Messaggio di avvertimento

The subscription service is currently unavailable. Please try again later.

Grassi Benaglia Moretti avvocati e commercialisti

Abbonamento a feed Grassi Benaglia Moretti avvocati e commercialisti
Aggiornato: 3 giorni 2 ore fa

Proroga Covid si applica solo agli accertamenti relativi al 2020

Dom, 22/12/2024 - 11:19
La proroga Covid contenuta nell’art. 67 del D.L. 18/2020 poi assorbita nell’art. 157 del successivo DL n. 34/2020 (Decreto Rilancio) si applica solo agli accertamenti relativi all’anno 2020 e non alle altre annualità. Lo stabilisce la Corte di Giustizia Tributaria di Forlì con la sentenza n. 228/2024 depositata il 16 dicembre 2024 e riguardante un caso, più complesso per i rilievi avanzati, seguito dallo studio. Anche i giudici di prime cure di Forlì si esprimono, dunque, sulla controversa questione della proroga dei termini di accertamento introdotta dalla normativa emergenziale per contrastare gli effetti della pandemia Covid. La proroga in esame è stata introdotta dall’art 67 del D.L. 18/2020 e poi assorbita nell’art. 157 del successivo DL n. 34/2020 (Decreto Rilancio). La norma prevede che i termini per gli atti di accertamento, di contestazione, di irrogazione delle sanzioni sono sospesi nel periodo dall’otto marzo al 31 maggio 2020. Nel calcolo dei suddetti termini, dunque, bisogna posticipare la data di scadenza di 85 giorni. L’Agenzia delle Entrate considera tale sospensione valida per tutti gli anni accertabili. Nel caso riferito alla sentenza in commento, riguardante l’annualità 2017, per l’Ufficio il termine di decadenza dell’accertamento non è il 31 dicembre 2023 ma, bensì, il 25 marzo 2024, cioè 85 giorni successivi alla scadenza del termine decadenziale ordinario. Non sono dello stesso avviso i giudici tributari di Forlì i quali si iscrivono si iscrive nel filone più ampio della giustizia di merito che ritiene infondata la proroga di 85 giorni per tutti gli accertamenti ancora aperti. Il concetto di fondo è che non vi può essere disparità di trattamento fra Agenzia delle Entrate e contribuente. L’art. 67, infatti, stabilisce da una parte la sospensione dei termini di accertamento a favore del Fisco e, dall’altra, la sospensione dei versamenti a favore dei contribuenti. Un uguale trattamento fra due soggetti vittime del grave periodo di contrazione delle attività a seguito dei vari lock-down. Intendere, quindi, il termine di proroga di 85 giorni valevole di fatto all’infinito, in un periodo in cui la pandemia è finita, realizzerebbe una grave disparità di trattamento non ravvisabile nelle norme che sovraintendono gli accertamenti fiscali. Su questo punto si osserva che l’art. 67 del D.L. 18/2020, al comma 4 rimanda alla disciplina contenuta nell’art.12, commi 1 e 3 del D.LGS. 159/2015. Disposizione normativa, questa, che prevede che in caso di sospensione dei termini relativi ai versamenti siano sospesi, sempre per lo stesso lasso di tempo, anche i termini processuali. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Proroga Covid si applica solo agli accertamenti relativi al 2020

Dom, 22/12/2024 - 11:19
La proroga Covid contenuta nell’art. 67 del D.L. 18/2020 poi assorbita nell’art. 157 del successivo DL n. 34/2020 (Decreto Rilancio) si applica solo agli accertamenti relativi all’anno 2020 e non alle altre annualità. Lo stabilisce la Corte di Giustizia Tributaria di Forlì con la sentenza n. 228/2024 depositata il 16 dicembre 2024 e riguardante un caso, più complesso per i rilievi avanzati, seguito dallo studio. Anche i giudici di prime cure di Forlì si esprimono, dunque, sulla controversa questione della proroga dei termini di accertamento introdotta dalla normativa emergenziale per contrastare gli effetti della pandemia Covid. La proroga in esame è stata introdotta dall’art 67 del D.L. 18/2020 e poi assorbita nell’art. 157 del successivo DL n. 34/2020 (Decreto Rilancio). La norma prevede che i termini per gli atti di accertamento, di contestazione, di irrogazione delle sanzioni sono sospesi nel periodo dall’otto marzo al 31 maggio 2020. Nel calcolo dei suddetti termini, dunque, bisogna posticipare la data di scadenza di 85 giorni. L’Agenzia delle Entrate considera tale sospensione valida per tutti gli anni accertabili. Nel caso riferito alla sentenza in commento, riguardante l’annualità 2017, per l’Ufficio il termine di decadenza dell’accertamento non è il 31 dicembre 2023 ma, bensì, il 25 marzo 2024, cioè 85 giorni successivi alla scadenza del termine decadenziale ordinario. Non sono dello stesso avviso i giudici tributari di Forlì i quali si iscrivono si iscrive nel filone più ampio della giustizia di merito che ritiene infondata la proroga di 85 giorni per tutti gli accertamenti ancora aperti. Il concetto di fondo è che non vi può essere disparità di trattamento fra Agenzia delle Entrate e contribuente. L’art. 67, infatti, stabilisce da una parte la sospensione dei termini di accertamento a favore del Fisco e, dall’altra, la sospensione dei versamenti a favore dei contribuenti. Un uguale trattamento fra due soggetti vittime del grave periodo di contrazione delle attività a seguito dei vari lock-down. Intendere, quindi, il termine di proroga di 85 giorni valevole di fatto all’infinito, in un periodo in cui la pandemia è finita, realizzerebbe una grave disparità di trattamento non ravvisabile nelle norme che sovraintendono gli accertamenti fiscali. Su questo punto si osserva che l’art. 67 del D.L. 18/2020, al comma 4 rimanda alla disciplina contenuta nell’art.12, commi 1 e 3 del D.LGS. 159/2015. Disposizione normativa, questa, che prevede che in caso di sospensione dei termini relativi ai versamenti siano sospesi, sempre per lo stesso lasso di tempo, anche i termini processuali. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Il lease back fa decadere dall’agevolazione per la piccola proprietà contadina

Dom, 08/12/2024 - 18:32
Il coltivatore diretto o l’imprenditore a titolo professionale (IAP) che pone in essere una operazione di lease back prima dei cinque anni dall’acquisto agevolato di un terreno agricolo per il quale ha usufruito dell’agevolazione per la piccola proprietà contadina, decade da tale ultima agevolazione. Il principio è contenuto nella sentenza della Cassazione n. 30664 del 25 ottobre 2024 pubblicata in data 28.11.2024. Piccola proprietà contadina. L’agevolazione sulla piccola proprietà contadina la possiamo trovare nell’art. 2 comma 4 bis del D.L. 194/2009. Essa prevede l’applicazione in misura fissa dell’imposta di registro e ipotecaria, e dell’un per cento dell’imposta catastale. Oggetto dell’acquisto devono essere dei terreni agricoli e tali acquisti devono essere effettuati da coltivatori diretti o imprenditori agricoli a titolo professionale. L’unica condizione è che l’acquirente non può, prima dei cinque anni, cedere i terreni acquisiti con l’agevolazione o cessare di coltivarli o gestirli direttamente. Lease back. Il contratto di lease back è una forma contrattuale atipica, che nel nostro ordinamento non esiste. Tuttavia è pacificamente consentito ai sensi dell’art. 1322 comma 2 del Codice Civile, in quanto raggiunge degli interessi meritevoli di tutela giuridica. Nel caso questi sono costituiti dalla necessità di finanziamento maturata dal soggetto che lo pone in essere. Nella sostanza si tratta di un contratto mediante il quale il proprietario cede a un istituto finanziario un bene e quest’ultimo lo riassegna al proprietario iniziale dietro pagamento di un canone di locazione. Il caso. Gli Ermellini sono stati chiamati ad esprimersi su un caso che vede coinvolta una società agricola che ha acquisito dei terreni in diritto di superficie utilizzando l’agevolazione sulla piccola proprietà contadina e, prima dei cinque anni, ha posto in essere un’operazione di lease back sugli stessi. Lo scopo dell’operazione era solo quello di finanziare lo sviluppo agricolo e fotovoltaico sui terreni acquisiti. L’Agenzia delle Entrate, di fronte al compimento di tale contratto, ha revocato le agevolazioni sulle imposte di registro, ipotecaria e catastale e ha recuperato le imposte calcolandole in misura ordinaria. Il contribuente si è opposto a questo recupero lamentando il fatto che il contratto di lease back di fatto non è altro che un modo alternativo utilizzato per finanziarsi e che il terreno, al termine del periodo di leasing, sarebbe comunque rientrato nella sua disponibilità attraverso il pagamento del prezzo di riscatto. Di diverso parere è la Corte di Cassazione. L’obiezione principale che viene mossa è che il contratto di lease back è un’operazione complessa composta da più negozi successivi (cessione, successiva locazione, eventuale riacquisto) certamente collegati funzionalmente tra di loro ma ciascuno ben distinto sul piano della sua forma tecnica. Il contratto di lease back prevedendo proprio come primo atto quello della cessione, fa scattare in automatico la decadenza dall’agevolazione stessa che non ammette nessuna cessione di bene. Non si può invocare, inoltre, su questo punto una interpretazione estensiva della norma, con la prevalenza della sostanza sulla forma. Gli Ermellini, nella sentenza in commento, ribadiscono nuovamente il principio che le norme tributarie non possono essere interpretate in via analogica. L’agevolazione sulla piccola proprietà contadina non fa alcun riferimento al lease back tra le cause di esclusione dalla decadenza. Pertanto, per l’invocato principio di rigidità interpretativa delle agevolazioni fiscali, non si può che decidere a favore dell’Agenzia delle Entrate, legittimando il recupero delle maggiori imposte non pagate in sede di acquisto.   Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Il lease back fa decadere dall’agevolazione per la piccola proprietà contadina

Dom, 08/12/2024 - 18:32
Il coltivatore diretto o l’imprenditore a titolo professionale (IAP) che pone in essere una operazione di lease back prima dei cinque anni dall’acquisto agevolato di un terreno agricolo per il quale ha usufruito dell’agevolazione per la piccola proprietà contadina, decade da tale ultima agevolazione. Il principio è contenuto nella sentenza della Cassazione n. 30664 del 25 ottobre 2024 pubblicata in data 28.11.2024. Piccola proprietà contadina. L’agevolazione sulla piccola proprietà contadina la possiamo trovare nell’art. 2 comma 4 bis del D.L. 194/2009. Essa prevede l’applicazione in misura fissa dell’imposta di registro e ipotecaria, e dell’un per cento dell’imposta catastale. Oggetto dell’acquisto devono essere dei terreni agricoli e tali acquisti devono essere effettuati da coltivatori diretti o imprenditori agricoli a titolo professionale. L’unica condizione è che l’acquirente non può, prima dei cinque anni, cedere i terreni acquisiti con l’agevolazione o cessare di coltivarli o gestirli direttamente. Lease back. Il contratto di lease back è una forma contrattuale atipica, che nel nostro ordinamento non esiste. Tuttavia è pacificamente consentito ai sensi dell’art. 1322 comma 2 del Codice Civile, in quanto raggiunge degli interessi meritevoli di tutela giuridica. Nel caso questi sono costituiti dalla necessità di finanziamento maturata dal soggetto che lo pone in essere. Nella sostanza si tratta di un contratto mediante il quale il proprietario cede a un istituto finanziario un bene e quest’ultimo lo riassegna al proprietario iniziale dietro pagamento di un canone di locazione. Il caso. Gli Ermellini sono stati chiamati ad esprimersi su un caso che vede coinvolta una società agricola che ha acquisito dei terreni in diritto di superficie utilizzando l’agevolazione sulla piccola proprietà contadina e, prima dei cinque anni, ha posto in essere un’operazione di lease back sugli stessi. Lo scopo dell’operazione era solo quello di finanziare lo sviluppo agricolo e fotovoltaico sui terreni acquisiti. L’Agenzia delle Entrate, di fronte al compimento di tale contratto, ha revocato le agevolazioni sulle imposte di registro, ipotecaria e catastale e ha recuperato le imposte calcolandole in misura ordinaria. Il contribuente si è opposto a questo recupero lamentando il fatto che il contratto di lease back di fatto non è altro che un modo alternativo utilizzato per finanziarsi e che il terreno, al termine del periodo di leasing, sarebbe comunque rientrato nella sua disponibilità attraverso il pagamento del prezzo di riscatto. Di diverso parere è la Corte di Cassazione. L’obiezione principale che viene mossa è che il contratto di lease back è un’operazione complessa composta da più negozi successivi (cessione, successiva locazione, eventuale riacquisto) certamente collegati funzionalmente tra di loro ma ciascuno ben distinto sul piano della sua forma tecnica. Il contratto di lease back prevedendo proprio come primo atto quello della cessione, fa scattare in automatico la decadenza dall’agevolazione stessa che non ammette nessuna cessione di bene. Non si può invocare, inoltre, su questo punto una interpretazione estensiva della norma, con la prevalenza della sostanza sulla forma. Gli Ermellini, nella sentenza in commento, ribadiscono nuovamente il principio che le norme tributarie non possono essere interpretate in via analogica. L’agevolazione sulla piccola proprietà contadina non fa alcun riferimento al lease back tra le cause di esclusione dalla decadenza. Pertanto, per l’invocato principio di rigidità interpretativa delle agevolazioni fiscali, non si può che decidere a favore dell’Agenzia delle Entrate, legittimando il recupero delle maggiori imposte non pagate in sede di acquisto.   Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Agevolazione sul compendio unico salva se si affitta alla società agricola dei proprietari del fondo agevolato.

Dom, 01/12/2024 - 12:09
In tema di imposta di registro, ipotecaria e catastale non si decade dall’agevolazione per l’acquisto di un compendio unico se l’affitto viene concesso a favore di una società agricola i cui unici soci sono gli originari acquirenti del fondo agevolato. L’interessante principio di diritto è contenuto nella sentenza della Cassazione numero 30684 del 25 ottobre 2024 e pubblicata il 28 novembre 2024. Il caso da cui trae spunto l'orientamento giurisprudenziale si riferisce ad un avviso di liquidazione delle maggiori imposte di registro, ipotecarie e catastali emesso dall’Agenzia delle Entrate contro gli acquirenti originari di un compendio unico il quale è stato successivamente  affittato, prima della scadenza dei dieci anni, a una società agricola interamente partecipata quest’ultima. Nell’atto di acquisto originario ci si è avvalsi dell’agevolazione sull’acquisto di un compendio unico contenuta nell'art. 5 bis del D. Lgs. n. 228 del 2001 che prevede l’esenzione dall’imposta di registro, ipotecaria e catastale e di bollo sull’atto di acquisto, purchè tale compendio sia coltivato per dieci anni dal soggetto che ha beneficiato dell’agevolazione. Il citato decreto legislativo definisce il compendio unico come quel terreno che ha una estensione tale da raggiungere il livello minimo di redditività stabilito dai Piani Regionali di Sviluppo Rurale per l'erogazione del sostegno agli investimenti previsti dai Regolamenti (CE) nn. 1257 e 1260/1999. La Cassazione, sul caso di specie, ha osservato che il contratto di affitto stipulato dai beneficiari non va analizzato in quanto tale ma in quanto atto che porta a separare o meno la conduzione diretta del fondo dal proprietario dello stesso. Solo in questo caso, secondo gli Ermellini, si viola il precetto imposto dall’agevolazione sul compendio unico rispetto alla conduzione per almeno dieci anni. Negli altri casi, se il contratto di affitto viene stipulato fra gli acquirenti iniziali e una società agricola partecipata interamente da quest’ultimi, non si può affermare di trovarsi di fronte a una interruzione di conduzione diretta del fondo. Tanto più che la normativa in questione riconosce alle società agricole, ricorrendone i requisiti, gli stessi diritti e le stesse agevolazioni previste in capo ai coltivatori diretti o agli imprenditori agricoli a titolo principale. Ovviamente il principio enunciato dalla Cassazione non vale nel caso in cui l’affitto sia concesso a favore di una società agricola non partecipata dagli acquirenti originari o partecipata solo in maniera parziale. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Agevolazione sul compendio unico salva se si affitta alla società agricola dei proprietari del fondo agevolato.

Dom, 01/12/2024 - 12:09
In tema di imposta di registro, ipotecaria e catastale non si decade dall’agevolazione per l’acquisto di un compendio unico se l’affitto viene concesso a favore di una società agricola i cui unici soci sono gli originari acquirenti del fondo agevolato. L’interessante principio di diritto è contenuto nella sentenza della Cassazione numero 30684 del 25 ottobre 2024 e pubblicata il 28 novembre 2024. Il caso da cui trae spunto l'orientamento giurisprudenziale si riferisce ad un avviso di liquidazione delle maggiori imposte di registro, ipotecarie e catastali emesso dall’Agenzia delle Entrate contro gli acquirenti originari di un compendio unico il quale è stato successivamente  affittato, prima della scadenza dei dieci anni, a una società agricola interamente partecipata quest’ultima. Nell’atto di acquisto originario ci si è avvalsi dell’agevolazione sull’acquisto di un compendio unico contenuta nell'art. 5 bis del D. Lgs. n. 228 del 2001 che prevede l’esenzione dall’imposta di registro, ipotecaria e catastale e di bollo sull’atto di acquisto, purchè tale compendio sia coltivato per dieci anni dal soggetto che ha beneficiato dell’agevolazione. Il citato decreto legislativo definisce il compendio unico come quel terreno che ha una estensione tale da raggiungere il livello minimo di redditività stabilito dai Piani Regionali di Sviluppo Rurale per l'erogazione del sostegno agli investimenti previsti dai Regolamenti (CE) nn. 1257 e 1260/1999. La Cassazione, sul caso di specie, ha osservato che il contratto di affitto stipulato dai beneficiari non va analizzato in quanto tale ma in quanto atto che porta a separare o meno la conduzione diretta del fondo dal proprietario dello stesso. Solo in questo caso, secondo gli Ermellini, si viola il precetto imposto dall’agevolazione sul compendio unico rispetto alla conduzione per almeno dieci anni. Negli altri casi, se il contratto di affitto viene stipulato fra gli acquirenti iniziali e una società agricola partecipata interamente da quest’ultimi, non si può affermare di trovarsi di fronte a una interruzione di conduzione diretta del fondo. Tanto più che la normativa in questione riconosce alle società agricole, ricorrendone i requisiti, gli stessi diritti e le stesse agevolazioni previste in capo ai coltivatori diretti o agli imprenditori agricoli a titolo principale. Ovviamente il principio enunciato dalla Cassazione non vale nel caso in cui l’affitto sia concesso a favore di una società agricola non partecipata dagli acquirenti originari o partecipata solo in maniera parziale. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Il compenso dell'amministratore gode dell’agevolazione per il rientro dei cervelli.

Dom, 24/11/2024 - 20:51
Il compenso percepito dall’amministratore che è rientrato dall’estero può godere dell’agevolazione prevista per i lavoratori impatriati in quanto tale compenso è parificato, per legge, ai redditi da lavoro dipendente. Così stabilisce un interpello dell’Agenzia delle Entrate, non pubblicato e riguardante un caso curato dallo studio, nel quale si è illustrata la condizione di un lavoratore italiano residente all’estero che vuole rientrare nel suo Paese di origine al fine di aprire una srl. La quota di partecipazione in tale srl non è ancora nota al momento dell’invio dell’interpello e il compenso previsto sarà diviso in una parte variabile e in una parte fissa. L’Agevolazione impatriati. Ai fini della piena comprensione della risposta si ricorda che, per l’anno 2024, l’agevolazione per il rientro dei lavoratori impatriati (art. 5 D. Lgs 209/2023) riguarda il reddito da lavoro dipendente e assimilato e quello di lavoro autonomo (con esclusione di quello forfettario), prodotto all’interno del territorio italiano da lavoratori italiani o stranieri che provvedono a trasferire la propria residenza in Italia. L’agevolazione consiste nella detassazione del 50%, per l’anno del rientro e per i quattro successivi, del reddito prodotto nel limite annuale di 600.000 euro. Limitatamente al 2024 l’agevolazione si estende per ulteriori 3 anni (quindi in totale sette anni) nel caso in cui il beneficiario abbia acquistato, entro il 31 dicembre 2023, una prima casa di abitazione. Altresì si ricorda che la detassazione aumenta del 60% nel caso in cui il trasferimento avvenga con la presenza di un figlio a carico oppure nasca un figlio nell’ambito temporale di utilizzo dell’agevolazione. In questo ultimo caso l’aumento della detassazione spetta per il rimanente periodo residuo a partire dalla nascita del figlio.  Le condizioni per godere dell’agevolazione impatriati sono:
  • Il beneficiario non deve essere stato residente in Italia nei tre anni precedenti il trasferimento. Questo limite aumenta se il beneficiario rientra nel nostro Paese e continua a prestare attività per lo stesso datore di lavoro per il quale lavorava all’estero (ad esempio perché era in distacco) o per una società appartenente al suo gruppo. L’aumento passa:
    • da tre a sei anni nel caso in cui il beneficiario non sia già stato già in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo gruppo;
    • da tre a sette anni nel caso in cui, invece, prima del trasferimento era già dipendente dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo gruppo.
  • l’attività lavorativa deve essere prestata prevalentemente in Italia per un periodo superiore ai 183 giorni all’anno;
  • il lavoratore deve essere in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione. In sostanza deve avere almeno una laurea triennale.
Agevolazione impatriati e compenso amministratore. L’Agenzia delle Entrate, nel concedere il beneficio dell’agevolazione in argomento anche al compenso percepito dall’amministratore si rifà all’art. 50 comma 1 lettera c-bis del Tuir laddove si dice che “sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente […] le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società [..]”. Il compenso amministratore è, dunque, per legge parificato al lavoro dipendente. Per cui, per logica conclusione, può godere del beneficio previsto per il rientro dei cervelli in Italia. Tale condizione si verifica anche nel caso in cui l'amministratore sia anche socio della srl che amministra, purchè non socio unico. In tale caso, infatti, si segnala la risposta n. 407/2021 nel quale si tratta il caso di una srl unipersonale dove il socio unico è anche amministratore della società e percepisce un compenso totalmente variabile in funzione dell'utile prodotto. Secondo l'Agenzia delle Entrate, infatti, in tale caso si può ravvisare l'abuso del diritto in quanto il beneficiario travestirebbe da compenso da amministratore (avvantaggiandosi dell'agevolazione impatriati) ciò che in realtà può considerarsi come distribuzione occulta di utile essendo il compenso determinato solo come percentuale sugli utili ottenuti.  Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Il compenso dell'amministratore gode dell’agevolazione per il rientro dei cervelli.

Dom, 24/11/2024 - 20:51
Il compenso percepito dall’amministratore che è rientrato dall’estero può godere dell’agevolazione prevista per i lavoratori impatriati in quanto tale compenso è parificato, per legge, ai redditi da lavoro dipendente. Così stabilisce un interpello dell’Agenzia delle Entrate, non pubblicato e riguardante un caso curato dallo studio, nel quale si è illustrata la condizione di un lavoratore italiano residente all’estero che vuole rientrare nel suo Paese di origine al fine di aprire una srl. La quota di partecipazione in tale srl non è ancora nota al momento dell’invio dell’interpello e il compenso previsto sarà diviso in una parte variabile e in una parte fissa. L’Agevolazione impatriati. Ai fini della piena comprensione della risposta si ricorda che, per l’anno 2024, l’agevolazione per il rientro dei lavoratori impatriati (art. 5 D. Lgs 209/2023) riguarda il reddito da lavoro dipendente e assimilato e quello di lavoro autonomo (con esclusione di quello forfettario), prodotto all’interno del territorio italiano da lavoratori italiani o stranieri che provvedono a trasferire la propria residenza in Italia. L’agevolazione consiste nella detassazione del 50%, per l’anno del rientro e per i quattro successivi, del reddito prodotto nel limite annuale di 600.000 euro. Limitatamente al 2024 l’agevolazione si estende per ulteriori 3 anni (quindi in totale sette anni) nel caso in cui il beneficiario abbia acquistato, entro il 31 dicembre 2023, una prima casa di abitazione. Altresì si ricorda che la detassazione aumenta del 60% nel caso in cui il trasferimento avvenga con la presenza di un figlio a carico oppure nasca un figlio nell’ambito temporale di utilizzo dell’agevolazione. In questo ultimo caso l’aumento della detassazione spetta per il rimanente periodo residuo a partire dalla nascita del figlio.  Le condizioni per godere dell’agevolazione impatriati sono:
  • Il beneficiario non deve essere stato residente in Italia nei tre anni precedenti il trasferimento. Questo limite aumenta se il beneficiario rientra nel nostro Paese e continua a prestare attività per lo stesso datore di lavoro per il quale lavorava all’estero (ad esempio perché era in distacco) o per una società appartenente al suo gruppo. L’aumento passa:
    • da tre a sei anni nel caso in cui il beneficiario non sia già stato già in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo gruppo;
    • da tre a sette anni nel caso in cui, invece, prima del trasferimento era già dipendente dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo gruppo.
  • l’attività lavorativa deve essere prestata prevalentemente in Italia per un periodo superiore ai 183 giorni all’anno;
  • il lavoratore deve essere in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione. In sostanza deve avere almeno una laurea triennale.
Agevolazione impatriati e compenso amministratore. L’Agenzia delle Entrate, nel concedere il beneficio dell’agevolazione in argomento anche al compenso percepito dall’amministratore si rifà all’art. 50 comma 1 lettera c-bis del Tuir laddove si dice che “sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente […] le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società [..]”. Il compenso amministratore è, dunque, per legge parificato al lavoro dipendente. Per cui, per logica conclusione, può godere del beneficio previsto per il rientro dei cervelli in Italia. Tale condizione si verifica anche nel caso in cui l'amministratore sia anche socio della srl che amministra, purchè non socio unico. In tale caso, infatti, si segnala la risposta n. 407/2021 nel quale si tratta il caso di una srl unipersonale dove il socio unico è anche amministratore della società e percepisce un compenso totalmente variabile in funzione dell'utile prodotto. Secondo l'Agenzia delle Entrate, infatti, in tale caso si può ravvisare l'abuso del diritto in quanto il beneficiario travestirebbe da compenso da amministratore (avvantaggiandosi dell'agevolazione impatriati) ciò che in realtà può considerarsi come distribuzione occulta di utile essendo il compenso determinato solo come percentuale sugli utili ottenuti.  Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Agricoltura: contributi a fondo perduto per innovazione e sostenibilità.

Dom, 10/11/2024 - 11:51
Per chi vuole fare innovazione nell’ambito dell’agricoltura, a partire dal giorno 15 novembre 2024 e fino al giorno 13 dicembre 2024 può rivolgersi ad Ismea, la società pubblica che si occupa di fornire servizi e assistenza al mondo dell’imprenditoria agricola, per ottenere un contributo a fondo perduto. E’ ufficialmente aperto, infatti, il bando relativo al Fondo Innovazione - Intervento a sostegno della produttività che si prefigge come obiettivo quello di sostenere progetti per l’innovazione e riconversione ecologica della produzione nei settori dell’agricoltura, della pesca e dell’acquacoltura. I soggetti che possono presentare la domanda sono le Piccole Medie Imprese, singole o in forma associata, comprese le cooperative e le associazioni che possiedono questi requisiti:
  • essere iscritti al registro imprese e risultano attive, con la qualifica di “impresa agricola”, “impresa agromeccanica” o “impresa ittica”,
  • essere attivi da due anni rispetto alla data di presentazione della domanda;
  • avere la sede operativa in Italia.
I beni che rientrano nel contributo (dettagliatamente descritti nel Decreto 9 agosto 2023 del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste) devono essere nuovi e devono rientrare nella seguente categoria: Sono ammissibili alle agevolazioni i costi per l'acquisto di:
  • Macchine, strumenti e attrezzature per l’agricoltura dotate di apparecchiature tali da rendere automatica la lavorazione;
  • macchine mobili non stradali per agricoltura e zootecnia, con motorizzazione elettrica e destinate specificatamente ad attività agricole o zootecniche.
  • macchine per la zootecnia con un elevato livello tecnologico e di automazione;
  • investimenti riguardanti la pesca e l’acquacoltura volti a rendere sostenibile la produzione.
L’importo complessivo della spesa per la quale si richiede il contributo deve essere compreso tra gli euro 70.000,00 e gli euro 500.000,00. Nel caso di richieste da parte di imprenditori che esercitano l’attività di pesca, l’importo minimo viene ridotto ad euro 10.000,00. La misura di aiuto offerta consiste in un contributo a fondo perduto e in aggiunta ai progetti riguardanti l’Agricoltura e la Pesca, una garanzia pubblica per la richiesta di un finanziamento bancario a copertura dell’investimento. L’importo della garanzia è dell’80% nel caso di interventi nel settore agricolo e del 70% nel settore della pesca. L’importo del contributo a fondo perduto varia a seconda delle categorie previste dal Regolamento UE ABER e dal Regolamento UE FIBER è può essere così riassunto:

Scaglioni di importo di investimento

ABER giovani (massimale 80%) ABER non giovani (massimale 65%) FIBER (massimale 50%) fino 100.000,00 60% 48,75% 37,50% da 100.000,01 a 200.000 52% 42,25% 32,50% da 200.000,01 a 300.000 44% 35,75% 27,50% da 300.000,01 a 500.000 36% 29,25% 22,50%

La domanda dovrà essere presentata in forma telematica, attraverso lo sportello messo a disposizione da Ismea. La finestra temporale per le richieste apre alle ore 12.00 del giorno 15 novembre 2024 per chiudere alle ore 12.00 del giorno 13 dicembre 2024.

 

 

Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Agricoltura: contributi a fondo perduto per innovazione e sostenibilità.

Dom, 10/11/2024 - 11:51
Per chi vuole fare innovazione nell’ambito dell’agricoltura, a partire dal giorno 15 novembre 2024 e fino al giorno 13 dicembre 2024 può rivolgersi ad Ismea, la società pubblica che si occupa di fornire servizi e assistenza al mondo dell’imprenditoria agricola, per ottenere un contributo a fondo perduto. E’ ufficialmente aperto, infatti, il bando relativo al Fondo Innovazione - Intervento a sostegno della produttività che si prefigge come obiettivo quello di sostenere progetti per l’innovazione e riconversione ecologica della produzione nei settori dell’agricoltura, della pesca e dell’acquacoltura. I soggetti che possono presentare la domanda sono le Piccole Medie Imprese, singole o in forma associata, comprese le cooperative e le associazioni che possiedono questi requisiti:
  • essere iscritti al registro imprese e risultano attive, con la qualifica di “impresa agricola”, “impresa agromeccanica” o “impresa ittica”,
  • essere attivi da due anni rispetto alla data di presentazione della domanda;
  • avere la sede operativa in Italia.
I beni che rientrano nel contributo (dettagliatamente descritti nel Decreto 9 agosto 2023 del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste) devono essere nuovi e devono rientrare nella seguente categoria: Sono ammissibili alle agevolazioni i costi per l'acquisto di:
  • Macchine, strumenti e attrezzature per l’agricoltura dotate di apparecchiature tali da rendere automatica la lavorazione;
  • macchine mobili non stradali per agricoltura e zootecnia, con motorizzazione elettrica e destinate specificatamente ad attività agricole o zootecniche.
  • macchine per la zootecnia con un elevato livello tecnologico e di automazione;
  • investimenti riguardanti la pesca e l’acquacoltura volti a rendere sostenibile la produzione.
L’importo complessivo della spesa per la quale si richiede il contributo deve essere compreso tra gli euro 70.000,00 e gli euro 500.000,00. Nel caso di richieste da parte di imprenditori che esercitano l’attività di pesca, l’importo minimo viene ridotto ad euro 10.000,00. La misura di aiuto offerta consiste in un contributo a fondo perduto e in aggiunta ai progetti riguardanti l’Agricoltura e la Pesca, una garanzia pubblica per la richiesta di un finanziamento bancario a copertura dell’investimento. L’importo della garanzia è dell’80% nel caso di interventi nel settore agricolo e del 70% nel settore della pesca. L’importo del contributo a fondo perduto varia a seconda delle categorie previste dal Regolamento UE ABER e dal Regolamento UE FIBER è può essere così riassunto:

Scaglioni di importo di investimento

ABER giovani (massimale 80%) ABER non giovani (massimale 65%) FIBER (massimale 50%) fino 100.000,00 60% 48,75% 37,50% da 100.000,01 a 200.000 52% 42,25% 32,50% da 200.000,01 a 300.000 44% 35,75% 27,50% da 300.000,01 a 500.000 36% 29,25% 22,50%

La domanda dovrà essere presentata in forma telematica, attraverso lo sportello messo a disposizione da Ismea. La finestra temporale per le richieste apre alle ore 12.00 del giorno 15 novembre 2024 per chiudere alle ore 12.00 del giorno 13 dicembre 2024.

 

 

Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

I ricavi delle assegnazioni delle cooperative edilizie non sono tassabili

Dom, 03/11/2024 - 11:39
Le cooperative edilizie a proprietà divisa quando assegnano alloggi ai propri soci non generano ricavi tassabili ai sensi dell’art. 85 del Tuir. Ciò in quanto con l’assegnazione si viene a realizzare lo scambio mutualistico tra la cooperativa e il socio assegnatario. L’interessante principio di diritto è contenuto nella sentenza della Corte di Cassazione n. 28069/2024 pubblicata il 30.10.2024. Il contenzioso nasce dal fatto che una cooperativa edilizia a proprietà divisa ha assegnato un alloggio a un suo socio e il corrispettivo ricevuto l’ha contabilizzato in riduzione delle rimanenze di merci invece che come corrispettivo, non facendolo transitare nel conto economico ma riducendo solamente la voce iscritta nello stato patrimoniale. L’Agenzia delle Entrate ha emesso un avviso di accertamento non condividendo l’operato della cooperativa edilizia. Per l’Ufficio, infatti, l’assegnazione dell’appartamento al socio costituisce corrispettivo ai sensi dell’art. 85, c.1 lett. a) del Dpr 917/86 e, quindi, da ricomprendere nella voce dei ricavi del conto economico. Tesi che, peraltro, è stata riconosciuta fondata dai giudici di merito i quali, con sentenze di fatto conformi fra loro, hanno condannato sia in primo che in secondo grado la cooperativa edilizia al pagamento delle imposte Ires e Irap sul corrispettivo dell’assegnazione. Il contribuente si è rivolto, quindi, alla Corte di Cassazione sostenendo di aver contabilizzato il corrispettivo dell’assegnazione in riduzione del valore delle rimanenze in quanto la cooperativa stessa svolge una attività mutualistica e senza scopo di lucro. Inoltre ha rilevato che il corrispettivo stesso è uguale ai costi sostenuti per la costruzione dell’immobile oggetto di assegnazione, dimostrando una volta in più l’assenza di lucro della propria attività. La Cassazione accoglie la tesi della cooperativa. Lo fa evidenziando che sarà pur vero che il contratto di assegnazione di alloggio è pur sempre un atto di compravendita che trasferisce la proprietà, ma ciò non implica che automaticamente questo sia da intendere, sul piano contabile e fiscale, come un ricavo di vendita. Ciò in quanto le società cooperative edilizie non svolgono una attività finalizzata alla costruzione di immobili, ma bensì una attività senza scopo di lucro volta a consentire, ai propri soci, l’accesso alla casa a prezzi più vantaggiosi rispetto a quelli di mercato. L’assegnazione, dunque, sul piano giuridico può essere senza dubbio considerata come una compravendita. Sul piano fiscale e contabile, al contrario, essa è la forma con la quale si realizza lo scambio mutualistico assumendo, quindi, una natura non commerciale. Scrive, a tal proposito, la Cassazione: “l’assegnazione, di norma, non può costituire conseguimento di una plusvalenza o di un ricavo, non generando materia imponibile per la società assegnante, in quanto il valore degli alloggi da assegnare ai soci è determinato al “costo” ed il totale dei costi sostenuti dalla cooperativa, imputato allo stato patrimoniale nelle rimanenze, risulta pari al corrispettivo di assegnazione di cessione degli alloggi ceduti ai soci, detratti gli eventuali versamenti già effettuati negli anni precedenti [..]”. Il principio di diritto che la Cassazione esprime, infine, è il seguente: “Il valore correlato all’assegnazione dell’unità abitativa al socio della società cooperativa edilizia a proprietà divisa non va considerato quale corrispettivo della cessione di beni ai sensi dell’art. 85, primo comma, lett. a) del d.P.R. n. 917 del 1986, e come tale ricompreso nella voce dei ricavi del conto economico, generando materia imponibile tassabile, in quanto l’assegnazione realizza una vicenda che, di norma, non fa maturare reddito tassabile né in capo alla società cooperativa edilizia assegnante, né in capo al socio assegnatario, in ragione dello scambio mutualistico che viene a realizzarsi”. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

I ricavi delle assegnazioni delle cooperative edilizie non sono tassabili

Dom, 03/11/2024 - 11:39
Le cooperative edilizie a proprietà divisa quando assegnano alloggi ai propri soci non generano ricavi tassabili ai sensi dell’art. 85 del Tuir. Ciò in quanto con l’assegnazione si viene a realizzare lo scambio mutualistico tra la cooperativa e il socio assegnatario. L’interessante principio di diritto è contenuto nella sentenza della Corte di Cassazione n. 28069/2024 pubblicata il 30.10.2024. Il contenzioso nasce dal fatto che una cooperativa edilizia a proprietà divisa ha assegnato un alloggio a un suo socio e il corrispettivo ricevuto l’ha contabilizzato in riduzione delle rimanenze di merci invece che come corrispettivo, non facendolo transitare nel conto economico ma riducendo solamente la voce iscritta nello stato patrimoniale. L’Agenzia delle Entrate ha emesso un avviso di accertamento non condividendo l’operato della cooperativa edilizia. Per l’Ufficio, infatti, l’assegnazione dell’appartamento al socio costituisce corrispettivo ai sensi dell’art. 85, c.1 lett. a) del Dpr 917/86 e, quindi, da ricomprendere nella voce dei ricavi del conto economico. Tesi che, peraltro, è stata riconosciuta fondata dai giudici di merito i quali, con sentenze di fatto conformi fra loro, hanno condannato sia in primo che in secondo grado la cooperativa edilizia al pagamento delle imposte Ires e Irap sul corrispettivo dell’assegnazione. Il contribuente si è rivolto, quindi, alla Corte di Cassazione sostenendo di aver contabilizzato il corrispettivo dell’assegnazione in riduzione del valore delle rimanenze in quanto la cooperativa stessa svolge una attività mutualistica e senza scopo di lucro. Inoltre ha rilevato che il corrispettivo stesso è uguale ai costi sostenuti per la costruzione dell’immobile oggetto di assegnazione, dimostrando una volta in più l’assenza di lucro della propria attività. La Cassazione accoglie la tesi della cooperativa. Lo fa evidenziando che sarà pur vero che il contratto di assegnazione di alloggio è pur sempre un atto di compravendita che trasferisce la proprietà, ma ciò non implica che automaticamente questo sia da intendere, sul piano contabile e fiscale, come un ricavo di vendita. Ciò in quanto le società cooperative edilizie non svolgono una attività finalizzata alla costruzione di immobili, ma bensì una attività senza scopo di lucro volta a consentire, ai propri soci, l’accesso alla casa a prezzi più vantaggiosi rispetto a quelli di mercato. L’assegnazione, dunque, sul piano giuridico può essere senza dubbio considerata come una compravendita. Sul piano fiscale e contabile, al contrario, essa è la forma con la quale si realizza lo scambio mutualistico assumendo, quindi, una natura non commerciale. Scrive, a tal proposito, la Cassazione: “l’assegnazione, di norma, non può costituire conseguimento di una plusvalenza o di un ricavo, non generando materia imponibile per la società assegnante, in quanto il valore degli alloggi da assegnare ai soci è determinato al “costo” ed il totale dei costi sostenuti dalla cooperativa, imputato allo stato patrimoniale nelle rimanenze, risulta pari al corrispettivo di assegnazione di cessione degli alloggi ceduti ai soci, detratti gli eventuali versamenti già effettuati negli anni precedenti [..]”. Il principio di diritto che la Cassazione esprime, infine, è il seguente: “Il valore correlato all’assegnazione dell’unità abitativa al socio della società cooperativa edilizia a proprietà divisa non va considerato quale corrispettivo della cessione di beni ai sensi dell’art. 85, primo comma, lett. a) del d.P.R. n. 917 del 1986, e come tale ricompreso nella voce dei ricavi del conto economico, generando materia imponibile tassabile, in quanto l’assegnazione realizza una vicenda che, di norma, non fa maturare reddito tassabile né in capo alla società cooperativa edilizia assegnante, né in capo al socio assegnatario, in ragione dello scambio mutualistico che viene a realizzarsi”. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Superbonus 110: rate in dieci anni per le spese effettuate nel 2023.

Gio, 24/10/2024 - 08:35
Novità in arrivo per le spese relative al Superbonus pagate nel corso del 2023. La bozza di Legge di Stabilità per il 2025, appena approdata alla Camera per la discussione, prevede infatti che queste possano essere spalmate in dieci anni, in luogo dei quattro anni previsti dall’attuale normativa. Si ripropone, così, la stessa agevolazione già prevista per le spese effettuate nell’anno 2022. La norma di favore tuttavia arriva in ritardo rispetto all’invio ordinario delle dichiarazioni dei redditi. Si ricorda, infatti, che quest’ultime vanno inviate entro il 31 ottobre, cioè almeno due mesi prima della probabile approvazione della Legge di Stabilità. Per superare questo inconveniente, viene previsto che l’opzione per la detrazione in dieci anni possa essere esercitata tramite l’invio di una dichiarazione integrativa relativa all’anno di imposta 2023. Dichiarazione integrativa che dovrà essere inviata entro il termine stabilito per la presentazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2024. Tale termine deroga espressamente quello previsto dall’articolo 2 comma 8 del Dpr 322/1998, che consente di inviare le dichiarazioni integrative entro il termine ordinario di accertamento, fissato in 6 anni a partire dall’anno di imposta di riferimento. Infine la bozza di Legge di Stabilità prevede che se da questa dichiarazione integrativa dovesse emergere una maggiore imposta dovuta (cosa assai probabile, visto che si vanno a ridurre le detrazioni originarie), quest’ultima potrà essere versata, senza sanzioni o interessi, entro il termine di versamento a saldo delle imposte sui redditi relative all’anno 2024, previsto presumibilmente entro il 30 giugno 2025. Infine si evidenzia che la scelta di spalmare in dieci anni le detrazioni Superbonus è vincolante e, dunque, non potrà mai essere revocata.   Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Superbonus 110: rate in dieci anni per le spese effettuate nel 2023.

Gio, 24/10/2024 - 08:35
Novità in arrivo per le spese relative al Superbonus pagate nel corso del 2023. La bozza di Legge di Stabilità per il 2025, appena approdata alla Camera per la discussione, prevede infatti che queste possano essere spalmate in dieci anni, in luogo dei quattro anni previsti dall’attuale normativa. Si ripropone, così, la stessa agevolazione già prevista per le spese effettuate nell’anno 2022. La norma di favore tuttavia arriva in ritardo rispetto all’invio ordinario delle dichiarazioni dei redditi. Si ricorda, infatti, che quest’ultime vanno inviate entro il 31 ottobre, cioè almeno due mesi prima della probabile approvazione della Legge di Stabilità. Per superare questo inconveniente, viene previsto che l’opzione per la detrazione in dieci anni possa essere esercitata tramite l’invio di una dichiarazione integrativa relativa all’anno di imposta 2023. Dichiarazione integrativa che dovrà essere inviata entro il termine stabilito per la presentazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2024. Tale termine deroga espressamente quello previsto dall’articolo 2 comma 8 del Dpr 322/1998, che consente di inviare le dichiarazioni integrative entro il termine ordinario di accertamento, fissato in 6 anni a partire dall’anno di imposta di riferimento. Infine la bozza di Legge di Stabilità prevede che se da questa dichiarazione integrativa dovesse emergere una maggiore imposta dovuta (cosa assai probabile, visto che si vanno a ridurre le detrazioni originarie), quest’ultima potrà essere versata, senza sanzioni o interessi, entro il termine di versamento a saldo delle imposte sui redditi relative all’anno 2024, previsto presumibilmente entro il 30 giugno 2025. Infine si evidenzia che la scelta di spalmare in dieci anni le detrazioni Superbonus è vincolante e, dunque, non potrà mai essere revocata.   Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Nuovo limite per la cooperativa sotto forma di Srl

Sab, 19/10/2024 - 17:54
Novità ed adeguamenti all’Istat per alcuni limiti previsti per le cooperative. Il decreto 8 agosto 2024 del Ministero delle imprese e del Made in Italy, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 245 del 18.10.2024 ritocca i limiti previsti dall’articolo 2519 e 2525 del Codice Civile che riguardano tutti i tipi di cooperative. L’articolo 2519 prevede, in via generale, che per quanto non previsto specificatamente per le società cooperative, si debba far rinvio alle norme che riguardano le società per azioni. Tuttavia, si può derogare a questa disposizione ed applicare quelle relative alle srl qualora la cooperativa non superi alternativamente due parametri, che riguardano il numero dei dipendenti e il totale dell’attivo patrimoniale. Il primo, rimasto invariato, prevede che se i soci cooperatori sono inferiori a venti, si può costituire una cooperativa che segua le norme previste per le srl, a prescindere dal totale dell’attivo. Il secondo parametro, che riguarda l’attivo patrimoniale, viene ritoccato all’insù dal decreto in commento. Il nuovo limite passa da un milione di euro a 1.438.000,00 euro. Pertanto, nel caso in cui l’attivo dello stato patrimoniale sia inferiore a 1.438.000,00 euro si può costituire una cooperativa che rimanda alle norme della srl. Si osserva, come già detto, che i due limiti sono alternativi. Pertanto si potranno avere cooperative che rimandano alle norme previste per le  srl con meno di venti dipendenti ma più di 1.438.000,00 euro di attivo. Al contempo, sono ammesse cooperative con rinvio alle srl con un patrimonio superiore  euro 1.438.000,00 ma con dipendenti inferiori ai venti. Gli altri valori che vengono ritoccati sono quelli contenuti nell’articolo 2525 del Codice Civile. In particolare:
  • Il valore massimo della quota o azione non potrà essere superiore ad euro 719,00. Il vecchio limite era di cinquecento euro;
  • Nessun socio può avere una quota superiore ad euro 143.800. Il precedente limite era di centomila. Lo stesso limite vale per le azioni. Pertanto nessun socio potrà avere tante azioni la cui somma del valore nominale sia superiore ad euro 143.800.
  Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Nuovo limite per la cooperativa sotto forma di Srl

Sab, 19/10/2024 - 17:54
Novità ed adeguamenti all’Istat per alcuni limiti previsti per le cooperative. Il decreto 8 agosto 2024 del Ministero delle imprese e del Made in Italy, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 245 del 18.10.2024 ritocca i limiti previsti dall’articolo 2519 e 2525 del Codice Civile che riguardano tutti i tipi di cooperative. L’articolo 2519 prevede, in via generale, che per quanto non previsto specificatamente per le società cooperative, si debba far rinvio alle norme che riguardano le società per azioni. Tuttavia, si può derogare a questa disposizione ed applicare quelle relative alle srl qualora la cooperativa non superi alternativamente due parametri, che riguardano il numero dei dipendenti e il totale dell’attivo patrimoniale. Il primo, rimasto invariato, prevede che se i soci cooperatori sono inferiori a venti, si può costituire una cooperativa che segua le norme previste per le srl, a prescindere dal totale dell’attivo. Il secondo parametro, che riguarda l’attivo patrimoniale, viene ritoccato all’insù dal decreto in commento. Il nuovo limite passa da un milione di euro a 1.438.000,00 euro. Pertanto, nel caso in cui l’attivo dello stato patrimoniale sia inferiore a 1.438.000,00 euro si può costituire una cooperativa che rimanda alle norme della srl. Si osserva, come già detto, che i due limiti sono alternativi. Pertanto si potranno avere cooperative che rimandano alle norme previste per le  srl con meno di venti dipendenti ma più di 1.438.000,00 euro di attivo. Al contempo, sono ammesse cooperative con rinvio alle srl con un patrimonio superiore  euro 1.438.000,00 ma con dipendenti inferiori ai venti. Gli altri valori che vengono ritoccati sono quelli contenuti nell’articolo 2525 del Codice Civile. In particolare:
  • Il valore massimo della quota o azione non potrà essere superiore ad euro 719,00. Il vecchio limite era di cinquecento euro;
  • Nessun socio può avere una quota superiore ad euro 143.800. Il precedente limite era di centomila. Lo stesso limite vale per le azioni. Pertanto nessun socio potrà avere tante azioni la cui somma del valore nominale sia superiore ad euro 143.800.
  Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Con lo studio associato sotto forma di cooperativa si può usare il regime forfettario.

Dom, 06/10/2024 - 21:08
Il socio di uno studio professionale associato, costituito sotto forma di cooperativa, può continuare a utilizzare il regime forfettario, non essendo la partecipazione in una cooperativa causa di esclusione dallo stesso. In sintesi è questo uno dei principali vantaggi che si consegue a creare, oppure a trasformare, uno studio professionale associato dandogli la forma della cooperativa. Per arrivare a questa conclusione occorre partire dall’articolo 10 della Legge 183/2011 il quale prevede che l’esercizio della professione in forma associata può avvenire adottando un qualsiasi modello societario regolato dal codice civile. Rientra, dunque, in questa casistica anche la società cooperativa. Si ricorda, poi, che tra le altre caratteristiche che devono avere le società tra professionisti (da cui l’acronimo STP) vi è quella che devono essere composte in prevalenza da professionisti iscritti all’Ordine o da cittadini dell’Unione Europea che hanno i requisiti abilitanti per l’esercizio della professione. E’ ammessa la partecipazione anche di altri soggetti non qualificati, purchè questi abbiano non più di un terzo dei diritti di voto nelle assemblee dei soci. La disciplina delle Società tra professionisti si è scontrata, ben presto però, con la normativa sul regime forfettario. Questa, infatti, non permette l’accesso al regime agevolato a quei soggetti che posseggono, contemporaneamente all’esercizio dell’attività professionale, una partecipazione in società di persone o associazioni professionali. In più, a partire dal 2019, è precluso l’accesso al regime forfettario anche a quei soggetti che possiedono un controllo diretto o indiretto in società a responsabilità limitata che esercitano una attività direttamente o indirettamente riconducibile a quella svolta in forma individuale. Così il commercialista non può usare il regime forfettario se partecipa a uno studio professionale associato, nemmeno se questo è organizzato in forma di srl. Stessa cosa per gli ingegneri, architetti, geometri e via discorrendo. Questa forma di divieto ha portato negli anni a una sorta di “nanismo” dei liberi professionisti, i quali hanno preferito mantenere una posizione individuale piuttosto che associarsi, per non perdere una agevolazione fiscale che rimane, considerando anche il limite innalzato a 85.000 euro, molto appetibile. A leggere bene, però, le norme che escludono l’utilizzo del regime forfettario a chi detiene partecipazioni in società, ci si accorge che non vi è alcun richiamo a quelle detenute nelle società cooperative. Dunque si può concludere che un qualsiasi libero professionista che adotta il regime forfettario può contemporaneamente essere socio di uno studio professionale avente la forma di cooperativa. VANTAGGI DELLO STUDIO SOTTOFORMA DI SOCIETA’ COOPERATIVA. Oltre a quello già qui richiamato del poter utilizzare, da parte del socio, il regime forfettario, gli altri vantaggi possono essere così riassunti:
  • non c’è bisogno del notaio per far entrare nuovi soci. Vige nelle cooperative il sistema del capitale variabile. E’ sufficiente la delibera del Consiglio di Amministrazione per far entrare un nuovo socio, dopo che questo ne ha fatto richiesta;
  • si possono accantonare risorse finanziarie in apposite riserve per essere investite nello sviluppo dell’attività. Su queste riserve si può godere di uno sconto fiscale del 57%;
  • le spese e gli altri costi saranno intestati alla cooperativa, la quale potrà detrarre l’IVA sugli acquisti, o dedurre tra gli altri i costi del personale. Cosa che, come noto, non può essere fatta dai forfettari;
  • l’ingresso di eventuali soci investitori (ammessi dalla normativa sulle STP) non compromette il peso decisionale degli altri soci. In via generale, infatti, nelle cooperative vige il principio “una testa, un voto” a prescindere dal capitale conferito da ciascuno di esso. In più, per i soci esclusivamente finanziatori, le norme impongono a loro di non avere più di un terzo dei voti in assemblea e al massimo possono eleggere un terzo dei consiglieri di amministrazione.
FORMA ORGANIZZATIVA. Lo studio associato sotto forma di cooperativa provvederà a fatturare ai clienti. I vari professionisti associati a loro volta, sulla base di un regolamento interno, fattureranno allo studio associato cooperativo le rispettive competenze utilizzando il regime forfettario. CASSA DI PREVIDENZA E CONTRIBUTO INTEGRATIVO. Il modello di STP qui illustrato permette anche di risolvere la questione del contributo integrativo. Quest’ultimo, infatti, sarà imputato al momento dell’emissione della fattura da parte della STP ai propri clienti. A loro volta, i vari associati emetteranno fattura alla cooperativa indicando il contributo integrativo relativo. Ogni anno, poi, lo studio associato provvederà a versare il contributo integrativo dovuto sottraendo a quello incassato, quello pagato ai rispettivi associati.   Analisi e commenti ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Con lo studio associato sotto forma di cooperativa si può usare il regime forfettario.

Dom, 06/10/2024 - 21:08
Il socio di uno studio professionale associato, costituito sotto forma di cooperativa, può continuare a utilizzare il regime forfettario, non essendo la partecipazione in una cooperativa causa di esclusione dallo stesso. In sintesi è questo uno dei principali vantaggi che si consegue a creare, oppure a trasformare, uno studio professionale associato dandogli la forma della cooperativa. Per arrivare a questa conclusione occorre partire dall’articolo 10 della Legge 183/2011 il quale prevede che l’esercizio della professione in forma associata può avvenire adottando un qualsiasi modello societario regolato dal codice civile. Rientra, dunque, in questa casistica anche la società cooperativa. Si ricorda, poi, che tra le altre caratteristiche che devono avere le società tra professionisti (da cui l’acronimo STP) vi è quella che devono essere composte in prevalenza da professionisti iscritti all’Ordine o da cittadini dell’Unione Europea che hanno i requisiti abilitanti per l’esercizio della professione. E’ ammessa la partecipazione anche di altri soggetti non qualificati, purchè questi abbiano non più di un terzo dei diritti di voto nelle assemblee dei soci. La disciplina delle Società tra professionisti si è scontrata, ben presto però, con la normativa sul regime forfettario. Questa, infatti, non permette l’accesso al regime agevolato a quei soggetti che posseggono, contemporaneamente all’esercizio dell’attività professionale, una partecipazione in società di persone o associazioni professionali. In più, a partire dal 2019, è precluso l’accesso al regime forfettario anche a quei soggetti che possiedono un controllo diretto o indiretto in società a responsabilità limitata che esercitano una attività direttamente o indirettamente riconducibile a quella svolta in forma individuale. Così il commercialista non può usare il regime forfettario se partecipa a uno studio professionale associato, nemmeno se questo è organizzato in forma di srl. Stessa cosa per gli ingegneri, architetti, geometri e via discorrendo. Questa forma di divieto ha portato negli anni a una sorta di “nanismo” dei liberi professionisti, i quali hanno preferito mantenere una posizione individuale piuttosto che associarsi, per non perdere una agevolazione fiscale che rimane, considerando anche il limite innalzato a 85.000 euro, molto appetibile. A leggere bene, però, le norme che escludono l’utilizzo del regime forfettario a chi detiene partecipazioni in società, ci si accorge che non vi è alcun richiamo a quelle detenute nelle società cooperative. Dunque si può concludere che un qualsiasi libero professionista che adotta il regime forfettario può contemporaneamente essere socio di uno studio professionale avente la forma di cooperativa. VANTAGGI DELLO STUDIO SOTTOFORMA DI SOCIETA’ COOPERATIVA. Oltre a quello già qui richiamato del poter utilizzare, da parte del socio, il regime forfettario, gli altri vantaggi possono essere così riassunti:
  • non c’è bisogno del notaio per far entrare nuovi soci. Vige nelle cooperative il sistema del capitale variabile. E’ sufficiente la delibera del Consiglio di Amministrazione per far entrare un nuovo socio, dopo che questo ne ha fatto richiesta;
  • si possono accantonare risorse finanziarie in apposite riserve per essere investite nello sviluppo dell’attività. Su queste riserve si può godere di uno sconto fiscale del 57%;
  • le spese e gli altri costi saranno intestati alla cooperativa, la quale potrà detrarre l’IVA sugli acquisti, o dedurre tra gli altri i costi del personale. Cosa che, come noto, non può essere fatta dai forfettari;
  • l’ingresso di eventuali soci investitori (ammessi dalla normativa sulle STP) non compromette il peso decisionale degli altri soci. In via generale, infatti, nelle cooperative vige il principio “una testa, un voto” a prescindere dal capitale conferito da ciascuno di esso. In più, per i soci esclusivamente finanziatori, le norme impongono a loro di non avere più di un terzo dei voti in assemblea e al massimo possono eleggere un terzo dei consiglieri di amministrazione.
FORMA ORGANIZZATIVA. Lo studio associato sotto forma di cooperativa provvederà a fatturare ai clienti. I vari professionisti associati a loro volta, sulla base di un regolamento interno, fattureranno allo studio associato cooperativo le rispettive competenze utilizzando il regime forfettario. CASSA DI PREVIDENZA E CONTRIBUTO INTEGRATIVO. Il modello di STP qui illustrato permette anche di risolvere la questione del contributo integrativo. Quest’ultimo, infatti, sarà imputato al momento dell’emissione della fattura da parte della STP ai propri clienti. A loro volta, i vari associati emetteranno fattura alla cooperativa indicando il contributo integrativo relativo. Ogni anno, poi, lo studio associato provvederà a versare il contributo integrativo dovuto sottraendo a quello incassato, quello pagato ai rispettivi associati.   Analisi e commenti ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Le pensioni ricevute da San Marino non vanno dichiarate in Italia.

Ven, 20/09/2024 - 08:48
Le pensioni che lo stato di San Marino eroga a favore di cittadini italiani devono essere tassate solo nello Stato estero e non anche in Italia, in forza di quanto stabilito dall’art. 18 del Trattato contro le doppie imposizioni sottoscritto dai due Stati. E’ in sintesi questa la conclusione a cui perviene la sentenza n. 145/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado emessa il 24 luglio 2024 e depositata il 27 agosto 2024. Il caso trattato dai giudici riminesi prende spunto dal fatto che l’Agenzia delle Entrate non ha riconosciuto il credito per imposte pagate all’estero a un contribuente italiano che riceve una pensione da San Marino. Il motivo della rettifica si fonda sulla diversa interpretazione che il Fisco dà del contenuto dell’art. 18 del trattato contro le doppie imposizioni tra Italia e San Marino.  Per capire il motivo della diatriba, che ha natura sostanzialmente di interpretazione del diritto, occorre preliminarmente analizzare quanto riportato nel suddetto Trattato. Nel comma 1 si legge che le pensioni pagate a un residente di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in questo Stato. Ciò significa che un cittadino italiano versa le imposte solo in Italia per le pensioni ricevute da San Marino. Tuttavia questa disposizione viene derogata nel successivo comma 3 nel quale si legge che “le pensioni e altri pagamenti analoghi ricevuti nell’ambito della legislazione di sicurezza sociale di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato”. In soldoni: se un cittadino italiano riceve da San Marino una pensione che rientra nel concetto di “sicurezza sociale”, paga le tasse solo a San Marino. Il fulcro della diatriba, dunque, verte principalmente sulla corretta interpretazione del concetto di “pensione nell’ambito della legislazione di sicurezza sociale”. L’Ufficio interpreta tale locuzione in modo restrittivo, facendo rientrare nella categoria della “sicurezza sociale” solo le pensioni di invalidità, quelle non erogate in forza di contributi versati o quelle sociali. Di diverso parere è, però, il Giudice di Primo Grado. Il fondamento del suo giudizio contrario trae spunto innanzitutto dalla sentenza della Corte di Cassazione numero 23001 del 12 novembre 2010 per la quale il termine di “sicurezza sociale”  non ha solo il significato di pura assistenza sociale (come possono essere le pensioni di invalidità) ma anche quello più ampio di assistenza previdenziale. E’ indubbio, secondo la citata sentenza di Cassazione, che le prestazioni previdenziali in generale sono quello strumento con il quale lo Stato assicura i propri cittadini dai rischi derivanti dal rapporto di lavoro, come ad esempio la copertura in caso di malattia, infortunio o morte.  In questo ambito, dunque, rientrano anche i pagamenti delle pensioni di anzianità, in quanto la loro finalità è proprio quello della sicurezza sociale, essendo le stesse pensioni legate, tra l’altro, al versamento dei contributi durante l’arco di attività lavorativa. In tal senso, poi, ci sono anche le sentenze della Cassazione numero 1550/2012, 7969/2014 e più recentemente la n. 11035/2021. Come se non bastasse l’argomentazione svolta sulla base dei richiami alle sentenze di legittimità, la Corte di Giustizia cita anche il Commentario all’art. 18 del Modello Ocse, laddove si dice che con l’espressione di “sicurezza sociale” ci si riferisce a “un sistema di protezione obbligatoria istituita da uno Stato con l’obiettivo di garantire ai propri cittadini un livello minimo di reddito o di benefici pensionistici o ridurre l’impatto finanziario di eventi quali disoccupazione, invalidità, malattia o morte”. Per la Corte di Primo Grado, in conclusione, la pensione diretta erogata dallo Stato di San Marino per aver svolto lì una attività di lavoro dipendente deve scontare le imposte esclusivamente nella Repubblica di San Marino e non in Italia.  

 

Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Le pensioni ricevute da San Marino non vanno dichiarate in Italia.

Ven, 20/09/2024 - 08:48
Le pensioni che lo stato di San Marino eroga a favore di cittadini italiani devono essere tassate solo nello Stato estero e non anche in Italia, in forza di quanto stabilito dall’art. 18 del Trattato contro le doppie imposizioni sottoscritto dai due Stati. E’ in sintesi questa la conclusione a cui perviene la sentenza n. 145/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado emessa il 24 luglio 2024 e depositata il 27 agosto 2024. Il caso trattato dai giudici riminesi prende spunto dal fatto che l’Agenzia delle Entrate non ha riconosciuto il credito per imposte pagate all’estero a un contribuente italiano che riceve una pensione da San Marino. Il motivo della rettifica si fonda sulla diversa interpretazione che il Fisco dà del contenuto dell’art. 18 del trattato contro le doppie imposizioni tra Italia e San Marino.  Per capire il motivo della diatriba, che ha natura sostanzialmente di interpretazione del diritto, occorre preliminarmente analizzare quanto riportato nel suddetto Trattato. Nel comma 1 si legge che le pensioni pagate a un residente di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in questo Stato. Ciò significa che un cittadino italiano versa le imposte solo in Italia per le pensioni ricevute da San Marino. Tuttavia questa disposizione viene derogata nel successivo comma 3 nel quale si legge che “le pensioni e altri pagamenti analoghi ricevuti nell’ambito della legislazione di sicurezza sociale di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato”. In soldoni: se un cittadino italiano riceve da San Marino una pensione che rientra nel concetto di “sicurezza sociale”, paga le tasse solo a San Marino. Il fulcro della diatriba, dunque, verte principalmente sulla corretta interpretazione del concetto di “pensione nell’ambito della legislazione di sicurezza sociale”. L’Ufficio interpreta tale locuzione in modo restrittivo, facendo rientrare nella categoria della “sicurezza sociale” solo le pensioni di invalidità, quelle non erogate in forza di contributi versati o quelle sociali. Di diverso parere è, però, il Giudice di Primo Grado. Il fondamento del suo giudizio contrario trae spunto innanzitutto dalla sentenza della Corte di Cassazione numero 23001 del 12 novembre 2010 per la quale il termine di “sicurezza sociale”  non ha solo il significato di pura assistenza sociale (come possono essere le pensioni di invalidità) ma anche quello più ampio di assistenza previdenziale. E’ indubbio, secondo la citata sentenza di Cassazione, che le prestazioni previdenziali in generale sono quello strumento con il quale lo Stato assicura i propri cittadini dai rischi derivanti dal rapporto di lavoro, come ad esempio la copertura in caso di malattia, infortunio o morte.  In questo ambito, dunque, rientrano anche i pagamenti delle pensioni di anzianità, in quanto la loro finalità è proprio quello della sicurezza sociale, essendo le stesse pensioni legate, tra l’altro, al versamento dei contributi durante l’arco di attività lavorativa. In tal senso, poi, ci sono anche le sentenze della Cassazione numero 1550/2012, 7969/2014 e più recentemente la n. 11035/2021. Come se non bastasse l’argomentazione svolta sulla base dei richiami alle sentenze di legittimità, la Corte di Giustizia cita anche il Commentario all’art. 18 del Modello Ocse, laddove si dice che con l’espressione di “sicurezza sociale” ci si riferisce a “un sistema di protezione obbligatoria istituita da uno Stato con l’obiettivo di garantire ai propri cittadini un livello minimo di reddito o di benefici pensionistici o ridurre l’impatto finanziario di eventi quali disoccupazione, invalidità, malattia o morte”. Per la Corte di Primo Grado, in conclusione, la pensione diretta erogata dallo Stato di San Marino per aver svolto lì una attività di lavoro dipendente deve scontare le imposte esclusivamente nella Repubblica di San Marino e non in Italia.  

 

Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Pagine