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Grassi Benaglia Moretti avvocati e commercialisti

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Aggiornato: 6 giorni 7 ore fa

Agricoltura: contributi a fondo perduto per innovazione e sostenibilità.

Dom, 10/11/2024 - 11:51
Per chi vuole fare innovazione nell’ambito dell’agricoltura, a partire dal giorno 15 novembre 2024 e fino al giorno 13 dicembre 2024 può rivolgersi ad Ismea, la società pubblica che si occupa di fornire servizi e assistenza al mondo dell’imprenditoria agricola, per ottenere un contributo a fondo perduto. E’ ufficialmente aperto, infatti, il bando relativo al Fondo Innovazione - Intervento a sostegno della produttività che si prefigge come obiettivo quello di sostenere progetti per l’innovazione e riconversione ecologica della produzione nei settori dell’agricoltura, della pesca e dell’acquacoltura. I soggetti che possono presentare la domanda sono le Piccole Medie Imprese, singole o in forma associata, comprese le cooperative e le associazioni che possiedono questi requisiti:
  • essere iscritti al registro imprese e risultano attive, con la qualifica di “impresa agricola”, “impresa agromeccanica” o “impresa ittica”,
  • essere attivi da due anni rispetto alla data di presentazione della domanda;
  • avere la sede operativa in Italia.
I beni che rientrano nel contributo (dettagliatamente descritti nel Decreto 9 agosto 2023 del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste) devono essere nuovi e devono rientrare nella seguente categoria: Sono ammissibili alle agevolazioni i costi per l'acquisto di:
  • Macchine, strumenti e attrezzature per l’agricoltura dotate di apparecchiature tali da rendere automatica la lavorazione;
  • macchine mobili non stradali per agricoltura e zootecnia, con motorizzazione elettrica e destinate specificatamente ad attività agricole o zootecniche.
  • macchine per la zootecnia con un elevato livello tecnologico e di automazione;
  • investimenti riguardanti la pesca e l’acquacoltura volti a rendere sostenibile la produzione.
L’importo complessivo della spesa per la quale si richiede il contributo deve essere compreso tra gli euro 70.000,00 e gli euro 500.000,00. Nel caso di richieste da parte di imprenditori che esercitano l’attività di pesca, l’importo minimo viene ridotto ad euro 10.000,00. La misura di aiuto offerta consiste in un contributo a fondo perduto e in aggiunta ai progetti riguardanti l’Agricoltura e la Pesca, una garanzia pubblica per la richiesta di un finanziamento bancario a copertura dell’investimento. L’importo della garanzia è dell’80% nel caso di interventi nel settore agricolo e del 70% nel settore della pesca. L’importo del contributo a fondo perduto varia a seconda delle categorie previste dal Regolamento UE ABER e dal Regolamento UE FIBER è può essere così riassunto:

Scaglioni di importo di investimento

ABER giovani (massimale 80%) ABER non giovani (massimale 65%) FIBER (massimale 50%) fino 100.000,00 60% 48,75% 37,50% da 100.000,01 a 200.000 52% 42,25% 32,50% da 200.000,01 a 300.000 44% 35,75% 27,50% da 300.000,01 a 500.000 36% 29,25% 22,50%

La domanda dovrà essere presentata in forma telematica, attraverso lo sportello messo a disposizione da Ismea. La finestra temporale per le richieste apre alle ore 12.00 del giorno 15 novembre 2024 per chiudere alle ore 12.00 del giorno 13 dicembre 2024.

 

 

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I ricavi delle assegnazioni delle cooperative edilizie non sono tassabili

Dom, 03/11/2024 - 11:39
Le cooperative edilizie a proprietà divisa quando assegnano alloggi ai propri soci non generano ricavi tassabili ai sensi dell’art. 85 del Tuir. Ciò in quanto con l’assegnazione si viene a realizzare lo scambio mutualistico tra la cooperativa e il socio assegnatario. L’interessante principio di diritto è contenuto nella sentenza della Corte di Cassazione n. 28069/2024 pubblicata il 30.10.2024. Il contenzioso nasce dal fatto che una cooperativa edilizia a proprietà divisa ha assegnato un alloggio a un suo socio e il corrispettivo ricevuto l’ha contabilizzato in riduzione delle rimanenze di merci invece che come corrispettivo, non facendolo transitare nel conto economico ma riducendo solamente la voce iscritta nello stato patrimoniale. L’Agenzia delle Entrate ha emesso un avviso di accertamento non condividendo l’operato della cooperativa edilizia. Per l’Ufficio, infatti, l’assegnazione dell’appartamento al socio costituisce corrispettivo ai sensi dell’art. 85, c.1 lett. a) del Dpr 917/86 e, quindi, da ricomprendere nella voce dei ricavi del conto economico. Tesi che, peraltro, è stata riconosciuta fondata dai giudici di merito i quali, con sentenze di fatto conformi fra loro, hanno condannato sia in primo che in secondo grado la cooperativa edilizia al pagamento delle imposte Ires e Irap sul corrispettivo dell’assegnazione. Il contribuente si è rivolto, quindi, alla Corte di Cassazione sostenendo di aver contabilizzato il corrispettivo dell’assegnazione in riduzione del valore delle rimanenze in quanto la cooperativa stessa svolge una attività mutualistica e senza scopo di lucro. Inoltre ha rilevato che il corrispettivo stesso è uguale ai costi sostenuti per la costruzione dell’immobile oggetto di assegnazione, dimostrando una volta in più l’assenza di lucro della propria attività. La Cassazione accoglie la tesi della cooperativa. Lo fa evidenziando che sarà pur vero che il contratto di assegnazione di alloggio è pur sempre un atto di compravendita che trasferisce la proprietà, ma ciò non implica che automaticamente questo sia da intendere, sul piano contabile e fiscale, come un ricavo di vendita. Ciò in quanto le società cooperative edilizie non svolgono una attività finalizzata alla costruzione di immobili, ma bensì una attività senza scopo di lucro volta a consentire, ai propri soci, l’accesso alla casa a prezzi più vantaggiosi rispetto a quelli di mercato. L’assegnazione, dunque, sul piano giuridico può essere senza dubbio considerata come una compravendita. Sul piano fiscale e contabile, al contrario, essa è la forma con la quale si realizza lo scambio mutualistico assumendo, quindi, una natura non commerciale. Scrive, a tal proposito, la Cassazione: “l’assegnazione, di norma, non può costituire conseguimento di una plusvalenza o di un ricavo, non generando materia imponibile per la società assegnante, in quanto il valore degli alloggi da assegnare ai soci è determinato al “costo” ed il totale dei costi sostenuti dalla cooperativa, imputato allo stato patrimoniale nelle rimanenze, risulta pari al corrispettivo di assegnazione di cessione degli alloggi ceduti ai soci, detratti gli eventuali versamenti già effettuati negli anni precedenti [..]”. Il principio di diritto che la Cassazione esprime, infine, è il seguente: “Il valore correlato all’assegnazione dell’unità abitativa al socio della società cooperativa edilizia a proprietà divisa non va considerato quale corrispettivo della cessione di beni ai sensi dell’art. 85, primo comma, lett. a) del d.P.R. n. 917 del 1986, e come tale ricompreso nella voce dei ricavi del conto economico, generando materia imponibile tassabile, in quanto l’assegnazione realizza una vicenda che, di norma, non fa maturare reddito tassabile né in capo alla società cooperativa edilizia assegnante, né in capo al socio assegnatario, in ragione dello scambio mutualistico che viene a realizzarsi”. Notizie ImpreseOggi
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I ricavi delle assegnazioni delle cooperative edilizie non sono tassabili

Dom, 03/11/2024 - 11:39
Le cooperative edilizie a proprietà divisa quando assegnano alloggi ai propri soci non generano ricavi tassabili ai sensi dell’art. 85 del Tuir. Ciò in quanto con l’assegnazione si viene a realizzare lo scambio mutualistico tra la cooperativa e il socio assegnatario. L’interessante principio di diritto è contenuto nella sentenza della Corte di Cassazione n. 28069/2024 pubblicata il 30.10.2024. Il contenzioso nasce dal fatto che una cooperativa edilizia a proprietà divisa ha assegnato un alloggio a un suo socio e il corrispettivo ricevuto l’ha contabilizzato in riduzione delle rimanenze di merci invece che come corrispettivo, non facendolo transitare nel conto economico ma riducendo solamente la voce iscritta nello stato patrimoniale. L’Agenzia delle Entrate ha emesso un avviso di accertamento non condividendo l’operato della cooperativa edilizia. Per l’Ufficio, infatti, l’assegnazione dell’appartamento al socio costituisce corrispettivo ai sensi dell’art. 85, c.1 lett. a) del Dpr 917/86 e, quindi, da ricomprendere nella voce dei ricavi del conto economico. Tesi che, peraltro, è stata riconosciuta fondata dai giudici di merito i quali, con sentenze di fatto conformi fra loro, hanno condannato sia in primo che in secondo grado la cooperativa edilizia al pagamento delle imposte Ires e Irap sul corrispettivo dell’assegnazione. Il contribuente si è rivolto, quindi, alla Corte di Cassazione sostenendo di aver contabilizzato il corrispettivo dell’assegnazione in riduzione del valore delle rimanenze in quanto la cooperativa stessa svolge una attività mutualistica e senza scopo di lucro. Inoltre ha rilevato che il corrispettivo stesso è uguale ai costi sostenuti per la costruzione dell’immobile oggetto di assegnazione, dimostrando una volta in più l’assenza di lucro della propria attività. La Cassazione accoglie la tesi della cooperativa. Lo fa evidenziando che sarà pur vero che il contratto di assegnazione di alloggio è pur sempre un atto di compravendita che trasferisce la proprietà, ma ciò non implica che automaticamente questo sia da intendere, sul piano contabile e fiscale, come un ricavo di vendita. Ciò in quanto le società cooperative edilizie non svolgono una attività finalizzata alla costruzione di immobili, ma bensì una attività senza scopo di lucro volta a consentire, ai propri soci, l’accesso alla casa a prezzi più vantaggiosi rispetto a quelli di mercato. L’assegnazione, dunque, sul piano giuridico può essere senza dubbio considerata come una compravendita. Sul piano fiscale e contabile, al contrario, essa è la forma con la quale si realizza lo scambio mutualistico assumendo, quindi, una natura non commerciale. Scrive, a tal proposito, la Cassazione: “l’assegnazione, di norma, non può costituire conseguimento di una plusvalenza o di un ricavo, non generando materia imponibile per la società assegnante, in quanto il valore degli alloggi da assegnare ai soci è determinato al “costo” ed il totale dei costi sostenuti dalla cooperativa, imputato allo stato patrimoniale nelle rimanenze, risulta pari al corrispettivo di assegnazione di cessione degli alloggi ceduti ai soci, detratti gli eventuali versamenti già effettuati negli anni precedenti [..]”. Il principio di diritto che la Cassazione esprime, infine, è il seguente: “Il valore correlato all’assegnazione dell’unità abitativa al socio della società cooperativa edilizia a proprietà divisa non va considerato quale corrispettivo della cessione di beni ai sensi dell’art. 85, primo comma, lett. a) del d.P.R. n. 917 del 1986, e come tale ricompreso nella voce dei ricavi del conto economico, generando materia imponibile tassabile, in quanto l’assegnazione realizza una vicenda che, di norma, non fa maturare reddito tassabile né in capo alla società cooperativa edilizia assegnante, né in capo al socio assegnatario, in ragione dello scambio mutualistico che viene a realizzarsi”. Notizie ImpreseOggi
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Superbonus 110: rate in dieci anni per le spese effettuate nel 2023.

Gio, 24/10/2024 - 08:35
Novità in arrivo per le spese relative al Superbonus pagate nel corso del 2023. La bozza di Legge di Stabilità per il 2025, appena approdata alla Camera per la discussione, prevede infatti che queste possano essere spalmate in dieci anni, in luogo dei quattro anni previsti dall’attuale normativa. Si ripropone, così, la stessa agevolazione già prevista per le spese effettuate nell’anno 2022. La norma di favore tuttavia arriva in ritardo rispetto all’invio ordinario delle dichiarazioni dei redditi. Si ricorda, infatti, che quest’ultime vanno inviate entro il 31 ottobre, cioè almeno due mesi prima della probabile approvazione della Legge di Stabilità. Per superare questo inconveniente, viene previsto che l’opzione per la detrazione in dieci anni possa essere esercitata tramite l’invio di una dichiarazione integrativa relativa all’anno di imposta 2023. Dichiarazione integrativa che dovrà essere inviata entro il termine stabilito per la presentazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2024. Tale termine deroga espressamente quello previsto dall’articolo 2 comma 8 del Dpr 322/1998, che consente di inviare le dichiarazioni integrative entro il termine ordinario di accertamento, fissato in 6 anni a partire dall’anno di imposta di riferimento. Infine la bozza di Legge di Stabilità prevede che se da questa dichiarazione integrativa dovesse emergere una maggiore imposta dovuta (cosa assai probabile, visto che si vanno a ridurre le detrazioni originarie), quest’ultima potrà essere versata, senza sanzioni o interessi, entro il termine di versamento a saldo delle imposte sui redditi relative all’anno 2024, previsto presumibilmente entro il 30 giugno 2025. Infine si evidenzia che la scelta di spalmare in dieci anni le detrazioni Superbonus è vincolante e, dunque, non potrà mai essere revocata.   Notizie ImpreseOggi
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Superbonus 110: rate in dieci anni per le spese effettuate nel 2023.

Gio, 24/10/2024 - 08:35
Novità in arrivo per le spese relative al Superbonus pagate nel corso del 2023. La bozza di Legge di Stabilità per il 2025, appena approdata alla Camera per la discussione, prevede infatti che queste possano essere spalmate in dieci anni, in luogo dei quattro anni previsti dall’attuale normativa. Si ripropone, così, la stessa agevolazione già prevista per le spese effettuate nell’anno 2022. La norma di favore tuttavia arriva in ritardo rispetto all’invio ordinario delle dichiarazioni dei redditi. Si ricorda, infatti, che quest’ultime vanno inviate entro il 31 ottobre, cioè almeno due mesi prima della probabile approvazione della Legge di Stabilità. Per superare questo inconveniente, viene previsto che l’opzione per la detrazione in dieci anni possa essere esercitata tramite l’invio di una dichiarazione integrativa relativa all’anno di imposta 2023. Dichiarazione integrativa che dovrà essere inviata entro il termine stabilito per la presentazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2024. Tale termine deroga espressamente quello previsto dall’articolo 2 comma 8 del Dpr 322/1998, che consente di inviare le dichiarazioni integrative entro il termine ordinario di accertamento, fissato in 6 anni a partire dall’anno di imposta di riferimento. Infine la bozza di Legge di Stabilità prevede che se da questa dichiarazione integrativa dovesse emergere una maggiore imposta dovuta (cosa assai probabile, visto che si vanno a ridurre le detrazioni originarie), quest’ultima potrà essere versata, senza sanzioni o interessi, entro il termine di versamento a saldo delle imposte sui redditi relative all’anno 2024, previsto presumibilmente entro il 30 giugno 2025. Infine si evidenzia che la scelta di spalmare in dieci anni le detrazioni Superbonus è vincolante e, dunque, non potrà mai essere revocata.   Notizie ImpreseOggi
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Nuovo limite per la cooperativa sotto forma di Srl

Sab, 19/10/2024 - 17:54
Novità ed adeguamenti all’Istat per alcuni limiti previsti per le cooperative. Il decreto 8 agosto 2024 del Ministero delle imprese e del Made in Italy, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 245 del 18.10.2024 ritocca i limiti previsti dall’articolo 2519 e 2525 del Codice Civile che riguardano tutti i tipi di cooperative. L’articolo 2519 prevede, in via generale, che per quanto non previsto specificatamente per le società cooperative, si debba far rinvio alle norme che riguardano le società per azioni. Tuttavia, si può derogare a questa disposizione ed applicare quelle relative alle srl qualora la cooperativa non superi alternativamente due parametri, che riguardano il numero dei dipendenti e il totale dell’attivo patrimoniale. Il primo, rimasto invariato, prevede che se i soci cooperatori sono inferiori a venti, si può costituire una cooperativa che segua le norme previste per le srl, a prescindere dal totale dell’attivo. Il secondo parametro, che riguarda l’attivo patrimoniale, viene ritoccato all’insù dal decreto in commento. Il nuovo limite passa da un milione di euro a 1.438.000,00 euro. Pertanto, nel caso in cui l’attivo dello stato patrimoniale sia inferiore a 1.438.000,00 euro si può costituire una cooperativa che rimanda alle norme della srl. Si osserva, come già detto, che i due limiti sono alternativi. Pertanto si potranno avere cooperative che rimandano alle norme previste per le  srl con meno di venti dipendenti ma più di 1.438.000,00 euro di attivo. Al contempo, sono ammesse cooperative con rinvio alle srl con un patrimonio superiore  euro 1.438.000,00 ma con dipendenti inferiori ai venti. Gli altri valori che vengono ritoccati sono quelli contenuti nell’articolo 2525 del Codice Civile. In particolare:
  • Il valore massimo della quota o azione non potrà essere superiore ad euro 719,00. Il vecchio limite era di cinquecento euro;
  • Nessun socio può avere una quota superiore ad euro 143.800. Il precedente limite era di centomila. Lo stesso limite vale per le azioni. Pertanto nessun socio potrà avere tante azioni la cui somma del valore nominale sia superiore ad euro 143.800.
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Nuovo limite per la cooperativa sotto forma di Srl

Sab, 19/10/2024 - 17:54
Novità ed adeguamenti all’Istat per alcuni limiti previsti per le cooperative. Il decreto 8 agosto 2024 del Ministero delle imprese e del Made in Italy, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 245 del 18.10.2024 ritocca i limiti previsti dall’articolo 2519 e 2525 del Codice Civile che riguardano tutti i tipi di cooperative. L’articolo 2519 prevede, in via generale, che per quanto non previsto specificatamente per le società cooperative, si debba far rinvio alle norme che riguardano le società per azioni. Tuttavia, si può derogare a questa disposizione ed applicare quelle relative alle srl qualora la cooperativa non superi alternativamente due parametri, che riguardano il numero dei dipendenti e il totale dell’attivo patrimoniale. Il primo, rimasto invariato, prevede che se i soci cooperatori sono inferiori a venti, si può costituire una cooperativa che segua le norme previste per le srl, a prescindere dal totale dell’attivo. Il secondo parametro, che riguarda l’attivo patrimoniale, viene ritoccato all’insù dal decreto in commento. Il nuovo limite passa da un milione di euro a 1.438.000,00 euro. Pertanto, nel caso in cui l’attivo dello stato patrimoniale sia inferiore a 1.438.000,00 euro si può costituire una cooperativa che rimanda alle norme della srl. Si osserva, come già detto, che i due limiti sono alternativi. Pertanto si potranno avere cooperative che rimandano alle norme previste per le  srl con meno di venti dipendenti ma più di 1.438.000,00 euro di attivo. Al contempo, sono ammesse cooperative con rinvio alle srl con un patrimonio superiore  euro 1.438.000,00 ma con dipendenti inferiori ai venti. Gli altri valori che vengono ritoccati sono quelli contenuti nell’articolo 2525 del Codice Civile. In particolare:
  • Il valore massimo della quota o azione non potrà essere superiore ad euro 719,00. Il vecchio limite era di cinquecento euro;
  • Nessun socio può avere una quota superiore ad euro 143.800. Il precedente limite era di centomila. Lo stesso limite vale per le azioni. Pertanto nessun socio potrà avere tante azioni la cui somma del valore nominale sia superiore ad euro 143.800.
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Con lo studio associato sotto forma di cooperativa si può usare il regime forfettario.

Dom, 06/10/2024 - 21:08
Il socio di uno studio professionale associato, costituito sotto forma di cooperativa, può continuare a utilizzare il regime forfettario, non essendo la partecipazione in una cooperativa causa di esclusione dallo stesso. In sintesi è questo uno dei principali vantaggi che si consegue a creare, oppure a trasformare, uno studio professionale associato dandogli la forma della cooperativa. Per arrivare a questa conclusione occorre partire dall’articolo 10 della Legge 183/2011 il quale prevede che l’esercizio della professione in forma associata può avvenire adottando un qualsiasi modello societario regolato dal codice civile. Rientra, dunque, in questa casistica anche la società cooperativa. Si ricorda, poi, che tra le altre caratteristiche che devono avere le società tra professionisti (da cui l’acronimo STP) vi è quella che devono essere composte in prevalenza da professionisti iscritti all’Ordine o da cittadini dell’Unione Europea che hanno i requisiti abilitanti per l’esercizio della professione. E’ ammessa la partecipazione anche di altri soggetti non qualificati, purchè questi abbiano non più di un terzo dei diritti di voto nelle assemblee dei soci. La disciplina delle Società tra professionisti si è scontrata, ben presto però, con la normativa sul regime forfettario. Questa, infatti, non permette l’accesso al regime agevolato a quei soggetti che posseggono, contemporaneamente all’esercizio dell’attività professionale, una partecipazione in società di persone o associazioni professionali. In più, a partire dal 2019, è precluso l’accesso al regime forfettario anche a quei soggetti che possiedono un controllo diretto o indiretto in società a responsabilità limitata che esercitano una attività direttamente o indirettamente riconducibile a quella svolta in forma individuale. Così il commercialista non può usare il regime forfettario se partecipa a uno studio professionale associato, nemmeno se questo è organizzato in forma di srl. Stessa cosa per gli ingegneri, architetti, geometri e via discorrendo. Questa forma di divieto ha portato negli anni a una sorta di “nanismo” dei liberi professionisti, i quali hanno preferito mantenere una posizione individuale piuttosto che associarsi, per non perdere una agevolazione fiscale che rimane, considerando anche il limite innalzato a 85.000 euro, molto appetibile. A leggere bene, però, le norme che escludono l’utilizzo del regime forfettario a chi detiene partecipazioni in società, ci si accorge che non vi è alcun richiamo a quelle detenute nelle società cooperative. Dunque si può concludere che un qualsiasi libero professionista che adotta il regime forfettario può contemporaneamente essere socio di uno studio professionale avente la forma di cooperativa. VANTAGGI DELLO STUDIO SOTTOFORMA DI SOCIETA’ COOPERATIVA. Oltre a quello già qui richiamato del poter utilizzare, da parte del socio, il regime forfettario, gli altri vantaggi possono essere così riassunti:
  • non c’è bisogno del notaio per far entrare nuovi soci. Vige nelle cooperative il sistema del capitale variabile. E’ sufficiente la delibera del Consiglio di Amministrazione per far entrare un nuovo socio, dopo che questo ne ha fatto richiesta;
  • si possono accantonare risorse finanziarie in apposite riserve per essere investite nello sviluppo dell’attività. Su queste riserve si può godere di uno sconto fiscale del 57%;
  • le spese e gli altri costi saranno intestati alla cooperativa, la quale potrà detrarre l’IVA sugli acquisti, o dedurre tra gli altri i costi del personale. Cosa che, come noto, non può essere fatta dai forfettari;
  • l’ingresso di eventuali soci investitori (ammessi dalla normativa sulle STP) non compromette il peso decisionale degli altri soci. In via generale, infatti, nelle cooperative vige il principio “una testa, un voto” a prescindere dal capitale conferito da ciascuno di esso. In più, per i soci esclusivamente finanziatori, le norme impongono a loro di non avere più di un terzo dei voti in assemblea e al massimo possono eleggere un terzo dei consiglieri di amministrazione.
FORMA ORGANIZZATIVA. Lo studio associato sotto forma di cooperativa provvederà a fatturare ai clienti. I vari professionisti associati a loro volta, sulla base di un regolamento interno, fattureranno allo studio associato cooperativo le rispettive competenze utilizzando il regime forfettario. CASSA DI PREVIDENZA E CONTRIBUTO INTEGRATIVO. Il modello di STP qui illustrato permette anche di risolvere la questione del contributo integrativo. Quest’ultimo, infatti, sarà imputato al momento dell’emissione della fattura da parte della STP ai propri clienti. A loro volta, i vari associati emetteranno fattura alla cooperativa indicando il contributo integrativo relativo. Ogni anno, poi, lo studio associato provvederà a versare il contributo integrativo dovuto sottraendo a quello incassato, quello pagato ai rispettivi associati.   Analisi e commenti ImpreseOggi
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Con lo studio associato sotto forma di cooperativa si può usare il regime forfettario.

Dom, 06/10/2024 - 21:08
Il socio di uno studio professionale associato, costituito sotto forma di cooperativa, può continuare a utilizzare il regime forfettario, non essendo la partecipazione in una cooperativa causa di esclusione dallo stesso. In sintesi è questo uno dei principali vantaggi che si consegue a creare, oppure a trasformare, uno studio professionale associato dandogli la forma della cooperativa. Per arrivare a questa conclusione occorre partire dall’articolo 10 della Legge 183/2011 il quale prevede che l’esercizio della professione in forma associata può avvenire adottando un qualsiasi modello societario regolato dal codice civile. Rientra, dunque, in questa casistica anche la società cooperativa. Si ricorda, poi, che tra le altre caratteristiche che devono avere le società tra professionisti (da cui l’acronimo STP) vi è quella che devono essere composte in prevalenza da professionisti iscritti all’Ordine o da cittadini dell’Unione Europea che hanno i requisiti abilitanti per l’esercizio della professione. E’ ammessa la partecipazione anche di altri soggetti non qualificati, purchè questi abbiano non più di un terzo dei diritti di voto nelle assemblee dei soci. La disciplina delle Società tra professionisti si è scontrata, ben presto però, con la normativa sul regime forfettario. Questa, infatti, non permette l’accesso al regime agevolato a quei soggetti che posseggono, contemporaneamente all’esercizio dell’attività professionale, una partecipazione in società di persone o associazioni professionali. In più, a partire dal 2019, è precluso l’accesso al regime forfettario anche a quei soggetti che possiedono un controllo diretto o indiretto in società a responsabilità limitata che esercitano una attività direttamente o indirettamente riconducibile a quella svolta in forma individuale. Così il commercialista non può usare il regime forfettario se partecipa a uno studio professionale associato, nemmeno se questo è organizzato in forma di srl. Stessa cosa per gli ingegneri, architetti, geometri e via discorrendo. Questa forma di divieto ha portato negli anni a una sorta di “nanismo” dei liberi professionisti, i quali hanno preferito mantenere una posizione individuale piuttosto che associarsi, per non perdere una agevolazione fiscale che rimane, considerando anche il limite innalzato a 85.000 euro, molto appetibile. A leggere bene, però, le norme che escludono l’utilizzo del regime forfettario a chi detiene partecipazioni in società, ci si accorge che non vi è alcun richiamo a quelle detenute nelle società cooperative. Dunque si può concludere che un qualsiasi libero professionista che adotta il regime forfettario può contemporaneamente essere socio di uno studio professionale avente la forma di cooperativa. VANTAGGI DELLO STUDIO SOTTOFORMA DI SOCIETA’ COOPERATIVA. Oltre a quello già qui richiamato del poter utilizzare, da parte del socio, il regime forfettario, gli altri vantaggi possono essere così riassunti:
  • non c’è bisogno del notaio per far entrare nuovi soci. Vige nelle cooperative il sistema del capitale variabile. E’ sufficiente la delibera del Consiglio di Amministrazione per far entrare un nuovo socio, dopo che questo ne ha fatto richiesta;
  • si possono accantonare risorse finanziarie in apposite riserve per essere investite nello sviluppo dell’attività. Su queste riserve si può godere di uno sconto fiscale del 57%;
  • le spese e gli altri costi saranno intestati alla cooperativa, la quale potrà detrarre l’IVA sugli acquisti, o dedurre tra gli altri i costi del personale. Cosa che, come noto, non può essere fatta dai forfettari;
  • l’ingresso di eventuali soci investitori (ammessi dalla normativa sulle STP) non compromette il peso decisionale degli altri soci. In via generale, infatti, nelle cooperative vige il principio “una testa, un voto” a prescindere dal capitale conferito da ciascuno di esso. In più, per i soci esclusivamente finanziatori, le norme impongono a loro di non avere più di un terzo dei voti in assemblea e al massimo possono eleggere un terzo dei consiglieri di amministrazione.
FORMA ORGANIZZATIVA. Lo studio associato sotto forma di cooperativa provvederà a fatturare ai clienti. I vari professionisti associati a loro volta, sulla base di un regolamento interno, fattureranno allo studio associato cooperativo le rispettive competenze utilizzando il regime forfettario. CASSA DI PREVIDENZA E CONTRIBUTO INTEGRATIVO. Il modello di STP qui illustrato permette anche di risolvere la questione del contributo integrativo. Quest’ultimo, infatti, sarà imputato al momento dell’emissione della fattura da parte della STP ai propri clienti. A loro volta, i vari associati emetteranno fattura alla cooperativa indicando il contributo integrativo relativo. Ogni anno, poi, lo studio associato provvederà a versare il contributo integrativo dovuto sottraendo a quello incassato, quello pagato ai rispettivi associati.   Analisi e commenti ImpreseOggi
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Le pensioni ricevute da San Marino non vanno dichiarate in Italia.

Ven, 20/09/2024 - 08:48
Le pensioni che lo stato di San Marino eroga a favore di cittadini italiani devono essere tassate solo nello Stato estero e non anche in Italia, in forza di quanto stabilito dall’art. 18 del Trattato contro le doppie imposizioni sottoscritto dai due Stati. E’ in sintesi questa la conclusione a cui perviene la sentenza n. 145/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado emessa il 24 luglio 2024 e depositata il 27 agosto 2024. Il caso trattato dai giudici riminesi prende spunto dal fatto che l’Agenzia delle Entrate non ha riconosciuto il credito per imposte pagate all’estero a un contribuente italiano che riceve una pensione da San Marino. Il motivo della rettifica si fonda sulla diversa interpretazione che il Fisco dà del contenuto dell’art. 18 del trattato contro le doppie imposizioni tra Italia e San Marino.  Per capire il motivo della diatriba, che ha natura sostanzialmente di interpretazione del diritto, occorre preliminarmente analizzare quanto riportato nel suddetto Trattato. Nel comma 1 si legge che le pensioni pagate a un residente di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in questo Stato. Ciò significa che un cittadino italiano versa le imposte solo in Italia per le pensioni ricevute da San Marino. Tuttavia questa disposizione viene derogata nel successivo comma 3 nel quale si legge che “le pensioni e altri pagamenti analoghi ricevuti nell’ambito della legislazione di sicurezza sociale di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato”. In soldoni: se un cittadino italiano riceve da San Marino una pensione che rientra nel concetto di “sicurezza sociale”, paga le tasse solo a San Marino. Il fulcro della diatriba, dunque, verte principalmente sulla corretta interpretazione del concetto di “pensione nell’ambito della legislazione di sicurezza sociale”. L’Ufficio interpreta tale locuzione in modo restrittivo, facendo rientrare nella categoria della “sicurezza sociale” solo le pensioni di invalidità, quelle non erogate in forza di contributi versati o quelle sociali. Di diverso parere è, però, il Giudice di Primo Grado. Il fondamento del suo giudizio contrario trae spunto innanzitutto dalla sentenza della Corte di Cassazione numero 23001 del 12 novembre 2010 per la quale il termine di “sicurezza sociale”  non ha solo il significato di pura assistenza sociale (come possono essere le pensioni di invalidità) ma anche quello più ampio di assistenza previdenziale. E’ indubbio, secondo la citata sentenza di Cassazione, che le prestazioni previdenziali in generale sono quello strumento con il quale lo Stato assicura i propri cittadini dai rischi derivanti dal rapporto di lavoro, come ad esempio la copertura in caso di malattia, infortunio o morte.  In questo ambito, dunque, rientrano anche i pagamenti delle pensioni di anzianità, in quanto la loro finalità è proprio quello della sicurezza sociale, essendo le stesse pensioni legate, tra l’altro, al versamento dei contributi durante l’arco di attività lavorativa. In tal senso, poi, ci sono anche le sentenze della Cassazione numero 1550/2012, 7969/2014 e più recentemente la n. 11035/2021. Come se non bastasse l’argomentazione svolta sulla base dei richiami alle sentenze di legittimità, la Corte di Giustizia cita anche il Commentario all’art. 18 del Modello Ocse, laddove si dice che con l’espressione di “sicurezza sociale” ci si riferisce a “un sistema di protezione obbligatoria istituita da uno Stato con l’obiettivo di garantire ai propri cittadini un livello minimo di reddito o di benefici pensionistici o ridurre l’impatto finanziario di eventi quali disoccupazione, invalidità, malattia o morte”. Per la Corte di Primo Grado, in conclusione, la pensione diretta erogata dallo Stato di San Marino per aver svolto lì una attività di lavoro dipendente deve scontare le imposte esclusivamente nella Repubblica di San Marino e non in Italia.  

 

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Le pensioni ricevute da San Marino non vanno dichiarate in Italia.

Ven, 20/09/2024 - 08:48
Le pensioni che lo stato di San Marino eroga a favore di cittadini italiani devono essere tassate solo nello Stato estero e non anche in Italia, in forza di quanto stabilito dall’art. 18 del Trattato contro le doppie imposizioni sottoscritto dai due Stati. E’ in sintesi questa la conclusione a cui perviene la sentenza n. 145/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado emessa il 24 luglio 2024 e depositata il 27 agosto 2024. Il caso trattato dai giudici riminesi prende spunto dal fatto che l’Agenzia delle Entrate non ha riconosciuto il credito per imposte pagate all’estero a un contribuente italiano che riceve una pensione da San Marino. Il motivo della rettifica si fonda sulla diversa interpretazione che il Fisco dà del contenuto dell’art. 18 del trattato contro le doppie imposizioni tra Italia e San Marino.  Per capire il motivo della diatriba, che ha natura sostanzialmente di interpretazione del diritto, occorre preliminarmente analizzare quanto riportato nel suddetto Trattato. Nel comma 1 si legge che le pensioni pagate a un residente di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in questo Stato. Ciò significa che un cittadino italiano versa le imposte solo in Italia per le pensioni ricevute da San Marino. Tuttavia questa disposizione viene derogata nel successivo comma 3 nel quale si legge che “le pensioni e altri pagamenti analoghi ricevuti nell’ambito della legislazione di sicurezza sociale di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato”. In soldoni: se un cittadino italiano riceve da San Marino una pensione che rientra nel concetto di “sicurezza sociale”, paga le tasse solo a San Marino. Il fulcro della diatriba, dunque, verte principalmente sulla corretta interpretazione del concetto di “pensione nell’ambito della legislazione di sicurezza sociale”. L’Ufficio interpreta tale locuzione in modo restrittivo, facendo rientrare nella categoria della “sicurezza sociale” solo le pensioni di invalidità, quelle non erogate in forza di contributi versati o quelle sociali. Di diverso parere è, però, il Giudice di Primo Grado. Il fondamento del suo giudizio contrario trae spunto innanzitutto dalla sentenza della Corte di Cassazione numero 23001 del 12 novembre 2010 per la quale il termine di “sicurezza sociale”  non ha solo il significato di pura assistenza sociale (come possono essere le pensioni di invalidità) ma anche quello più ampio di assistenza previdenziale. E’ indubbio, secondo la citata sentenza di Cassazione, che le prestazioni previdenziali in generale sono quello strumento con il quale lo Stato assicura i propri cittadini dai rischi derivanti dal rapporto di lavoro, come ad esempio la copertura in caso di malattia, infortunio o morte.  In questo ambito, dunque, rientrano anche i pagamenti delle pensioni di anzianità, in quanto la loro finalità è proprio quello della sicurezza sociale, essendo le stesse pensioni legate, tra l’altro, al versamento dei contributi durante l’arco di attività lavorativa. In tal senso, poi, ci sono anche le sentenze della Cassazione numero 1550/2012, 7969/2014 e più recentemente la n. 11035/2021. Come se non bastasse l’argomentazione svolta sulla base dei richiami alle sentenze di legittimità, la Corte di Giustizia cita anche il Commentario all’art. 18 del Modello Ocse, laddove si dice che con l’espressione di “sicurezza sociale” ci si riferisce a “un sistema di protezione obbligatoria istituita da uno Stato con l’obiettivo di garantire ai propri cittadini un livello minimo di reddito o di benefici pensionistici o ridurre l’impatto finanziario di eventi quali disoccupazione, invalidità, malattia o morte”. Per la Corte di Primo Grado, in conclusione, la pensione diretta erogata dallo Stato di San Marino per aver svolto lì una attività di lavoro dipendente deve scontare le imposte esclusivamente nella Repubblica di San Marino e non in Italia.  

 

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Tassazione per enunciazione: imposta di registro fissa se l’atto in cui è contenuta la disposizione è soggetto o esente Iva

Mer, 28/08/2024 - 11:53
La tassazione per enunciazione, contenuta nell’art. 22 del d.p.r. 131/86 (Testo Unico dell’Imposta di Registro), prevede che, qualora in un atto siano riportate disposizioni contenute in altri atti scritti o verbali non registrati, quest’ultime devono scontare l’imposta di registro. L’unica condizione è che queste disposizioni enunciate ma non tassate siano poste in essere dagli stessi soggetti che partecipano all’atto principale in cui queste enunciazioni sono riportate. Sul tema è intervenuta recentemente la Cassazione Civile, sez. 5, con sentenza numero 23015/2024 nella quale vengono ribaditi due principi:
  • È sufficiente che l’atto sia enunciato per essere soggetto alla tassazione, non rilevando gli effetti che questo procura alle parti coinvolte;
  • Se la disposizione annunciata sconta l’Iva, ancorchè esente ai sensi dell’art. 10 del DPR 633/72, per il principio di alternatività Iva/imposta di registro, quest’ultima si applica in misura fissa.
Il caso. Il caso trattato dagli Ermellini con la sentenza in commento riguarda un verbale di assemblea dei soci di una società contenente una delibera di aumento di capitale. L’aumento viene liberato con il conferimento di un ramo aziendale, da parte di un socio, e con un conferimento di un credito finanziario da parte dell’altro socio. A seguito del conferimento di un ramo aziendale si è resa necessaria la perizia di stima, che è stata allegata al verbale di assemblea. Nella suddetta perizia di stima sono contenuti, a sua volta, due ulteriori allegati riportanti: il primo un mutuo fruttifero dell’importo di euro 14.839.205,96 e il secondo un prestito infruttifero di euro 7.898.293,53. Entrambi i rapporti sono intercorsi fra gli stessi soggetti che hanno partecipato alla delibera di aumento di capitale. L’Agenzia delle Entrate ha emesso l’avviso di accertamento richiedendo il pagamento dell’imposta di registro proporzionale per entrambi gli atti, in aderenza alla già citata tassazione per enunciazione di cui all’art. 22 del Dpr 131/1986. La Commissione tributaria provinciale, in prima battuta, ha riconosciuto le ragioni del contribuente rigettando la richiesta dell’Ufficio. In secondo grado, invece, la Commissione tributaria regionale ha ribaltato l’esito, ritenendo corretto l’operato dell’Agenzia delle Entrate. La decisione. La Corte di Cassazione, con un’articolata decisione, riconosce solo in parte le ragioni del contribuente. In merito alla tassazione per enunciazione nulla rileva, secondo gli Ermellini, il contenuto della disposizione o gli effetti che ne conseguono ai soggetti che partecipano all’atto principale. E’ sufficiente, infatti, che nell’atto oggetto di tassazione per enunciazione siano presenti i soggetti che hanno partecipato all’atto (in tal senso Cassazione, 3841/2023). In ragione di questo, dunque, l’aver riportato due allegati all’interno della perizia di stima nei quali si enunciano un mutuo fruttifero e un prestito fruttifero, legittima l’Agenzia delle Entrate a richiedere l’imposta di registro per il principio dell’enunciazione. Ciò che diverge, però, rispetto alla richiesta del Fisco è la misura dell’imposta da applicare. La Corte osserva che il mutuo fruttifero è esente Iva ai sensi dell’art. 10 n.1 del D.p.r. 633/72. In ragione del principio di alternatività Iva/imposta di registro, gli atti esentati scontano comunque teoricamente l’Iva e, di conseguenza, sono sottoposti a registrazione in caso d’uso con l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa. Pertanto viene ridotto, in questo caso, l’importo richiesto dall’Agenzia dell’Entrate che, al contrario, ha applicato l’imposta in misura proporzionale. Analogo ragionamento, invece, non si può fare per il prestito infruttifero, in quanto non è una disposizione onerosa e, di conseguenza, non rientra all’interno della disciplina di applicazione dell’Iva. Di fatto è una operazione fuori campo Iva. In questo caso, quindi, l’imposta di registro da applicare è quella proporzionale.

 

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Tassazione per enunciazione: imposta di registro fissa se l’atto in cui è contenuta la disposizione è soggetto o esente Iva

Mer, 28/08/2024 - 11:53
La tassazione per enunciazione, contenuta nell’art. 22 del d.p.r. 131/86 (Testo Unico dell’Imposta di Registro), prevede che, qualora in un atto siano riportate disposizioni contenute in altri atti scritti o verbali non registrati, quest’ultime devono scontare l’imposta di registro. L’unica condizione è che queste disposizioni enunciate ma non tassate siano poste in essere dagli stessi soggetti che partecipano all’atto principale in cui queste enunciazioni sono riportate. Sul tema è intervenuta recentemente la Cassazione Civile, sez. 5, con sentenza numero 23015/2024 nella quale vengono ribaditi due principi:
  • È sufficiente che l’atto sia enunciato per essere soggetto alla tassazione, non rilevando gli effetti che questo procura alle parti coinvolte;
  • Se la disposizione annunciata sconta l’Iva, ancorchè esente ai sensi dell’art. 10 del DPR 633/72, per il principio di alternatività Iva/imposta di registro, quest’ultima si applica in misura fissa.
Il caso. Il caso trattato dagli Ermellini con la sentenza in commento riguarda un verbale di assemblea dei soci di una società contenente una delibera di aumento di capitale. L’aumento viene liberato con il conferimento di un ramo aziendale, da parte di un socio, e con un conferimento di un credito finanziario da parte dell’altro socio. A seguito del conferimento di un ramo aziendale si è resa necessaria la perizia di stima, che è stata allegata al verbale di assemblea. Nella suddetta perizia di stima sono contenuti, a sua volta, due ulteriori allegati riportanti: il primo un mutuo fruttifero dell’importo di euro 14.839.205,96 e il secondo un prestito infruttifero di euro 7.898.293,53. Entrambi i rapporti sono intercorsi fra gli stessi soggetti che hanno partecipato alla delibera di aumento di capitale. L’Agenzia delle Entrate ha emesso l’avviso di accertamento richiedendo il pagamento dell’imposta di registro proporzionale per entrambi gli atti, in aderenza alla già citata tassazione per enunciazione di cui all’art. 22 del Dpr 131/1986. La Commissione tributaria provinciale, in prima battuta, ha riconosciuto le ragioni del contribuente rigettando la richiesta dell’Ufficio. In secondo grado, invece, la Commissione tributaria regionale ha ribaltato l’esito, ritenendo corretto l’operato dell’Agenzia delle Entrate. La decisione. La Corte di Cassazione, con un’articolata decisione, riconosce solo in parte le ragioni del contribuente. In merito alla tassazione per enunciazione nulla rileva, secondo gli Ermellini, il contenuto della disposizione o gli effetti che ne conseguono ai soggetti che partecipano all’atto principale. E’ sufficiente, infatti, che nell’atto oggetto di tassazione per enunciazione siano presenti i soggetti che hanno partecipato all’atto (in tal senso Cassazione, 3841/2023). In ragione di questo, dunque, l’aver riportato due allegati all’interno della perizia di stima nei quali si enunciano un mutuo fruttifero e un prestito fruttifero, legittima l’Agenzia delle Entrate a richiedere l’imposta di registro per il principio dell’enunciazione. Ciò che diverge, però, rispetto alla richiesta del Fisco è la misura dell’imposta da applicare. La Corte osserva che il mutuo fruttifero è esente Iva ai sensi dell’art. 10 n.1 del D.p.r. 633/72. In ragione del principio di alternatività Iva/imposta di registro, gli atti esentati scontano comunque teoricamente l’Iva e, di conseguenza, sono sottoposti a registrazione in caso d’uso con l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa. Pertanto viene ridotto, in questo caso, l’importo richiesto dall’Agenzia dell’Entrate che, al contrario, ha applicato l’imposta in misura proporzionale. Analogo ragionamento, invece, non si può fare per il prestito infruttifero, in quanto non è una disposizione onerosa e, di conseguenza, non rientra all’interno della disciplina di applicazione dell’Iva. Di fatto è una operazione fuori campo Iva. In questo caso, quindi, l’imposta di registro da applicare è quella proporzionale.

 

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Contributi a fondo perduto della Regione Marche per le nuove imprese create da disoccupati.

Gio, 08/08/2024 - 22:44
Incentivare la nascita di nuove imprese all’interno del proprio territorio e contemporaneamente favorire l’autoimprenditorialità delle persone disoccupate: con questa finalità la Regione Marche, con avviso pubblico pubblicato sul Bur del 31 luglio 2024,  ha previsto la concessione di un contributo a fondo perduto di 20.000 euro a favore di disoccupati che intendono creare una nuova impresa. Il contributo concesso è forfettario: non necessita, quindi, presentare un piano di spesa dettagliato, ma verrà concesso sulla base dell’idea progettuale presentata, valutata secondo alcuni criteri specifici. I requisiti per accedere a questa agevolazione sono:
  • essere disoccupati da almeno sei mesi e avere sottoscritto un Patto di Servizio con uno dei centri dell’impiego;
  • avere la residenza nelle Marche;
  • avere un’età compresa fra i 18 e i 65 anni.
Le imprese beneficiarie per accedere al contributo dovranno possedere i seguenti requisiti:
  • essere costituite successivamente alla pubblicazione dell’avviso pubblico e dopo la presentazione della domanda di contributo. La domanda, quindi, deve essere presentata con l’impresa ancora non costituita;
  • essere iscritte alla Camera di Commercio;
  • avere una posizione INPS aperta
  • avere presentato la Comunicazione di inizio attività;
  • avere la sede o una unità locale all’interno del territorio della Regione Marche
  • avere come soci esclusivamente persone fisiche. La maggioranza di questi deve essere costituita dal soggetto che ha presentato la domanda;
  • Essere micro o pmi ai sensi della disciplina vigente
Possono accedere al contributo a fondo perduto anche gli studi professionali, purchè rispettino i seguenti requisiti:
  • avere aperto la partita iva successivamente alla pubblicazione del bando e dopo la presentazione della domanda di contributo;
  • avere la sede operativa nella Regione Marche;
  • essere costituiti esclusivamente da persone fisiche.
La domanda, in via telematica, dovrà essere presentata all’interno di due finestre temporali ben precise:
  • La prima si aprirà il 10.09.2024 e terminerà il 31.10.2024;
  • La seconda si aprirà il 10.09.2025 e terminerà il 31.10.2025.
Le domande saranno valutate tenendo presente la Qualità del progetto presentato (che peserà per il 40%) e l’Efficacia potenziale. All’interno della Qualità, si terrà conto sia del grado di affidabilità del progetto sia della qualità dell’imprese proponente. All’interno dell’Efficacia potenziale si terrà conto dell’anzianità dell’inoccupazione dei proponenti, della localizzazione e della tipologia dei soggetti destinatari. Notizie ImpreseOggi
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Contributi a fondo perduto della Regione Marche per le nuove imprese create da disoccupati.

Gio, 08/08/2024 - 22:44
Incentivare la nascita di nuove imprese all’interno del proprio territorio e contemporaneamente favorire l’autoimprenditorialità delle persone disoccupate: con questa finalità la Regione Marche, con avviso pubblico pubblicato sul Bur del 31 luglio 2024,  ha previsto la concessione di un contributo a fondo perduto di 20.000 euro a favore di disoccupati che intendono creare una nuova impresa. Il contributo concesso è forfettario: non necessita, quindi, presentare un piano di spesa dettagliato, ma verrà concesso sulla base dell’idea progettuale presentata, valutata secondo alcuni criteri specifici. I requisiti per accedere a questa agevolazione sono:
  • essere disoccupati da almeno sei mesi e avere sottoscritto un Patto di Servizio con uno dei centri dell’impiego;
  • avere la residenza nelle Marche;
  • avere un’età compresa fra i 18 e i 65 anni.
Le imprese beneficiarie per accedere al contributo dovranno possedere i seguenti requisiti:
  • essere costituite successivamente alla pubblicazione dell’avviso pubblico e dopo la presentazione della domanda di contributo. La domanda, quindi, deve essere presentata con l’impresa ancora non costituita;
  • essere iscritte alla Camera di Commercio;
  • avere una posizione INPS aperta
  • avere presentato la Comunicazione di inizio attività;
  • avere la sede o una unità locale all’interno del territorio della Regione Marche
  • avere come soci esclusivamente persone fisiche. La maggioranza di questi deve essere costituita dal soggetto che ha presentato la domanda;
  • Essere micro o pmi ai sensi della disciplina vigente
Possono accedere al contributo a fondo perduto anche gli studi professionali, purchè rispettino i seguenti requisiti:
  • avere aperto la partita iva successivamente alla pubblicazione del bando e dopo la presentazione della domanda di contributo;
  • avere la sede operativa nella Regione Marche;
  • essere costituiti esclusivamente da persone fisiche.
La domanda, in via telematica, dovrà essere presentata all’interno di due finestre temporali ben precise:
  • La prima si aprirà il 10.09.2024 e terminerà il 31.10.2024;
  • La seconda si aprirà il 10.09.2025 e terminerà il 31.10.2025.
Le domande saranno valutate tenendo presente la Qualità del progetto presentato (che peserà per il 40%) e l’Efficacia potenziale. All’interno della Qualità, si terrà conto sia del grado di affidabilità del progetto sia della qualità dell’imprese proponente. All’interno dell’Efficacia potenziale si terrà conto dell’anzianità dell’inoccupazione dei proponenti, della localizzazione e della tipologia dei soggetti destinatari. Notizie ImpreseOggi
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La proroga dei versamenti si è dimenticata della sanatoria del magazzino.

Ven, 02/08/2024 - 11:24
Passato il 31 di luglio, primo giro di boa della stagione dei versamenti dichiarativi anno di imposta 2023, qualcuno si è accorto, compreso chi scrive, che in alcuni software non vi è la possibilità di indicare la proroga del versamento della prima rata della sanatoria delle rimanenze, che rimane calendarizzata per il 01 luglio. La sanatoria sulle rimanenze di magazzino è prevista dai commi 78 – 85 della Legge di Stabilità 2023. Permette l’adeguamento, sia in aumento che in diminuzione, delle rimanenze di magazzino contabilizzate al 01 gennaio 2023 e si applica a tutte le imprese che non adottano i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio di esercizio. L’imposta la rivalutazione è pari al 18% del valore adeguato. Nel caso di diminuzione delle rimanenze contabilizzate al 01 gennaio è dovuta anche l’Iva, con un meccanismo di calcolo che solo il 24 giugno 2024 il Ministero ha reso pubblico. Per avere efficacia, l’adeguamento deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi riferita all’anno di imposta 2023. L’eventuale omesso versamento dell’imposta sostitutiva non inficia la possibilità di utilizzare il valore adeguato delle rimanenze, ma rileva solamente ai fini dell’iscrizione a ruolo delle somme dovute. Per spiegare il perché la proroga vale anche per il versamento della prima rata della sanatoria, occorre partire dal dato letterario dell’articolo 37 del D. Lgs. 13/2024. La norma si limita a disporre il rinvio dei versamenti “risultanti dalle dichiarazioni dei redditi e da quelle in materia di imposta regionale sulle attività produttive e di imposta sul valore aggiunto” per i soggetti che esercitano attività per i quali sono approvati gli Isa. Non si menziona il versamento dell’imposta sostitutiva. Tuttavia, tale dimenticanza può apparire solo come un piccolo peccato veniale piuttosto che una precisa volontà del Legislatore. La risposta la si trova nel combinato disposto fra l’articolo 37 appena citato e il comma 82 della Legge di Stabilità laddove è previsto che le imposte sostitutive dovute “sono versate in due rate di pari importo, di cui la prima con scadenza entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi” relative al periodo d'imposta 2023 mentre la seconda “entro il termine di versamento della seconda o unica rata dell'acconto delle imposte sui redditi relativa al periodo d'imposta successivo”. La Legge di Stabilità non fa menzione di una scadenza specifica ma rimanda, attraverso una locuzione generica, al termine di versamento delle imposte sui redditi. Di conseguenza, quindi, la proroga del versamento, se non per espressa previsione di legge, avviene di fatto in quanto legata a un altro termine di versamento oggetto di rinvio esplicito. Tale interpretazione è coerente anche con quanto previsto dalle norme relative al versamento del diritto annuale della Camera di Commercio. In questo caso il versamento, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, d.m. 11 maggio 2001 n. 359, deve essere fatto entro il termine previsto per il pagamento del primo acconto delle imposte sui redditi. La proroga dell’articolo 37 del D. Lgs. 13/2024, non indica anche quella del diritto camerale. E’ pacificamente accettato, soprattutto perchè mai contestato, che il differimento del termine del versamento delle imposte sui redditi porta con sé anche quello del diritto camerale, perché ad esso collegato per legge. Non si comprenderebbe, dunque, perché ciò non possa avvenire anche per le imposte sostitutive sull’adeguamento delle rimanenze di magazzino, anch’esse agganciate, per il versamento, al suddetto termine. Analisi e commenti ImpreseOggi
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La proroga dei versamenti si è dimenticata della sanatoria del magazzino.

Ven, 02/08/2024 - 11:24
Passato il 31 di luglio, primo giro di boa della stagione dei versamenti dichiarativi anno di imposta 2023, qualcuno si è accorto, compreso chi scrive, che in alcuni software non vi è la possibilità di indicare la proroga del versamento della prima rata della sanatoria delle rimanenze, che rimane calendarizzata per il 01 luglio. La sanatoria sulle rimanenze di magazzino è prevista dai commi 78 – 85 della Legge di Stabilità 2023. Permette l’adeguamento, sia in aumento che in diminuzione, delle rimanenze di magazzino contabilizzate al 01 gennaio 2023 e si applica a tutte le imprese che non adottano i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio di esercizio. L’imposta la rivalutazione è pari al 18% del valore adeguato. Nel caso di diminuzione delle rimanenze contabilizzate al 01 gennaio è dovuta anche l’Iva, con un meccanismo di calcolo che solo il 24 giugno 2024 il Ministero ha reso pubblico. Per avere efficacia, l’adeguamento deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi riferita all’anno di imposta 2023. L’eventuale omesso versamento dell’imposta sostitutiva non inficia la possibilità di utilizzare il valore adeguato delle rimanenze, ma rileva solamente ai fini dell’iscrizione a ruolo delle somme dovute. Per spiegare il perché la proroga vale anche per il versamento della prima rata della sanatoria, occorre partire dal dato letterario dell’articolo 37 del D. Lgs. 13/2024. La norma si limita a disporre il rinvio dei versamenti “risultanti dalle dichiarazioni dei redditi e da quelle in materia di imposta regionale sulle attività produttive e di imposta sul valore aggiunto” per i soggetti che esercitano attività per i quali sono approvati gli Isa. Non si menziona il versamento dell’imposta sostitutiva. Tuttavia, tale dimenticanza può apparire solo come un piccolo peccato veniale piuttosto che una precisa volontà del Legislatore. La risposta la si trova nel combinato disposto fra l’articolo 37 appena citato e il comma 82 della Legge di Stabilità laddove è previsto che le imposte sostitutive dovute “sono versate in due rate di pari importo, di cui la prima con scadenza entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi” relative al periodo d'imposta 2023 mentre la seconda “entro il termine di versamento della seconda o unica rata dell'acconto delle imposte sui redditi relativa al periodo d'imposta successivo”. La Legge di Stabilità non fa menzione di una scadenza specifica ma rimanda, attraverso una locuzione generica, al termine di versamento delle imposte sui redditi. Di conseguenza, quindi, la proroga del versamento, se non per espressa previsione di legge, avviene di fatto in quanto legata a un altro termine di versamento oggetto di rinvio esplicito. Tale interpretazione è coerente anche con quanto previsto dalle norme relative al versamento del diritto annuale della Camera di Commercio. In questo caso il versamento, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, d.m. 11 maggio 2001 n. 359, deve essere fatto entro il termine previsto per il pagamento del primo acconto delle imposte sui redditi. La proroga dell’articolo 37 del D. Lgs. 13/2024, non indica anche quella del diritto camerale. E’ pacificamente accettato, soprattutto perchè mai contestato, che il differimento del termine del versamento delle imposte sui redditi porta con sé anche quello del diritto camerale, perché ad esso collegato per legge. Non si comprenderebbe, dunque, perché ciò non possa avvenire anche per le imposte sostitutive sull’adeguamento delle rimanenze di magazzino, anch’esse agganciate, per il versamento, al suddetto termine. Analisi e commenti ImpreseOggi
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Le quote consortili sono escluse dall’applicazione dell’Iva.

Gio, 01/08/2024 - 22:38
L’Agenzia delle Entrate, interpellata sulla questione del corretto trattamento Iva dei contributi consortili, ritiene che quest’ultimi non rientrino nell’ambito di applicazione dell’Iva ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del D.p.r. 633/1972, purchè non siano parametrati alle prestazioni che i singoli consorziati ricevono dal Consorzio stesso. Cosi si è espressa nella risposta all'interpello 164 del 01 agosto 2024.  Il ragionamento che l'Ufficio svolge per arrivare a tale conclusione parte dalla lettura dell’art. 3 del Dpr 633/72, nella parte in cui al comma 1 è previsto che “costituiscono prestazioni di servizio le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazione di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”. La Corte di Giustizia Ue, con le sentenze C-283/12 del 2013 e C-11/15 del 2016, ha stabilito che nel qualificare come a titolo oneroso una prestazione di servizio, è necessario verificare innanzitutto l’esistenza di un nesso causale fra la prestazione svolta e il corrispettivo ricevuto. Questo nesso esiste quando tra i due soggetti che partecipano allo scambio il corrispettivo concordato sia considerato come il controvalore per i servizi ricevuti. In sostanza vi deve essere un rapporto sinallagmatico fra versamento di denaro e prestazione eventualmente ricevuta dal Consorzio. Quando questo rapporto non esiste o non è ravvisabile, non siamo in presenza di una prestazione di servizio, e pertanto, la dazione di denaro al consorzio è da considerarsi fuori campo iva in quanto carente dei requisiti di cui all’art. 3 del D.p.r. 633/72. Infine, nella risposta in commento, l’Agenzia delle Entrate tiene a precisare che non è sufficiente fare riferimento alla definizione di quota consortile contenuta nello Statuto del Consorzio. Nella realtà, infatti, può succedere che queste vengano determinate sulla base delle prestazioni che i singoli consorziati ricevono durante il corso dell’anno. In tal caso, dunque, va applicata l’Iva ancorchè queste somme di denaro versate sia indicate genericamente come “quote consortili”. Tale osservazione trova riscontro anche nella risposta 361/2021, che a sua volta richiama la vecchia risoluzione n. 156/E del 1996. Notizie ImpreseOggi
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Le quote consortili sono escluse dall’applicazione dell’Iva.

Gio, 01/08/2024 - 22:38
L’Agenzia delle Entrate, interpellata sulla questione del corretto trattamento Iva dei contributi consortili, ritiene che quest’ultimi non rientrino nell’ambito di applicazione dell’Iva ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del D.p.r. 633/1972, purchè non siano parametrati alle prestazioni che i singoli consorziati ricevono dal Consorzio stesso. Cosi si è espressa nella risposta all'interpello 164 del 01 agosto 2024.  Il ragionamento che l'Ufficio svolge per arrivare a tale conclusione parte dalla lettura dell’art. 3 del Dpr 633/72, nella parte in cui al comma 1 è previsto che “costituiscono prestazioni di servizio le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazione di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”. La Corte di Giustizia Ue, con le sentenze C-283/12 del 2013 e C-11/15 del 2016, ha stabilito che nel qualificare come a titolo oneroso una prestazione di servizio, è necessario verificare innanzitutto l’esistenza di un nesso causale fra la prestazione svolta e il corrispettivo ricevuto. Questo nesso esiste quando tra i due soggetti che partecipano allo scambio il corrispettivo concordato sia considerato come il controvalore per i servizi ricevuti. In sostanza vi deve essere un rapporto sinallagmatico fra versamento di denaro e prestazione eventualmente ricevuta dal Consorzio. Quando questo rapporto non esiste o non è ravvisabile, non siamo in presenza di una prestazione di servizio, e pertanto, la dazione di denaro al consorzio è da considerarsi fuori campo iva in quanto carente dei requisiti di cui all’art. 3 del D.p.r. 633/72. Infine, nella risposta in commento, l’Agenzia delle Entrate tiene a precisare che non è sufficiente fare riferimento alla definizione di quota consortile contenuta nello Statuto del Consorzio. Nella realtà, infatti, può succedere che queste vengano determinate sulla base delle prestazioni che i singoli consorziati ricevono durante il corso dell’anno. In tal caso, dunque, va applicata l’Iva ancorchè queste somme di denaro versate sia indicate genericamente come “quote consortili”. Tale osservazione trova riscontro anche nella risposta 361/2021, che a sua volta richiama la vecchia risoluzione n. 156/E del 1996. Notizie ImpreseOggi
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Corte costituzionale: al convivente di fatto si applica la disciplina prevista per l’impresa familiare ex art. 230-bis del codice civile

Ven, 26/07/2024 - 00:19
Con sentenza n. 148/2024 del 04 luglio 2024 depositata il 25 luglio 2024 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 230 bis terzo comma del Codice Civile nella parte in cui non prevede, riguardo alla disciplina dell’impresa familiare, che il convivente di fatto (o convivente more uxorio) sia equiparato a un familiare. Tale dichiarazione di incostituzionalità, poi, implica che deve essere altresì essere dichiarato incostituzionale l’intero articolo art. 230-ter del codice civile in quanto prevede una disciplina speciale e depotenziata del lavoro prestato dal convivente di fatto nell’impresa familiare. Con ordine. L’articolo 230 bis terzo comma considera come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo. Per “impresa familiare”, invece, si intende l’impresa nella quale collabora il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo. Dalla lettura, dunque, si ravvisa che il convivente di fatto (o convivente more uxorio) non può partecipare all’impresa familiare. Per lui è riservata una disciplina speciale contenuta nell’articolo 230-ter. Disciplina, però, che limita il diritto del convivente rispetto a quello del familiare: al primo, infatti, non spetta il diritto al mantenimento ma solo una partecipazione basata sui risultati economici dell’impresa in proporzione al lavoro prestato. In più per il convivente non è nemmeno previsto un diritto di prelazione in caso di divisione ereditaria o di cessione dell’impresa; è escluso anche un diritto di partecipazione alle decisioni aziendali, che possono essere prese solo dal titolare o dai familiari che eventualmente collaborano con lui. Si ricorda, per completezza espositiva, che la legge 76/2016 all’articolo 1 comma 36 intende come conviventi di fatto “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità, adozione, da matrimonio o da unione civile”. In più, il comma 37, prevede che la stabile convivenza sia da determinare sulla base anche della residenza anagrafica dei due soggetti la quale, qualora coincida, indica chiaramente la stabilità del rapporto affettivo. Nel dichiarare l’incostituzionalità dei due riferimenti normativi in esame, la Corte Costituzionale si basa anche sul fatto che le convivenze di fatto sono un diffuso fenomeno sociale tanto da sopravanzare in numero i matrimoni tradizionali diventando di fatto un tipo di rapporto interpersonale comunemente accettato. In ragione di questa diffusione, i rapporti interpersonali basati sulle convivenze di fatto meritano una tutela al pari di quelli basati su matrimoni formalizzati. Di conseguenza la Consulta non può far altro che dichiarare incostituzionale una disciplina civilistica che riduce i diritti patrimoniali dei conviventi all’interno di una impresa familiare. Notizie ImpreseOggi
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