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Grassi Benaglia Moretti avvocati e commercialisti

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Aggiornato: 2 giorni 9 ore fa

L’esenzione Imu spetta alla Società Sportiva dilettantistiche purchè gli immobili esenti siano destinati ad attività prive di lucro.

Mar, 16/07/2024 - 22:57
Alle società sportive dilettantistiche spetta l’esenzione Imu purchè negli immobili esenti siano svolte attività senza fine di lucro. Lo stabilisce la Corte di Cassazione, con sentenza numero 17968/2024 del 15.03.2024, pubblicata il giorno 01.07.2024. Il caso trae origine da un avviso di accertamento emesso nel 2018 per l’Imu dovuta nel 2013 da una S.S.D, nel quale il Comune non ha ritenuto sussistere le condizioni soggettive ed oggettive necessarie a riconoscere l’esenzione Imu per le attività non commerciali. In particolare, per quanto riguarda il criterio soggettivo, per l’ente locale le Società Sportive Dilettantistiche non possono essere equiparate alle A.s.d. Nel caso di specie, poi, non si ravvisa nemmeno il criterio oggettivo, in quanto all’interno dell’immobile viene svolta una attività senza dubbio lucrativa. Per amor di cronaca, il caso in commento finisce con dare torto al contribuente ricorrente, riconoscendo le ragioni dell’ente impositore, in quanto non sussistente il criterio oggettivo. Tuttavia la sentenza offre una lettura ben precisa, al di là del caso contingente, della norma in materia di esenzione a favore di enti che svolgono attività sportiva dilettantistica. La Corte di Cassazione, prima di tutto, interviene sulla corretta interpretazione del criterio soggettivo, smentendo la tesi sostenuta dall’ente locale. Lo fa attraverso la lettura combinata dell’art. 7 lett. i del D. Lgs. 504/92 in materia di esenzione Ici (traslata, per effetto dei rinvii normativi, sull’Imu) e l’art. 90 della legge 289/02 in materia di società sportiva dilettantistica. In particolare quest’ultima prevede che le norme di natura tributaria riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle società sportive dilettantistiche in forma di società di capitali, purchè queste escludano il lucro. Ulteriore condizione è che l’attività sportiva svolta da quest’ultime deve rientrare tra quelle riconosciute dal Coni e la società sia affiliata a un ente sportivo formalmente riconosciuto ai sensi dell’art. 90 della legge 289/02. Sotto il profilo oggettivo, invece, la Corte di Cassazione stabilisce che l’esenzione viene riconosciuta solo nel caso in cui l’immobile sia destinato allo svolgimento di attività non commerciali. Tale dimostrazione è a carico del contribuente ed è fondamentale anche la classificazione catastale dell’immobile stesso oggetto di esenzione. Nel caso in commento, ad esempio, quest’ultimo ha la categoria catastale D6, cioè impianti sportivi. La Cassazione osserva che questo tipo di destinazione può essere consona anche allo svolgimento di attività lucrative e, di conseguenza, in assenza di qualsiasi dimostrazione contraria, si presume che al suo interno la società ricorrente svolga una attività con scopo di lucro. Notizie ImpreseOggi
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Enti del terzo settore: imposta di registro, ipotecarie e catastali fisse anche in caso di acquisto immobiliare a rate.

Mar, 18/06/2024 - 23:02
Un Ente del terzo settore che acquista un bene immobile a rate può godere dell’agevolazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa, come previsto dall’art. 82, comma 4, del D. Lgs. 117/2017 (Codice del terzo settore). Lo stabilisce l’Agenzia delle Entrate con la risposta 135/2024 del 18 giugno 2024 fornita a seguito di un interpello presentato da una Aps, riguardante il caso di un acquisto immobiliare a rate, con patto di riservato di proprietà a favore del venditore. Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 1523 del Codice Civile, in caso di vendita a rate con riserva di proprietà, l’acquirente diventa proprietario della cosa trasferita solo al momento del pagamento dell’ultima rata, pur acquisendo i rischi dal momento della sua consegna. L’agevolazione di cui all’art. 82, comma 4, del D. Lgs. 117/2017 stabilisce, invece, che un Ente del terzo settore può godere dell’applicazione dell’imposta di registro e ipotecaria – catastale in misura fissa quando l’immobile acquistato viene utilizzato direttamente per la realizzazione dei propri scopi istituzionali. Questo impegno, prevede la norma, deve essere reso esplicito nell’atto di acquisto e deve essere realizzato nei cinque anni dall’acquisto. L’Agenzia delle Entrate, nella risposta fornita al contribuente, sottolinea come l’articolo 27, comma 3, del Dpr 131/1986 (Testo unico dell’imposta di registro) prevede che le vendite con riserva di proprietà, come quella del caso in commento, non sono sottoposti a condizione sospensiva. Di conseguenza, sul piano fiscale, questi tipi di contratto sono parificati a tutti gli effetti alle vendite, a prescindere dal pagamento o meno dell’ultima rata. Sulla base di questa ricostruzione normativa, quindi, nulla osta affinchè gli Enti del Terzo Settore possano godere a tutti gli effetti, godere dell’agevolazione delle imposte ipotecarie, catastali e di registro anche in caso di acquisto con riserva di proprietà.   Se se un ente del terzo settore e vuoi una consulenza specifica, consulta la nostra pagina dedicata   Notizie ImpreseOggi
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Enti del terzo settore: imposta di registro, ipotecarie e catastali fisse anche in caso di acquisto immobiliare a rate.

Mar, 18/06/2024 - 23:02
Un Ente del terzo settore che acquista un bene immobile a rate può godere dell’agevolazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa, come previsto dall’art. 82, comma 4, del D. Lgs. 117/2017 (Codice del terzo settore). Lo stabilisce l’Agenzia delle Entrate con la risposta 135/2024 del 18 giugno 2024 fornita a seguito di un interpello presentato da una Aps, riguardante il caso di un acquisto immobiliare a rate, con patto di riservato di proprietà a favore del venditore. Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 1523 del Codice Civile, in caso di vendita a rate con riserva di proprietà, l’acquirente diventa proprietario della cosa trasferita solo al momento del pagamento dell’ultima rata, pur acquisendo i rischi dal momento della sua consegna. L’agevolazione di cui all’art. 82, comma 4, del D. Lgs. 117/2017 stabilisce, invece, che un Ente del terzo settore può godere dell’applicazione dell’imposta di registro e ipotecaria – catastale in misura fissa quando l’immobile acquistato viene utilizzato direttamente per la realizzazione dei propri scopi istituzionali. Questo impegno, prevede la norma, deve essere reso esplicito nell’atto di acquisto e deve essere realizzato nei cinque anni dall’acquisto. L’Agenzia delle Entrate, nella risposta fornita al contribuente, sottolinea come l’articolo 27, comma 3, del Dpr 131/1986 (Testo unico dell’imposta di registro) prevede che le vendite con riserva di proprietà, come quella del caso in commento, non sono sottoposti a condizione sospensiva. Di conseguenza, sul piano fiscale, questi tipi di contratto sono parificati a tutti gli effetti alle vendite, a prescindere dal pagamento o meno dell’ultima rata. Sulla base di questa ricostruzione normativa, quindi, nulla osta affinchè gli Enti del Terzo Settore possano godere a tutti gli effetti, godere dell’agevolazione delle imposte ipotecarie, catastali e di registro anche in caso di acquisto con riserva di proprietà.   Se se un ente del terzo settore e vuoi una consulenza specifica, consulta la nostra pagina dedicata   Notizie ImpreseOggi
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Se si impugna tardivamente una cartella esattoriale, spetta al contribuente dimostrare quando questa è stata effettivamente notificata.

Dom, 09/06/2024 - 19:11
La Corte di Cassazione, con sentenza 15224 del 15 marzo 2024, formula un principio di diritto ben preciso da applicare ai casi di contestazioni sulla tempestività nella presentazione di un ricorso contro una cartella di pagamento. Il principio enunciato prevede che, in presenza di un ricorso tardivo, tocca al contribuente dimostrare il momento esatto in cui la cartella di pagamento è stata notificata, al fine di dare prova della tempestività della presentazione del suo ricorso. Il caso da cui trae origine questo principio è assai curioso. Il contribuente riceve, tra il febbraio 2015 e il marzo 2017, sette cartelle di pagamento, relative a imposte dirette, Irap, Iva e omessi versamenti di ritenute alla fonte. Presenta, per tutte e sette le cartelle, un unico ricorso nel febbraio 2018, cioè quasi un anno dopo rispetto all’ultima notifica ricevuta, e quasi tre anni dopo la data di notifica della prima cartella di pagamento. Nei motivi di ricorso si chiede la nullità delle cartelle per una serie di vizi delle stesse. I giudici di primo e secondo grado rigettano il ricorso, eccependo solamente il fatto che i vizi di nullità denunciati dal contribuente non sussistono. Nulla decidono rispetto all’eventuale tardività nella proposizione del ricorso, nonostante l’Agenzia delle Entrate ne avesse sollevato la questione. Il contribuente, ovviamente insoddisfatto, propone ricorso in Cassazione, avverso il quale si costituisce anche l’Agenzia delle Entrate, insistendo sulla tardiva proposizione del ricorso in primo grado. L’Ufficio fa bene ad insistere su questo punto, perché la Corte di Cassazione, ancor prima di esaminare i motivi del contribuente, riconosce che qualsiasi Giudice deve prima di tutto verificare che il ricorso sia stato presentato rispettando i sessanta giorni dalla notifica dell’atto oggetto di contestazione. Cosa che nessun Giudice che ha trattato il caso ha fatto. Da qui il rinvio al Giudice del merito, al quale è assegnato il compito di verificare quando il contribuente ha avuto conoscenza di ciascuna cartella che ha impugnato.   Notizie ImpreseOggi
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Se si impugna tardivamente una cartella esattoriale, spetta al contribuente dimostrare quando questa è stata effettivamente notificata.

Dom, 09/06/2024 - 19:11
La Corte di Cassazione, con sentenza 15224 del 15 marzo 2024, formula un principio di diritto ben preciso da applicare ai casi di contestazioni sulla tempestività nella presentazione di un ricorso contro una cartella di pagamento. Il principio enunciato prevede che, in presenza di un ricorso tardivo, tocca al contribuente dimostrare il momento esatto in cui la cartella di pagamento è stata notificata, al fine di dare prova della tempestività della presentazione del suo ricorso. Il caso da cui trae origine questo principio è assai curioso. Il contribuente riceve, tra il febbraio 2015 e il marzo 2017, sette cartelle di pagamento, relative a imposte dirette, Irap, Iva e omessi versamenti di ritenute alla fonte. Presenta, per tutte e sette le cartelle, un unico ricorso nel febbraio 2018, cioè quasi un anno dopo rispetto all’ultima notifica ricevuta, e quasi tre anni dopo la data di notifica della prima cartella di pagamento. Nei motivi di ricorso si chiede la nullità delle cartelle per una serie di vizi delle stesse. I giudici di primo e secondo grado rigettano il ricorso, eccependo solamente il fatto che i vizi di nullità denunciati dal contribuente non sussistono. Nulla decidono rispetto all’eventuale tardività nella proposizione del ricorso, nonostante l’Agenzia delle Entrate ne avesse sollevato la questione. Il contribuente, ovviamente insoddisfatto, propone ricorso in Cassazione, avverso il quale si costituisce anche l’Agenzia delle Entrate, insistendo sulla tardiva proposizione del ricorso in primo grado. L’Ufficio fa bene ad insistere su questo punto, perché la Corte di Cassazione, ancor prima di esaminare i motivi del contribuente, riconosce che qualsiasi Giudice deve prima di tutto verificare che il ricorso sia stato presentato rispettando i sessanta giorni dalla notifica dell’atto oggetto di contestazione. Cosa che nessun Giudice che ha trattato il caso ha fatto. Da qui il rinvio al Giudice del merito, al quale è assegnato il compito di verificare quando il contribuente ha avuto conoscenza di ciascuna cartella che ha impugnato.   Notizie ImpreseOggi
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Fondo perduto startup innovative: la Regione Emilia Romagna ne incentiva la nascita

Dom, 09/06/2024 - 17:30
La Regione Emilia Romagna, con la delibera di Giunta Regionale n. 910 del 27 maggio 2024, intende incentivare la nascita e lo sviluppo delle startup innovative che operano nel proprio territorio regionale. Dei cinque milioni di euro stanziati per questa misura di incentivo, due milioni sono riservati a imprese culturali e creative e per l’innovazione nei servizi. I destinatari della misura di aiuto sono le piccole e medie imprese che alla data di presentazione della domanda di agevolazione sono regolarmente iscritte al Registro Imprese con la qualifica di Startup innovativa. Condizione essenziale per l’ammissione è anche quella di avere la sede o una unità operativa all’interno del territorio della Regione Emilia Romagna. Il contributo a fondo perduto concesso è pari al 40% della spesa ritenuta ammissibile e, comunque, per un importo non superiore ad euro 150.000,00. La percentuale del contributo a fondo perduto può essere aumentata:
  • di un 10% nel caso in cui sia prevista l’assunzione di una persona a tempo indeterminato nella sede o nell’unità locale dove viene realizzato il progetto oggetto di agevolazione;
  • di un 5% nel caso in cui, alternativamente:
    • vi sia una prevalente presenza femminile o giovanile all’interno della compagine sociale dell’impresa;
    • l’intervento oggetto di incentivo è realizzato in un’area montana o in un’area definita “interna”, oppure in un’area interessata dall’alluvione del maggio 2023;
Gli interventi ammissibili dovranno riguardare:
  • lo sviluppo di prodotti realizzati sfruttando le conoscenze interne dell’impresa;
  • sfruttamento economico di ricerche realizzate da università o enti di ricerca, sia essi pubblici che privati;
  • applicazione di modelli di business o produttivi nuovi rispetto al mercato di riferimento;
  • commercializzazione di nuovi prodotti o servizi.
Le spese ammissibili sono:
  • acquisto o noleggio (compreso il leasing) di impianti, macchinari, attrezzature, licenze per l’utilizzo di brevetti e di software. I beni oggetto di contributo possono essere anche usati;
  • affitto di laboratori;
  • Consulenze per la realizzazione del progetto ammesso all’agevolazione a fondo perduto;
  • Partecipazione a fiere, nella misura di un importo massimo di euro 20.000,00;
  • Spese per il personale, nella misura massima del 20% delle spese di cui ai punti precedenti.
La scadenza del bando è prevista per il giorno 11 settembre 2024 alle ore 13:00.   SE VUOI SAPERNE DI PIU', NOI POSSIAMO AIUTARTI. CLICCA QUI

 

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La Regione Emilia Romagna incentiva la nascita e la crescita delle startup innovative

Dom, 09/06/2024 - 17:30
La Regione Emilia Romagna, con la delibera di Giunta Regionale n. 910 del 27 maggio 2024, intende incentivare la nascita e lo sviluppo delle startup innovative che operano nel proprio territorio regionale. Dei cinque milioni di euro stanziati per questa misura di incentivo, due milioni sono riservati a imprese culturali e creative e per l’innovazione nei servizi. I destinatari della misura di aiuto sono le piccole e medie imprese che alla data di presentazione della domanda di agevolazione sono regolarmente iscritte al Registro Imprese con la qualifica di Startup innovativa. Condizione essenziale per l’ammissione è anche quella di avere la sede o una unità operativa all’interno del territorio della Regione Emilia Romagna. Il contributo a fondo perduto concesso è pari al 40% della spesa ritenuta ammissibile e, comunque, per un importo non superiore ad euro 150.000,00. La percentuale del contributo a fondo perduto può essere aumentata:
  • di un 10% nel caso in cui sia prevista l’assunzione di una persona a tempo indeterminato nella sede o nell’unità locale dove viene realizzato il progetto oggetto di agevolazione;
  • di un 5% nel caso in cui, alternativamente:
    • vi sia una prevalente presenza femminile o giovanile all’interno della compagine sociale dell’impresa;
    • l’intervento oggetto di incentivo è realizzato in un’area montana o in un’area definita “interna”, oppure in un’area interessata dall’alluvione del maggio 2023;
Gli interventi ammissibili dovranno riguardare:
  • lo sviluppo di prodotti realizzati sfruttando le conoscenze interne dell’impresa;
  • sfruttamento economico di ricerche realizzate da università o enti di ricerca, sia essi pubblici che privati;
  • applicazione di modelli di business o produttivi nuovi rispetto al mercato di riferimento;
  • commercializzazione di nuovi prodotti o servizi.
Le spese ammissibili sono:
  • acquisto o noleggio (compreso il leasing) di impianti, macchinari, attrezzature, licenze per l’utilizzo di brevetti e di software. I beni oggetto di contributo possono essere anche usati;
  • affitto di laboratori;
  • Consulenze per la realizzazione del progetto ammesso all’agevolazione a fondo perduto;
  • Partecipazione a fiere, nella misura di un importo massimo di euro 20.000,00;
  • Spese per il personale, nella misura massima del 20% delle spese di cui ai punti precedenti.
La scadenza del bando è prevista per il giorno 11 settembre 2024 alle ore 13:00.

 

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La cessione delle rate residue del Superbonus e dei bonus edilizi ordinari non sarà più possibile.

Sab, 11/05/2024 - 23:04
Nella notte tra venerdì 10 maggio e sabato 11 maggio il Governo ha presentato al Senato un emendamento al Decreto Legge numero 39 del 29 marzo 2024, attualmente all’esame della Commissione Finanze e Tesoro, in attesa di essere convertito in Legge ordinaria. Ciò che ha attirato l’attenzione, in questi ultimi giorni, ha riguardato principalmente l’allungamento a dieci anni della detrazione delle spese sostenute a partire dal 2024. La lettura effettiva del testo depositato ha fugato i timori della vigilia. C'è da dire che una certa curiosità l'ha destata anche il divieto per le Banche e gli altri intermediari finanziari, di utilizzare i crediti fiscali acquisiti dalla propria clientela per compensare i propri contributi previdenziali. La curiosità nasce dal fatto che questo divieto, nei rumors dei giorni precedenti, non era mai circolato. Tuttavia tra le pieghe del testo presentato a Palazzo Madama vi è un comma che farà dormire sonni poco tranquilli a tutti quei contribuenti alle prese con la faticosa cessione dei propri bonus edilizi. Infatti, il comma 7 del nuovo articolo 4 così come formulato dal Governo, prevede che, a far data dall’entrata in vigore della nuova disposizione (che avverrà solo dopo l’approvazione in Legge del decreto in commento), testualmente “non è in ogni caso consentito l'esercizio dell'opzione di cui all'articolo 121, comma 1, lettera b), del decreto-legge 19 4 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, in relazione alle rate residue non ancora fruite delle detrazioni derivanti dalle spese per gli interventi di cui al comma 2 del medesimo articolo 121”. Più semplicemente, a far data dall’entrata in vigore del Decreto convertito in legge non sarà più possibile cedere a terzi le rate residue degli interventi relativi a:
  • recupero del patrimonio edilizio;
  • efficienza energetica;
  • adozione di misure antisismiche;
  • recupero o restauro della facciata degli edifici esistenti;
  • installazione di impianti fotovoltaici;
  • installazione di colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici;
  • superamento ed eliminazione di barriere architettoniche di cui all'articolo 119-ter del presente decreto.
Il testo così come formulato è indubbiamente una pietra tombale per tutti quei contribuenti che, per svariati motivi, non sono stati in grado, o non hanno potuto, cedere entro il 04 aprile 2024, i lavori pagati nel corso del 2023 o di quelli pagati negli anni precedenti.

 

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La cessione delle rate residue del Superbonus e dei bonus edilizi ordinari non sarà più possibile.

Sab, 11/05/2024 - 23:04
Nella notte tra venerdì 10 maggio e sabato 11 maggio il Governo ha presentato al Senato un emendamento al Decreto Legge numero 39 del 29 marzo 2024, attualmente all’esame della Commissione Finanze e Tesoro, in attesa di essere convertito in Legge ordinaria. Ciò che ha attirato l’attenzione, in questi ultimi giorni, ha riguardato principalmente l’allungamento a dieci anni della detrazione delle spese sostenute a partire dal 2024. La lettura effettiva del testo depositato ha fugato i timori della vigilia. C'è da dire che una certa curiosità l'ha destata anche il divieto per le Banche e gli altri intermediari finanziari, di utilizzare i crediti fiscali acquisiti dalla propria clientela per compensare i propri contributi previdenziali. La curiosità nasce dal fatto che questo divieto, nei rumors dei giorni precedenti, non era mai circolato. Tuttavia tra le pieghe del testo presentato a Palazzo Madama vi è un comma che farà dormire sonni poco tranquilli a tutti quei contribuenti alle prese con la faticosa cessione dei propri bonus edilizi. Infatti, il comma 7 del nuovo articolo 4 così come formulato dal Governo, prevede che, a far data dall’entrata in vigore della nuova disposizione (che avverrà solo dopo l’approvazione in Legge del decreto in commento), testualmente “non è in ogni caso consentito l'esercizio dell'opzione di cui all'articolo 121, comma 1, lettera b), del decreto-legge 19 4 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, in relazione alle rate residue non ancora fruite delle detrazioni derivanti dalle spese per gli interventi di cui al comma 2 del medesimo articolo 121”. Più semplicemente, a far data dall’entrata in vigore del Decreto convertito in legge non sarà più possibile cedere a terzi le rate residue degli interventi relativi a:
  • recupero del patrimonio edilizio;
  • efficienza energetica;
  • adozione di misure antisismiche;
  • recupero o restauro della facciata degli edifici esistenti;
  • installazione di impianti fotovoltaici;
  • installazione di colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici;
  • superamento ed eliminazione di barriere architettoniche di cui all'articolo 119-ter del presente decreto.
Il testo così come formulato è indubbiamente una pietra tombale per tutti quei contribuenti che, per svariati motivi, non sono stati in grado, o non hanno potuto, cedere entro il 04 aprile 2024, i lavori pagati nel corso del 2023 o di quelli pagati negli anni precedenti.

 

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L’impresa agricola potrà chiedere la sospensione dei pagamenti delle rate dei mutui.

Sab, 11/05/2024 - 22:19
Lo prevede il Decreto Legge Agricoltura approvato dal Consiglio dei Ministri in data 08 maggio 2024 e ancora in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. La disposizione agevolativa di cui si parla è contenuta nell’articolo 1, rubricato come “Interventi urgenti per fronteggiare la crisi economica delle imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura”. Nello specifico la norma consente alle imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura di sospendere, per dodici mesi, il pagamento delle rate dei mutui e degli altri finanziamenti rateali, compresi quelli costituiti da cambiale agrarie che sono in scadenza nel corso del 2024. La condizione per richiedere tale sospensione è che il volume d’affari conseguito nel 2023 abbia avuto una riduzione almeno pari al 20 per cento rispetto a quello che si è registrato nell’anno precedente. L’imprese agricola potrà dimostrare tale calo facendo ricorso a una semplice autocertificazione, che dovrà essere presentata alla banca dove si intrattengono i rapporti di finanziamento per i quali si vuole richiedere la sospensione. Non possono accedere alla richiesta di sospensione le imprese che, pur avendo i requisiti qui descritti, hanno esposizioni debitorie che, nei fatti, sono da considerarsi come “incagliate”. Una volta che l’impresa agricola si è avvalsa della moratoria, il piano dei pagamenti viene spostato in avanti per un periodo pari al periodo di sospensione richiesto. Anche le eventuali garanzie che accompagnano i finanziamenti oggetto di sospensione sono per legge prorogate per analogo periodo. Infine il decreto dà la possibilità, alle imprese agricole che ne faranno richiesta, di sospendere il pagamento della sola quota capitale, potendo continuare a pagare, così, solo gli interessi sui finanziamenti concessi. Notizie ImpreseOggi
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L’impresa agricola potrà chiedere la sospensione dei pagamenti delle rate dei mutui.

Sab, 11/05/2024 - 22:19
Lo prevede il Decreto Legge Agricoltura approvato dal Consiglio dei Ministri in data 08 maggio 2024 e ancora in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. La disposizione agevolativa di cui si parla è contenuta nell’articolo 1, rubricato come “Interventi urgenti per fronteggiare la crisi economica delle imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura”. Nello specifico la norma consente alle imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura di sospendere, per dodici mesi, il pagamento delle rate dei mutui e degli altri finanziamenti rateali, compresi quelli costituiti da cambiale agrarie che sono in scadenza nel corso del 2024. La condizione per richiedere tale sospensione è che il volume d’affari conseguito nel 2023 abbia avuto una riduzione almeno pari al 20 per cento rispetto a quello che si è registrato nell’anno precedente. L’imprese agricola potrà dimostrare tale calo facendo ricorso a una semplice autocertificazione, che dovrà essere presentata alla banca dove si intrattengono i rapporti di finanziamento per i quali si vuole richiedere la sospensione. Non possono accedere alla richiesta di sospensione le imprese che, pur avendo i requisiti qui descritti, hanno esposizioni debitorie che, nei fatti, sono da considerarsi come “incagliate”. Una volta che l’impresa agricola si è avvalsa della moratoria, il piano dei pagamenti viene spostato in avanti per un periodo pari al periodo di sospensione richiesto. Anche le eventuali garanzie che accompagnano i finanziamenti oggetto di sospensione sono per legge prorogate per analogo periodo. Infine il decreto dà la possibilità, alle imprese agricole che ne faranno richiesta, di sospendere il pagamento della sola quota capitale, potendo continuare a pagare, così, solo gli interessi sui finanziamenti concessi. Notizie ImpreseOggi
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In presenza di soci usufruttuari, le somme derivanti da una liquidazione di una srl devono essere tassate dagli usufruttuari e non dai nudi proprietari.

Mer, 01/05/2024 - 12:16
In presenza di un usufruttuario che detiene delle quote di una società a responsabilità limitata, le somme che derivano dalla conclusione della liquidazione volontaria, devono essere dichiarate dall’usufruttuario stesso e non dal nudo proprietario
A stabilire questo principio di diritto è la Corte di Cassazione, Sezione 5 Civile, con sentenza numero 11152 del 20 marzo 2024 pubblicata il 24 aprile 2024. Il caso. Il caso giudicato trae origine da un ricorso avverso un diniego di rimborso proposto da cinque contribuenti che sono nudi proprietari di alcune quote di partecipazione di una società a responsabilità limitata. Al termine della liquidazione volontaria la società ha provveduto a distribuire una somma che è stata poi inserita nella dichiarazione dei redditi dei singoli soci nudi proprietari. La tesi proposta da quest’ultimi è, infatti, che sono loro i legittimi percettori delle somme e non il socio usufruttuario in quanto, in caso di scioglimento di una srl, la posta di patrimonio netto dalla quale vengono prelevate le somme è indistinta e non imputabile a una voce di utile. In sostanza, secondo i nudi proprietari, al termine della liquidazione si sono visti restituire il denaro che è stato conferito in sede di costituzione della società e non una forma di “utile”, che spetta unicamente all’usufruttuario.   La decisione.  La Cassazione non è d’accordo con la tesi proposta dai contribuenti. Prima di arrivare, però, ai motivi della decisione, gli Ermellini si pongono il problema sia di chiarire quando cessa il diritto di usufrutto su una quota di una srl sia di stabilire quali sono i diritti patrimoniali che spettano all’usufruttuario.
Nel nostro ordinamento non esiste una norma specifica che dà risposta ai due problemi sopra descritti. Di conseguenza occorre fare ricorso alle norme generali in materia di cessazione dell’usufrutto, che sono contenute nell’art. 1014 del Codice Civile. Per quanto di interesse, il passaggio importante è quello che prevede che l’usufrutto cessa “per il totale perimento della cosa su cui è costituito”. Per cui, per analogia, nel caso di una partecipazione in una società, l’usufrutto non cessa al momento della messa in liquidazione della società stessa, ma al momento in cui questa viene cancellata dal registro imprese. E’ solo in quel caso che la cosa su cui è costituito l’usufrutto “perisce”.
Accertato questo principio, la Cassazione osserva che non solo non vi è nessuna norma che limita all’usufruttuario il diritto di percepire solo i dividendi, ma non vi è nemmeno nessuna norma che prevede che l’usufruttuario debba percepire delle somme dalla società solo quando questa non è in liquidazione! L’ambito di azione è ormai sostanzialmente circoscritto. Si tratta solo di risolvere l’ultimo dilemma: una società in liquidazione può produrre ancora utili?
Certamente sì, è la risposta. In ciò viene in aiuto anche l’art. 47 comma 7 del TUIR, il quale stabilisce che le somme ricevute dai soci in caso di liquidazione di una società sono oggetto di tassazione per la parte eccedente il prezzo pagato per l’acquisto. Di conseguenza rientrano nell’oggetto della tassazione anche le somme assegnate ai soci a titolo di patrimonio netto risultante dalla liquidazione, nulla rilevando se esse possano riferirsi a voci di utili o di denaro conferito in sede di costituzione o successivamente. 
  Il principio di diritto. La sentenza in commento è senz’altro innovativa, tanto da far esprimere agli stessi Ermellini il principio di diritto per il quale quando si è in presenza di soci usufruttuari di una quota di srl, qualsiasi somma che la società in liquidazione distribuisce come esito della liquidazione stessa, deve essere tassata dal socio usufruttuario e non da quello nudo proprietario. 

 

Analisi e commenti ImpreseOggi
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In presenza di soci usufruttuari, le somme derivanti da una liquidazione di una srl devono essere tassate dagli usufruttuari e non dai nudi proprietari.

Mer, 01/05/2024 - 12:16
In presenza di un usufruttuario che detiene delle quote di una società a responsabilità limitata, le somme che derivano dalla conclusione della liquidazione volontaria, devono essere dichiarate dall’usufruttuario stesso e non dal nudo proprietario
A stabilire questo principio di diritto è la Corte di Cassazione, Sezione 5 Civile, con sentenza numero 11152 del 20 marzo 2024 pubblicata il 24 aprile 2024. Il caso. Il caso giudicato trae origine da un ricorso avverso un diniego di rimborso proposto da cinque contribuenti che sono nudi proprietari di alcune quote di partecipazione di una società a responsabilità limitata. Al termine della liquidazione volontaria la società ha provveduto a distribuire una somma che è stata poi inserita nella dichiarazione dei redditi dei singoli soci nudi proprietari. La tesi proposta da quest’ultimi è, infatti, che sono loro i legittimi percettori delle somme e non il socio usufruttuario in quanto, in caso di scioglimento di una srl, la posta di patrimonio netto dalla quale vengono prelevate le somme è indistinta e non imputabile a una voce di utile. In sostanza, secondo i nudi proprietari, al termine della liquidazione si sono visti restituire il denaro che è stato conferito in sede di costituzione della società e non una forma di “utile”, che spetta unicamente all’usufruttuario.   La decisione.  La Cassazione non è d’accordo con la tesi proposta dai contribuenti. Prima di arrivare, però, ai motivi della decisione, gli Ermellini si pongono il problema sia di chiarire quando cessa il diritto di usufrutto su una quota di una srl sia di stabilire quali sono i diritti patrimoniali che spettano all’usufruttuario.
Nel nostro ordinamento non esiste una norma specifica che dà risposta ai due problemi sopra descritti. Di conseguenza occorre fare ricorso alle norme generali in materia di cessazione dell’usufrutto, che sono contenute nell’art. 1014 del Codice Civile. Per quanto di interesse, il passaggio importante è quello che prevede che l’usufrutto cessa “per il totale perimento della cosa su cui è costituito”. Per cui, per analogia, nel caso di una partecipazione in una società, l’usufrutto non cessa al momento della messa in liquidazione della società stessa, ma al momento in cui questa viene cancellata dal registro imprese. E’ solo in quel caso che la cosa su cui è costituito l’usufrutto “perisce”.
Accertato questo principio, la Cassazione osserva che non solo non vi è nessuna norma che limita all’usufruttuario il diritto di percepire solo i dividendi, ma non vi è nemmeno nessuna norma che prevede che l’usufruttuario debba percepire delle somme dalla società solo quando questa non è in liquidazione! L’ambito di azione è ormai sostanzialmente circoscritto. Si tratta solo di risolvere l’ultimo dilemma: una società in liquidazione può produrre ancora utili?
Certamente sì, è la risposta. In ciò viene in aiuto anche l’art. 47 comma 7 del TUIR, il quale stabilisce che le somme ricevute dai soci in caso di liquidazione di una società sono oggetto di tassazione per la parte eccedente il prezzo pagato per l’acquisto. Di conseguenza rientrano nell’oggetto della tassazione anche le somme assegnate ai soci a titolo di patrimonio netto risultante dalla liquidazione, nulla rilevando se esse possano riferirsi a voci di utili o di denaro conferito in sede di costituzione o successivamente. 
  Il principio di diritto. La sentenza in commento è senz’altro innovativa, tanto da far esprimere agli stessi Ermellini il principio di diritto per il quale quando si è in presenza di soci usufruttuari di una quota di srl, qualsiasi somma che la società in liquidazione distribuisce come esito della liquidazione stessa, deve essere tassata dal socio usufruttuario e non da quello nudo proprietario. 

 

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Corte di Cassazione: la compensazione delle spese di lite tributaria deve essere adeguatamente motivata. Il caso della Camera di Commercio di Roma.

Dom, 14/04/2024 - 16:17
Si dovrebbe essere seri e limitarsi a commentare una sentenza della Cassazione che riguarda la sempre irrisolta questione della compensazione delle spese di lite. Un commento fatto senza farsi distrarre dal merito della causa. Rimanere concentrati esclusivamente sui principi di diritto che la Suprema Corte esprime. Purtroppo in questo caso tutto questo è assai difficile. Sì, perché al di la del merito giuridico, ciò che irrita è il fatto che in contenzioso nasce a seguito dell’ennesima situazione di inefficienza in cui versa la Pubblica Amministrazione. Con l’aggiunta per di più che pure una Commissione Tributaria di Primo Grado ci aggiunge del suo, ad aggravare la questione. L’oggetto del contendere è questo: un contribuente propone ricorso contro alcuni avvisi emanati dalla Camera di Commercio di Roma. Nei motivi di ricorso si evidenzia l’intervenuta prescrizione di quanto richiesto dall’ente pubblico. Valore della lite: 1.114,75 euro. La Commissione Tributaria Provinciale di Roma gli dà ragione e, oltre ad annullare la pretesa, condanna la Camera di Commercio di Roma alle spese di lite, che determina in euro 250,00.  A questo punto la questione pare chiusa qui, anche se stupisce un po’ il fatto che la Camera di Commercio di Roma probabilmente sapeva già di suo che gli avvisi potevano essere prescritti. Ma tant’è, lasciamo il beneficio del dubbio. Invece, purtroppo, la questione non è chiusa qui. L’avvocato che ha difeso il contribuente vittorioso, in sede di primo giudizio, si è dichiarato “antistatario”, cioè ha assistito il proprio cliente senza aver riscosso gli onorari e anticipando le spese del giudizio. In questo modo può chiedere direttamente alla parte soccombente, nella fattispecie la Camera di Commercio, di vedersi pagato il suo onorario. Cosa che puntualmente fa. In cambio non ottiene nessuna risposta. La Camera di Commercio di Roma, condannata al pagamento delle spese di lite, non risponde e non versa quanto dovuto. Di fronte a questo silenzio, all’avvocato non resta altro che proporre ricorso di ottemperanza ai sensi dell’art. 70 e ss. del D. Lgs. 546/1992, per chiedere alla Camera di Commercio di Roma di pagare le spese legali del precedente giudizio. In prossimità dell’udienza, l’Ente si costituisce producendo la contabile del pagamento delle spese di giudizio della causa dove è risultato soccombente. Solo che il pagamento è avvenuto in data successiva all’instaurazione del giudizio di ottemperanza. In pratica un Ente pubblico, solo di fronte alla minaccia di un nuovo giudizio negativo, provvede al pagamento di quanto dovuto in base a una sentenza precedente. La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, di fronte al pagamento della Camera di Commercio di Roma, non può fare altro che dichiarare estinto il giudizio di ottemperanza, perché è avvenuto il pagamento per il quale si è prodotto il ricorso. Solo che al momento di stabilire a chi accollare le spese del giudizio di ottemperanza, invece di condannare ulteriormente la Camera di Commercio di Roma a rifondere anche queste spese, le compensa! Quindi ci troviamo di fronte al fatto che l’avvocato difensore del contribuente vittorioso del primo giudizio, per essere pagato, deve far nuovamente causa alla Camera di Commercio di Roma la quale si è guardata bene dal pagare tempestivamente le spese a cui è stata condannata. Le spese di questo nuovo giudizio, secondo i giudici tributari, sono a suo carico. Dimenticavo: il valore della lite del giudizio di ottemperanza è pari ad euro 364,78! Quindi l’avvocato ne riscuote 250 euro dalla Camera di Commercio di Roma ma per farlo ne deve pagare 364,78 al suo difensore. Per far rispettare un suo diritto ci ha rimesso 114,78 euro. Alla faccia del buon funzionamento della Pubblica Amministrazione. A questo punto l’avvocato del contribuente propone, giustamente si aggiunge, ricorso alla Corte di Cassazione per chiedere un pronunciamento di legittimità sulla compensazione delle spese del giudizio di ottemperanza fatta dalla Commissione di Primo Grado. Arriviamo, quindi, al principio di diritto contenuto nella sentenza n. 9037/2024 pubblicata in data 04.04.2024. Il principio che la Cassazione stabilisce è molto semplice. La sua base giuridica è contenuta nella sentenza n. 77 del 02 aprile 2018 della Corte Costituzionale, nella quale si dichiara illegittimo l’art. 92 secondo comma del Cod. Proc. Civile, nella parte in cui non consente, nelle ipotesi di soccombenza totale, di compensare parzialmente oppure per intero le spese di giudizio. Ciò anche nei casi in cui la compensazione sarebbe logica in presenza di gravi ed eccezionali motivi diversi da quelli tipizzati dalle norme. Nello specifico i casi tipizzati dalle norme sono quelli di soccombenza reciproca, di assoluta novità della questione trattata o di mutamento di opinione della giurisprudenza. Gli Ermellini scrivono che, quando non ricorrono i casi di compensazione previsti per legge, il Giudice deve sempre indicare i motivi alla base della compensazione delle spese legali: “La compensazione delle spese di lite allorchè concorrano gravi ed eccezionali ragioni, costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche”. Nel caso di specie la Commissione Tributaria Provinciale di Roma non ha motivato le ragioni alla base della compensazione delle spese. Per cui la Cassazione non può far altro che cassare la sentenza e rinviare il tutto al Giudice di Primo Grado che deve rifare il giudizio indicando, questa volta, i motivi per i quali trova applicazione l’eventuale nuova compensazione delle spese. Il commento alla sentenza potrebbe finire qui, con una piccola chiosa finale rispetto all’obbligo che ha il Giudice Tributario di indicare i motivi alla base della compensazione delle spese di lite. Non è giusto, però, finire così. Si deve osservare anche la situazione di sperpero di denaro e risorse pubbliche fatto da un Ente pubblico. Già in partenza ci si poteva accorgere che gli atti erano viziati da prescrizione e non emanarli. Come si diceva, però, si può lasciare alla Camera di Commercio il beneficio del dubbio. La Commissione Tributaria di Primo grado ha però ristabilito correttamente la giustizia, sia annullando gli atti, sia sanzionando l’Ente attraverso il pagamento delle spese.  E’ il giudizio successivo che dimostra la scarsa efficienza dell’Ente pubblico. La sua inattività rispetto alla richiesta di pagamento delle spese di giudizio, ha portato a dover iniziare un nuovo contenzioso al quale hanno lavorato tre giudici, i segretari delle Commissioni Tributari, un funzionario della stessa Camera di Commercio e poi ancora, la Cassazione, i funzionari della Cassazione, tutto il personale amministrativo. Tutti pagati con soldi pubblici. Ma non è finita qui, perché adesso dovrà di nuovo lavorare la Commissione Tributaria Provinciale di Roma per adeguarsi alla prescrizione impostagli dalla Corte di Cassazione. Il tutto perché la Camera di Commercio di Roma non ha voluto pagare spontaneamente la somma impostagli da un Giudice Tributario pari ad euro 250,00. Il Fisco italiano non sta bene, ma anche la Pubblica Amministrazione non è di sicuro messa meglio. Analisi e commenti ImpreseOggi
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Corte di Cassazione: la compensazione delle spese di lite tributaria deve essere adeguatamente motivata. Il caso della Camera di Commercio di Roma.

Dom, 14/04/2024 - 16:17
Si dovrebbe essere seri e limitarsi a commentare una sentenza della Cassazione che riguarda la sempre irrisolta questione della compensazione delle spese di lite. Un commento fatto senza farsi distrarre dal merito della causa. Rimanere concentrati esclusivamente sui principi di diritto che la Suprema Corte esprime. Purtroppo in questo caso tutto questo è assai difficile. Sì, perché al di la del merito giuridico, ciò che irrita è il fatto che in contenzioso nasce a seguito dell’ennesima situazione di inefficienza in cui versa la Pubblica Amministrazione. Con l’aggiunta per di più che pure una Commissione Tributaria di Primo Grado ci aggiunge del suo, ad aggravare la questione. L’oggetto del contendere è questo: un contribuente propone ricorso contro alcuni avvisi emanati dalla Camera di Commercio di Roma. Nei motivi di ricorso si evidenzia l’intervenuta prescrizione di quanto richiesto dall’ente pubblico. Valore della lite: 1.114,75 euro. La Commissione Tributaria Provinciale di Roma gli dà ragione e, oltre ad annullare la pretesa, condanna la Camera di Commercio di Roma alle spese di lite, che determina in euro 250,00.  A questo punto la questione pare chiusa qui, anche se stupisce un po’ il fatto che la Camera di Commercio di Roma probabilmente sapeva già di suo che gli avvisi potevano essere prescritti. Ma tant’è, lasciamo il beneficio del dubbio. Invece, purtroppo, la questione non è chiusa qui. L’avvocato che ha difeso il contribuente vittorioso, in sede di primo giudizio, si è dichiarato “antistatario”, cioè ha assistito il proprio cliente senza aver riscosso gli onorari e anticipando le spese del giudizio. In questo modo può chiedere direttamente alla parte soccombente, nella fattispecie la Camera di Commercio, di vedersi pagato il suo onorario. Cosa che puntualmente fa. In cambio non ottiene nessuna risposta. La Camera di Commercio di Roma, condannata al pagamento delle spese di lite, non risponde e non versa quanto dovuto. Di fronte a questo silenzio, all’avvocato non resta altro che proporre ricorso di ottemperanza ai sensi dell’art. 70 e ss. del D. Lgs. 546/1992, per chiedere alla Camera di Commercio di Roma di pagare le spese legali del precedente giudizio. In prossimità dell’udienza, l’Ente si costituisce producendo la contabile del pagamento delle spese di giudizio della causa dove è risultato soccombente. Solo che il pagamento è avvenuto in data successiva all’instaurazione del giudizio di ottemperanza. In pratica un Ente pubblico, solo di fronte alla minaccia di un nuovo giudizio negativo, provvede al pagamento di quanto dovuto in base a una sentenza precedente. La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, di fronte al pagamento della Camera di Commercio di Roma, non può fare altro che dichiarare estinto il giudizio di ottemperanza, perché è avvenuto il pagamento per il quale si è prodotto il ricorso. Solo che al momento di stabilire a chi accollare le spese del giudizio di ottemperanza, invece di condannare ulteriormente la Camera di Commercio di Roma a rifondere anche queste spese, le compensa! Quindi ci troviamo di fronte al fatto che l’avvocato difensore del contribuente vittorioso del primo giudizio, per essere pagato, deve far nuovamente causa alla Camera di Commercio di Roma la quale si è guardata bene dal pagare tempestivamente le spese a cui è stata condannata. Le spese di questo nuovo giudizio, secondo i giudici tributari, sono a suo carico. Dimenticavo: il valore della lite del giudizio di ottemperanza è pari ad euro 364,78! Quindi l’avvocato ne riscuote 250 euro dalla Camera di Commercio di Roma ma per farlo ne deve pagare 364,78 al suo difensore. Per far rispettare un suo diritto ci ha rimesso 114,78 euro. Alla faccia del buon funzionamento della Pubblica Amministrazione. A questo punto l’avvocato del contribuente propone, giustamente si aggiunge, ricorso alla Corte di Cassazione per chiedere un pronunciamento di legittimità sulla compensazione delle spese del giudizio di ottemperanza fatta dalla Commissione di Primo Grado. Arriviamo, quindi, al principio di diritto contenuto nella sentenza n. 9037/2024 pubblicata in data 04.04.2024. Il principio che la Cassazione stabilisce è molto semplice. La sua base giuridica è contenuta nella sentenza n. 77 del 02 aprile 2018 della Corte Costituzionale, nella quale si dichiara illegittimo l’art. 92 secondo comma del Cod. Proc. Civile, nella parte in cui non consente, nelle ipotesi di soccombenza totale, di compensare parzialmente oppure per intero le spese di giudizio. Ciò anche nei casi in cui la compensazione sarebbe logica in presenza di gravi ed eccezionali motivi diversi da quelli tipizzati dalle norme. Nello specifico i casi tipizzati dalle norme sono quelli di soccombenza reciproca, di assoluta novità della questione trattata o di mutamento di opinione della giurisprudenza. Gli Ermellini scrivono che, quando non ricorrono i casi di compensazione previsti per legge, il Giudice deve sempre indicare i motivi alla base della compensazione delle spese legali: “La compensazione delle spese di lite allorchè concorrano gravi ed eccezionali ragioni, costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche”. Nel caso di specie la Commissione Tributaria Provinciale di Roma non ha motivato le ragioni alla base della compensazione delle spese. Per cui la Cassazione non può far altro che cassare la sentenza e rinviare il tutto al Giudice di Primo Grado che deve rifare il giudizio indicando, questa volta, i motivi per i quali trova applicazione l’eventuale nuova compensazione delle spese. Il commento alla sentenza potrebbe finire qui, con una piccola chiosa finale rispetto all’obbligo che ha il Giudice Tributario di indicare i motivi alla base della compensazione delle spese di lite. Non è giusto, però, finire così. Si deve osservare anche la situazione di sperpero di denaro e risorse pubbliche fatto da un Ente pubblico. Già in partenza ci si poteva accorgere che gli atti erano viziati da prescrizione e non emanarli. Come si diceva, però, si può lasciare alla Camera di Commercio il beneficio del dubbio. La Commissione Tributaria di Primo grado ha però ristabilito correttamente la giustizia, sia annullando gli atti, sia sanzionando l’Ente attraverso il pagamento delle spese.  E’ il giudizio successivo che dimostra la scarsa efficienza dell’Ente pubblico. La sua inattività rispetto alla richiesta di pagamento delle spese di giudizio, ha portato a dover iniziare un nuovo contenzioso al quale hanno lavorato tre giudici, i segretari delle Commissioni Tributari, un funzionario della stessa Camera di Commercio e poi ancora, la Cassazione, i funzionari della Cassazione, tutto il personale amministrativo. Tutti pagati con soldi pubblici. Ma non è finita qui, perché adesso dovrà di nuovo lavorare la Commissione Tributaria Provinciale di Roma per adeguarsi alla prescrizione impostagli dalla Corte di Cassazione. Il tutto perché la Camera di Commercio di Roma non ha voluto pagare spontaneamente la somma impostagli da un Giudice Tributario pari ad euro 250,00. Il Fisco italiano non sta bene, ma anche la Pubblica Amministrazione non è di sicuro messa meglio. Analisi e commenti ImpreseOggi
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Superbonus: stop alle cessioni di credito per chi ha presentato la Cilas entro il 16 febbraio 2023 ma non ha iniziato i lavori.

Sab, 30/03/2024 - 00:06
Fine corsa per la cessione del credito o per lo sconto in fattura per tutti quei contribuenti che non hanno iniziato i lavori, nonostante abbiano presentato il titolo edilizio necessario entro il 16 febbraio 2023. Lo prevede il decreto legge n. 39 del 29 marzo 2024 il quale, dopo una gestazione di qualche giorno, è approdato sulla Gazzetta Ufficiale n. 75 del 29.03.2024. Si ricorda che, a tal proposito, il decreto n. 11 del 16 febbraio 2023 aveva introdotto un divieto assoluto di trasferimento del credito edilizio per tutti quegli interventi per i quali, alla data di entrata in vigore del decreto stesso, non era stato presentato il titolo edilizio necessario per la loro realizzazione. Nello stesso decreto di febbraio 2023 era previsto, inoltre, che per gli interventi in edilizia libera (per i quali, si ricorda, non è necessario presentare una specifica autorizzazione edilizia), invece, il divieto operava solo nel caso in cui, alla data del 16 febbraio 2023, non erano stati avviati i lavori, oppure non era stato sottoscritto un contratto con i fornitori o, infine, non era stato pagato alcun acconto. Il decreto 39/2024 introduce un ulteriore giro di vite alla circolazione dei crediti edilizi. L’articolo 1, punto 5 stabilisce che “le disposizioni di cui all'articolo 2, commi 2 e 3, del citato decreto-legge n. 11 del 2023, non si applicano agli interventi contemplati al comma 2, lettere a), b) e c), primo periodo, e al comma 3, lettere a) e b), del medesimo articolo 2 per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, non è stata sostenuta alcuna spesa, documentata da fattura, per lavori già effettuati”. La cessione del credito, o lo sconto in fattura, continua ad applicarsi agli interventi ante 16 febbraio 2023 solo nel caso sia stata sostenuta almeno una spesa, pagata e documentata, relativa a lavori già effettuati. E’ importante precisare il fatto che le spese devono essere state pagate: dalla lettura del decreto si evince chiaramente che non è sufficiente l’emissione della fattura per attestare l’inizio dei lavori e continuare a sperare di poter cedere i crediti edilizi a terzi. Vi sono, però, alcune eccezioni, per le quali la cessione del credito o lo sconto in fattura continua ad operare, ancorchè non siano iniziati materialmente i lavori e purchè, comunque, entro il 16 febbraio 2023 sia stato presentato l’idoneo titolo edilizio. Le eccezioni, per le quali è ammesso il trasferimento del credito, sono:
  • gli interventi riguardanti i piani di recupero del patrimonio edilizio esistente o di riqualificazione urbana, da realizzare nelle aree sismiche 1,2,3, che alla data del 16 febbraio 2023 risultano approvati;
  • gli interventi riguardanti la realizzazione di autorimesse o posti auto pertinenziali anche a proprietà comune;
  • gli interventi di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia riguardanti interi fabbricati e realizzati da imprese di costruzione, ristrutturazione o da cooperative edilizie, che entro diciotto mesi dalla fine dei lavori provvedano a vendere tali fabbricati;
  • interventi di adeguamento sismico realizzati da imprese di costruzione in zone classificate a rischio sismico 1,2,3, purchè i fabbricati realizzati, anche con demolizione e costruzione, siano ceduti entro trenta mesi dalla fine dei lavori.

Da segnalare, poi, che l’articolo 2 del decreto in commento prevede, al comma 2, la possibilire di sostituire le comunicazioni di cessione di credito entro e non oltre il 4 aprile 2024. Ad oggi è prevista la possibilità di sostituire e/o annullare le comunicazioni inviate entro cinque giorni dall’invio stesso. In linea teorica, fino a ieri, le comunicazioni del 4 aprile era possibile sostituirle entro il giorno 09 aprile. Con l’introduzione del decreto legge 39/2024, le comunicazioni inviate il 4 aprile sarà possibile sostituirle solo entro lo stesso giorno 4 aprile.

Infine si osserva che il decreto legge entrerà in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale: quindi entrerà in vigore il 30 marzo 2024. Da questa data decorrerà anche il divieto di cessione per tutti quegli interventi che non sono iniziati effettivamente a tale data.

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Superbonus: stop alle cessioni di credito per chi ha presentato la Cilas entro il 16 febbraio 2023 ma non ha iniziato i lavori.

Sab, 30/03/2024 - 00:06
Fine corsa per la cessione del credito o per lo sconto in fattura per tutti quei contribuenti che non hanno iniziato i lavori, nonostante abbiano presentato il titolo edilizio necessario entro il 16 febbraio 2023. Lo prevede il decreto legge n. 39 del 29 marzo 2024 il quale, dopo una gestazione di qualche giorno, è approdato sulla Gazzetta Ufficiale n. 75 del 29.03.2024. Si ricorda che, a tal proposito, il decreto n. 11 del 16 febbraio 2023 aveva introdotto un divieto assoluto di trasferimento del credito edilizio per tutti quegli interventi per i quali, alla data di entrata in vigore del decreto stesso, non era stato presentato il titolo edilizio necessario per la loro realizzazione. Nello stesso decreto di febbraio 2023 era previsto, inoltre, che per gli interventi in edilizia libera (per i quali, si ricorda, non è necessario presentare una specifica autorizzazione edilizia), invece, il divieto operava solo nel caso in cui, alla data del 16 febbraio 2023, non erano stati avviati i lavori, oppure non era stato sottoscritto un contratto con i fornitori o, infine, non era stato pagato alcun acconto. Il decreto 39/2024 introduce un ulteriore giro di vite alla circolazione dei crediti edilizi. L’articolo 1, punto 5 stabilisce che “le disposizioni di cui all'articolo 2, commi 2 e 3, del citato decreto-legge n. 11 del 2023, non si applicano agli interventi contemplati al comma 2, lettere a), b) e c), primo periodo, e al comma 3, lettere a) e b), del medesimo articolo 2 per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, non è stata sostenuta alcuna spesa, documentata da fattura, per lavori già effettuati”. La cessione del credito, o lo sconto in fattura, continua ad applicarsi agli interventi ante 16 febbraio 2023 solo nel caso sia stata sostenuta almeno una spesa, pagata e documentata, relativa a lavori già effettuati. E’ importante precisare il fatto che le spese devono essere state pagate: dalla lettura del decreto si evince chiaramente che non è sufficiente l’emissione della fattura per attestare l’inizio dei lavori e continuare a sperare di poter cedere i crediti edilizi a terzi. Vi sono, però, alcune eccezioni, per le quali la cessione del credito o lo sconto in fattura continua ad operare, ancorchè non siano iniziati materialmente i lavori e purchè, comunque, entro il 16 febbraio 2023 sia stato presentato l’idoneo titolo edilizio. Le eccezioni, per le quali è ammesso il trasferimento del credito, sono:
  • gli interventi riguardanti i piani di recupero del patrimonio edilizio esistente o di riqualificazione urbana, da realizzare nelle aree sismiche 1,2,3, che alla data del 16 febbraio 2023 risultano approvati;
  • gli interventi riguardanti la realizzazione di autorimesse o posti auto pertinenziali anche a proprietà comune;
  • gli interventi di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia riguardanti interi fabbricati e realizzati da imprese di costruzione, ristrutturazione o da cooperative edilizie, che entro diciotto mesi dalla fine dei lavori provvedano a vendere tali fabbricati;
  • interventi di adeguamento sismico realizzati da imprese di costruzione in zone classificate a rischio sismico 1,2,3, purchè i fabbricati realizzati, anche con demolizione e costruzione, siano ceduti entro trenta mesi dalla fine dei lavori.

Da segnalare, poi, che l’articolo 2 del decreto in commento prevede, al comma 2, la possibilire di sostituire le comunicazioni di cessione di credito entro e non oltre il 4 aprile 2024. Ad oggi è prevista la possibilità di sostituire e/o annullare le comunicazioni inviate entro cinque giorni dall’invio stesso. In linea teorica, fino a ieri, le comunicazioni del 4 aprile era possibile sostituirle entro il giorno 09 aprile. Con l’introduzione del decreto legge 39/2024, le comunicazioni inviate il 4 aprile sarà possibile sostituirle solo entro lo stesso giorno 4 aprile.

Infine si osserva che il decreto legge entrerà in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale: quindi entrerà in vigore il 30 marzo 2024. Da questa data decorrerà anche il divieto di cessione per tutti quegli interventi che non sono iniziati effettivamente a tale data.

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Badanti al servizio di persone non autosufficienti: niente contributi se il rapporto di lavoro è trasformato a tempo indeterminato.

Ven, 15/03/2024 - 23:13
Niente contributi per due anni nel caso di assunzioni o stabilizzazioni di badanti che prestano assistenza a persona non autosufficiente con più di ottanta anni di età. L’agevolazione è prevista nei commi dal 15 al 18 dell’articolo29 del D.L. 02 marzo 2024 n. 19, noto anche come “Decreto P.N.R.R.”. Lo sgravio contributivo consiste nell’esonero del 100% dei contributi previdenziali e assicurativi a carico del datore di lavoro, nella misura massima di tremila euro su base annuale. Ulteriore condizione per accedere alla norma di favore è che il datore di lavoro, oltre a godere della pensione di accompagnamento, deve anche possedere un valore ISEE riguardante le prestazioni agevolate di natura sociosanitaria non superiore ad euro seimila. Nel caso in cui il datore di lavoro possegga i requisiti precedenti, cioè età anagrafica superiore agli 80 anni, una indennità di accompagnamento e un valore ISEE inferiore ai seimila, non può comunque accedere all’agevolazione in commento nel caso in cui:
  • Tra il lavoratore e il datore di lavoro o persona del suo nucleo familiare sia cessato, da meno di sei mesi, un rapporto di lavoro avente natura uguale a quella che si vuole stabilizzare;
  • La persona assunta sia un parente o un affini del soggetto da assistere, salvo il caso in cui il familiare sia destinato all’assistenza di invalidi civili, di guerra, sacerdoti e altri ministri di culto o autorità militari;
Lo sgravio contributivo non è ancora in funzione, ma occorrerà attendere che l’Inps comunichi la data di apertura. Inoltre è prevista una soglia massima di domande, in ragione dei fondi stanziati dal Decreto Legge P.N.R.R. Nello specifico le risorse stanziate sono le seguenti:
  • Euro 10.000.000 per l’anno 2024;
  • Euro 39.900.000 per l’anno 2025;
  • Euro 58.800.000 per l’anno 2026;
  • Euro 27.900.000 per l’anno 2027;
  • Euro 600.000 per l’anno 2028.
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Badanti al servizio di persone non autosufficienti: niente contributi se il rapporto di lavoro è trasformato a tempo indeterminato.

Ven, 15/03/2024 - 23:13
Niente contributi per due anni nel caso di assunzioni o stabilizzazioni di badanti che prestano assistenza a persona non autosufficiente con più di ottanta anni di età. L’agevolazione è prevista nei commi dal 15 al 18 dell’articolo29 del D.L. 02 marzo 2024 n. 19, noto anche come “Decreto P.N.R.R.”. Lo sgravio contributivo consiste nell’esonero del 100% dei contributi previdenziali e assicurativi a carico del datore di lavoro, nella misura massima di tremila euro su base annuale. Ulteriore condizione per accedere alla norma di favore è che il datore di lavoro, oltre a godere della pensione di accompagnamento, deve anche possedere un valore ISEE riguardante le prestazioni agevolate di natura sociosanitaria non superiore ad euro seimila. Nel caso in cui il datore di lavoro possegga i requisiti precedenti, cioè età anagrafica superiore agli 80 anni, una indennità di accompagnamento e un valore ISEE inferiore ai seimila, non può comunque accedere all’agevolazione in commento nel caso in cui:
  • Tra il lavoratore e il datore di lavoro o persona del suo nucleo familiare sia cessato, da meno di sei mesi, un rapporto di lavoro avente natura uguale a quella che si vuole stabilizzare;
  • La persona assunta sia un parente o un affini del soggetto da assistere, salvo il caso in cui il familiare sia destinato all’assistenza di invalidi civili, di guerra, sacerdoti e altri ministri di culto o autorità militari;
Lo sgravio contributivo non è ancora in funzione, ma occorrerà attendere che l’Inps comunichi la data di apertura. Inoltre è prevista una soglia massima di domande, in ragione dei fondi stanziati dal Decreto Legge P.N.R.R. Nello specifico le risorse stanziate sono le seguenti:
  • Euro 10.000.000 per l’anno 2024;
  • Euro 39.900.000 per l’anno 2025;
  • Euro 58.800.000 per l’anno 2026;
  • Euro 27.900.000 per l’anno 2027;
  • Euro 600.000 per l’anno 2028.
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Comune di Rimini: contributi a fondo perduto per iniziative, eventi e manifestazioni a sostegno delle attività economiche.

Mer, 17/01/2024 - 22:38

Il Comune di Rimini, con Determina dirigenziale n. 3592 del 05.12.2023 ha previsto l’erogazione di un contributo a fondo perduto a favore di iniziative volte a sostenere lo sviluppo del commercio e delle attività economiche.

Iniziative ammesse.

Sono ammissibili al contributo a fondo perduto:

  • Gli eventi, mostre, spettacoli, intrattenimenti di animazione da svolgersi in una o più zone della città di Rimini;
  • Iniziative volte alla valorizzazione delle attività del Centro Storico, dei Borghi e della Marina, o di aree della città di Rimini interessate da importanti interventi di riqualificazione;
  • Campagne pubblicitarie volte a promuovere eventi di un certo rilievo oppure a contrastare l’abusivismo e il gioco d’azzardo;
  • Iniziative volte a incentivare la produzione e il consumo di prodotti enogastronomici tipici oppure iniziative rivolte al sostegno del comprato relativo alla ristorazione locale;
  • Iniziative frutto di progetti aggregati fra le reti di esercenti all’interno del Comune di Rimini;

Non possono, comunque, essere ammesse iniziative che:

  • Sono già avviate al momento della presentazione della domanda;
  • che si concluderanno dopo il 01/04/2024;
  • per le quali si prevede una spesa complessiva superiore a euro 80.000,00.
Soggetti ammessi.

Possono presentare la domanda di contributo a fondo perduto:

  • enti del Terzo Settore iscritti al Runts o enti non iscritti o non rientranti nella disciplina del Runts ma, comunque, costituiti con atto scritto;
  • associazioni sportive dilettantistiche e/o società sportive dilettantistiche;
  • altri soggetti privati, anche con scopo di lucro. In questo caso possono formare oggetto di contributo solo le iniziative prive di lucro e con caratteristiche tali da promuovere in misura rilevante il commercio o le attività economiche.
Misura del contributo e modalità di assegnazione.

Il contributo non può essere superiore all’importo della spesa richiesta e non può essere, comunque, superiore nè al 70% delle spese previste né al 70% della differenza fra spese e entrate come indicate nel bilancio di previsione da allegare alla domanda. Il contributo verrà assegnato sulla base di una graduatoria stilata da una apposita commissione di valutazione.

Termine per la presentazione.

La domanda, a pena di ammissibilità, dovrà essere presentata, tramite PEC, entro e non oltre il giorno 11.02.2024.

 

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