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Con lo studio associato sotto forma di cooperativa si può usare il regime forfettario.

Il socio di uno studio professionale associato, costituito sotto forma di cooperativa, può continuare a utilizzare il regime forfettario, non essendo la partecipazione in una cooperativa causa di esclusione dallo stesso. In sintesi è questo uno dei principali vantaggi che si consegue a creare, oppure a trasformare, uno studio professionale associato dandogli la forma della cooperativa. Per arrivare a questa conclusione occorre partire dall’articolo 10 della Legge 183/2011 il quale prevede che l’esercizio della professione in forma associata può avvenire adottando un qualsiasi modello societario regolato dal codice civile. Rientra, dunque, in questa casistica anche la società cooperativa. Si ricorda, poi, che tra le altre caratteristiche che devono avere le società tra professionisti (da cui l’acronimo STP) vi è quella che devono essere composte in prevalenza da professionisti iscritti all’Ordine o da cittadini dell’Unione Europea che hanno i requisiti abilitanti per l’esercizio della professione. E’ ammessa la partecipazione anche di altri soggetti non qualificati, purchè questi abbiano non più di un terzo dei diritti di voto nelle assemblee dei soci. La disciplina delle Società tra professionisti si è scontrata, ben presto però, con la normativa sul regime forfettario. Questa, infatti, non permette l’accesso al regime agevolato a quei soggetti che posseggono, contemporaneamente all’esercizio dell’attività professionale, una partecipazione in società di persone o associazioni professionali. In più, a partire dal 2019, è precluso l’accesso al regime forfettario anche a quei soggetti che possiedono un controllo diretto o indiretto in società a responsabilità limitata che esercitano una attività direttamente o indirettamente riconducibile a quella svolta in forma individuale. Così il commercialista non può usare il regime forfettario se partecipa a uno studio professionale associato, nemmeno se questo è organizzato in forma di srl. Stessa cosa per gli ingegneri, architetti, geometri e via discorrendo. Questa forma di divieto ha portato negli anni a una sorta di “nanismo” dei liberi professionisti, i quali hanno preferito mantenere una posizione individuale piuttosto che associarsi, per non perdere una agevolazione fiscale che rimane, considerando anche il limite innalzato a 85.000 euro, molto appetibile. A leggere bene, però, le norme che escludono l’utilizzo del regime forfettario a chi detiene partecipazioni in società, ci si accorge che non vi è alcun richiamo a quelle detenute nelle società cooperative. Dunque si può concludere che un qualsiasi libero professionista che adotta il regime forfettario può contemporaneamente essere socio di uno studio professionale avente la forma di cooperativa. VANTAGGI DELLO STUDIO SOTTOFORMA DI SOCIETA’ COOPERATIVA. Oltre a quello già qui richiamato del poter utilizzare, da parte del socio, il regime forfettario, gli altri vantaggi possono essere così riassunti:
  • non c’è bisogno del notaio per far entrare nuovi soci. Vige nelle cooperative il sistema del capitale variabile. E’ sufficiente la delibera del Consiglio di Amministrazione per far entrare un nuovo socio, dopo che questo ne ha fatto richiesta;
  • si possono accantonare risorse finanziarie in apposite riserve per essere investite nello sviluppo dell’attività. Su queste riserve si può godere di uno sconto fiscale del 57%;
  • le spese e gli altri costi saranno intestati alla cooperativa, la quale potrà detrarre l’IVA sugli acquisti, o dedurre tra gli altri i costi del personale. Cosa che, come noto, non può essere fatta dai forfettari;
  • l’ingresso di eventuali soci investitori (ammessi dalla normativa sulle STP) non compromette il peso decisionale degli altri soci. In via generale, infatti, nelle cooperative vige il principio “una testa, un voto” a prescindere dal capitale conferito da ciascuno di esso. In più, per i soci esclusivamente finanziatori, le norme impongono a loro di non avere più di un terzo dei voti in assemblea e al massimo possono eleggere un terzo dei consiglieri di amministrazione.
FORMA ORGANIZZATIVA. Lo studio associato sotto forma di cooperativa provvederà a fatturare ai clienti. I vari professionisti associati a loro volta, sulla base di un regolamento interno, fattureranno allo studio associato cooperativo le rispettive competenze utilizzando il regime forfettario. CASSA DI PREVIDENZA E CONTRIBUTO INTEGRATIVO. Il modello di STP qui illustrato permette anche di risolvere la questione del contributo integrativo. Quest’ultimo, infatti, sarà imputato al momento dell’emissione della fattura da parte della STP ai propri clienti. A loro volta, i vari associati emetteranno fattura alla cooperativa indicando il contributo integrativo relativo. Ogni anno, poi, lo studio associato provvederà a versare il contributo integrativo dovuto sottraendo a quello incassato, quello pagato ai rispettivi associati.   Analisi e commenti ImpreseOggi
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Buongiorno dottore, come sto questa mattina?

Scuola di prevenzione José Bleger Rimini - Dom, 22/09/2024 - 16:40

E’ recentemente stato pubblicato il nuovo libro di Stefano Bonifazi dal titolo Buongiorno dottore, come sto questa mattina?, nel quale l’autore riflette sull’esperienza professionale svolta all’interno del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di Jesi (AN).

(cliccare sull’immagine per aprire la copertina del libro)

 

Pubblichiamo qui la prefazione al testo scritta da Leonardo Montecchi.

 

Il Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura e l’arte del possibile (Esperienze nel Diagnosi e Cura di Jesi)

 

Questo lavoro di Stefano Bonifazi condensa anni di pratica clinica nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. Si tratta di una riflessione che cerca di estrarre i concetti che hanno guidato l’esperienza e quelli che ne sono derivati.

In particolare, Bonifazi si riferisce ad un acrostico, ECRO, che sta a significare Esquema, Conceptual, Referencial y Operativo, cioè Schema Concettuale Referenziale e Operativo. Si tratta del nucleo della Concezione Operativa di Gruppo che Enrique Pichon-Riviére  ha inaugurato a partire dalla sua esperienza nell’Ospedale Psichiatrico di Buenos Aires di cui era direttore.

Infatti, a metà degli anni quaranta, Pichon-Riviére si trovò in una situazione di emergenza: gli infermieri erano entrati in sciopero ed era necessario gestire tutto l’ospedale.

Dice Pichon:

“Alrededor de 1945, circunstancias particulares crearon la necesidad de transformar a los pacientes de mi servicio en operadores, por haber quedado cesante todo el personal de enfermería. Es decir que ante una situación concreta hubo que cubrir en pocos días el hecho de no tener enfermeros, el carecer de toda ayuda institucional.”

“All’incirca nel 1945, circostanze particolari crearono la necessità di trasformare i pazienti del mio servizio in operatori, perchè tutto il personale della infermeria aveva abbandonato il lavoro. Cioè, di fronte ad una situazione concreta si è dovuto risolvere in pochi giorni il fatto che non ci fossero infermieri e la mancanza di qualsiasi aiuto istituzionale.”

(“Historia de la técnica de los grupos operativos”, in Enrique Pichon-Riviere, Obra Completa, Buenos Aires, Paidós, 2023)

Da questa necessità nasce l’idea di organizzare dei gruppi, che poi vennero chiamati operativi, attorno al compito di gestire, in questo caso autogestire, l’ospedale. In quella esperienza Pichon-Riviére si accorse di una serie di ostacoli che definì “resistenze al cambiamento”.

Le resistenze istituzionali sono sempre presenti in ogni tentativo di cambiamento. Nell’esperienza italiana, la chiusura nei manicomi sancita dalla legge 180 si è accompagnata a forti resistenze sia nella mentalità delle comunità attraversate dagli stereotipi sulla follia sanciti dalla precedente legge del 1905, che favoriva l’identificazione fra folle e pericoloso a sé e agli altri, con la conseguente necessità di reclusione nel “manicomio” dove il folle doveva essere reso incapace di nuocere a sé e agli altri. Ma la resistenza non era data solo da questa paura, alimentata da certi media ma anche da resistenze istituzionali. Infatti, gli ospedali psichiatrici si erano istituzionalizzati e cioè avevano subito un’eterogenesi dei fini. Il loro compito non era più la cura dei malati ma l’automantenimento dell’istituzione stessa: posti di lavoro, commmesse di ditte che fornivano biancheria, alimentari ecc., ossia tutte le necessità per le “città dei matti”.

Il collegamento fra l’esperienza ed il pensiero di Pichon-Riviére e la trasformazione istituzionale attuata da Franco Basaglia è costituito da Armando Bauleo. Bauleo fu allievo e collaboratore di Pichon-Riviére, poi fu costretto all’esilio nel 1975. Conosceva e stimava Franco Basaglia ed in Italia cominciò ad intervenire sia nella formazione che nella supervisione istituzionale dei nuovi servizi di salute mentale che erano nati dalla riforma del 1978.

Così cominciò a circolare il concetto di ECRO, che caratterizza anche l’esperienza di Stefano Bonifazi che si richiama direttamente a Bauleo di cui è stato allievo.

Lo schema di riferimento che troverete in queste pagine riguarda l’idea di fondo che la malattia non si identifica con il malato e che il paziente, con le sue problematiche è l’emergente di un gruppo famigliare. Questo schema, come si può notare, non sostiene che i sintomi siano da riferirsi esclusivamente ad una qualche alterazione della biochimica o immunologia ma che, per comprenderli, bisogna fare riferimento anche ai vincoli ed al tipo di comunicazione del paziente e del suo gruppo famigliare. Inoltre, è necessario considerare l’ambito istituzionale, che spesso complica ulteriormente il quadro, e quello comunitario, con la carica di stereotipi e con la conseguente produzione di uno stigma che marchia il paziente e il suo gruppo famigliare.

Lo schema di riferimento che viene applicato soprattutto negli SPDC italiani e non, nonostante la legge 180 e tutte le esperienze e le teorie che lo contraddicono, è uno schema che sovrappone la sofferenza mentale a quello di una malattia o sindrome della clinica biologica. In questo schema il riferimento, non potendo riferirsi all’anatomia patologica, si rivolge alla variazione della neurotrasmissione sinaptica, quasi sempre dedotta in base a sillogismi del tipo:

Premessa maggiore: In tutte le depressioni notiamo un calo di serotonina.

Premessa minore: Tizio è depresso

Conclusione: Tizio ha poca serotonina.

Questo sillogismo porta a somministrare un farmaco inibitore della ricaptazione della serotonina ed a pensare che il sintomo sia da riferirsi ad un deficit biologico.

Questi sillogismi sono divenuti algoritmi e caratterizzano la clinica neo-krepeliniana dominante nella psichiatria contemporanea.

Per questo schema, la psicoterapia, i gruppi terapeutici, le terapie famigliari, gli interventi educativi e sociali e tutte le forme di terapia sociale e comunitaria sono, se va bene, coadiuvanti della via regia della cura che è rappresentata dal trattamento farmacologico. Non è possibile nessun riferimento al vincolo pazienti/equipe curante se non come organizzazione del flusso lavorativo scomposto in protocolli per ottenere un risultato standard, azzerando le differenze soggettive, anzi oggettivizzando tutto, per così dire, in modo che si possa intravvedere la sostituzione dell’equipe curante con forme di intelligenza artificiale. Ciò  farebbe  scomparire gli effetti emotivi (quelli che, da almeno cento anni, si chiamano transfert e controtransfert) visti come bias dannosi alla corretta terapia.

Come si intuisce, lo Schema di Riferimento del lavoro di Stefano Bonifazi non è questo. Naturalmente, non si nega l’aspetto biologico e la cura farmacologica, ma la si riporta alla funzione che deve avere in un quadro più vasto. Che è rappresentato da un’istituzione caratterizzata dal vincolo fra l’equipe curante, i gruppi terapeutici dei pazienti e il gruppo multifamigliare.

In particolare, mi voglio soffermare sull’esperienza del gruppo terapeutico che è stata oggetto di analisi e discussione in un gruppo di ricerca della scuola “Josè Bleger”.

Per quanto riguarda il gruppo terapeutico, la ricerca è partita da quel “fatto sorprendente” che Massimo Bonfantini, nei nostri seminari sulla metodologia della ricerca, riferendosi a Charles S. Peirce, ci aveva indicato come il necessario punto di partenza.

La ricerca riguardava gli effetti di un gruppo operativo in un’istituzione totale come un Servizio Psichiatrico Di Diagnosi e Cura (SPDC).

Dopo una ricognizione negli SPDC delle Marche e della Romagna, ci siamo resi conto che erano pochi i servizi in cui si teneva strutturalmente una qualche forma di gruppo e, là dove si teneva, era considerato, come si è detto, come un coadiuvante della terapia farmacologica.

Ma l’esperienza di Bonifazi nel Servizio di Jesi ci ha sorpreso in primo luogo perchè aveva notato degli atteggiamenti tipici. La sorpresa è stata che nonostante la prossimità, le interazioni fra i degenti erano scarse. Così Bonifazi descrive queste forme stereotipate:

– Le abbiamo chiamate scherzosamente: le solitarie pecore del presepe, il gioco ai quattro cantoni, i pesci nell’acquario, il gioco del silenzio.

– Il fenomeno delle “pecore solitarie” perché così è la loro disposizione nei presepi dove, spesso, ognuna sta per conto suo (nei pascoli formano greggi); allo stesso modo, i pazienti se ne andavano sempre da soli quando uscivano, uno ad uno, per recarsi al bar o a prendere una boccata d’aria fuori.

– Il gioco ai “quattro cantoni” descriveva la prossemica in sala fumo, uno per angolo, come a stabilire la maggior distanza possibile tra loro, quando di posacenere da pavimento ve ne era uno soltanto.

– I “pesci nell’acquario” perché, nei momenti inattivi delle attività pomeridiane, i degenti passavano il tempo guardando a lungo gli infermieri nella guardiola, come fossero pesci da ammirare, senza comunicare né interagire, senza parlare tra loro; per non confrontarsi né conoscersi, occupavano il tempo ammirando i pesci che si lasciavano osservare indifferenti, infastiditi quando qualcuno bussava sul vetro con una scusa o un’altra. Questo è accaduto per anni e tende a ricorrere oggi, dopo la sospensione delle attività gruppali che ha prodotto l’implosione della socialità tra i ricoverati.

Queste stereotipie erano colte come forme del gruppo dei ricoverati, non come un atteggiamento del singolo. Se non si ha uno schema di riferimento gruppale, non si vedono: si vede il singolo che sta per conto suo e non “le pecore del presepe”; si vede un solitario in un angolo, non “Il gioco dei quattro cantoni”; e, naturalmente, il singolo che guarda il pesce, non “i pesci nell’acquario”, che già denota l’aspetto che assume il transfert istituzionale in un SPDC.

L’introduzione del gruppo terapeutico sotto varie forme, compresa la realizzazione di un gruppo multifamigliare con i degenti e i loro famigliari, supervisionato dal professor Alfredo Canevaro, ha prodotto la rottura di questi stereotipi, in primo luogo ha favorito e legittimato una comunicazione orizzontale fra i degenti che prima del gruppo si rivolgevano molto agli operatori con vario tipo di richieste e molto poco fra loro. Il gruppo, anche se praticato per pochi incontri, dato che la degenza media è breve, meno di 15 giorni, favorisce l’identificazione reciproca e diminuisce l’ansia; inoltre, ha reso possibile anche la realizzazione di “gruppi autogestiti” che, come sempre, valorizzano la partecipazione soggettiva al cambiamento. Complessivamente, il compito che è emerso come fondante questo gruppo nel SPDC riguarda un primo terntativo di elaborare il motivo della crisi, il cercare un senso al ricovero fra i degenti e con i loro famigliari. Insomma, come dice bene in questo lavoro Bonifazi, un tentativo di passare dal processo primario ad un processo secondario, un provare a dare un significato a ciò che è successo e a farlo uscire dalla dimensione di evacuazione emozionale o di agiti senza un apparente senso.

Insomm,a si tratterebbe di considerare il SPDC come un dispositivo costituito da vari setting che possa essere percepito come un contenitore, un apparato formato da vincoli multipli fra degenti, operatori, famigliari e mondo esterno che riduca l’angoscia, il senso di persecuzione, la paura dell’abbandono e della dissoluzione nel nulla, e permetta di intravedere una via di uscita da questo labirinto.

Bonifazi ci mostra tutta la difficoltà e le resistenze nel condurre questa importante ricerca-azione che non è ancora conclusa e di cui questo testo non è solo una testimonianza, ma un manuale per la disseminazione in altri luoghi ed in altri tempi di esperienze simili. Le resistenze riguardano i ruoli, sulla differenza fra coordinatore e conduttore, differenza molto discussa nel gruppo di ricerca della scuola “José Bleger”. Il mio punto di vista è che all’interno di un’istituzione, e soprattutto un’istituzione totale come il SPDC, si è sempre implicati con l’istituzione stessa; si può cercare di ridurre l’implicazione, ma disimplicarsi totalmente significa abbandonare l’istituzione stessa e negare il proprio ruolo. Io sono convinto che si debba avviare una dinamica fra un aspetto istituito, le leggi, i regolamenti, le consuetudini, la mentalità ed il senso comune, comprese le routine quotidiane, e un aspetto istituente: l’esigenza di cambiamento, diversi schemi di riferimento, l’importanza dei vincoli e del mondo fuori dell’istituito, la capacità  di lasciarsi attraversare da problematiche non strettamente pertinenti il campo di lavoro.

L’istituzione è il risultato della dinamica fra questi aspetti, è un processo in continuo divenire. Solo quando l’istituito pone se stesso come l’ISTITUZIONE e schiaccia ogni pensiero e pratica differente da quella ordinaria marchiandola come antiscientifica, non basata sull’evidenza, sentimentale o retrograda, e sclerotizza le proprie pratiche trasformandole in procedure tecniche, allora diventa evidente come il processo istituzionale si sia fermato, e il compito sia mutato dalla cura dei pazienti al mantenimento dell’istituito stesso. In questo caso, non c’è più cura, perchè non c’è più l’altro, ma l’oggetto di varie procedure che mirano tutte all’automantenimento dell’istituito. Siamo, in questo caso, nell’istituzionalizzazione che bisogna distruggere se si vuole ripristinare il processo istituzionale che è stato soppresso.

Questo è quello che è stato fatto in in Italia con la distruzione dei manicomi e la ripresa della dinamica istituzionale nel campo della salute mentale.

Tuttavia, l’istituzionalizzazione della psichiatria è sempre all’orizzonte, è dunque necessario tenere aperta la dinamica istituzionale anche in questo campo tenendo come orizzonte la salute mentale globale.

Il lavoro di Stefano Bonifazi, che sono contento ed onorato di presentare, va in questa direzione. Che possa servire per molteplici esperienze di ricerca e azione.

Leonardo Montecchi

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Le pensioni ricevute da San Marino non vanno dichiarate in Italia.

Le pensioni che lo stato di San Marino eroga a favore di cittadini italiani devono essere tassate solo nello Stato estero e non anche in Italia, in forza di quanto stabilito dall’art. 18 del Trattato contro le doppie imposizioni sottoscritto dai due Stati. E’ in sintesi questa la conclusione a cui perviene la sentenza n. 145/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado emessa il 24 luglio 2024 e depositata il 27 agosto 2024. Il caso trattato dai giudici riminesi prende spunto dal fatto che l’Agenzia delle Entrate non ha riconosciuto il credito per imposte pagate all’estero a un contribuente italiano che riceve una pensione da San Marino. Il motivo della rettifica si fonda sulla diversa interpretazione che il Fisco dà del contenuto dell’art. 18 del trattato contro le doppie imposizioni tra Italia e San Marino.  Per capire il motivo della diatriba, che ha natura sostanzialmente di interpretazione del diritto, occorre preliminarmente analizzare quanto riportato nel suddetto Trattato. Nel comma 1 si legge che le pensioni pagate a un residente di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in questo Stato. Ciò significa che un cittadino italiano versa le imposte solo in Italia per le pensioni ricevute da San Marino. Tuttavia questa disposizione viene derogata nel successivo comma 3 nel quale si legge che “le pensioni e altri pagamenti analoghi ricevuti nell’ambito della legislazione di sicurezza sociale di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato”. In soldoni: se un cittadino italiano riceve da San Marino una pensione che rientra nel concetto di “sicurezza sociale”, paga le tasse solo a San Marino. Il fulcro della diatriba, dunque, verte principalmente sulla corretta interpretazione del concetto di “pensione nell’ambito della legislazione di sicurezza sociale”. L’Ufficio interpreta tale locuzione in modo restrittivo, facendo rientrare nella categoria della “sicurezza sociale” solo le pensioni di invalidità, quelle non erogate in forza di contributi versati o quelle sociali. Di diverso parere è, però, il Giudice di Primo Grado. Il fondamento del suo giudizio contrario trae spunto innanzitutto dalla sentenza della Corte di Cassazione numero 23001 del 12 novembre 2010 per la quale il termine di “sicurezza sociale”  non ha solo il significato di pura assistenza sociale (come possono essere le pensioni di invalidità) ma anche quello più ampio di assistenza previdenziale. E’ indubbio, secondo la citata sentenza di Cassazione, che le prestazioni previdenziali in generale sono quello strumento con il quale lo Stato assicura i propri cittadini dai rischi derivanti dal rapporto di lavoro, come ad esempio la copertura in caso di malattia, infortunio o morte.  In questo ambito, dunque, rientrano anche i pagamenti delle pensioni di anzianità, in quanto la loro finalità è proprio quello della sicurezza sociale, essendo le stesse pensioni legate, tra l’altro, al versamento dei contributi durante l’arco di attività lavorativa. In tal senso, poi, ci sono anche le sentenze della Cassazione numero 1550/2012, 7969/2014 e più recentemente la n. 11035/2021. Come se non bastasse l’argomentazione svolta sulla base dei richiami alle sentenze di legittimità, la Corte di Giustizia cita anche il Commentario all’art. 18 del Modello Ocse, laddove si dice che con l’espressione di “sicurezza sociale” ci si riferisce a “un sistema di protezione obbligatoria istituita da uno Stato con l’obiettivo di garantire ai propri cittadini un livello minimo di reddito o di benefici pensionistici o ridurre l’impatto finanziario di eventi quali disoccupazione, invalidità, malattia o morte”. Per la Corte di Primo Grado, in conclusione, la pensione diretta erogata dallo Stato di San Marino per aver svolto lì una attività di lavoro dipendente deve scontare le imposte esclusivamente nella Repubblica di San Marino e non in Italia.  

 

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Utopie della realtà _ 1 / La libertà è terapeutica / Cento anni di Franco Basaglia

Cooperativa sociale Cento Fiori - Ven, 30/08/2024 - 17:51
Due giorni: un seminario, una tavola rotonda, quattro presentazioni di libri, ventisei relatori e autori per parlare dell’opera di Franco Basaglia e portarne i valori nel futuro.

Il primo di una serie di incontri a cadenza annuale dedicati alle utopie della realtà è dedicato a Franco Basaglia. Molti hanno prodotto teorie riguardanti la follia, altri hanno operato nella pratica, ma nessuno, come Franco Basaglia, è riuscito a connettere i due livelli in un modo così radicale. Franco Basaglia ha agito dinamicamente nella scienza, nella politica, nel diritto, nella cultura, nella nostra società e nelle sue istituzioni. Ha aperto la possibilità di un cambiamento epistemologico radicale nelle scienze e di nuovi esercizi di cittadinanza, come ha evidenziato il seminario su “L’eredità di Basaglia”, svoltosi a Oxford nel 2018 e che ha riunito i rappresentanti di 15 paesi dell’Europa e dell’America Latina, oltre i leader della Organizzazione Mondiale della Sanità.

Franca Ongaro presentando la raccolta degli scritti del marito diceva: “Questa raccolta di scritti è la storia di una vita, di un’impresa, di un pensiero” e poi precisava: “Non credo si possa parlare di un “pensiero” di Franco disgiunto da una pratica che non produca un pensiero o che non sia soggetto e oggetto di un pensiero”.

Ci si potrebbe chiedere, tuttavia, quale senso abbia riportarci a un passato, che sembra così lontano dallo attuale presente, non tanto per il numero di anni trascorsi, quanto per l’ampiezza dei cambiamenti sociali e politici intervenuti. Nulla sembra sottrarsi, ormai, all’erosione di “un già detto” e la velocità che ci governa non consente di approfondire non solo il senso degli eventi passati, ma, spesso, nemmeno di quelli presenti. La “modernità” sembrerebbe imporci l’esigenza di accantonare ogni mitologia riferita a quella stagione del passato a cui appartiene Franco Basaglia, per l’inattualità delle prospettive, delle problematiche, dei linguaggi. Ma siamo sicuri che sia proprio così?

Noi riteniamo, al contrario, che leggendo gli scritti di Franco, riflettendo sulla sua impresa possiamo verificare la consistenza dei progressi teorici e pratici realizzati a partire da quelle riflessioni e, nello stesso tempo, percepire quanto cammino dobbiamo ancora percorrere per corrispondere proprio a quelle sollecitazioni.

L’attualità del pensiero di Basaglia risiede semplicemente nella sua inattualità! Inattualità rispetto al potere prevaricante e, oggi, rispetto a un mondo dominato dall’ascensione di governi antidemocratici e negazionisti, dall’espandersi di una cultura dell’odio e del discredito, in cui prevale la logica della guerra e appaiono inevitabili la catastrofe ecologica, la disuguaglianza, l’ingiustizia. Inattuale, perché il pensiero di Franco e dei tanti altri, che hanno lottato contro le istituzioni della violenza e della manipolazione, risiede nell’utopia – “l’Utopia della realtà”1 – che si contrappone al “realismo” senza speranza e al sentimento di impotenza che ci assale di fronte al potere totalizzante di un sistema politico e sociale sprovvisto di etica e di giustizia. Ci riferiamo, naturalmente, a una utopia che non è il sogno ingenuo, illusorio e confortante di un mondo migliore. Intendiamo l’utopia come l’esplorazione di nuove possibilità e volontà, attraverso l’opposizione della immaginazione alla necessità dell’esistente, solo perché esiste; opposizione e lotta in nome del diritto a una vita radicalmente migliore, che tutti meritiamo. In questa prospettiva l’utopia riguarda il presente più che il futuro. Esprime l’attenzione lucida e la volontà determinata di conseguire ciò che oggi non esiste e che invece potrebbe essere, o meglio che è già presente come contro parte di quanto esiste, ma che rimane silenzioso, invisibile.

Per riflettere su questa impresa ci è sembrato opportuno/ necessario promuovere queste giornate seminariali. Lo facciamo cercando di evitare ogni retorica, ogni mitizzazione o monumentalizzazione del personaggio. Parlare di Franco Basaglia può aiutare a riflettere su di noi e cercare/ chiarire la direzione su cui orientare la nostra pratica, la nostra dimensione esistenziale

Ci sembra, tuttavia, altrettanto importante allargare in futuro la riflessione sul tema della utopia – o meglio sull’Utopia della realtà – non solo sul tema della salute e della salute mentale, ma anche rispetto ad altri ambiti – l’arte, la letteratura, la politica, l’educazione, i diritti. Cercheremo di farlo con spirito basagliano: evitando il rischio, sempre presente, di creare nuove ideologie, allargando la nostra riflessione sulla dialettica del cambiamento, sempre possibile e necessario, che è contemporaneamente negazione/ creazione/ invenzione di realtà in una costante transizione.

Ernesto Venturini

Il programma

5 OTTOBRE 2024

Cineteca, Rimini

Ore 9.30

Saluti istituzionali

Chiara Bellini, vicesindaca del Comune di Rimini

Cristian Tamagnini, presidente Cooperativa Sociale Cento Fiori.

Leonardo Montecchi, Direttore Scuola di prevenzione “Josè Bléger”

Ernesto Venturini, coordinatore CIAO – Centro Studi Italo-Brasiliano “Franco e Franca Basaglia”

Seminario

La libertà è terapeutica- Storia e attualità del percorso di deistituzionalizzazione

Intervengono:

Ernesto Venturini (già Direttore OP Imola e collaboratore di Basaglia a Gorizia e Trieste)

Stella Goulart (Professoressa di psicologia – Università Federale del Minas Gerais)

Leonardo Montecchi (già Psichiatra Ser.T e Scuola di prevenzione Josè Bléger – Rimini) Luca Negrogno (Coordinatore di progetti formativi Istituto Minguzzi di Bologna),

Maria Augusta Nicoli (Coordinatrice Rede Unida)

Modera:

Bruna Zani (Professoressa di Psicologia sociale e di comunità – UniBo, Presidente Istituzione Gianfranco Minguzzi, Bologna)

Discussione assembleare

12.30 Pausa pranzo

Ore 14.00

Tavola rotonda

Rimini e la Salute Mentale a 100 anni dalla nascita di Franco Basaglia

Intervengono:

Francesco Sartini (Direttore del DSM-DP di Rimini)

Teo Vignoli (Direttore del SerD di Rimini)

Riccardo Sabatelli (Direttore del CSM di Rimini)

Roberta Rosetti (Direttore della NPIA Rimini)

Cristian Gianfreda (Assessore Servizi Sociali Comune di Rimini)

Vittorio Betti (Fondazione Sergio Zavatta EnAIP)

Max Freschi (Cooperativa la Ginestra)

Bruna Tenenti (Comitato Utenti Familiari Operatori)

Debora Santini (Psicologa Modulo Doppia Diagnosi Coop. Cento Fiori)

Modera:

Simona Di Marco (Psichiatra CSM di Rimini)

Discussione assembleare

Dalle ore 16.30

Presentazione di libri

Mario Colucci e Pierangelo di Vittorio_”Franco Basaglia” (Feltrinelli 2024) e Marica Setaro (a cura di)_“Fare l’impossibile: ragionando di psichiatria e potere” di Franco Basaglia. Modera: Ernesto Venturini (ex Direttore OP Imola e collaboratore di Basaglia a Gorizia e Trieste)

A seguire

Ernesto Venturini_“Mi raccomando non sia troppo basagliano” (Armando, 2020) e Maria Stella Brandao Goulart_ “Rehabilitar: una perspectiva basagliana” (Rede Unida, 2024). Modera: Mauro Bertani (storico del pensiero filosofico e psichiatrico, consulente Einaudi)

ore 21.00

Proiezione di film

E tu slegalo (2024) di Maurizio Sciarra (67′) alla presenza del regista.

Presentano e dialogano con il regista: Marco Bertozzi (professore di Cinema, fotografia e televisione, Università IUAV) ed Ernesto Venturini

6 Ottobre 2024

Cineteca, Rimini

ore 10.30

Proiezione di film

San Clemente (1982) di Raymond Depardon (98 m)

Presenta Davide Montecchi (regista e produttore cinematografico)

Dalle ore 15.00

Costruire Reti”

in dialogo con Anna Poma (psicoterapeuta e organizzatrice del Festival dei Matti di Venezia) e Cristina Zani (psicologa, membro Flai, Forum Lacaniano Italia).

Presentazione di libri

Karen Venturini_ Melanconia con stupore” di (Raffaelli, 2016).

Presenta: Gabriella Maggioli (psicoterapeuta e vicepresidente Coop. Soc. Cento Fiori)

A seguire:

Leonardo Montecchi_”L’ombra dell’angelo” (Sensibili alle foglie, 2021) e Paolo Francesco Peloso_”Franco Basaglia, un profilo. Dalla critica dell’istituzione psichiatrica alla critica della società” (Carocci editore, 2023).

Modera: Mauro Bertani (storico del pensiero filosofico e psichiatrico, consulente Einaudi)

ore 18.30

Letture teatrali

dal laboratorio teatrale di Pietro Conversano con gli ospiti della Comunità Terapeutica di Vallecchio – Coop. Soc. Cento Fiori

Ore 21.00

Proiezione di film

Sull’Adamant – Dove l’impossibile diventa possibile (2023) di Nicolas Philibert (109 min)

Presenta: Annamaria Gradara (giornalista e autrice).

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Tassazione per enunciazione: imposta di registro fissa se l’atto in cui è contenuta la disposizione è soggetto o esente Iva

La tassazione per enunciazione, contenuta nell’art. 22 del d.p.r. 131/86 (Testo Unico dell’Imposta di Registro), prevede che, qualora in un atto siano riportate disposizioni contenute in altri atti scritti o verbali non registrati, quest’ultime devono scontare l’imposta di registro. L’unica condizione è che queste disposizioni enunciate ma non tassate siano poste in essere dagli stessi soggetti che partecipano all’atto principale in cui queste enunciazioni sono riportate. Sul tema è intervenuta recentemente la Cassazione Civile, sez. 5, con sentenza numero 23015/2024 nella quale vengono ribaditi due principi:
  • È sufficiente che l’atto sia enunciato per essere soggetto alla tassazione, non rilevando gli effetti che questo procura alle parti coinvolte;
  • Se la disposizione annunciata sconta l’Iva, ancorchè esente ai sensi dell’art. 10 del DPR 633/72, per il principio di alternatività Iva/imposta di registro, quest’ultima si applica in misura fissa.
Il caso. Il caso trattato dagli Ermellini con la sentenza in commento riguarda un verbale di assemblea dei soci di una società contenente una delibera di aumento di capitale. L’aumento viene liberato con il conferimento di un ramo aziendale, da parte di un socio, e con un conferimento di un credito finanziario da parte dell’altro socio. A seguito del conferimento di un ramo aziendale si è resa necessaria la perizia di stima, che è stata allegata al verbale di assemblea. Nella suddetta perizia di stima sono contenuti, a sua volta, due ulteriori allegati riportanti: il primo un mutuo fruttifero dell’importo di euro 14.839.205,96 e il secondo un prestito infruttifero di euro 7.898.293,53. Entrambi i rapporti sono intercorsi fra gli stessi soggetti che hanno partecipato alla delibera di aumento di capitale. L’Agenzia delle Entrate ha emesso l’avviso di accertamento richiedendo il pagamento dell’imposta di registro proporzionale per entrambi gli atti, in aderenza alla già citata tassazione per enunciazione di cui all’art. 22 del Dpr 131/1986. La Commissione tributaria provinciale, in prima battuta, ha riconosciuto le ragioni del contribuente rigettando la richiesta dell’Ufficio. In secondo grado, invece, la Commissione tributaria regionale ha ribaltato l’esito, ritenendo corretto l’operato dell’Agenzia delle Entrate. La decisione. La Corte di Cassazione, con un’articolata decisione, riconosce solo in parte le ragioni del contribuente. In merito alla tassazione per enunciazione nulla rileva, secondo gli Ermellini, il contenuto della disposizione o gli effetti che ne conseguono ai soggetti che partecipano all’atto principale. E’ sufficiente, infatti, che nell’atto oggetto di tassazione per enunciazione siano presenti i soggetti che hanno partecipato all’atto (in tal senso Cassazione, 3841/2023). In ragione di questo, dunque, l’aver riportato due allegati all’interno della perizia di stima nei quali si enunciano un mutuo fruttifero e un prestito fruttifero, legittima l’Agenzia delle Entrate a richiedere l’imposta di registro per il principio dell’enunciazione. Ciò che diverge, però, rispetto alla richiesta del Fisco è la misura dell’imposta da applicare. La Corte osserva che il mutuo fruttifero è esente Iva ai sensi dell’art. 10 n.1 del D.p.r. 633/72. In ragione del principio di alternatività Iva/imposta di registro, gli atti esentati scontano comunque teoricamente l’Iva e, di conseguenza, sono sottoposti a registrazione in caso d’uso con l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa. Pertanto viene ridotto, in questo caso, l’importo richiesto dall’Agenzia dell’Entrate che, al contrario, ha applicato l’imposta in misura proporzionale. Analogo ragionamento, invece, non si può fare per il prestito infruttifero, in quanto non è una disposizione onerosa e, di conseguenza, non rientra all’interno della disciplina di applicazione dell’Iva. Di fatto è una operazione fuori campo Iva. In questo caso, quindi, l’imposta di registro da applicare è quella proporzionale.

 

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Tassazione per enunciazione: imposta di registro fissa se l’atto in cui è contenuta la disposizione è soggetto o esente Iva

La tassazione per enunciazione, contenuta nell’art. 22 del d.p.r. 131/86 (Testo Unico dell’Imposta di Registro), prevede che, qualora in un atto siano riportate disposizioni contenute in altri atti scritti o verbali non registrati, quest’ultime devono scontare l’imposta di registro. L’unica condizione è che queste disposizioni enunciate ma non tassate siano poste in essere dagli stessi soggetti che partecipano all’atto principale in cui queste enunciazioni sono riportate. Sul tema è intervenuta recentemente la Cassazione Civile, sez. 5, con sentenza numero 23015/2024 nella quale vengono ribaditi due principi:
  • È sufficiente che l’atto sia enunciato per essere soggetto alla tassazione, non rilevando gli effetti che questo procura alle parti coinvolte;
  • Se la disposizione annunciata sconta l’Iva, ancorchè esente ai sensi dell’art. 10 del DPR 633/72, per il principio di alternatività Iva/imposta di registro, quest’ultima si applica in misura fissa.
Il caso. Il caso trattato dagli Ermellini con la sentenza in commento riguarda un verbale di assemblea dei soci di una società contenente una delibera di aumento di capitale. L’aumento viene liberato con il conferimento di un ramo aziendale, da parte di un socio, e con un conferimento di un credito finanziario da parte dell’altro socio. A seguito del conferimento di un ramo aziendale si è resa necessaria la perizia di stima, che è stata allegata al verbale di assemblea. Nella suddetta perizia di stima sono contenuti, a sua volta, due ulteriori allegati riportanti: il primo un mutuo fruttifero dell’importo di euro 14.839.205,96 e il secondo un prestito infruttifero di euro 7.898.293,53. Entrambi i rapporti sono intercorsi fra gli stessi soggetti che hanno partecipato alla delibera di aumento di capitale. L’Agenzia delle Entrate ha emesso l’avviso di accertamento richiedendo il pagamento dell’imposta di registro proporzionale per entrambi gli atti, in aderenza alla già citata tassazione per enunciazione di cui all’art. 22 del Dpr 131/1986. La Commissione tributaria provinciale, in prima battuta, ha riconosciuto le ragioni del contribuente rigettando la richiesta dell’Ufficio. In secondo grado, invece, la Commissione tributaria regionale ha ribaltato l’esito, ritenendo corretto l’operato dell’Agenzia delle Entrate. La decisione. La Corte di Cassazione, con un’articolata decisione, riconosce solo in parte le ragioni del contribuente. In merito alla tassazione per enunciazione nulla rileva, secondo gli Ermellini, il contenuto della disposizione o gli effetti che ne conseguono ai soggetti che partecipano all’atto principale. E’ sufficiente, infatti, che nell’atto oggetto di tassazione per enunciazione siano presenti i soggetti che hanno partecipato all’atto (in tal senso Cassazione, 3841/2023). In ragione di questo, dunque, l’aver riportato due allegati all’interno della perizia di stima nei quali si enunciano un mutuo fruttifero e un prestito fruttifero, legittima l’Agenzia delle Entrate a richiedere l’imposta di registro per il principio dell’enunciazione. Ciò che diverge, però, rispetto alla richiesta del Fisco è la misura dell’imposta da applicare. La Corte osserva che il mutuo fruttifero è esente Iva ai sensi dell’art. 10 n.1 del D.p.r. 633/72. In ragione del principio di alternatività Iva/imposta di registro, gli atti esentati scontano comunque teoricamente l’Iva e, di conseguenza, sono sottoposti a registrazione in caso d’uso con l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa. Pertanto viene ridotto, in questo caso, l’importo richiesto dall’Agenzia dell’Entrate che, al contrario, ha applicato l’imposta in misura proporzionale. Analogo ragionamento, invece, non si può fare per il prestito infruttifero, in quanto non è una disposizione onerosa e, di conseguenza, non rientra all’interno della disciplina di applicazione dell’Iva. Di fatto è una operazione fuori campo Iva. In questo caso, quindi, l’imposta di registro da applicare è quella proporzionale.

 

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Contributi a fondo perduto della Regione Marche per le nuove imprese create da disoccupati.

Incentivare la nascita di nuove imprese all’interno del proprio territorio e contemporaneamente favorire l’autoimprenditorialità delle persone disoccupate: con questa finalità la Regione Marche, con avviso pubblico pubblicato sul Bur del 31 luglio 2024,  ha previsto la concessione di un contributo a fondo perduto di 20.000 euro a favore di disoccupati che intendono creare una nuova impresa. Il contributo concesso è forfettario: non necessita, quindi, presentare un piano di spesa dettagliato, ma verrà concesso sulla base dell’idea progettuale presentata, valutata secondo alcuni criteri specifici. I requisiti per accedere a questa agevolazione sono:
  • essere disoccupati da almeno sei mesi e avere sottoscritto un Patto di Servizio con uno dei centri dell’impiego;
  • avere la residenza nelle Marche;
  • avere un’età compresa fra i 18 e i 65 anni.
Le imprese beneficiarie per accedere al contributo dovranno possedere i seguenti requisiti:
  • essere costituite successivamente alla pubblicazione dell’avviso pubblico e dopo la presentazione della domanda di contributo. La domanda, quindi, deve essere presentata con l’impresa ancora non costituita;
  • essere iscritte alla Camera di Commercio;
  • avere una posizione INPS aperta
  • avere presentato la Comunicazione di inizio attività;
  • avere la sede o una unità locale all’interno del territorio della Regione Marche
  • avere come soci esclusivamente persone fisiche. La maggioranza di questi deve essere costituita dal soggetto che ha presentato la domanda;
  • Essere micro o pmi ai sensi della disciplina vigente
Possono accedere al contributo a fondo perduto anche gli studi professionali, purchè rispettino i seguenti requisiti:
  • avere aperto la partita iva successivamente alla pubblicazione del bando e dopo la presentazione della domanda di contributo;
  • avere la sede operativa nella Regione Marche;
  • essere costituiti esclusivamente da persone fisiche.
La domanda, in via telematica, dovrà essere presentata all’interno di due finestre temporali ben precise:
  • La prima si aprirà il 10.09.2024 e terminerà il 31.10.2024;
  • La seconda si aprirà il 10.09.2025 e terminerà il 31.10.2025.
Le domande saranno valutate tenendo presente la Qualità del progetto presentato (che peserà per il 40%) e l’Efficacia potenziale. All’interno della Qualità, si terrà conto sia del grado di affidabilità del progetto sia della qualità dell’imprese proponente. All’interno dell’Efficacia potenziale si terrà conto dell’anzianità dell’inoccupazione dei proponenti, della localizzazione e della tipologia dei soggetti destinatari. Notizie ImpreseOggi
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Contributi a fondo perduto della Regione Marche per le nuove imprese create da disoccupati.

Incentivare la nascita di nuove imprese all’interno del proprio territorio e contemporaneamente favorire l’autoimprenditorialità delle persone disoccupate: con questa finalità la Regione Marche, con avviso pubblico pubblicato sul Bur del 31 luglio 2024,  ha previsto la concessione di un contributo a fondo perduto di 20.000 euro a favore di disoccupati che intendono creare una nuova impresa. Il contributo concesso è forfettario: non necessita, quindi, presentare un piano di spesa dettagliato, ma verrà concesso sulla base dell’idea progettuale presentata, valutata secondo alcuni criteri specifici. I requisiti per accedere a questa agevolazione sono:
  • essere disoccupati da almeno sei mesi e avere sottoscritto un Patto di Servizio con uno dei centri dell’impiego;
  • avere la residenza nelle Marche;
  • avere un’età compresa fra i 18 e i 65 anni.
Le imprese beneficiarie per accedere al contributo dovranno possedere i seguenti requisiti:
  • essere costituite successivamente alla pubblicazione dell’avviso pubblico e dopo la presentazione della domanda di contributo. La domanda, quindi, deve essere presentata con l’impresa ancora non costituita;
  • essere iscritte alla Camera di Commercio;
  • avere una posizione INPS aperta
  • avere presentato la Comunicazione di inizio attività;
  • avere la sede o una unità locale all’interno del territorio della Regione Marche
  • avere come soci esclusivamente persone fisiche. La maggioranza di questi deve essere costituita dal soggetto che ha presentato la domanda;
  • Essere micro o pmi ai sensi della disciplina vigente
Possono accedere al contributo a fondo perduto anche gli studi professionali, purchè rispettino i seguenti requisiti:
  • avere aperto la partita iva successivamente alla pubblicazione del bando e dopo la presentazione della domanda di contributo;
  • avere la sede operativa nella Regione Marche;
  • essere costituiti esclusivamente da persone fisiche.
La domanda, in via telematica, dovrà essere presentata all’interno di due finestre temporali ben precise:
  • La prima si aprirà il 10.09.2024 e terminerà il 31.10.2024;
  • La seconda si aprirà il 10.09.2025 e terminerà il 31.10.2025.
Le domande saranno valutate tenendo presente la Qualità del progetto presentato (che peserà per il 40%) e l’Efficacia potenziale. All’interno della Qualità, si terrà conto sia del grado di affidabilità del progetto sia della qualità dell’imprese proponente. All’interno dell’Efficacia potenziale si terrà conto dell’anzianità dell’inoccupazione dei proponenti, della localizzazione e della tipologia dei soggetti destinatari. Notizie ImpreseOggi
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La proroga dei versamenti si è dimenticata della sanatoria del magazzino.

Passato il 31 di luglio, primo giro di boa della stagione dei versamenti dichiarativi anno di imposta 2023, qualcuno si è accorto, compreso chi scrive, che in alcuni software non vi è la possibilità di indicare la proroga del versamento della prima rata della sanatoria delle rimanenze, che rimane calendarizzata per il 01 luglio. La sanatoria sulle rimanenze di magazzino è prevista dai commi 78 – 85 della Legge di Stabilità 2023. Permette l’adeguamento, sia in aumento che in diminuzione, delle rimanenze di magazzino contabilizzate al 01 gennaio 2023 e si applica a tutte le imprese che non adottano i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio di esercizio. L’imposta la rivalutazione è pari al 18% del valore adeguato. Nel caso di diminuzione delle rimanenze contabilizzate al 01 gennaio è dovuta anche l’Iva, con un meccanismo di calcolo che solo il 24 giugno 2024 il Ministero ha reso pubblico. Per avere efficacia, l’adeguamento deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi riferita all’anno di imposta 2023. L’eventuale omesso versamento dell’imposta sostitutiva non inficia la possibilità di utilizzare il valore adeguato delle rimanenze, ma rileva solamente ai fini dell’iscrizione a ruolo delle somme dovute. Per spiegare il perché la proroga vale anche per il versamento della prima rata della sanatoria, occorre partire dal dato letterario dell’articolo 37 del D. Lgs. 13/2024. La norma si limita a disporre il rinvio dei versamenti “risultanti dalle dichiarazioni dei redditi e da quelle in materia di imposta regionale sulle attività produttive e di imposta sul valore aggiunto” per i soggetti che esercitano attività per i quali sono approvati gli Isa. Non si menziona il versamento dell’imposta sostitutiva. Tuttavia, tale dimenticanza può apparire solo come un piccolo peccato veniale piuttosto che una precisa volontà del Legislatore. La risposta la si trova nel combinato disposto fra l’articolo 37 appena citato e il comma 82 della Legge di Stabilità laddove è previsto che le imposte sostitutive dovute “sono versate in due rate di pari importo, di cui la prima con scadenza entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi” relative al periodo d'imposta 2023 mentre la seconda “entro il termine di versamento della seconda o unica rata dell'acconto delle imposte sui redditi relativa al periodo d'imposta successivo”. La Legge di Stabilità non fa menzione di una scadenza specifica ma rimanda, attraverso una locuzione generica, al termine di versamento delle imposte sui redditi. Di conseguenza, quindi, la proroga del versamento, se non per espressa previsione di legge, avviene di fatto in quanto legata a un altro termine di versamento oggetto di rinvio esplicito. Tale interpretazione è coerente anche con quanto previsto dalle norme relative al versamento del diritto annuale della Camera di Commercio. In questo caso il versamento, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, d.m. 11 maggio 2001 n. 359, deve essere fatto entro il termine previsto per il pagamento del primo acconto delle imposte sui redditi. La proroga dell’articolo 37 del D. Lgs. 13/2024, non indica anche quella del diritto camerale. E’ pacificamente accettato, soprattutto perchè mai contestato, che il differimento del termine del versamento delle imposte sui redditi porta con sé anche quello del diritto camerale, perché ad esso collegato per legge. Non si comprenderebbe, dunque, perché ciò non possa avvenire anche per le imposte sostitutive sull’adeguamento delle rimanenze di magazzino, anch’esse agganciate, per il versamento, al suddetto termine. Analisi e commenti ImpreseOggi
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La proroga dei versamenti si è dimenticata della sanatoria del magazzino.

Passato il 31 di luglio, primo giro di boa della stagione dei versamenti dichiarativi anno di imposta 2023, qualcuno si è accorto, compreso chi scrive, che in alcuni software non vi è la possibilità di indicare la proroga del versamento della prima rata della sanatoria delle rimanenze, che rimane calendarizzata per il 01 luglio. La sanatoria sulle rimanenze di magazzino è prevista dai commi 78 – 85 della Legge di Stabilità 2023. Permette l’adeguamento, sia in aumento che in diminuzione, delle rimanenze di magazzino contabilizzate al 01 gennaio 2023 e si applica a tutte le imprese che non adottano i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio di esercizio. L’imposta la rivalutazione è pari al 18% del valore adeguato. Nel caso di diminuzione delle rimanenze contabilizzate al 01 gennaio è dovuta anche l’Iva, con un meccanismo di calcolo che solo il 24 giugno 2024 il Ministero ha reso pubblico. Per avere efficacia, l’adeguamento deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi riferita all’anno di imposta 2023. L’eventuale omesso versamento dell’imposta sostitutiva non inficia la possibilità di utilizzare il valore adeguato delle rimanenze, ma rileva solamente ai fini dell’iscrizione a ruolo delle somme dovute. Per spiegare il perché la proroga vale anche per il versamento della prima rata della sanatoria, occorre partire dal dato letterario dell’articolo 37 del D. Lgs. 13/2024. La norma si limita a disporre il rinvio dei versamenti “risultanti dalle dichiarazioni dei redditi e da quelle in materia di imposta regionale sulle attività produttive e di imposta sul valore aggiunto” per i soggetti che esercitano attività per i quali sono approvati gli Isa. Non si menziona il versamento dell’imposta sostitutiva. Tuttavia, tale dimenticanza può apparire solo come un piccolo peccato veniale piuttosto che una precisa volontà del Legislatore. La risposta la si trova nel combinato disposto fra l’articolo 37 appena citato e il comma 82 della Legge di Stabilità laddove è previsto che le imposte sostitutive dovute “sono versate in due rate di pari importo, di cui la prima con scadenza entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi” relative al periodo d'imposta 2023 mentre la seconda “entro il termine di versamento della seconda o unica rata dell'acconto delle imposte sui redditi relativa al periodo d'imposta successivo”. La Legge di Stabilità non fa menzione di una scadenza specifica ma rimanda, attraverso una locuzione generica, al termine di versamento delle imposte sui redditi. Di conseguenza, quindi, la proroga del versamento, se non per espressa previsione di legge, avviene di fatto in quanto legata a un altro termine di versamento oggetto di rinvio esplicito. Tale interpretazione è coerente anche con quanto previsto dalle norme relative al versamento del diritto annuale della Camera di Commercio. In questo caso il versamento, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, d.m. 11 maggio 2001 n. 359, deve essere fatto entro il termine previsto per il pagamento del primo acconto delle imposte sui redditi. La proroga dell’articolo 37 del D. Lgs. 13/2024, non indica anche quella del diritto camerale. E’ pacificamente accettato, soprattutto perchè mai contestato, che il differimento del termine del versamento delle imposte sui redditi porta con sé anche quello del diritto camerale, perché ad esso collegato per legge. Non si comprenderebbe, dunque, perché ciò non possa avvenire anche per le imposte sostitutive sull’adeguamento delle rimanenze di magazzino, anch’esse agganciate, per il versamento, al suddetto termine. Analisi e commenti ImpreseOggi
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Le quote consortili sono escluse dall’applicazione dell’Iva.

L’Agenzia delle Entrate, interpellata sulla questione del corretto trattamento Iva dei contributi consortili, ritiene che quest’ultimi non rientrino nell’ambito di applicazione dell’Iva ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del D.p.r. 633/1972, purchè non siano parametrati alle prestazioni che i singoli consorziati ricevono dal Consorzio stesso. Cosi si è espressa nella risposta all'interpello 164 del 01 agosto 2024.  Il ragionamento che l'Ufficio svolge per arrivare a tale conclusione parte dalla lettura dell’art. 3 del Dpr 633/72, nella parte in cui al comma 1 è previsto che “costituiscono prestazioni di servizio le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazione di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”. La Corte di Giustizia Ue, con le sentenze C-283/12 del 2013 e C-11/15 del 2016, ha stabilito che nel qualificare come a titolo oneroso una prestazione di servizio, è necessario verificare innanzitutto l’esistenza di un nesso causale fra la prestazione svolta e il corrispettivo ricevuto. Questo nesso esiste quando tra i due soggetti che partecipano allo scambio il corrispettivo concordato sia considerato come il controvalore per i servizi ricevuti. In sostanza vi deve essere un rapporto sinallagmatico fra versamento di denaro e prestazione eventualmente ricevuta dal Consorzio. Quando questo rapporto non esiste o non è ravvisabile, non siamo in presenza di una prestazione di servizio, e pertanto, la dazione di denaro al consorzio è da considerarsi fuori campo iva in quanto carente dei requisiti di cui all’art. 3 del D.p.r. 633/72. Infine, nella risposta in commento, l’Agenzia delle Entrate tiene a precisare che non è sufficiente fare riferimento alla definizione di quota consortile contenuta nello Statuto del Consorzio. Nella realtà, infatti, può succedere che queste vengano determinate sulla base delle prestazioni che i singoli consorziati ricevono durante il corso dell’anno. In tal caso, dunque, va applicata l’Iva ancorchè queste somme di denaro versate sia indicate genericamente come “quote consortili”. Tale osservazione trova riscontro anche nella risposta 361/2021, che a sua volta richiama la vecchia risoluzione n. 156/E del 1996. Notizie ImpreseOggi
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Le quote consortili sono escluse dall’applicazione dell’Iva.

L’Agenzia delle Entrate, interpellata sulla questione del corretto trattamento Iva dei contributi consortili, ritiene che quest’ultimi non rientrino nell’ambito di applicazione dell’Iva ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del D.p.r. 633/1972, purchè non siano parametrati alle prestazioni che i singoli consorziati ricevono dal Consorzio stesso. Cosi si è espressa nella risposta all'interpello 164 del 01 agosto 2024.  Il ragionamento che l'Ufficio svolge per arrivare a tale conclusione parte dalla lettura dell’art. 3 del Dpr 633/72, nella parte in cui al comma 1 è previsto che “costituiscono prestazioni di servizio le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazione di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”. La Corte di Giustizia Ue, con le sentenze C-283/12 del 2013 e C-11/15 del 2016, ha stabilito che nel qualificare come a titolo oneroso una prestazione di servizio, è necessario verificare innanzitutto l’esistenza di un nesso causale fra la prestazione svolta e il corrispettivo ricevuto. Questo nesso esiste quando tra i due soggetti che partecipano allo scambio il corrispettivo concordato sia considerato come il controvalore per i servizi ricevuti. In sostanza vi deve essere un rapporto sinallagmatico fra versamento di denaro e prestazione eventualmente ricevuta dal Consorzio. Quando questo rapporto non esiste o non è ravvisabile, non siamo in presenza di una prestazione di servizio, e pertanto, la dazione di denaro al consorzio è da considerarsi fuori campo iva in quanto carente dei requisiti di cui all’art. 3 del D.p.r. 633/72. Infine, nella risposta in commento, l’Agenzia delle Entrate tiene a precisare che non è sufficiente fare riferimento alla definizione di quota consortile contenuta nello Statuto del Consorzio. Nella realtà, infatti, può succedere che queste vengano determinate sulla base delle prestazioni che i singoli consorziati ricevono durante il corso dell’anno. In tal caso, dunque, va applicata l’Iva ancorchè queste somme di denaro versate sia indicate genericamente come “quote consortili”. Tale osservazione trova riscontro anche nella risposta 361/2021, che a sua volta richiama la vecchia risoluzione n. 156/E del 1996. Notizie ImpreseOggi
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Corte costituzionale: al convivente di fatto si applica la disciplina prevista per l’impresa familiare ex art. 230-bis del codice civile

Con sentenza n. 148/2024 del 04 luglio 2024 depositata il 25 luglio 2024 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 230 bis terzo comma del Codice Civile nella parte in cui non prevede, riguardo alla disciplina dell’impresa familiare, che il convivente di fatto (o convivente more uxorio) sia equiparato a un familiare. Tale dichiarazione di incostituzionalità, poi, implica che deve essere altresì essere dichiarato incostituzionale l’intero articolo art. 230-ter del codice civile in quanto prevede una disciplina speciale e depotenziata del lavoro prestato dal convivente di fatto nell’impresa familiare. Con ordine. L’articolo 230 bis terzo comma considera come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo. Per “impresa familiare”, invece, si intende l’impresa nella quale collabora il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo. Dalla lettura, dunque, si ravvisa che il convivente di fatto (o convivente more uxorio) non può partecipare all’impresa familiare. Per lui è riservata una disciplina speciale contenuta nell’articolo 230-ter. Disciplina, però, che limita il diritto del convivente rispetto a quello del familiare: al primo, infatti, non spetta il diritto al mantenimento ma solo una partecipazione basata sui risultati economici dell’impresa in proporzione al lavoro prestato. In più per il convivente non è nemmeno previsto un diritto di prelazione in caso di divisione ereditaria o di cessione dell’impresa; è escluso anche un diritto di partecipazione alle decisioni aziendali, che possono essere prese solo dal titolare o dai familiari che eventualmente collaborano con lui. Si ricorda, per completezza espositiva, che la legge 76/2016 all’articolo 1 comma 36 intende come conviventi di fatto “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità, adozione, da matrimonio o da unione civile”. In più, il comma 37, prevede che la stabile convivenza sia da determinare sulla base anche della residenza anagrafica dei due soggetti la quale, qualora coincida, indica chiaramente la stabilità del rapporto affettivo. Nel dichiarare l’incostituzionalità dei due riferimenti normativi in esame, la Corte Costituzionale si basa anche sul fatto che le convivenze di fatto sono un diffuso fenomeno sociale tanto da sopravanzare in numero i matrimoni tradizionali diventando di fatto un tipo di rapporto interpersonale comunemente accettato. In ragione di questa diffusione, i rapporti interpersonali basati sulle convivenze di fatto meritano una tutela al pari di quelli basati su matrimoni formalizzati. Di conseguenza la Consulta non può far altro che dichiarare incostituzionale una disciplina civilistica che riduce i diritti patrimoniali dei conviventi all’interno di una impresa familiare. Notizie ImpreseOggi
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Corte costituzionale: al convivente di fatto si applica la disciplina prevista per l’impresa familiare ex art. 230-bis del codice civile

Con sentenza n. 148/2024 del 04 luglio 2024 depositata il 25 luglio 2024 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 230 bis terzo comma del Codice Civile nella parte in cui non prevede, riguardo alla disciplina dell’impresa familiare, che il convivente di fatto (o convivente more uxorio) sia equiparato a un familiare. Tale dichiarazione di incostituzionalità, poi, implica che deve essere altresì essere dichiarato incostituzionale l’intero articolo art. 230-ter del codice civile in quanto prevede una disciplina speciale e depotenziata del lavoro prestato dal convivente di fatto nell’impresa familiare. Con ordine. L’articolo 230 bis terzo comma considera come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo. Per “impresa familiare”, invece, si intende l’impresa nella quale collabora il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo. Dalla lettura, dunque, si ravvisa che il convivente di fatto (o convivente more uxorio) non può partecipare all’impresa familiare. Per lui è riservata una disciplina speciale contenuta nell’articolo 230-ter. Disciplina, però, che limita il diritto del convivente rispetto a quello del familiare: al primo, infatti, non spetta il diritto al mantenimento ma solo una partecipazione basata sui risultati economici dell’impresa in proporzione al lavoro prestato. In più per il convivente non è nemmeno previsto un diritto di prelazione in caso di divisione ereditaria o di cessione dell’impresa; è escluso anche un diritto di partecipazione alle decisioni aziendali, che possono essere prese solo dal titolare o dai familiari che eventualmente collaborano con lui. Si ricorda, per completezza espositiva, che la legge 76/2016 all’articolo 1 comma 36 intende come conviventi di fatto “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità, adozione, da matrimonio o da unione civile”. In più, il comma 37, prevede che la stabile convivenza sia da determinare sulla base anche della residenza anagrafica dei due soggetti la quale, qualora coincida, indica chiaramente la stabilità del rapporto affettivo. Nel dichiarare l’incostituzionalità dei due riferimenti normativi in esame, la Corte Costituzionale si basa anche sul fatto che le convivenze di fatto sono un diffuso fenomeno sociale tanto da sopravanzare in numero i matrimoni tradizionali diventando di fatto un tipo di rapporto interpersonale comunemente accettato. In ragione di questa diffusione, i rapporti interpersonali basati sulle convivenze di fatto meritano una tutela al pari di quelli basati su matrimoni formalizzati. Di conseguenza la Consulta non può far altro che dichiarare incostituzionale una disciplina civilistica che riduce i diritti patrimoniali dei conviventi all’interno di una impresa familiare. Notizie ImpreseOggi
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L’esenzione Imu spetta alla Società Sportiva dilettantistiche purchè gli immobili esenti siano destinati ad attività prive di lucro.

Alle società sportive dilettantistiche spetta l’esenzione Imu purchè negli immobili esenti siano svolte attività senza fine di lucro. Lo stabilisce la Corte di Cassazione, con sentenza numero 17968/2024 del 15.03.2024, pubblicata il giorno 01.07.2024. Il caso trae origine da un avviso di accertamento emesso nel 2018 per l’Imu dovuta nel 2013 da una S.S.D, nel quale il Comune non ha ritenuto sussistere le condizioni soggettive ed oggettive necessarie a riconoscere l’esenzione Imu per le attività non commerciali. In particolare, per quanto riguarda il criterio soggettivo, per l’ente locale le Società Sportive Dilettantistiche non possono essere equiparate alle A.s.d. Nel caso di specie, poi, non si ravvisa nemmeno il criterio oggettivo, in quanto all’interno dell’immobile viene svolta una attività senza dubbio lucrativa. Per amor di cronaca, il caso in commento finisce con dare torto al contribuente ricorrente, riconoscendo le ragioni dell’ente impositore, in quanto non sussistente il criterio oggettivo. Tuttavia la sentenza offre una lettura ben precisa, al di là del caso contingente, della norma in materia di esenzione a favore di enti che svolgono attività sportiva dilettantistica. La Corte di Cassazione, prima di tutto, interviene sulla corretta interpretazione del criterio soggettivo, smentendo la tesi sostenuta dall’ente locale. Lo fa attraverso la lettura combinata dell’art. 7 lett. i del D. Lgs. 504/92 in materia di esenzione Ici (traslata, per effetto dei rinvii normativi, sull’Imu) e l’art. 90 della legge 289/02 in materia di società sportiva dilettantistica. In particolare quest’ultima prevede che le norme di natura tributaria riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle società sportive dilettantistiche in forma di società di capitali, purchè queste escludano il lucro. Ulteriore condizione è che l’attività sportiva svolta da quest’ultime deve rientrare tra quelle riconosciute dal Coni e la società sia affiliata a un ente sportivo formalmente riconosciuto ai sensi dell’art. 90 della legge 289/02. Sotto il profilo oggettivo, invece, la Corte di Cassazione stabilisce che l’esenzione viene riconosciuta solo nel caso in cui l’immobile sia destinato allo svolgimento di attività non commerciali. Tale dimostrazione è a carico del contribuente ed è fondamentale anche la classificazione catastale dell’immobile stesso oggetto di esenzione. Nel caso in commento, ad esempio, quest’ultimo ha la categoria catastale D6, cioè impianti sportivi. La Cassazione osserva che questo tipo di destinazione può essere consona anche allo svolgimento di attività lucrative e, di conseguenza, in assenza di qualsiasi dimostrazione contraria, si presume che al suo interno la società ricorrente svolga una attività con scopo di lucro. Notizie ImpreseOggi
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L’esenzione Imu spetta alla Società Sportiva dilettantistiche purchè gli immobili esenti siano destinati ad attività prive di lucro.

Alle società sportive dilettantistiche spetta l’esenzione Imu purchè negli immobili esenti siano svolte attività senza fine di lucro. Lo stabilisce la Corte di Cassazione, con sentenza numero 17968/2024 del 15.03.2024, pubblicata il giorno 01.07.2024. Il caso trae origine da un avviso di accertamento emesso nel 2018 per l’Imu dovuta nel 2013 da una S.S.D, nel quale il Comune non ha ritenuto sussistere le condizioni soggettive ed oggettive necessarie a riconoscere l’esenzione Imu per le attività non commerciali. In particolare, per quanto riguarda il criterio soggettivo, per l’ente locale le Società Sportive Dilettantistiche non possono essere equiparate alle A.s.d. Nel caso di specie, poi, non si ravvisa nemmeno il criterio oggettivo, in quanto all’interno dell’immobile viene svolta una attività senza dubbio lucrativa. Per amor di cronaca, il caso in commento finisce con dare torto al contribuente ricorrente, riconoscendo le ragioni dell’ente impositore, in quanto non sussistente il criterio oggettivo. Tuttavia la sentenza offre una lettura ben precisa, al di là del caso contingente, della norma in materia di esenzione a favore di enti che svolgono attività sportiva dilettantistica. La Corte di Cassazione, prima di tutto, interviene sulla corretta interpretazione del criterio soggettivo, smentendo la tesi sostenuta dall’ente locale. Lo fa attraverso la lettura combinata dell’art. 7 lett. i del D. Lgs. 504/92 in materia di esenzione Ici (traslata, per effetto dei rinvii normativi, sull’Imu) e l’art. 90 della legge 289/02 in materia di società sportiva dilettantistica. In particolare quest’ultima prevede che le norme di natura tributaria riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle società sportive dilettantistiche in forma di società di capitali, purchè queste escludano il lucro. Ulteriore condizione è che l’attività sportiva svolta da quest’ultime deve rientrare tra quelle riconosciute dal Coni e la società sia affiliata a un ente sportivo formalmente riconosciuto ai sensi dell’art. 90 della legge 289/02. Sotto il profilo oggettivo, invece, la Corte di Cassazione stabilisce che l’esenzione viene riconosciuta solo nel caso in cui l’immobile sia destinato allo svolgimento di attività non commerciali. Tale dimostrazione è a carico del contribuente ed è fondamentale anche la classificazione catastale dell’immobile stesso oggetto di esenzione. Nel caso in commento, ad esempio, quest’ultimo ha la categoria catastale D6, cioè impianti sportivi. La Cassazione osserva che questo tipo di destinazione può essere consona anche allo svolgimento di attività lucrative e, di conseguenza, in assenza di qualsiasi dimostrazione contraria, si presume che al suo interno la società ricorrente svolga una attività con scopo di lucro. Notizie ImpreseOggi
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“Il tempo è denaro”: al via il progetto innovativo di prossimità itinerante dell’unità di strada per giocatori d’azzardo

Cooperativa sociale Cento Fiori - Mer, 03/07/2024 - 16:11
Ausl Romagna / Dipendenze Patologiche, i comuni di Riccione e Rimini con Cento Fiori, Rete Gap dal 5 luglio coinvolgono in un progetto le sale giochi, cominciando dalla disponibilità della sala Giochi Smeraldo di Miramare

L’U.O.C. Dipendenze Patologiche di Rimini Ausl Romagna diretta dal Dott. Teo Vignoli, insieme ai Comuni dei Distretti di Rimini e Riccione, nell’ambito del progetto Circolando con la Cooperativa Sociale Cento Fiori, unitamente alla collaborazione della rete GAP di Rimini e Riccione, darà avvio dal prossimo 5 luglio un servizio innovativo tramite una unità mobile che si sposterà tra i principali luoghi di gioco d’azzardo – con a bordo operatori specializzati – per fornire supporto ai giocatori, offrendo un confronto specializzato per aiutarli a gestire il tempo di gioco e la quantità di denaro speso.

Nello specifico, l’iniziativa si inserisce nell’ambito delle azioni volte a prevenire e ridurre situazioni croniche di dipendenza da gioco, attraverso l’utilizzo di postazioni mobili e di un avvicinamento ai luoghi di gioco, che forniscano ai giocatori occasioni di riflessione critica rispetto ai propri comportamenti di gioco, favorendo una richiesta d’aiuto, limitando il danno e contenendo i rischi di sviluppare un gioco d’azzardo patologico.

Le prime uscite si terranno  venerdì 5/07 e mercoledì 10/7 orario 17-20 presso la Sala Giochi Smeraldo, a Miramare, grazie ad una proficua collaborazione con i gestori della sala, che hanno dato la massima disponibilità a collaborare con l’iniziativa. Nel corso delle uscite operatori esperti saranno a disposizione per fornire consigli e strumenti pratici, promuovendo un approccio al gioco più consapevole e responsabile, offrendo anche informazioni sui servizi disponibili.

Per ulteriori informazioni sui servizi in tema di gioco d’azzardo è possibile rivolgersi agli sportelli di consulenza psicologica e legale: Distretto di Riccione Sportello Match via Mantova, 6 Riccione cell. 351 50 39 709 sportellomatchriccione@gmail.com, Distretto di Rimini Sportello via Bramante, 10 I° piano – Rimini cell. 324 80 36 662 sportellofuorigioco.rn@gmail.com.

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Festival Intrecci Spaziali: sport, giochi, laboratori, musica e teatro per celebrare la giornata mondiale del rifugiato e far conoscere i progetti di Sistema di Accoglienza e Integrazione del territorio

Cooperativa sociale Cento Fiori - Gio, 20/06/2024 - 16:34

Il 20 giugno si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale del Rifugiato, data scelta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per porre l’attenzione su un principio imprescindibile: ogni persona ha il diritto di fuggire da situazioni di guerra, violenza e persecuzioni e di trovare asilo in un altro Paese. Una Giornata dunque per ricordare quanto sia importante costruire coesione e relazioni tra chi arriva e chi accoglie. 

Per celebrare questa ricorrenza i progetti SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione del Ministero dell’Interno) del territorio di Rimini organizzano il Festival Intrecci Spaziali, in programma venerdì 21 giugno al Parco Marecchia, nell’area della Serra Cento Fiori, dal tardo pomeriggio e per tutta la sera. Un’occasione di festa e incontro, tra sport, cibo e musica per raccontare alla cittadinanza i progetti rivolti ai rifugiati, costretti a fuggire dai loro paesi per cercare la salvezza. 

A partire dalle 17 spazio a laboratori per bambini, sfide sportive a biliardino, frisbee, ping pong, animazione e soprattutto tanta musica con un programma ricco e vario: generi diversi, contaminazioni, sonorità che vengono da paesi lontani, strumenti di antiche tradizioni che si mescolano con la musica contemporanea. 

I progetti SAI

Sul territorio provinciale sono presenti quattro progetti SAI: due del Comune di Rimini, uno per adulti e uno per minori stranieri non accompagnati, gestiti con Consorzio Mosaico e associazione Papa Giovanni XXIII. Un SAI adulti è attivo nell’Unione Valmarecchia, insieme a Cento Fiori e Millepiedi, mentre il quarto è in capo al Comune di Riccione insieme al Consorzio Mosaico. 

I Progetti Sai sono progetti di accoglienza diffusa gestiti da equipe formate da operatori del pubblico e del privato sociale e rivolti a persone titolari di qualche forma di protezione o persone vulnerabili che hanno fatto richiesta d’asilo. Oltre all’accoglienza materiale, i Sai forniscono servizi di orientamento sociale e psicosocio sanitario per stimolare l’autonomia supportando cioè l’apprendimento della lingua italiana, la ricerca dell’abitazione e la formazione professionale, nella consapevolezza che l’inserimento lavorativo dei rifugiati e dei migranti è il primo passo verso una reale integrazione. Dietro ai percorsi Sai ci sono infatti storie di ragazzi con un passato doloroso e complesso alle spalle. Giovani che però qui, mediante la partecipazione a questi progetti, ritrovano speranza e riescono a dare una svolta al loro futuro integrandosi nel tessuto sociale ed economico del territorio. Attraverso queste esperienze, infatti, molti di loro trovano una nuova vita nel tessuto sociale ed economico riminese con opportunità occupazionali in diversi settori, dalle aziende alla fabbriche, dagli alberghi ai ristoranti. E’ successo, ad esempio, ad Houmar, che da anni lavora in un panificio del centro storico, e a Demba che oggi lavora stabilmente in un hotel. Un altro esempio è quello di Kamara Moussa che ora è stato assunto presso un’importante azienda del territorio, mentre nel fine settimana è un resident dj in un locale della costa.

Per queste assunzioni è prezioso anche il contributo del Fondo per il lavoro di Caritas e quello delle famiglie accoglienti che gravitano intorno ad APG 23.

Alcuni numeri

Nel corso dell’ultimo triennio il SAI adulti del Comune di Rimini ha accolto 184 persone, di cui la metà è rimasto sul territorio e mantiene contatti con gli operatori del progetto. 

Il SAI per minori attualmente ospita 9 ragazzi provenienti dall’Africa sub sahariano, 2 dai Balcani, 6 dall’Asia e 4 dal Nord Africa; 27 complessivamente i minori accolti nel triennio. 

Tra questi c’è G., fuggito dalla guerra e arrivato in Italia con il sogno di aprire e gestire una propria officina in cui riparare gli autoveicoli e fare tuning, installando quindi alettoni, neon e altre modifiche estetiche alle auto dei suoi futuri clienti. Proprio a Rimini ha fatto uno stage in un’officina, dove, forte anche dell’entusiasmo che lo contraddistingue, G. ha potuto dimostrare tutte le sue capacità e conoscenze all’interno di quel mondo, tanto che, al termine del tirocinio, l’azienda ha deciso di offrirgli un contratto di lavoro.

IL PROGRAMMA di INTRECCI FESTIVAL

Un programma musicale ricco e vario: generi diversi, contaminazioni, sonorità che vengono da paesi lontani, strumenti di antiche tradizioni che si mescolano con la musica contemporanea. Veri e propri “intrecci” musicali!

dalle 18 alle 20
DJ WIZZY – afrobeat, house music, hip hop e reggaeton.

dalle 20.00 alle 21.30
JABEL KANUTEH E MARCO ZANOTTI

Un duo che si è formato nel 2018, il fulcro della loro musica è il dialogo tra la kora e la batteria.

dalle 21.30 alle 24.00

DEVON MILES FEAT VITANIA AND DJ MR.3

DEVON MILES Polistrumentista, produttore, arrangiatore e cantautore Nigeriano.
VITANIA Cantautrice italiana, finalista di Area Sanremo 2023, ha partecipato all’ Eurovision “una voce per San Marino”.
MARCO TERZO AKA DJ MR.3  I suoi djset sono un viaggio attraverso le sonorità di diversi continenti: dalla musica nera dell’Africa subsahariana al folk, dai paesi dell’est al cantautorato europeo, dall’America Latina alle isole caraibiche. 

IL PROGRAMMA PER I PIÙ PICCOLI

dalle 17 alle 20 

per bambini e bambine dai 6 ai 10 anni

Impastiamoci
Laboratorio di scultura 

a cura di Cidas coop

Voglio volare
Laboratorio per costruire aquiloni e letture 

a cura dell’associazione Arcobaleno

“Sssh…ine”
duo clown I due senza

a cura di Millepiedi

per ragazze e ragazzi dai 10 anni in su

Attività sportive per sfidarsi e divertirsi

• Biliardino

• Frisbee

• Ping pong

• Badminton

Installazione fotografica con testimonianze
5000 km
Le vite sospese della Balkan Route

a cura dell’associazione Rumori Sinistri

Punto informativo 

a cura del Centro Giovani Rm25, dell’Associazione Zavatta e tanti altri.

“Le storie che costellano i progetti del Sai sono le testimonianze di come l’integrazione non sia una parola astratta, ma sia un concetto pratico, con ripercussioni positive per l’intero tessuto sociale e produttivo: da un lato i ragazzi a cui viene offerto un futuro diverso, e dall’altro lato l’arricchimento per tutta la comunità  – è il commento dell’assessore alla protezione sociale del comune di Rimini, Kristian Gianfreda -. La Giornata del Rifugiato che andiamo a celebrare ci ricorda appunto il valore dell’accoglienza quale fattore di coesione che tiene assieme una collettività. Un’occasione per ricordare, ancora una volta, quanto i processi di inclusione siano la chiave per costruire una società più giusta e piena di opportunità”.

“L’importanza delle equipe dei progetti Sai risiede nel suo ruolo di agente del welfare – ha aggiunto Luciano Marzi, Coordinatore progetto Sai Adulti – Consorzio Mosaico -.  Grazie all’accompagnamento e all’orientamento dei beneficiari da parte del team di operatori, infatti, si creano le basi e si facilita una relazione positiva con le comunità locali, mediante un arricchimento reciproco e generale. Questa giornata intende appunto dimostrare che è possibile una relazione armoniosa tra la comunità ospitante e i nuovi arrivati”. 

“Anche lo scorso anno, dopo il dramma dell’alluvione, con i nostri ragazzi siamo stati in prima linea sui territori, dimostrando come l’inclusione possa davvero essere un valore aggiunto per tutti – Hiessel Parra Alvarez, Coordinatore progetto Sai Minori – Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII –  A tal fine, all’interno dei nostri progetti, ci teniamo a lavorare per favorire un pieno coinvolgendo della cittadinanza, per renderla protagonista. Oggi tutto questo lo riscontriamo anche con le accoglienze in famiglia, che negli ultimi anni si sono attivate particolarmente”.

“Abbiamo scelto lo strumento del festival, che quest’anno giunge alla sua seconda edizione, perché rappresenta un luogo aperto a tutte e tutti, dove le persone si ritrovano e possono partecipare a un evento unico e condiviso – ha dichiarato di Gabriele Mancuso della Cooperativa Madonna della Carità – Sai Rimini – Il tema sul palco sarà quello del viaggio, che ogni artista interpreterà a modo suo, in base alla sua sensibilità musicale e sonorità”.

“Sarà una giornata di sensibilizzazione sul tema, di riflessione e condivisione – ha detto Monica Ciavatta della Cooperativa Cento Fiori – ma anche di spensieratezza e divertimento per grandi e piccoli: cibo, giochi, musica e teatro per riunire cittadini, beneficiari e operatori del SAI”.

Parola anche al musicista e comunicatore Demon, tra i protagonisti del Festival: “Eventi come questo sono importanti perché creano un’atmosfera positiva, in cui si mettono da parte pregiudizi e problemi. Sul palcoscenico porterò la mia energia e il mio messaggio che voglio trasmettere ai giovani: trovate voi stessi, adesso. Ogni azione è un seme. Continuate a coltivare la vostra vita”. 

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Enti del terzo settore: imposta di registro, ipotecarie e catastali fisse anche in caso di acquisto immobiliare a rate.

Un Ente del terzo settore che acquista un bene immobile a rate può godere dell’agevolazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa, come previsto dall’art. 82, comma 4, del D. Lgs. 117/2017 (Codice del terzo settore). Lo stabilisce l’Agenzia delle Entrate con la risposta 135/2024 del 18 giugno 2024 fornita a seguito di un interpello presentato da una Aps, riguardante il caso di un acquisto immobiliare a rate, con patto di riservato di proprietà a favore del venditore. Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 1523 del Codice Civile, in caso di vendita a rate con riserva di proprietà, l’acquirente diventa proprietario della cosa trasferita solo al momento del pagamento dell’ultima rata, pur acquisendo i rischi dal momento della sua consegna. L’agevolazione di cui all’art. 82, comma 4, del D. Lgs. 117/2017 stabilisce, invece, che un Ente del terzo settore può godere dell’applicazione dell’imposta di registro e ipotecaria – catastale in misura fissa quando l’immobile acquistato viene utilizzato direttamente per la realizzazione dei propri scopi istituzionali. Questo impegno, prevede la norma, deve essere reso esplicito nell’atto di acquisto e deve essere realizzato nei cinque anni dall’acquisto. L’Agenzia delle Entrate, nella risposta fornita al contribuente, sottolinea come l’articolo 27, comma 3, del Dpr 131/1986 (Testo unico dell’imposta di registro) prevede che le vendite con riserva di proprietà, come quella del caso in commento, non sono sottoposti a condizione sospensiva. Di conseguenza, sul piano fiscale, questi tipi di contratto sono parificati a tutti gli effetti alle vendite, a prescindere dal pagamento o meno dell’ultima rata. Sulla base di questa ricostruzione normativa, quindi, nulla osta affinchè gli Enti del Terzo Settore possano godere a tutti gli effetti, godere dell’agevolazione delle imposte ipotecarie, catastali e di registro anche in caso di acquisto con riserva di proprietà.   Se se un ente del terzo settore e vuoi una consulenza specifica, consulta la nostra pagina dedicata   Notizie ImpreseOggi
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Enti del terzo settore: imposta di registro, ipotecarie e catastali fisse anche in caso di acquisto immobiliare a rate.

Un Ente del terzo settore che acquista un bene immobile a rate può godere dell’agevolazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa, come previsto dall’art. 82, comma 4, del D. Lgs. 117/2017 (Codice del terzo settore). Lo stabilisce l’Agenzia delle Entrate con la risposta 135/2024 del 18 giugno 2024 fornita a seguito di un interpello presentato da una Aps, riguardante il caso di un acquisto immobiliare a rate, con patto di riservato di proprietà a favore del venditore. Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 1523 del Codice Civile, in caso di vendita a rate con riserva di proprietà, l’acquirente diventa proprietario della cosa trasferita solo al momento del pagamento dell’ultima rata, pur acquisendo i rischi dal momento della sua consegna. L’agevolazione di cui all’art. 82, comma 4, del D. Lgs. 117/2017 stabilisce, invece, che un Ente del terzo settore può godere dell’applicazione dell’imposta di registro e ipotecaria – catastale in misura fissa quando l’immobile acquistato viene utilizzato direttamente per la realizzazione dei propri scopi istituzionali. Questo impegno, prevede la norma, deve essere reso esplicito nell’atto di acquisto e deve essere realizzato nei cinque anni dall’acquisto. L’Agenzia delle Entrate, nella risposta fornita al contribuente, sottolinea come l’articolo 27, comma 3, del Dpr 131/1986 (Testo unico dell’imposta di registro) prevede che le vendite con riserva di proprietà, come quella del caso in commento, non sono sottoposti a condizione sospensiva. Di conseguenza, sul piano fiscale, questi tipi di contratto sono parificati a tutti gli effetti alle vendite, a prescindere dal pagamento o meno dell’ultima rata. Sulla base di questa ricostruzione normativa, quindi, nulla osta affinchè gli Enti del Terzo Settore possano godere a tutti gli effetti, godere dell’agevolazione delle imposte ipotecarie, catastali e di registro anche in caso di acquisto con riserva di proprietà.   Se se un ente del terzo settore e vuoi una consulenza specifica, consulta la nostra pagina dedicata   Notizie ImpreseOggi
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