!» Sai com'è... E te? «Passo da te che devo andare in bagno». In bagno?! Stupito per la richiesta, aspetto il bradipo, immagino mezzo sbronzo. Squillo di tromba (discreto per fortuna) fuori dalla finestra, mi avvio ad aprire. Apre la portiera e mi allunga con fare circospetto un pacchettino di plastica con dentro della stagnola. Cos'è?. «Senti l'odore..» dice piano. E' ben chiuso, non si sente niente. Tasto il pacchetto... Niente, buio. «Cos'è?!» Gli richiedo, sempre più stupito... «Tartufo!!! Nero!!! Perché, cosa credevi?!»

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L'isola dei Saremo famosi (per un po', almeno)

Ven, 26/09/2014 - 00:33

Ci sono diversi modi di fare “carriera” in un partito. Il modo A, quello auspicabile, è il metodo classico: partecipi alla vita pubblica, fai proposte, le appoggi, cerchi di realizzare attività o iniziative che riguardano la collettività. Chessò: persegui un obbiettivo, un tema sociale, ad esempio la legalizzazione della marijuana, una legge di tutela di una minoranza, un diverso approccio ad un problema reale, una nuova legislazione in materia di gatti o di procreazione assistita o di contrasto del gioco d'azzardo. Un giorno, grazie a queste attività meritorie – che raggruppiamo sotto il nome convenzionale di Politica - qualcuno ti candida ad un posto in qualche assemblea elettiva e, se trovi consensi e voti, vieni eletto. E ricominci la trafila suddetta, fino al giudizio finale sull'operato dei membri del partito e, se questo è positivo, ti ricandidano, ovvero ti sottopongono al giudizio degli elettori.

Oggi invece parlo del modo B. Parteggi per qualcuno, fai in modo di scegliere quel qualcuno che sia vincente o che è collegato alla cordata più potente del momento. Ovviamente parteggi per lui, alzi la mano al momento giusto per garantirgli i numeri perché sia vincente. Se per sbaglio chi appoggi non è il qualcuno vincente, oppure scopri che è destinato a essere perdente, poco male, molli il cavallo perdente, cambi casacca in modo altrettanto pubblico e ti accodi a quello vincente, anche sul filo di lana. Se sei costante in questo giochino, se presenzi alle riunioni giuste, se non dici cazzate – meglio se non dici nulla – se non proponi cazzate – meglio ancora se non proponi nulla – e se hai abbastanza militanza nella nicchia giusta del partito, anche senza aver fatto praticamente nulla a parte firmare inutili documenti o inutili proclami o organizzato inutili manifestazioni alle quali hanno partecipato 4 gatti ma sono finite sul giornali (un titolo e 4 righe bastano, con la foto meglio ancora), beh, un posto prima o poi in una lista lo trovi. Poi dio vede e provvede. Forse.

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I dieci libri della mia vita (solito giochino su Fb che metto qui così evito di riscrivere tutto ogni volta)

Mar, 09/09/2014 - 16:27

Il Barone Rampante, Italo Calvino

Conversazione in Sicilia, Elio Vittorini

Il segreto del bosco vecchio, Dino Buzzati

1984, George Orwell

Un oscuro scrutare. Philip Kildred Dick

La valigia di mio padre, Horan Pamuk

I miei luoghi oscuri, James Ellroy,

Comma 22, Joseph Heller

Di cosa parliamo quando parliamo d'amore, Raymond Carver

Ulisse, James Joyce (mai finito ma è una pietra miliare)

Ne restano fuori una marea, ma tant'è...

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La vecchiaia si prende per la gola

Dom, 15/06/2014 - 17:49

Il sussurrio dei “Carbonari della tagliatella” si era già propagato da settimane, tutti congiuranti per l'improcastinabile obbiettivo: cena con Italia – Inghilterra annessa. Con qualcosa di più del fantozziano “frittatona di cipolla, familiare di Peroni, tifo indiavolato e rutto libero!”, poiché l'esordio mondiale della Nazionale ha coinciso con il compleanno di Pigo: festa a sorpresa. Data la vittima, scelto il luogo del delitto, il terreno di delirio si è propagato a tutti gli altri dettagli della serata, a cominciare dal cibo. C'è qualcosa che scatta nella mente di un ultra quarantenne, ammogliato con prole? Cos'è che lo spinge insieme ai suoi sodali in declino a trasformarsi tutti in Pantagruele, intenti al rito di divorare tanto e con tanta voracità, per scolpire nella labilità della memoria una dopo l'altra cene conviviali di stretto rito maschile, salvo poi sfondarsi di lezioni di tennis al limite dell'infarto? E' un mistero insondabile che pure si rinnova ogni volta. E la compagnia dei “Carbonari della tagliatella”, ancora una volta, l'ha rinnovato, con colesterolica perseveranza.

La socializzazione del menù è il primo, impegnativo passo, scosso com'è tra opposte forze centrifughe che vagheggiano a un tempo tavolate in stile Vatel e i desideri di non accendere inutili mutui dall'incerto esito. In realtà è un rito da saggiatori più vicino alla politica che alla gastronomia, che mira ad accordare gli animi e a mettere fuori gioco gli incendiari. Sì proprio coloro che sanno attizzare le polveri dell'entusiasmo ma che poi nell'organizzazione sanno compiere disastri che hanno del miracoloso. Per cui, per il piatto forte, abbiamo puntato decisamente sulla grigliata di pesce cotta da un pescatore doc. A me il compito di fare scouting tra le conoscenze di gioventù. Il suggerimento dei tecnici – un mio ex comandante che si dedica al catering e un ex collega ora retaio – punta su un classico implementato anche dal sottoscritto per sfamare torme di famelici cittadini: sardoni e soglioline. Un'accoppiata dal gusto vincente. Qualche emulo di Vatel voleva anche il fritto, perché due pesci erano un po' pochini. E già si parlava di affittare una friggitrice industriale dalla capienza di un pozzo di san Patrizio. Ma sono le cattive abitudini alle tavole dei ristoranti di pesce a far parlare, il dispiegarsi del menù le avrebbero tacitate. Per il primo, occorreva tenere conto di una cucina basata su una fiamma sola, di grandezza enorme, ma pur sempre sola. Punto deciso sul risotto a base di vongole e così mi tutelo: non mangiando altro pesce sono sicuro di sfamarmi. Giungono altre voci di un antipasto coraggioso, un mix di raffinatezza francese e pragmatismo pugliese firmato da Nino: impepata di cozze e degustazione di ostriche. E il cerchio così si chiude, blindando il reparto gastronomico.

Il luogo del delitto e gli accessori – il famoso “rutto libero!” di cui sopra - sono appannaggio del Mancio, che attrezza il capannone industriale con francescana dedizione. Per la birra scova una spinatrice da bar e tre fusti tre che portano i commensali maschi al delirio: quando mai ricapita l'occasione di spillarsi il proprio oblio? E per nulla intimiditi dalle mogli, poste in minoranza dall'occasione sportiva, in molti rischiano l'epicondilite da mescita, praticando l'attrezzo fin dalle 4 del pomeriggio. Per lo schermo crea un'impalcatura sfruttando biecamente le saldatrici aziendali e un carrello nato per tutt'altri scopi. L'allestimento della parabola - «Io il mondiale lo guardo solo su sky» era l'imperativo – si vocifera sia stato favorito dall'amico di un amico, accondiscendente al punto da cedere parte dell'attrezzatura di servizio di un discreto scannatoio. Per i tavoli conviviali, è sempre l'operosa saldatrice che provvede ad assemblare grigliati orizzontali e barre di ferro. Una mole di lavoro tale che porterà il Mancio a rischiare l'unità familiare: la moglie è stata registrata quando ha esclamato «non si è dato così da fare nemmeno per il nostro matrimonio».

La discrezione ai tempi di Facebook è difficile, ma la segretezza è un'azione titanica. Così, mentre tutta la macchina organizzativa dipanava il suo epos, mancava il coinvolgimento dell'Eroe, non solo del tutto ignaro di quanto si stava macchinando, ma anche vittima dei Carbonari. Abituato a vivere gli appuntamenti mondiali in compagnia degli amici, non riusciva a capacitarsi del loro farsi di nebbia. Il tapino wazzappava timidi inviti - «la guardiamo da me la partita?» - riceveva dinieghi - «Non contatemi né stasera né le prossime» - ramanzine - «ma non vai a mangiare con tua moglie? La molli alle 10 di sera al ristorante? Ma come sei messo?!» - timide aperture, ma nulla di sostanzioso. La moglie, in realtà, era complice degli amici insieme alla figlia maggiore, ed entrambe avevano il compito di immobilizzare le capacità organizzative di Pigo nella disperazione. Il quale proponeva spaghettate di mezzanotte agli amici, mentre la moglie – nota in tutta Rimini per l'ordine e la pulizia maniacale della casa – minacciava: «Se fate gli spaghetti qui, te la faccio pagare». «Li facciamo cucinare a Kikko», wuazzappava il tapino, al che la moglie «Se fai cucinare a Kikko qui, ti sbatto fuori casa». Alle 20 scatta la trappola. Mancio chiama Pigo disperato: «Mi si è chiusa la macchina con le chiavi dentro, sono al capannone. Passa da casa mia per favore». Lo accoglie con la testa fra le mani davanti al portone del capannone chiuso. E' un attimo, la serranda si spalanca e il Nostro non può che guardare settanta mani che l'applaudano: auguri Pigaccio.

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Il Giacobino delle ferriere

Mer, 28/05/2014 - 20:03

Pur non amando le liturgie, alcune che riguardano la leadership e il rapporto con i sostenitori le ritengo ineludibili: quando si devono prendere decisioni importanti, quando si vince, quando si perde. Che si parli di politica o che si parli di impresa ben poco cambia: il leader si deve presentare di fronte al suo pubblico e con esso confrontarsi. In questo gesto si può misurare la propria forza (o quella rimasta) e il seguito che ha. Quando ancora c'era Cuccia a guardia del capitalismo italiano, leggendo un articolo su un'assemblea di una grande azienda trovai l'espressione «parco buoi»: è la definizione dei piccoli azionisti che non hanno molta voce in capitolo sulle sorti dell'azienda. Quelli di cui ben poco chi siede nel consiglio di amministrazione si preoccupa, o perché speculatori o perché hanno quote di capitale risibili. «La locuzione rappresenta una metafora – si legge su Wikipedia - che accosta questa folla di improvvisati investitori a una schiera di bovini in attesa, inconsapevoli di essere destinati al macello, mentre dietro di loro è già pronta una nuova generazione di capi che andrà a sostituirli». Ecco, vedere il Giacobino che non si cura di riferire al “suo” popolo le ragioni della sua sconfitta (sua di lui), ma si si prende un maalox e vola in Europa a parlare con Farange, non mi ha ricordato un leader politico, piuttosto l'azionista di riferimento di un'azienda, incurante di chi in questa impresa non ha messo certo capitali, ma impegno sì.

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L'insostituibile valore delle torce nell'arte e nella vita comune

Dom, 04/05/2014 - 19:01

Con l'arte, si sa, non sempre si riesce a mangiare. O sei bravo e commerciabile, o sei bravo e basta, e nel secondo caso vivi di ideali, produci arte e campi con qualcos'altro. Insomma, essere artisti nella gran parte dei casi, se non è una rimessa poco ci manca. Poi, qualche volta, ci si mette anche il pubblico, che non solo non è pagante, ma talvolta è pure prendente. Mi spiego. Alla Biennale disegno di Rimini, una delle 23 mostre è Cantiere Disegno, 41 artisti contemporanei ospitati nell'ala nuova del Museo della città. Tra i molti bravi riminesi invitati e che hanno allestito il proprio spazio c'è pure il non-più-giovane artista Franco Pozzi (qui un libro d'arte che abbiamo fatto insieme in gioventù) il quale ha collocato tre disegni fatti a polvere. Sì, polvere. Il tema della leggerezza, tra le varie modalità, lui lo sviluppa mettendo su un vetro un foglio di carta opportunamente sagomato e facendo posare il segno del tempo che passa. Poi toglie il foglio, incornicia il vetro e, nella stanza resa opportunamente buia, lo spettatore dirige sul vetro il fascio di luce di una piccola torcia elettrica, decifrando così la altrimenti invisibile trama del tempo. La torcia è appesa ad un chiodino sotto il quadro. Anzi, le torce, erano appese ad un chiodino sotto i quadri. Ne son già sparite tre. La biennale dura fino all'8 giugno...

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Cara Viola

Mar, 08/04/2014 - 10:26

ci troviamo entrambi di fronte ad un curioso traguardo. Tu entri, per legge, nell'età degli adulti mentre io, tra poco, compio il mezzo secolo. E' come se attraversassimo entrambi una fase del giorno. Tu l'alba, quando la luce del mattino si insinua nel dormire delle cose, ne staglia nettamente i confini rendendole scintillanti e le proietta nel futuro con un'ombra deformata, tutta da decifrare. Io il pomeriggio, quando i colori trasecolano nel torpore. La luce dona alle cose l'incertezza suggestiva dei contorni, mentre la loro lunga ombra comincia a confondersi con l'ignoto della sera. E chissà cosa ci regalerà questa nostra passeggiata.

Aspettavi impaziente la maggiore età. Segna un passaggio che tutti abbiamo creduto una porta spalancata alla nostra splendida solitudine e alla nostra volontà di essere. Ci sarà una festa, i regali di parenti e amici, poi le pratiche per la patente... E' ora, invece, che comincia il difficile. Non l'impossibile, perché tutte le strade ti si offrono e tutte le puoi percorrere. Ma per affrontarle dovrai usare le tue armi. E mettere le tue capacità in quelle che ti vengono offerte. Dovrai imparare a sceglierle, ad utilizzarle o a rifiutarle, per capire prima i tuoi desideri, poi come concretizzarli in questo splendido panorama che la luce del mattino sta risvegliando per te.

Non so cosa tu voglia fare nella vita. A diciotto anni pochi lo sanno e quei pochi sono o fortunati oppure privi di coraggio. Perché questa è l'età nella quale si comincia ad annusare la vita, a vivere le esperienze per formare il carattere e le attitudini. E di tutte le armi di cui disponi per il tuo futuro credo che alcune siano più importanti. La prima è la curiosità. Sii curiosa della vita, delle persone, delle esperienze. Perché non si impara dalle vittorie, si impara dagli errori. E tanti più ne farai, tanto più imparerai. E tanto più sarai curiosa di vivere esperienze, tante più porte potrai trovare, aprire e poi richiudere. E questo, te ne accorgerai, cara Viola, lo dovrai fare da sola.

Non avere paura di misurati con le cose nuove, perché solo attraverso esse ci si mette alla prova, si matura, ci si stupisce delle proprie capacità e si diventa consci dei propri limiti. E si affinano le abilità per superarli. Perché i limiti sono posti sulla nostra vita per essere superati, non per essere accettati. E se qualcuno vuole importeli, non accettarli. Nemmeno se quel qualcuno sei tu.

L'altra arma che auguro non ti manchi mai è l'indipendenza. Cercala, con ostinazione, con tutte le tue forze. Non per bastare a te stessa, non solo almeno. Ma perché viaggia a braccetto con la curiosità nel tuo diventare donna. La dipendenza è un laccio che immobilizza, qualunque cosa, persona o idea la eserciti su di te. La dipendenza dalle cose genera bisogno, alimenta la superficialità e quando si svela l'unico dono che reca è il vuoto. La dipendenza dalle persone genera insicurezza, talvolta immobilismo e il suo dono è atroce: diventa rimpianto. Scegli di scegliere, liberamente, perché la strada è lunga e c'è un mondo da scoprire e abitare. Come lo desideri tu. E sarà più bello da percorrere con chi ti si affiancherà. Alla pari.

Non ci sono né madri né parenti né amici in questa passeggiata nel mattino della tua vita. O meglio, ci sono, sono di aiuto, ma pian piano ti renderai conto che non possono essere un vincolo che non ti consenta di esprimerti come desideri. Perché i legami che ora senti forti, indissolubili, pian piano si faranno meno presenti, anche se resteranno forti. Non aver paura di percorrere distanze in questa tua ricerca, perché le persone che ami resteranno vicino a te, anche nella lontananza. E se cadrai, non tarderanno ad aiutarti ad alzarti. Ma non abbandonare mai la tua ricerca, perché la posta in gioco è la pienezza di te e, in definitiva, la tua felicità.

Dopo tante parole sul futuro, ti lascio con un'immagine di te. Quella carezza che mi donasti, anni fa in libreria, quando mi avvisarono che la mia cara Stefania stava per morire. Un gesto d'amore che ti racchiude e ti rappresenterà finché avrò strada da percorrere.

Con amore,

zio Kikko

Argomenti: Persone:

Animal house in salsa veneta

Mer, 02/04/2014 - 21:54

La mia empatia, oggi si è fusa con il senso del ridicolo. Ed il malessere è cresciuto man mano che lo stillicidio di notizie si è sviluppato a partire dal Veneto. Dai secessionisti veneti. La foto del carro armato che campeggia su tutti i giornali, pure sul britannico The Guardian, già porta a pensare alla farsa: una ruspa trasformata in tank, con tanto di cannoncino. E sotto gli occhi implacabili dei carabinieri. Immagini registrate mentre questi saldavano e assemblavano lamiere per creare “l'arma finale” fai - da – te dell'irredentismo veneto. Chissà le risate che si sono fatti i militi, scorrendole in caserma. E ancora di più con le intercettazioni, mentre i congiurati ipotizzavano che una ruspa potesse donare loro la «credibilità» con la quale sollevare la popolazione.

Il mio subconscio ci ha provato a prenderli sul serio. Ha fatto affiorare alla memoria le pagine delle biografie dei Br Alberto Franceschini o Patrizio Peci, quando raccontavano di come si inventavano un addestramento in clandestinità sfogliando i libri dei tupamaros. Oppure le gesta della banda della Magliana, per un po' in simbiosi con i terroristi neri. Macché. I dettagli di questa storia hanno eclissato i tragici precursori mentre dalla memoria emergevano immagini più consone. Dapprima I soliti ignoti, di Mario Monicelli. Poi mentre raccontavo all'amico la notizia, Paolo mi illumina: «la macchina della morte di Animal house!!!». Che Belushi ci perdoni.

Argomenti: Luoghi:

Scrivere: Mathilda ne L'uomo dei cerchi azzurri, di Fred Vargas

Lun, 31/03/2014 - 19:44

- Sì, ma cosa? - disse ad alta voce alzandosi di colpo. - Scrivere cosa? E perché poi, scrivere?

Per raccontare la vita, rispose a se stessa.

Cazzate! Almeno sui pettorali hai qualcosa da raccontare che nessuno sa. Ma il resto? Perché scrivere? Per sedurre? E' così? Per sedurre gli sconosciuti, come se i conosciuti non ti bastassero? Per illudersi di raccogliere la quintessenza del mondo in poche pagine? Ma quale quintessenza, poi? Quale emozione del mondo? Che dire? Anche la storia del topolino pettirosso non è interessante da raccontare. Scrivere significa fallire.

Mathilda ne L'uomo dei cerchi azzurri, di Fred Vargas

Argomenti: Personaggi: Autori: Opere:

In morte di Giordano Gentilini

Sab, 08/03/2014 - 00:00

Ci sono persone di fronte alle quali ci si sente ragazzi. Possono scoccare i trenta come i cinqnant'anni, si possono avere i capelli bianchi o aver affrontato le prove più mature, ma egualmente ci fanno sentire così. Dei ragazzi che ancora hanno di fronte una strada che si può, si deve percorrere per raggiungerle- Badate, non è la sensazione che si vive di fronte ai “grandi”, agli irraggiungibili che vestono gli abiti sfavillanti del successo, tessuti dalla propria fortuna. Questi passano, le loro tracce si attenuano o si dissolvono man mano che si cresce. Coloro che ti fanno sentire ragazzo, con tutto il bello che racchiude la parola, sono pochi. E' la più nitida delle sensazioni che porto nel cuore, frequentando Giordano. La più chiara in un momento così confuso, nel quale mi sento smarrito.

Sì, smarrito. Ho perduto un amico che ha fatto da bussola nella mia crescita disordinata e tumultuosa nella politica. Nel quale mi sono imbattuto nel 1996, e che negli anni a seguire sapevo di poter consultare, tra le mura della sezione Tre Martiri, la sua seconda casa, o nello spazio tra la questura e piazza Cavour. Perché c'era sempre. Per me come per i tanti amici e compagni che si sono abbeverati al calice della Res Publica, nei tanti gusti che ci ha riservato. Anche i più amari.

Ha un sapore diverso oggi, questa nostra comune passione. Così distante da come l'abbiamo coltivata tra le mura della Tre Martiri, per me ancora naturale chiamarla Sezione anche se i tempi l'hanno mutata in circolo. L'assenza di Giordano acuisce lo stato di distacco che sento, aggiunge smarrimento al disincanto che provo, leggo, ascolto nel quotidiano, magari scuotendo la testa. La sua assenza è una cesura che mi costringe a riprendere in mano il filo spezzato per tesserlo in un altro modo. Come non lo so. So solo che per quanto mi senta distante o smarrito, ciò che ho appreso con lui è una parte inscindibile da me, inalienabile anche se i tempi che stiamo vivendo gridano il contrario.

Politica, partito, militanza, rappresentanza. Queste parole le abbiamo vissute intensamente, ciascuno nei mille rivoli che la Res Pubblica ci offre. Ma le abbiamo anche viste svuotare di significato, scientemente o inconsciamente. Le abbiamo viste piegate da mode, desideri, ambizioni, tutte centrifugate nel sordo furore che ci circonda. L'assenza di Giordano domenica mi ha riportato a queste quattro parole, perché per come l'ho frequentato e ascoltato, le ha rappresentate. Se devo indicare qualcuno che più di altri le ha fatte sentire reali, tangibili, ancora ricche di senso, non ho dubbi. Per questo voglio continuare a tenerle care. Come suo dono prezioso.

Argomenti: Luoghi: Persone: Società:

Una festa civile per Giordano e per tutti noi.

Mar, 04/03/2014 - 09:17

Giordano Gentilini ha scelto di lasciarci in silenzio, discreto come è sempre stato. Ma non credo si arrabbierà se troviamo un modo per ricordarlo. Un modo festoso perché ha lasciato a ciascuno una bella eredità di amore per la cosa pubblica e di passione per la vita civile. Credo che i compagni, della Tre Martiri come di tutti gli altri approdi del fare politico riminese, possano incontrarsi, in piazza Cavour, per ricordarlo, ciascuno nei modi che vorrà. Giovedì, prima del Consiglio cittadino, potrebbe essere un buon orario. Io sono disponibile.

Argomenti: Luoghi:

La statistica (sopratutto sul web) è quella cosa che se hai la testa nel forno e il culo nel frigo statisticamente stai bene

Ven, 28/02/2014 - 00:49

Qualche giorno fa, più o meno a quest'ora, ho postato il link su Facebook a un testo del mio blog. Una cosa personale che molti hanno apprezzato e diversi hanno condiviso su Facebook. Il che ovviamente mi ha fatto piacere. Fatto sta che il sito mi svela – a me e a me solo – un “successo” incredibile rispetto a tutti gli altri testi presenti: 784 letture nel giro di 48 ore. Dovete stare a fidarvi, è così. Però... C'è sempre un però nella Rete, se si scava più a fondo. E questo scavare viene dalle statistiche di accesso di Google Analytics. che ovviemente ho consultato, incuriosito da simili - e inusuali - numeri. Queste mi dicono che i visitatori vengono tutti da Facebook. Più di due terzi ha usato il telefonino o un device mobile. Ed il tempo medio di permanenza sulla pagina è stato di 13 secondi. L'equivalente della lettura di 4 righe. I lettori da pc invece, un terzo circa, sono meno rapidi: 48 secondi il tempo medio di permanenza, più o meno l'intera lunghezza del testo. In tempi di espulsioni (e di democrazia diretta) decretate via web, la cosa mi ha fatto pensare.

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Roberto, terzo anniversario

Mar, 25/02/2014 - 23:18

…sai Roby, ora capita che guardo alla vita, anche alla mia, e agli essere umani, come entità a tempo. Ma non in modo disdicevole o truce. Tutt'altro. Mi sento semmai liberato. Da orpelli, dal greve che non si sa perché ho accumulato e stipato e ancora ammucchiato per non so più bene quale scopo. Osservo gli altri, guardo il loro camminare o correre come da bambini si osservava l'incessante camminare delle formiche dentro e fuori i loro buchi o le crepe della terra, in quelle secche giornate assolate in campagna nell'esilio del Montefeltro. Scorro il loro andirivieni sui giornali con parole pronunciate come fossero di pietra, ma che il giorno dopo già son polvere d'argilla. O lungo le strade, carichi di vestiti, dentro e fuori dagli uffici, tacchettando o trascinando, da soli o in gruppi chiassosi, lungo invisibili tracce che calpestano tutti uguali e tutti diversamente. Li guardo e poi, puf! un attimo e non ci sono più. Scomparsi in chissà quale cretto...

Argomenti:

Feynman, siamo finalmente in cassa integrazione. E' giusto però dare atto che...

Gio, 20/02/2014 - 14:25

Oggi abbiamo comunicato al Centro per l'Impiego il nostro essere in cassa integrazione. Fino al 30 marzo, rinnovabile fino al 30 giugno. L'accordo, siglato pochi giorni fa dalla cooperativa Feynman, Cgil e Cisl e Centro per l'Impiego , è stato perfezionato dall'azienda ed ora è una delle tante pratiche aperte che da un po' di tranquillità a 15 persone. Non è poco, in questo disastrato periodo. Almeno per noi. A cosa quasi fatta – manca un aspetto importante, la ricollocazione dei lavoratori, ma questa partita si gioca anche su altri tavoli aziendali – mi va di sottolineare alcuni aspetti che ho vissuto, seguendo la vicenda per conto dei colleghi e come delegato sindacale.

Innanzitutto l'atteggiamento dei segretari della Filt - Cgil, Fit - Cisl e Uil Trasporti, Ornella Giacomini, Gilberto Bellucci e Saverio Messina, che a fronte di un iniziale proposta della Feynman di licenziarci tutti tout court, hanno ravvisato invece la possibilità di accedere agli ammortizzatori sociali. E l'hanno spiegata in maniera convincente al presidente della cooperativa Feynman Alessandro Modugno e al suo consulente del lavoro Fabrizio Pierro. In una situazione in cui tutto per noi lavoratori sembrava precipitato, hanno tirato fuori dal cappello delle norme le giuste leve, come ho riportato in questo post. Ne deriva, ovviamente, l'atteggiamento più che positivo – e certamente non scontato, di questi tempi – di Alessandro Modugno e di Fabrizio Pierro, che non solo hanno siglato l'accordo, ma gli hanno dato corso per le pratiche necessarie in tempi direi più che rapidi. Disponibilità e celerità che ha trovato medesima eco negli uffici del Centro per l'Impiego di Rimini, che ha completato il quadro stilando un accordo soddisfacente per entrambe le parti. C'è inoltre l'interessamento dei parlamentari Emma Petitti e Tiziano Arlotti con un'interrogazione sulle questioni dei lavoratori stranieri. Un gesto che ora viaggia su binari legislativi, del quale speriamo in un'evoluzione positiva.

Per essere ancora più corretti, devo dare pubblicamente atto a Modugno di due altre cose, forse meno importanti rispetto alla vertenza, ma importanti per me e umanamente esemplificative. La prima, in ordine di tempo, è che si è scusato dell'sms inviato (il post dal quale è nata tutta questa serie), non privatamente ma pubblicamente, con tutti i colleghi. Ed io pubblicamente, gliene do atto. Poi, in sede di trattativa, si è mosso personalmente per risolvere un problema con uno dei 15 colleghi. Un gesto (sono vago per motivi di riservatezza, dovete stare sulla fiducia) che poteva tranquillamente, legalmente e ragionevolmente evitare, ma che ha ugualmente fatto. E perciò merita la mia stima.

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Delle scoperte meccaniche nella maturità. E del rimpianto, of course.

Mar, 18/02/2014 - 18:20

Scopri di non avere più vent'anni quando la batteria della macchina si scarica. E la macchina NON ha la manovella per rimetterla in moto, come invece la Dyane. E non è nemmeno leggera come le vecchie Citroen che tanto hai amato, per cui guardi l'immobile tonnellata di metallo, gomma e vetri e rimembri sconsolato, quando spingevi le prozie di lamiera, saltavi su al volo, infilavi la seconda e davi gas per ripartire. Tutto da solo. E non puoi nemmeno incazzarti. Perché sei tu lo stronzo che ha lasciato le luci accese due giorni prima.

Scopri di non avere più vent'anni quando ti appresti a smontare la batteria, portando fuori alla rinfusa chiavi fisse e chiavi a crick così alla buona. E vigliacca miseria se ne azzecchi una su 5. Ma prima di farlo devi scoprire come funzionano i nuovi sistemi di copertura della batteria, con il cappellotto globale, un piano intermedio e un altro fissaggio di un altro aggeggio che non hai mai visto prima, ma che sicuramente è elettrico: ci sono i fili.

Scopri di non avere più vent'anni quando ci metti un minuto a capire che la chiave a crick che hai usato con successo sul morsetto positivo sul morsetto negativo gira a vuoto. E devi tirare fuori la fissa dell'otto. E per sfilare la batteria devi usare un'altra chiave a crick, che non hai lì. E rientri a prenderla. Ma non hai vent'anni e l'occhio allenato. Non è quindi la 17 che hai preso, maledizione, nemmeno la 16 e la 15, neanche la 14. E' la 13. E le hai tutte in mano. Tutte. Ma non hai l'adattatore del cricchetto, e allora rientri e dove diavolo è finito in tutti questi anni? Maledetto... E allora usi una vecchia chiavetta del motorino che chissà perché c'è ancora nella cassetta degli attrezzi. In fondo.

Scopri di non avere più vent'anni quando devi aprire il bagagliaio per rimediare la cinghia. Una fottutissima cinghia per bagagli perché la batteria la devi fissare sulla bici e farla arrivare sana dall'elettrauto. Ma la batteria governa l'apertura centralizzata e il bagagliaio non si apre. E nemmeno la porta posteriore. E per raggiungere il bagagliaio devi smontare il sedile posteriore e quindi devi passare dal sedile anteriore al posteriore. Ma non hai vent'anni e devi deambulare nel pertugio con i tuoi 26 chili in più. Inadeguato alla situazione come quella maledetta tonnellata di lamiera gomma e vetri, inutile tecnologia senza una scintilla di energia.

Argomenti: Le cose:

L'Unità: 90 anni e sentirli tutti. Orgogliosamente.

Mer, 12/02/2014 - 11:45

Tanti auguri, cara Unità. E tanti grazie, per quel che mi hai dato in questi anni: l'orgoglio di vedere la mia firma – ogni tanto, è vero, non sono un giornalista molto prolifico – comparire sulle tue pagine. E per esserci stata nei momenti più importanti. So bene che il tuo valore ha ben altra portata e impatto nella nostra storia. Firma più blasonate lo stanno raccontando ovunque. E lo racconteranno, in tempi in cui storia del giornalismo e politica non saranno inquinate, come in questi, da chiacchiericcio garrulo e insipido. Oggi lo racconti con semplicità attraverso le tue prime pagine nell'inserto in edicola. So anche bene che dietro al tuo nome, Unità, non c'è solo Gramsci ma 90 anni di professionisti che hanno costruito e alimentato un'identità collettiva nella quale mi sento, orgogliosamente, ammesso, pur da cronista di provincia. Perché anche questo, mi hai permesso: il potermi misurare con una grande testata e un grande pubblico, diversi, più compositi e più esigenti di quello che normalmente a un giornalista è concesso nella nostra cittadina.

Hai accompagnato i miei primi passi quando, nel 1989, lasciai il mare per cominciare a scrivere. Fu Alessandro Agnoletti, allora corrispondente da Rimini, a darmi l'opportunità di scrivere nello spazio della redazione riminese, allora in via Sacconi: una stanzetta con due scrivanie e la macchinetta rumorosa per spedire le foto. C'eri ancora, con la redazione di Mattina a Rimini, quando Il Quotidiano di San Marino mi lasciò a piedi, con Onide Donati e Claudio Visani a dirigere un bel dorso locale nel quale fare palestra, scrivere, discutere e scontrarsi (pure quello). E dove anche sbagliare, come mi capitò su un pezzo di nera. Un peccato veniale, ma pur sempre uno smacco che ancora non mi perdono, la prima volta in tanti anni e spero resti l'ultima.

E ci sei stata negli anni della maturità, regalandomi occasioni preziose e sorprese incredibili, che neanche mi aspettavo di poter onorare. I pezzi in nazionale, qualche prima pagina e una volta, il 28 agosto 2008, il mio nome sotto il titolo d'apertura del giornale. O il mio nome citato da Concita de Gregorio nel suo fondo, per il pezzo dell'aggressione col fuoco al senzatetto. Occasioni di crescita che la Redazione di Bologna, Onide sempre al timone, con Gigi Marcucci e Andrea Bonzi a sollecitarmi i pezzi, mi hanno pazientemente dato. E che spero di aver onorato, anche quando la penna mi era sfuggita di mano. Ma più di tutte le volte, voglio ricordarmi un'intervista che Stefania Scateni mi commissionò a Miguel Benasayag. E che tenne da parte, qualche giorno, per aprirci le pagine della cultura il 25 ottobre 2008, quando uscì il giornale nel nuovo formato tabloid. La prima pagina recitava “Ci siamo”. La misi in tasca e pedalando la portai, ebbro di emozione, dove avevo cominciato il mio viaggio: le banchine del porto. Grazie Unità (e voi tutti che l'avete fatta così bella) per tutto questo e per i tuoi primi 90 anni.

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Non è mai troppo tardi (per imparare)

Mer, 05/02/2014 - 22:46

Stanco di annose discussioni senza capo ne coda sui fatti quotidiani politici e non, ho deciso di fare un regalo agli amici (di destra): gli ho confezionato un corso di comunicazione. Un regalo interessato, fatto per limitare il proliferare di condivisioni di blog di emeriti signor nessuno o discussioni sul sesso degli angeli, mentre si parla di diavoli. Cose semplici, per avvicinarli alla complessità della comunicazione attuale: come si scrive un articolo, come si gestisce un sito, blog, i motori di ricerca questi sconosciuti, Facebook, LinkedIn e via discorrendo. Un quasi regalo da un amico quasi cassintegrato che ha un po' di tempo e qualche trucco nel cassetto, appreso dal mestiere.E invece di declinare frettolosamente i miei scriteriati amici hanno accettato: venerdì sera nell'ufficio del più casinista. Con due mogli al seguito, anche loro imprenditrici, perché male non fa.

Eccoli lì, quasi tutti schierati intorno alla scrivania della padrona di casa, curiosamente in anticipo. Non sembrano nemmeno la torma di sciammanati che mettono a soqquadro i ristoranti. La prima prova è, manco a dirlo, una “breve”. Salto a piè pari la storia del giornalismo e altre robe che se vogliono trovano su Internet e gli metto sotto il naso un comunicato stampa: riducetelo a 5 righe. Ciò che al Ponte ci facevano fare da garzoni. E questi, matita in mano, cominciano a cercare di raccapezzarci tra i “cos'è la notizia”, “chi-come-dove-quando-cosa” e altre amenità che abbiamo dovuto imparare a memoria per affrontare il grande pubblico (diciamo) nelle redazioni di provincia e non.

Dopo aver scritto il pezzo ciascuno lo legge e gli altri commentano (alla luce del compito, è sottinteso). Uno si inventa il titolo, bruciandosi l'attacco. Un'altra scrive un testo bellissimo, ma manca il dove e il quando e il cosa, un altro comincia “la festa parrocchiale in maschera” dalla coda e finisce con l'attacco. E non mette che anche “i preti si vestiranno da maschere” perché «è blasfemo». Ma c'è nel comunicato... «E' lo stesso». La parte dolente è il momento del commento. Comincia il primo a sinistra: «bello!». Non ci hai trovato nulla di sbagliato? «Nooo... Bello. L'avrei fatto così». Al terzo “Bello” io mangio al foglia: non giudicano per non essere giudicati. Ma anche il gruppo, dapprima compatto sulla difensiva, comincia a sfaldarsi. Uno bofonchia «manca il quando», il vicino si accoda, ma sempre sommessamente. Il ghiaccio si fa fatica a rompere, anche se la prima prova è più che dignitosa. Li aspetto al varco della seconda prova, quando dovranno fare il loro primo articolo...

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