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Grassi Benaglia Moretti avvocati e commercialisti

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Aggiornato: 2 giorni 13 ore fa

Esenzione IMU per la Parrocchia che concede immobile a un'associazione no profit

Dom, 23/03/2025 - 11:36
La Corte di Giustizia Tributaria dell’Emilia Romagna, con propria sentenza n. 1118/2024 del 09.12.2024 e depositata il giorno 17 dicembre 2024, è tornata sulla ormai storica questione dell’esenzione Imu prevista per gli immobili strumentali di proprietà degli Enti del Terzo Settore. Il caso. Il caso per cui è stata interpellata riguarda un immobile, di proprietà di una Parrocchia, concesso in comodato d’uso gratuito a una associazione iscritta al Registro delle Associazioni di Promozione sociale. Secondo il Comune l’agevolazione Imu non sarebbe spettata all’ente religioso in quanto sia la norma che la giurisprudenza maggioritaria hanno sempre interpretato la disciplina di favore esclusivamente nel caso in cui l’utilizzatore è direttamente l’ente del terzo settore e non anche quando questi concede in comodato a terzi, ancorchè gratuito, l’immobile agevolato. Normativa IMU ed Enti del Terzo Settore. I Giudici, nel proprio dispositivo, si premurano di illustrare l’esenzione contenuta nell’art. 7 comma 1 lett. i del D.Lgs. 504/1992. Condizione per il suo godimento è che gli immobili siano utilizzati per lo svolgimento, con modalità non commerciali, di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive. Rientrano in tale agevolazioni, per espresso rinvio normativo, anche gli enti ecclesiastici. Nonostante la già citata contrarietà della Giurisprudenza della Corte di Cassazione, il Ministero delle Finanze con propria risoluzione n. 4/DF del 04 marzo 2013 si era espresso a favore della concessione dell’agevolazione Imu anche in caso di comodato gratuito a favore di un altro ente non commerciale. Solo nel 2023 il Parlamento è intervenuto a mettere fine a queste ondivaghe interpretazioni della materia, emanando una norma di interpretazione autentica, contenuta nell’art. 1 comma 71 della Legge 213/2023. In particolare si è specificato che l’agevolazione Imu sugli immobili degli enti no profit spetta anche nel caso in cui questi siano concessi in comodato a favore di altri enti simili, al ricorrere, però, delle seguenti condizioni:
  1. Gli enti destinatari devono essere collegati funzionalmente o strutturalmente al soggetto concedente;
  2. All’interno dell’immobile devono essere svolte, con modalità non commerciali, delle attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive.
Il collegamento funzionale e strutturale Per chiarire il concetto di “collegamento funzionale e strutturale” necessario per ottenere l’agevolazione IMU è intervenuto il Ministero delle Finanze con la circolare 2/DF del 16 luglio 2024. Il collegamento esiste quando:
  • l’attività svolta all’interno dell’immobile è legata alla finalità dell’ente concedente ed è coerente con gli scopi istituzionali del concedente stesso;
  • l’immobile è concesso in comodato a favore di un ente che appartiene alla stessa struttura del concedente.
La decisione. Nel caso esaminato, i Giudici di Secondo Grado hanno richiamato le norme che regolano il funzionamento degli enti ecclesiastici, contenute nella legge 222/1985. In particolare l’articolo 15, che stabilisce che gli enti ecclesiastici possono svolgere attività diverse da quelle di culto, e l’articolo 16 che fa rientrare nelle attività svolte dagli enti religiosi anche quelle di religione, di culto, di assistenza, di beneficenza, istruzione educazione e cultura. Nel caso trattato, il “collegamento funzionale o strutturale” è presente in quanto l’ente a cui è stato concesso il comodato gratuito ha tra le proprie finalità anche quelle di promuovere l’aggregazione giovanile anche attraverso la realtà degli oratori, il tutto secondo “la concezione cristiana dell’uomo e per la sua elevazione sociale”. Tale previsione è stata sufficiente per far decidere ai Giudici la presenza di quel nesso funzionale e strutturale necessario per far beneficiare alla Parrocchia dell’esenzione ai fini Imu dell’immobile concesso in comodato gratuito. Notizie ImpreseOggi
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Agriturismo: contributi a fondo perduto nella provincia di Rimini

Sab, 15/03/2025 - 12:33
Sostenere le aziende agricole nel realizzare, ampliare o adeguare la propria attività agrituristica: queste le linee guide dell’iniziativa promossa dal Gal Valli Marecchia e Conca, tramite il proprio Avviso Pubblico denominato “Investimenti nelle aziende agricole per la diversificazione in attività non agricole”. Misura del contributo a fondo perduto. Il sostegno prevede l’erogazione di un contributo a fondo perduto nella misura del 50% della spesa ammissibile in caso di interventi realizzati nella Zona D ”Aree rurali con problemi di sviluppo”; contributo che scende al 40% nel caso di interventi ubicati nella zona B “Aree ad agricoltura intensiva e specializzata”. L’esatta indicazione dei confini delle zone rurali la si può trovare nel sito internet dell’Assessorato Regionale all’Agricoltura e Pesca. Beneficiari. Possono richiedere l’agevolazione gli imprenditori agricoli, sia singoli che associati, che possiedono i seguenti requisiti:
  • essere regolarmente iscritti all’Anagrafe Regionale delle Aziende Agricole;
  • rispettare i contratti collettivi nazionali e territoriali per il personale dipendente;
  • essere in regola con il Durc;
  • essere iscritti al Registro Imprese al momento della presentazione della domanda di sostegno, salvo il caso di adozione del regime speciale Iva (volume d’affari non superiore a euro 7.000,00);
  • non trovarsi in stato di fallimento o liquidazione coatta amministrativa;
  • essere iscritti all’elenco di cui all’art. 30 della L.R. n. 4/2009 sezione “operatori agrituristici”;
Interventi ammessi. Gli interventi ammessi sono:
  • interventi di recupero, ristrutturazione e ampliamento degli immobili esistenti;
  • realizzazione di piazzole attrezzate per il campeggio;
  • interventi di recupero, ristrutturazione, ampliamento ed allestimento di strutture destinate ad attività ricreative o sportive;
  • interventi di recupero, ristrutturazione e ampliamento di locali da destinare a spazi multiuso;
  • sistemazione di aree esterne al servizio dell’agriturismo;
  • mobili e arredi per camere, sale da pranzo e cucine, rigorosamente nuovi e non di antiquariato o vintage;
  • spese generali e tecniche nella misura massima del 10% della spesa ammissibile;
  • acquisto di hardware e software specifico per l’attività agrituristica;
Termine presentazione delle domande.  Le domande devono essere presentate entro e non oltre le ore 13.00 del giorno 21.07.2025. La spesa minima ammissibile è pari ad euro 20.000. Il contributo sarà erogato sulla base di una graduatoria formata utilizzando i criteri definiti all’interno dello stesso bando di agevolazione. Notizie ImpreseOggi
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Agriturismo: contributi a fondo perduto nella provincia di Rimini

Sab, 15/03/2025 - 12:33
Sostenere le aziende agricole nel realizzare, ampliare o adeguare la propria attività agrituristica: queste le linee guide dell’iniziativa promossa dal Gal Valli Marecchia e Conca, tramite il proprio Avviso Pubblico denominato “Investimenti nelle aziende agricole per la diversificazione in attività non agricole”. Misura del contributo a fondo perduto. Il sostegno prevede l’erogazione di un contributo a fondo perduto nella misura del 50% della spesa ammissibile in caso di interventi realizzati nella Zona D ”Aree rurali con problemi di sviluppo”; contributo che scende al 40% nel caso di interventi ubicati nella zona B “Aree ad agricoltura intensiva e specializzata”. L’esatta indicazione dei confini delle zone rurali la si può trovare nel sito internet dell’Assessorato Regionale all’Agricoltura e Pesca. Beneficiari. Possono richiedere l’agevolazione gli imprenditori agricoli, sia singoli che associati, che possiedono i seguenti requisiti:
  • essere regolarmente iscritti all’Anagrafe Regionale delle Aziende Agricole;
  • rispettare i contratti collettivi nazionali e territoriali per il personale dipendente;
  • essere in regola con il Durc;
  • essere iscritti al Registro Imprese al momento della presentazione della domanda di sostegno, salvo il caso di adozione del regime speciale Iva (volume d’affari non superiore a euro 7.000,00);
  • non trovarsi in stato di fallimento o liquidazione coatta amministrativa;
  • essere iscritti all’elenco di cui all’art. 30 della L.R. n. 4/2009 sezione “operatori agrituristici”;
Interventi ammessi. Gli interventi ammessi sono:
  • interventi di recupero, ristrutturazione e ampliamento degli immobili esistenti;
  • realizzazione di piazzole attrezzate per il campeggio;
  • interventi di recupero, ristrutturazione, ampliamento ed allestimento di strutture destinate ad attività ricreative o sportive;
  • interventi di recupero, ristrutturazione e ampliamento di locali da destinare a spazi multiuso;
  • sistemazione di aree esterne al servizio dell’agriturismo;
  • mobili e arredi per camere, sale da pranzo e cucine, rigorosamente nuovi e non di antiquariato o vintage;
  • spese generali e tecniche nella misura massima del 10% della spesa ammissibile;
  • acquisto di hardware e software specifico per l’attività agrituristica;
Termine presentazione delle domande.  Le domande devono essere presentate entro e non oltre le ore 13.00 del giorno 21.07.2025. La spesa minima ammissibile è pari ad euro 20.000. Il contributo sarà erogato sulla base di una graduatoria formata utilizzando i criteri definiti all’interno dello stesso bando di agevolazione. Notizie ImpreseOggi
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Al via i contributi a fondo perduto sugli interessi pagati dalle aziende agricole.

Dom, 09/03/2025 - 11:30
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale numero n.55 del 7-3-2025 il Decreto del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste con il quale si dà attuazione all’agevolazione contenuta nel comma 424 della Legge di Stabilità 2023 (Legge n. 197 del 29 dicembre 2022). L’agevolazione consiste in un contributo a fondo perduto, pari al 50% degli interessi che l’azienda agricola andrà a pagare su un finanziamento concesso da un Istituto di credito. La durata massima del finanziamento bancario ammesso all’agevolazione è di cinque anni compreso il periodo di pre-ammortamento. I beneficiari del contributo sono le imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura che al momento della presentazione della domanda hanno i seguenti requisiti:
  • Hanno la sede in Italia, siano iscritte al Registro delle Imprese e sono iscritte in questo registro come imprese agricole attive o come piccolo imprenditore agricolo e coltivatore diretto al 31 dicembre 2021;
  • hanno sottoscritto una polizza  assicurativa  contro  i  danni alle produzioni, alle strutture, alle infrastrutture e agli  impianti derivanti da calamità naturali o da eventi eccezionali;
  • non sono stati destinatari di revoche di aiuti da parte della Commissione Europea.
La domanda di contributo a fondo perduto in conto interessi deve essere presentata ad AGEA, su un modello che provvederà a rendere disponibile sul proprio sito internet. Alla domanda dovranno essere allegati:
  • la copia della delibera bancaria di concessione del finanziamento. La delibera non deve essere più vecchia di trenta giorni rispetto alla data di richiesta del contributo;
  • mandato irrevocabile all'incasso in favore della banca, sempre su modello redatto da Agea, con il quale l’impresa beneficiaria autorizza la stessa banca ad utilizzare il contributo per estinguere la quota parte di finanziamento bancario che ha ottenuto l’agevolazione in commento.
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Al via i contributi a fondo perduto sugli interessi pagati dalle aziende agricole.

Dom, 09/03/2025 - 11:30
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale numero n.55 del 7-3-2025 il Decreto del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste con il quale si dà attuazione all’agevolazione contenuta nel comma 424 della Legge di Stabilità 2023 (Legge n. 197 del 29 dicembre 2022). L’agevolazione consiste in un contributo a fondo perduto, pari al 50% degli interessi che l’azienda agricola andrà a pagare su un finanziamento concesso da un Istituto di credito. La durata massima del finanziamento bancario ammesso all’agevolazione è di cinque anni compreso il periodo di pre-ammortamento. I beneficiari del contributo sono le imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura che al momento della presentazione della domanda hanno i seguenti requisiti:
  • Hanno la sede in Italia, siano iscritte al Registro delle Imprese e sono iscritte in questo registro come imprese agricole attive o come piccolo imprenditore agricolo e coltivatore diretto al 31 dicembre 2021;
  • hanno sottoscritto una polizza  assicurativa  contro  i  danni alle produzioni, alle strutture, alle infrastrutture e agli  impianti derivanti da calamità naturali o da eventi eccezionali;
  • non sono stati destinatari di revoche di aiuti da parte della Commissione Europea.
La domanda di contributo a fondo perduto in conto interessi deve essere presentata ad AGEA, su un modello che provvederà a rendere disponibile sul proprio sito internet. Alla domanda dovranno essere allegati:
  • la copia della delibera bancaria di concessione del finanziamento. La delibera non deve essere più vecchia di trenta giorni rispetto alla data di richiesta del contributo;
  • mandato irrevocabile all'incasso in favore della banca, sempre su modello redatto da Agea, con il quale l’impresa beneficiaria autorizza la stessa banca ad utilizzare il contributo per estinguere la quota parte di finanziamento bancario che ha ottenuto l’agevolazione in commento.
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Cooperativa sociale: iva agevolata al 5% anche sulle prestazioni accessorie.

Dom, 02/03/2025 - 11:51
Una cooperativa sociale può applicare l’iva agevolata al 5% anche alle prestazioni accessorie rese a favore di soggetti ospitati in una casa di cura, a cui fornisce in via principale delle prestazioni socio assistenziali. Questo è il principio espresso dalla sentenza n. 1131/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado dell’Emilia Romagna, sezione 6, sul caso riguardante un accertamento ai fini Iva emesso nei confronti di una cooperativa sociale che gestisce una casa di riposo all’interno della quale, tra gli altri servizi, offre anche quello di parrucchiere, lavanderia, mensa e pulizia dei locali. Oggetto del contendere riguarda il fatto che la cooperativa sociale applica l’aliquota iva agevolata al 5% su tutte le prestazioni rese non distinguendo, secondo il parere dell’Agenzia delle Entrate, quelle naturalmente al 5% come l’attività socio assistenziale, da quelle ad aliquota ordinaria, come il servizio di parrucchiere o lavanderia. Questi servizi, in una logica di ottimizzazione della gestione aziendale, vengono resi da fornitori esterni, i quali però provvedono ad emettere fattura nei confronti della cooperativa sociale applicando le aliquote iva previste per la loro specifica attività. Secondo il parere dell’Ufficio la fatturazione con aliquota agevolata al 5% (prevista dall’articolo 1, comma 960, lettera c) della legge 208/2015) o, a seconda del regime scelto dal contribuente, in esenzione ai sensi dell’art. 10 comma 1 n. 21 del D.p.r. 633/72, è possibile solo nell’ambito di una gestione globale del servizio. Non vi può essere gestione globale nel caso in cui i servizi accessori vengano resi da soggetti esterni, ancorchè fatturati dalla cooperativa stessa agli utilizzatori finali. La Corte di Giustizia Tributaria dell’Emilia Romagna rigetta in toto la tesi avanzata dall’Agenzia delle Entrate. Secondo i giudici tributari il concetto di assistenza alla persona ha un significato complesso, che non si può limitare solo ai quei servizi che servono per soddisfare i bisogni primari. Occorre ampliare la definizione tenendo conto anche di quelle prestazioni che servono a garantire dignità alle persone ospitate all’interno di una struttura. Tra queste rientrano, senza dubbio, anche quelle di lavanderia e pulizia dei locali. E’ privo di significato, quindi, sostenere un trattamento fiscale diverso fra prestazione principale e quella accessoria, in quanto la finalità della seconda è quella di garantire dignità alla prima diventando, così, inscindibile da quest’ultima. A maggior conforto della sua affermazione, la Corte Tributaria richiama la sentenza della Corte di Giustizia Europea, causa C-335/14 del 21.01.2016, nella quale si specifica che alle prestazioni rese dalle case di riposo e i centri residenziali per gli anziani occorre riservare un trattamento IVA unitario, ribadendo ancora una volta l’unitarietà e l’inscindibilità delle prestazioni rese. Infine i giudici respingono anche il rilievo avanzato circa l’assenza di un contratto di global service fra la cooperativa sociale e il soggetto ospitato, soprattutto se una parte dei servizi accessori viene reso da soggetti esterni. Il rigetto avviene anche sulla base dell’art. 132, par. 1, lettera g), della Direttiva CE n. 112 del 2006, la quale stabilisce l’esenzione Iva (o la sua assoggettabilità all’aliquota agevolata del 5% nel caso di prestazioni rese da cooperative sociali) per le prestazioni di servizi e le cessioni di beni strettamente connesse con l’assistenza e la previdenza sociale, rese da soggetti riconosciuti dallo Stato membro come aventi carattere sociale.  Rientrano tra questi soggetti, senza dubbio alcuno, le cooperative sociali.   Analisi e commenti ImpreseOggi
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Cooperativa sociale: iva agevolata al 5% anche sulle prestazioni accessorie.

Dom, 02/03/2025 - 11:51
Una cooperativa sociale può applicare l’iva agevolata al 5% anche alle prestazioni accessorie rese a favore di soggetti ospitati in una casa di cura, a cui fornisce in via principale delle prestazioni socio assistenziali. Questo è il principio espresso dalla sentenza n. 1131/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado dell’Emilia Romagna, sezione 6, sul caso riguardante un accertamento ai fini Iva emesso nei confronti di una cooperativa sociale che gestisce una casa di riposo all’interno della quale, tra gli altri servizi, offre anche quello di parrucchiere, lavanderia, mensa e pulizia dei locali. Oggetto del contendere riguarda il fatto che la cooperativa sociale applica l’aliquota iva agevolata al 5% su tutte le prestazioni rese non distinguendo, secondo il parere dell’Agenzia delle Entrate, quelle naturalmente al 5% come l’attività socio assistenziale, da quelle ad aliquota ordinaria, come il servizio di parrucchiere o lavanderia. Questi servizi, in una logica di ottimizzazione della gestione aziendale, vengono resi da fornitori esterni, i quali però provvedono ad emettere fattura nei confronti della cooperativa sociale applicando le aliquote iva previste per la loro specifica attività. Secondo il parere dell’Ufficio la fatturazione con aliquota agevolata al 5% (prevista dall’articolo 1, comma 960, lettera c) della legge 208/2015) o, a seconda del regime scelto dal contribuente, in esenzione ai sensi dell’art. 10 comma 1 n. 21 del D.p.r. 633/72, è possibile solo nell’ambito di una gestione globale del servizio. Non vi può essere gestione globale nel caso in cui i servizi accessori vengano resi da soggetti esterni, ancorchè fatturati dalla cooperativa stessa agli utilizzatori finali. La Corte di Giustizia Tributaria dell’Emilia Romagna rigetta in toto la tesi avanzata dall’Agenzia delle Entrate. Secondo i giudici tributari il concetto di assistenza alla persona ha un significato complesso, che non si può limitare solo ai quei servizi che servono per soddisfare i bisogni primari. Occorre ampliare la definizione tenendo conto anche di quelle prestazioni che servono a garantire dignità alle persone ospitate all’interno di una struttura. Tra queste rientrano, senza dubbio, anche quelle di lavanderia e pulizia dei locali. E’ privo di significato, quindi, sostenere un trattamento fiscale diverso fra prestazione principale e quella accessoria, in quanto la finalità della seconda è quella di garantire dignità alla prima diventando, così, inscindibile da quest’ultima. A maggior conforto della sua affermazione, la Corte Tributaria richiama la sentenza della Corte di Giustizia Europea, causa C-335/14 del 21.01.2016, nella quale si specifica che alle prestazioni rese dalle case di riposo e i centri residenziali per gli anziani occorre riservare un trattamento IVA unitario, ribadendo ancora una volta l’unitarietà e l’inscindibilità delle prestazioni rese. Infine i giudici respingono anche il rilievo avanzato circa l’assenza di un contratto di global service fra la cooperativa sociale e il soggetto ospitato, soprattutto se una parte dei servizi accessori viene reso da soggetti esterni. Il rigetto avviene anche sulla base dell’art. 132, par. 1, lettera g), della Direttiva CE n. 112 del 2006, la quale stabilisce l’esenzione Iva (o la sua assoggettabilità all’aliquota agevolata del 5% nel caso di prestazioni rese da cooperative sociali) per le prestazioni di servizi e le cessioni di beni strettamente connesse con l’assistenza e la previdenza sociale, rese da soggetti riconosciuti dallo Stato membro come aventi carattere sociale.  Rientrano tra questi soggetti, senza dubbio alcuno, le cooperative sociali.   Analisi e commenti ImpreseOggi
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Appalto pulizia camere: l'Agenzia delle Entrate deve provare la somministrazione abusiva di manodopera

Dom, 23/02/2025 - 11:26
In assenza di contestazioni da parte di Inps ed Ispettorato del lavoro, compete all’Agenzia delle Entrate dimostrare in maniera circostanziata e puntuale che il contratto di appalto di servizi è, in realtà, una somministrazione illecita di manodopera. Non è sufficiente richiamarsi alla mancanza di attrezzature da parte dell’appaltatore o all’assenza di rischio di quest’ultimo per rendere indeducibile l’IVA pagata dal committente.   Il principio è contenuto nella sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di Rimini, numero 231/2024 del 25/11/2024. Il caso trae origine dalla prassi commerciale, in uso soprattutto nelle strutture alberghiere, di appaltare il servizio di pulizia delle camere a società esterne, onde liberare l’albergatore dall’onere di organizzare tale servizio. L’Ufficio ha costruito il suo accertamento basandosi principalmente su congetture, sostenendo che l’onere di dimostrare il contrario grava unicamente sul contribuente. Per stabilire la diversa classificazione del contratto di appalto si è limitato a esporre generiche considerazioni:
  • L’appaltatore si è avvalso di subappaltatori;
  • L’appaltatore è privo di una organizzazione aziendale propria e si limita a gestire solamente la parte amministrativa e formale dei propri lavoratori presso i committenti;
  • L’appaltatore non corre nessun rischio di impresa;
  • L’appaltatore è privo di attrezzature e quelle impiegate sono fornite dal committente;
  • I subappaltatori sono delle società “apri e chiudi” e riconducibili a una unica persona fisica.
I Giudici riminesi non hanno condiviso questo assunto. Sono partiti dalla nozione di “appalto leggero”, che è caratterizzato dal fatto che l’attività viene prestata solo con l’impiego di manodopera e non anche di attrezzature o beni materiali diversi. Forma contrattuale ammessa nel nostro ordinamento e per la quale, la giurisprudenza della Cassazione ha sancito (sentenza n. 14371/2020 – sez. Lavoro) che la verifica della sua genuinità si misura accertando se è l’appaltatore che gestisce e indirizza l’attività dei suoi dipendenti e non il committente. Richiamandosi all’art. 7 comma 5 bis del D. Lgs. 546/92, hanno stabilito che l’onere della prova è, in questo caso, incombente a carico dell’Ufficio il quale deve dimostrare, anche avvalendosi di ispezioni effettuate dai soggetti preposti al controllo in materia di lavoro (Inps e Ispettorato del Lavoro) che il contratto di appalto è simulato nascondendo, al contrario, una illecita somministrazione di manodopera. Concludono, poi, smontando anche alcune tesi avanzate dall’Agenzia delle Entrate:
  • Non è corretto affermare che non vi sia il rischio di impresa, in quanto l’appaltatore deve garantire la presenza dei lavoratori e l’adempimento delle richieste del committente;
  • Non è sufficiente nemmeno affermare che l’appaltatore non possiede attrezzature o beni materiali: l’articolo 1658 del codice civile indica chiaramente che il materiale può essere fornito anche dal committente.
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Appalto pulizia camere: l'Agenzia delle Entrate deve provare la somministrazione abusiva di manodopera

Dom, 23/02/2025 - 11:26
In assenza di contestazioni da parte di Inps ed Ispettorato del lavoro, compete all’Agenzia delle Entrate dimostrare in maniera circostanziata e puntuale che il contratto di appalto di servizi è, in realtà, una somministrazione illecita di manodopera. Non è sufficiente richiamarsi alla mancanza di attrezzature da parte dell’appaltatore o all’assenza di rischio di quest’ultimo per rendere indeducibile l’IVA pagata dal committente.   Il principio è contenuto nella sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di Rimini, numero 231/2024 del 25/11/2024. Il caso trae origine dalla prassi commerciale, in uso soprattutto nelle strutture alberghiere, di appaltare il servizio di pulizia delle camere a società esterne, onde liberare l’albergatore dall’onere di organizzare tale servizio. L’Ufficio ha costruito il suo accertamento basandosi principalmente su congetture, sostenendo che l’onere di dimostrare il contrario grava unicamente sul contribuente. Per stabilire la diversa classificazione del contratto di appalto si è limitato a esporre generiche considerazioni:
  • L’appaltatore si è avvalso di subappaltatori;
  • L’appaltatore è privo di una organizzazione aziendale propria e si limita a gestire solamente la parte amministrativa e formale dei propri lavoratori presso i committenti;
  • L’appaltatore non corre nessun rischio di impresa;
  • L’appaltatore è privo di attrezzature e quelle impiegate sono fornite dal committente;
  • I subappaltatori sono delle società “apri e chiudi” e riconducibili a una unica persona fisica.
I Giudici riminesi non hanno condiviso questo assunto. Sono partiti dalla nozione di “appalto leggero”, che è caratterizzato dal fatto che l’attività viene prestata solo con l’impiego di manodopera e non anche di attrezzature o beni materiali diversi. Forma contrattuale ammessa nel nostro ordinamento e per la quale, la giurisprudenza della Cassazione ha sancito (sentenza n. 14371/2020 – sez. Lavoro) che la verifica della sua genuinità si misura accertando se è l’appaltatore che gestisce e indirizza l’attività dei suoi dipendenti e non il committente. Richiamandosi all’art. 7 comma 5 bis del D. Lgs. 546/92, hanno stabilito che l’onere della prova è, in questo caso, incombente a carico dell’Ufficio il quale deve dimostrare, anche avvalendosi di ispezioni effettuate dai soggetti preposti al controllo in materia di lavoro (Inps e Ispettorato del Lavoro) che il contratto di appalto è simulato nascondendo, al contrario, una illecita somministrazione di manodopera. Concludono, poi, smontando anche alcune tesi avanzate dall’Agenzia delle Entrate:
  • Non è corretto affermare che non vi sia il rischio di impresa, in quanto l’appaltatore deve garantire la presenza dei lavoratori e l’adempimento delle richieste del committente;
  • Non è sufficiente nemmeno affermare che l’appaltatore non possiede attrezzature o beni materiali: l’articolo 1658 del codice civile indica chiaramente che il materiale può essere fornito anche dal committente.
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Al servizio mensa di una Fondazione si applica l’Iva esente art. 10.

Dom, 02/02/2025 - 12:32
Il servizio mensa fornito ai propri alunni da una Fondazione che ha tra i suoi scopi quelli educativi e didattici è esente Iva ai sensi dell’articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72. Lo prevede la risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate a un interpello non pubblicato avanzato da un Ente del Terzo Settore che svolge attività educative a favore dell’infanzia. La risposta fornita si sofferma innanzitutto sul tenore dell’articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72 il quale prevede l’esenzione Iva per le “prestazioni educative, dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere” compresa la formazione purchè rese da “istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da enti del Terzo Settore di natura non commerciale”. Se si rientra in questa casistica, la normativa iva prevede piuttosto esplicitamente che l’esenzione in argomento possa applicarsi anche all’alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici. I requisiti da tenere in considerazione, dunque, per poter valutare l’eventuale esenzione Iva del servizio mensa sono due. Il primo, di carattere oggettivo, prevede che la prestazione resa sia di natura educativa dell’infanzia, della gioventù o didattica di ogni genere; rientra in quest’ultima categoria anche l’attività di formazione professionale. Il secondo requisito, di natura soggettiva, è che le suddette prestazioni siano rese da enti del Terzo Settore, oltre che da scuole o istituti riconosciuti da pubbliche amministrazioni. L’Agenzia delle Entrate specifica, però, che il servizio mensa (così come l’alloggio e il materiale didattico) deve essere connesso con la prestazione principale, cioè l’erogazione del servizio educativo. Qualora questo non avvenga, e cioè il soggetto che fornisce l’attività educativa è diverso da quello che fornisce l’attività di mensa, su quest’ultima non può vedersi applicata l’esenzione di cui all’articolo 10 Dpr 633/72. Situazione, però, assai diversa nel caso in cui la Fondazione o l’Ente del Terzo Settore in genere acquisti da terzi il servizio della mensa e poi lo rivenda ai suoi alunni o partecipanti, fatturandolo direttamente. L’interpello non prende in esame questa eventualità, ma la logica giuridica porta a ritenere che anche in questo caso si possa applicare l’esenzione iva articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72, in quanto la prestazione finale è resa da un unico soggetto. Nulla rileva, e nulla dispone la norma, sul rapporto che sta a monte della prestazione resa. Ovviamente sul servizio che acquista la Fondazione o l’Ente del Terzo Settore andrà applicata l’Iva con l’aliquota prevista per la tipologia di attività svolta, in quanto non si rientra nella casistica fino a qui esaminata, essendo carente sia il requisito oggettivo e soggettivo. Notizie ImpreseOggi
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Al servizio mensa di una Fondazione si applica l’Iva esente art. 10.

Dom, 02/02/2025 - 12:32
Il servizio mensa fornito ai propri alunni da una Fondazione che ha tra i suoi scopi quelli educativi e didattici è esente Iva ai sensi dell’articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72. Lo prevede la risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate a un interpello non pubblicato avanzato da un Ente del Terzo Settore che svolge attività educative a favore dell’infanzia. La risposta fornita si sofferma innanzitutto sul tenore dell’articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72 il quale prevede l’esenzione Iva per le “prestazioni educative, dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere” compresa la formazione purchè rese da “istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da enti del Terzo Settore di natura non commerciale”. Se si rientra in questa casistica, la normativa iva prevede piuttosto esplicitamente che l’esenzione in argomento possa applicarsi anche all’alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici. I requisiti da tenere in considerazione, dunque, per poter valutare l’eventuale esenzione Iva del servizio mensa sono due. Il primo, di carattere oggettivo, prevede che la prestazione resa sia di natura educativa dell’infanzia, della gioventù o didattica di ogni genere; rientra in quest’ultima categoria anche l’attività di formazione professionale. Il secondo requisito, di natura soggettiva, è che le suddette prestazioni siano rese da enti del Terzo Settore, oltre che da scuole o istituti riconosciuti da pubbliche amministrazioni. L’Agenzia delle Entrate specifica, però, che il servizio mensa (così come l’alloggio e il materiale didattico) deve essere connesso con la prestazione principale, cioè l’erogazione del servizio educativo. Qualora questo non avvenga, e cioè il soggetto che fornisce l’attività educativa è diverso da quello che fornisce l’attività di mensa, su quest’ultima non può vedersi applicata l’esenzione di cui all’articolo 10 Dpr 633/72. Situazione, però, assai diversa nel caso in cui la Fondazione o l’Ente del Terzo Settore in genere acquisti da terzi il servizio della mensa e poi lo rivenda ai suoi alunni o partecipanti, fatturandolo direttamente. L’interpello non prende in esame questa eventualità, ma la logica giuridica porta a ritenere che anche in questo caso si possa applicare l’esenzione iva articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72, in quanto la prestazione finale è resa da un unico soggetto. Nulla rileva, e nulla dispone la norma, sul rapporto che sta a monte della prestazione resa. Ovviamente sul servizio che acquista la Fondazione o l’Ente del Terzo Settore andrà applicata l’Iva con l’aliquota prevista per la tipologia di attività svolta, in quanto non si rientra nella casistica fino a qui esaminata, essendo carente sia il requisito oggettivo e soggettivo. Notizie ImpreseOggi
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Dom, 19/01/2025 - 11:36
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Finanziare lo sviluppo delle cooperative: la nuova Legge Marcora

Dom, 19/01/2025 - 11:32
Finanziare la nascita e lo sviluppo delle cooperative di piccola e media dimensione con l’obiettivo di creare nuove attività economiche e di incrementare i posti di lavoro: sono queste le finalità del Decreto del Ministero dello sviluppo economico pubblicato il 4 gennaio 2021. I soggetti destinatari sono le cooperative di produzione e lavoro e sociali che svolgono attività sia di tipo A che di tipo B, che operano in tutti i settori produttivi. Unici requisiti che devono possedere sono quelli di rientrare nei limiti previsti per le piccole e medie imprese e di essere partecipate da CFI, il fondo istituzionale controllato dal Ministero dello Sviluppo Economico e previsto dalla Legge 49/85, chiamata anche Legge Marcora. Nel caso in cui la cooperativa non sia partecipata da CFI, contestualmente alla presentazione della domanda di agevolazione deve essere presentata anche quella di partecipazione a CFI. Le cooperative richiedenti, inoltre, devono essere regolarmente costituite e non trovarsi in liquidazione o in procedure concorsuali. Le tipologie di iniziative ammissibile sono tutte quelle che permettono di realizzare la nascita o il consolidamento delle attività delle cooperative richiedenti, salvo alcune eccezioni. Tra queste vi sono quelle notarili, imposte, tasse, oppure riferite a investimenti di pura sostituzione di impianti o macchinari già esistenti. Sono escluse anche le spese per l’acquisto di automezzi, salvo che non servano direttamente nell’attività che svolge la cooperativa. I programmi di investimento non devono essere avviati alla di presentazione della richiesta di finanziamento agevolato. Il programma di investimento deve terminare entro 36 mesi dalla data di sottoscrizione del finanziamento agevolato. Può essere chiesto, inoltre, anche il finanziamento per supportare le esigenze di liquidità delle cooperative. In questo caso la sua concessione assume la forma di contributo de minimis, e deve essere finalizzato a realizzare programmi di investimento iniziati da non più di sei mesi dalla data di presentazione della richiesta oppure deve essere finalizzato a coprire esigenze di capitale circolante netto in un arco di tempo di dodici mesi. L’importo del finanziamento da richiedere non può essere superiore a cinque volte il valore della partecipazione di CFI nella cooperativa e, comunque, non superiore al limite complessivo di due milioni di euro. La durata del finanziamento non può essere inferiore a tre anni e non superiore a dieci anni, con un preammortamento di 3 anni. Le rate sono semestrali con scadenza il 31 maggio e il 30 novembre di ogni anno Il tasso di interesse è pari a zero.   Lo studio è in grado di supportare le cooperative per la richiesta del finanziamento agevolato e l’analisi di fattibilità dell’investimento da proporre. Prenota una prima consulenza gratuita al numero 0541.708252 Notizie ImpreseOggi
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Finanziare lo sviluppo delle cooperative: la nuova Legge Marcora

Dom, 19/01/2025 - 11:32
Finanziare la nascita e lo sviluppo delle cooperative di piccola e media dimensione con l’obiettivo di creare nuove attività economiche e di incrementare i posti di lavoro: sono queste le finalità del Decreto del Ministero dello sviluppo economico pubblicato il 4 gennaio 2021. I soggetti destinatari sono le cooperative di produzione e lavoro e sociali che svolgono attività sia di tipo A che di tipo B, che operano in tutti i settori produttivi. Unici requisiti che devono possedere sono quelli di rientrare nei limiti previsti per le piccole e medie imprese e di essere partecipate da CFI, il fondo istituzionale controllato dal Ministero dello Sviluppo Economico e previsto dalla Legge 49/85, chiamata anche Legge Marcora. Nel caso in cui la cooperativa non sia partecipata da CFI, contestualmente alla presentazione della domanda di agevolazione deve essere presentata anche quella di partecipazione a CFI. Le cooperative richiedenti, inoltre, devono essere regolarmente costituite e non trovarsi in liquidazione o in procedure concorsuali. Le tipologie di iniziative ammissibile sono tutte quelle che permettono di realizzare la nascita o il consolidamento delle attività delle cooperative richiedenti, salvo alcune eccezioni. Tra queste vi sono quelle notarili, imposte, tasse, oppure riferite a investimenti di pura sostituzione di impianti o macchinari già esistenti. Sono escluse anche le spese per l’acquisto di automezzi, salvo che non servano direttamente nell’attività che svolge la cooperativa. I programmi di investimento non devono essere avviati alla di presentazione della richiesta di finanziamento agevolato. Il programma di investimento deve terminare entro 36 mesi dalla data di sottoscrizione del finanziamento agevolato. Può essere chiesto, inoltre, anche il finanziamento per supportare le esigenze di liquidità delle cooperative. In questo caso la sua concessione assume la forma di contributo de minimis, e deve essere finalizzato a realizzare programmi di investimento iniziati da non più di sei mesi dalla data di presentazione della richiesta oppure deve essere finalizzato a coprire esigenze di capitale circolante netto in un arco di tempo di dodici mesi. L’importo del finanziamento da richiedere non può essere superiore a cinque volte il valore della partecipazione di CFI nella cooperativa e, comunque, non superiore al limite complessivo di due milioni di euro. La durata del finanziamento non può essere inferiore a tre anni e non superiore a dieci anni, con un preammortamento di 3 anni. Le rate sono semestrali con scadenza il 31 maggio e il 30 novembre di ogni anno Il tasso di interesse è pari a zero.   Lo studio è in grado di supportare le cooperative per la richiesta del finanziamento agevolato e l’analisi di fattibilità dell’investimento da proporre. Prenota una prima consulenza gratuita al numero 0541.708252 Notizie ImpreseOggi
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Proroga Covid si applica solo agli accertamenti relativi al 2020

Dom, 22/12/2024 - 11:19
La proroga Covid contenuta nell’art. 67 del D.L. 18/2020 poi assorbita nell’art. 157 del successivo DL n. 34/2020 (Decreto Rilancio) si applica solo agli accertamenti relativi all’anno 2020 e non alle altre annualità. Lo stabilisce la Corte di Giustizia Tributaria di Forlì con la sentenza n. 228/2024 depositata il 16 dicembre 2024 e riguardante un caso, più complesso per i rilievi avanzati, seguito dallo studio. Anche i giudici di prime cure di Forlì si esprimono, dunque, sulla controversa questione della proroga dei termini di accertamento introdotta dalla normativa emergenziale per contrastare gli effetti della pandemia Covid. La proroga in esame è stata introdotta dall’art 67 del D.L. 18/2020 e poi assorbita nell’art. 157 del successivo DL n. 34/2020 (Decreto Rilancio). La norma prevede che i termini per gli atti di accertamento, di contestazione, di irrogazione delle sanzioni sono sospesi nel periodo dall’otto marzo al 31 maggio 2020. Nel calcolo dei suddetti termini, dunque, bisogna posticipare la data di scadenza di 85 giorni. L’Agenzia delle Entrate considera tale sospensione valida per tutti gli anni accertabili. Nel caso riferito alla sentenza in commento, riguardante l’annualità 2017, per l’Ufficio il termine di decadenza dell’accertamento non è il 31 dicembre 2023 ma, bensì, il 25 marzo 2024, cioè 85 giorni successivi alla scadenza del termine decadenziale ordinario. Non sono dello stesso avviso i giudici tributari di Forlì i quali si iscrivono si iscrive nel filone più ampio della giustizia di merito che ritiene infondata la proroga di 85 giorni per tutti gli accertamenti ancora aperti. Il concetto di fondo è che non vi può essere disparità di trattamento fra Agenzia delle Entrate e contribuente. L’art. 67, infatti, stabilisce da una parte la sospensione dei termini di accertamento a favore del Fisco e, dall’altra, la sospensione dei versamenti a favore dei contribuenti. Un uguale trattamento fra due soggetti vittime del grave periodo di contrazione delle attività a seguito dei vari lock-down. Intendere, quindi, il termine di proroga di 85 giorni valevole di fatto all’infinito, in un periodo in cui la pandemia è finita, realizzerebbe una grave disparità di trattamento non ravvisabile nelle norme che sovraintendono gli accertamenti fiscali. Su questo punto si osserva che l’art. 67 del D.L. 18/2020, al comma 4 rimanda alla disciplina contenuta nell’art.12, commi 1 e 3 del D.LGS. 159/2015. Disposizione normativa, questa, che prevede che in caso di sospensione dei termini relativi ai versamenti siano sospesi, sempre per lo stesso lasso di tempo, anche i termini processuali. Notizie ImpreseOggi
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Proroga Covid si applica solo agli accertamenti relativi al 2020

Dom, 22/12/2024 - 11:19
La proroga Covid contenuta nell’art. 67 del D.L. 18/2020 poi assorbita nell’art. 157 del successivo DL n. 34/2020 (Decreto Rilancio) si applica solo agli accertamenti relativi all’anno 2020 e non alle altre annualità. Lo stabilisce la Corte di Giustizia Tributaria di Forlì con la sentenza n. 228/2024 depositata il 16 dicembre 2024 e riguardante un caso, più complesso per i rilievi avanzati, seguito dallo studio. Anche i giudici di prime cure di Forlì si esprimono, dunque, sulla controversa questione della proroga dei termini di accertamento introdotta dalla normativa emergenziale per contrastare gli effetti della pandemia Covid. La proroga in esame è stata introdotta dall’art 67 del D.L. 18/2020 e poi assorbita nell’art. 157 del successivo DL n. 34/2020 (Decreto Rilancio). La norma prevede che i termini per gli atti di accertamento, di contestazione, di irrogazione delle sanzioni sono sospesi nel periodo dall’otto marzo al 31 maggio 2020. Nel calcolo dei suddetti termini, dunque, bisogna posticipare la data di scadenza di 85 giorni. L’Agenzia delle Entrate considera tale sospensione valida per tutti gli anni accertabili. Nel caso riferito alla sentenza in commento, riguardante l’annualità 2017, per l’Ufficio il termine di decadenza dell’accertamento non è il 31 dicembre 2023 ma, bensì, il 25 marzo 2024, cioè 85 giorni successivi alla scadenza del termine decadenziale ordinario. Non sono dello stesso avviso i giudici tributari di Forlì i quali si iscrivono si iscrive nel filone più ampio della giustizia di merito che ritiene infondata la proroga di 85 giorni per tutti gli accertamenti ancora aperti. Il concetto di fondo è che non vi può essere disparità di trattamento fra Agenzia delle Entrate e contribuente. L’art. 67, infatti, stabilisce da una parte la sospensione dei termini di accertamento a favore del Fisco e, dall’altra, la sospensione dei versamenti a favore dei contribuenti. Un uguale trattamento fra due soggetti vittime del grave periodo di contrazione delle attività a seguito dei vari lock-down. Intendere, quindi, il termine di proroga di 85 giorni valevole di fatto all’infinito, in un periodo in cui la pandemia è finita, realizzerebbe una grave disparità di trattamento non ravvisabile nelle norme che sovraintendono gli accertamenti fiscali. Su questo punto si osserva che l’art. 67 del D.L. 18/2020, al comma 4 rimanda alla disciplina contenuta nell’art.12, commi 1 e 3 del D.LGS. 159/2015. Disposizione normativa, questa, che prevede che in caso di sospensione dei termini relativi ai versamenti siano sospesi, sempre per lo stesso lasso di tempo, anche i termini processuali. Notizie ImpreseOggi
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Il lease back fa decadere dall’agevolazione per la piccola proprietà contadina

Dom, 08/12/2024 - 18:32
Il coltivatore diretto o l’imprenditore a titolo professionale (IAP) che pone in essere una operazione di lease back prima dei cinque anni dall’acquisto agevolato di un terreno agricolo per il quale ha usufruito dell’agevolazione per la piccola proprietà contadina, decade da tale ultima agevolazione. Il principio è contenuto nella sentenza della Cassazione n. 30664 del 25 ottobre 2024 pubblicata in data 28.11.2024. Piccola proprietà contadina. L’agevolazione sulla piccola proprietà contadina la possiamo trovare nell’art. 2 comma 4 bis del D.L. 194/2009. Essa prevede l’applicazione in misura fissa dell’imposta di registro e ipotecaria, e dell’un per cento dell’imposta catastale. Oggetto dell’acquisto devono essere dei terreni agricoli e tali acquisti devono essere effettuati da coltivatori diretti o imprenditori agricoli a titolo professionale. L’unica condizione è che l’acquirente non può, prima dei cinque anni, cedere i terreni acquisiti con l’agevolazione o cessare di coltivarli o gestirli direttamente. Lease back. Il contratto di lease back è una forma contrattuale atipica, che nel nostro ordinamento non esiste. Tuttavia è pacificamente consentito ai sensi dell’art. 1322 comma 2 del Codice Civile, in quanto raggiunge degli interessi meritevoli di tutela giuridica. Nel caso questi sono costituiti dalla necessità di finanziamento maturata dal soggetto che lo pone in essere. Nella sostanza si tratta di un contratto mediante il quale il proprietario cede a un istituto finanziario un bene e quest’ultimo lo riassegna al proprietario iniziale dietro pagamento di un canone di locazione. Il caso. Gli Ermellini sono stati chiamati ad esprimersi su un caso che vede coinvolta una società agricola che ha acquisito dei terreni in diritto di superficie utilizzando l’agevolazione sulla piccola proprietà contadina e, prima dei cinque anni, ha posto in essere un’operazione di lease back sugli stessi. Lo scopo dell’operazione era solo quello di finanziare lo sviluppo agricolo e fotovoltaico sui terreni acquisiti. L’Agenzia delle Entrate, di fronte al compimento di tale contratto, ha revocato le agevolazioni sulle imposte di registro, ipotecaria e catastale e ha recuperato le imposte calcolandole in misura ordinaria. Il contribuente si è opposto a questo recupero lamentando il fatto che il contratto di lease back di fatto non è altro che un modo alternativo utilizzato per finanziarsi e che il terreno, al termine del periodo di leasing, sarebbe comunque rientrato nella sua disponibilità attraverso il pagamento del prezzo di riscatto. Di diverso parere è la Corte di Cassazione. L’obiezione principale che viene mossa è che il contratto di lease back è un’operazione complessa composta da più negozi successivi (cessione, successiva locazione, eventuale riacquisto) certamente collegati funzionalmente tra di loro ma ciascuno ben distinto sul piano della sua forma tecnica. Il contratto di lease back prevedendo proprio come primo atto quello della cessione, fa scattare in automatico la decadenza dall’agevolazione stessa che non ammette nessuna cessione di bene. Non si può invocare, inoltre, su questo punto una interpretazione estensiva della norma, con la prevalenza della sostanza sulla forma. Gli Ermellini, nella sentenza in commento, ribadiscono nuovamente il principio che le norme tributarie non possono essere interpretate in via analogica. L’agevolazione sulla piccola proprietà contadina non fa alcun riferimento al lease back tra le cause di esclusione dalla decadenza. Pertanto, per l’invocato principio di rigidità interpretativa delle agevolazioni fiscali, non si può che decidere a favore dell’Agenzia delle Entrate, legittimando il recupero delle maggiori imposte non pagate in sede di acquisto.   Notizie ImpreseOggi
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Il lease back fa decadere dall’agevolazione per la piccola proprietà contadina

Dom, 08/12/2024 - 18:32
Il coltivatore diretto o l’imprenditore a titolo professionale (IAP) che pone in essere una operazione di lease back prima dei cinque anni dall’acquisto agevolato di un terreno agricolo per il quale ha usufruito dell’agevolazione per la piccola proprietà contadina, decade da tale ultima agevolazione. Il principio è contenuto nella sentenza della Cassazione n. 30664 del 25 ottobre 2024 pubblicata in data 28.11.2024. Piccola proprietà contadina. L’agevolazione sulla piccola proprietà contadina la possiamo trovare nell’art. 2 comma 4 bis del D.L. 194/2009. Essa prevede l’applicazione in misura fissa dell’imposta di registro e ipotecaria, e dell’un per cento dell’imposta catastale. Oggetto dell’acquisto devono essere dei terreni agricoli e tali acquisti devono essere effettuati da coltivatori diretti o imprenditori agricoli a titolo professionale. L’unica condizione è che l’acquirente non può, prima dei cinque anni, cedere i terreni acquisiti con l’agevolazione o cessare di coltivarli o gestirli direttamente. Lease back. Il contratto di lease back è una forma contrattuale atipica, che nel nostro ordinamento non esiste. Tuttavia è pacificamente consentito ai sensi dell’art. 1322 comma 2 del Codice Civile, in quanto raggiunge degli interessi meritevoli di tutela giuridica. Nel caso questi sono costituiti dalla necessità di finanziamento maturata dal soggetto che lo pone in essere. Nella sostanza si tratta di un contratto mediante il quale il proprietario cede a un istituto finanziario un bene e quest’ultimo lo riassegna al proprietario iniziale dietro pagamento di un canone di locazione. Il caso. Gli Ermellini sono stati chiamati ad esprimersi su un caso che vede coinvolta una società agricola che ha acquisito dei terreni in diritto di superficie utilizzando l’agevolazione sulla piccola proprietà contadina e, prima dei cinque anni, ha posto in essere un’operazione di lease back sugli stessi. Lo scopo dell’operazione era solo quello di finanziare lo sviluppo agricolo e fotovoltaico sui terreni acquisiti. L’Agenzia delle Entrate, di fronte al compimento di tale contratto, ha revocato le agevolazioni sulle imposte di registro, ipotecaria e catastale e ha recuperato le imposte calcolandole in misura ordinaria. Il contribuente si è opposto a questo recupero lamentando il fatto che il contratto di lease back di fatto non è altro che un modo alternativo utilizzato per finanziarsi e che il terreno, al termine del periodo di leasing, sarebbe comunque rientrato nella sua disponibilità attraverso il pagamento del prezzo di riscatto. Di diverso parere è la Corte di Cassazione. L’obiezione principale che viene mossa è che il contratto di lease back è un’operazione complessa composta da più negozi successivi (cessione, successiva locazione, eventuale riacquisto) certamente collegati funzionalmente tra di loro ma ciascuno ben distinto sul piano della sua forma tecnica. Il contratto di lease back prevedendo proprio come primo atto quello della cessione, fa scattare in automatico la decadenza dall’agevolazione stessa che non ammette nessuna cessione di bene. Non si può invocare, inoltre, su questo punto una interpretazione estensiva della norma, con la prevalenza della sostanza sulla forma. Gli Ermellini, nella sentenza in commento, ribadiscono nuovamente il principio che le norme tributarie non possono essere interpretate in via analogica. L’agevolazione sulla piccola proprietà contadina non fa alcun riferimento al lease back tra le cause di esclusione dalla decadenza. Pertanto, per l’invocato principio di rigidità interpretativa delle agevolazioni fiscali, non si può che decidere a favore dell’Agenzia delle Entrate, legittimando il recupero delle maggiori imposte non pagate in sede di acquisto.   Notizie ImpreseOggi
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Agevolazione sul compendio unico salva se si affitta alla società agricola dei proprietari del fondo agevolato.

Dom, 01/12/2024 - 12:09
In tema di imposta di registro, ipotecaria e catastale non si decade dall’agevolazione per l’acquisto di un compendio unico se l’affitto viene concesso a favore di una società agricola i cui unici soci sono gli originari acquirenti del fondo agevolato. L’interessante principio di diritto è contenuto nella sentenza della Cassazione numero 30684 del 25 ottobre 2024 e pubblicata il 28 novembre 2024. Il caso da cui trae spunto l'orientamento giurisprudenziale si riferisce ad un avviso di liquidazione delle maggiori imposte di registro, ipotecarie e catastali emesso dall’Agenzia delle Entrate contro gli acquirenti originari di un compendio unico il quale è stato successivamente  affittato, prima della scadenza dei dieci anni, a una società agricola interamente partecipata quest’ultima. Nell’atto di acquisto originario ci si è avvalsi dell’agevolazione sull’acquisto di un compendio unico contenuta nell'art. 5 bis del D. Lgs. n. 228 del 2001 che prevede l’esenzione dall’imposta di registro, ipotecaria e catastale e di bollo sull’atto di acquisto, purchè tale compendio sia coltivato per dieci anni dal soggetto che ha beneficiato dell’agevolazione. Il citato decreto legislativo definisce il compendio unico come quel terreno che ha una estensione tale da raggiungere il livello minimo di redditività stabilito dai Piani Regionali di Sviluppo Rurale per l'erogazione del sostegno agli investimenti previsti dai Regolamenti (CE) nn. 1257 e 1260/1999. La Cassazione, sul caso di specie, ha osservato che il contratto di affitto stipulato dai beneficiari non va analizzato in quanto tale ma in quanto atto che porta a separare o meno la conduzione diretta del fondo dal proprietario dello stesso. Solo in questo caso, secondo gli Ermellini, si viola il precetto imposto dall’agevolazione sul compendio unico rispetto alla conduzione per almeno dieci anni. Negli altri casi, se il contratto di affitto viene stipulato fra gli acquirenti iniziali e una società agricola partecipata interamente da quest’ultimi, non si può affermare di trovarsi di fronte a una interruzione di conduzione diretta del fondo. Tanto più che la normativa in questione riconosce alle società agricole, ricorrendone i requisiti, gli stessi diritti e le stesse agevolazioni previste in capo ai coltivatori diretti o agli imprenditori agricoli a titolo principale. Ovviamente il principio enunciato dalla Cassazione non vale nel caso in cui l’affitto sia concesso a favore di una società agricola non partecipata dagli acquirenti originari o partecipata solo in maniera parziale. Notizie ImpreseOggi
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