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Cooperativa sociale: iva agevolata al 5% anche sulle prestazioni accessorie.

Una cooperativa sociale può applicare l’iva agevolata al 5% anche alle prestazioni accessorie rese a favore di soggetti ospitati in una casa di cura, a cui fornisce in via principale delle prestazioni socio assistenziali. Questo è il principio espresso dalla sentenza n. 1131/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado dell’Emilia Romagna, sezione 6, sul caso riguardante un accertamento ai fini Iva emesso nei confronti di una cooperativa sociale che gestisce una casa di riposo all’interno della quale, tra gli altri servizi, offre anche quello di parrucchiere, lavanderia, mensa e pulizia dei locali. Oggetto del contendere riguarda il fatto che la cooperativa sociale applica l’aliquota iva agevolata al 5% su tutte le prestazioni rese non distinguendo, secondo il parere dell’Agenzia delle Entrate, quelle naturalmente al 5% come l’attività socio assistenziale, da quelle ad aliquota ordinaria, come il servizio di parrucchiere o lavanderia. Questi servizi, in una logica di ottimizzazione della gestione aziendale, vengono resi da fornitori esterni, i quali però provvedono ad emettere fattura nei confronti della cooperativa sociale applicando le aliquote iva previste per la loro specifica attività. Secondo il parere dell’Ufficio la fatturazione con aliquota agevolata al 5% (prevista dall’articolo 1, comma 960, lettera c) della legge 208/2015) o, a seconda del regime scelto dal contribuente, in esenzione ai sensi dell’art. 10 comma 1 n. 21 del D.p.r. 633/72, è possibile solo nell’ambito di una gestione globale del servizio. Non vi può essere gestione globale nel caso in cui i servizi accessori vengano resi da soggetti esterni, ancorchè fatturati dalla cooperativa stessa agli utilizzatori finali. La Corte di Giustizia Tributaria dell’Emilia Romagna rigetta in toto la tesi avanzata dall’Agenzia delle Entrate. Secondo i giudici tributari il concetto di assistenza alla persona ha un significato complesso, che non si può limitare solo ai quei servizi che servono per soddisfare i bisogni primari. Occorre ampliare la definizione tenendo conto anche di quelle prestazioni che servono a garantire dignità alle persone ospitate all’interno di una struttura. Tra queste rientrano, senza dubbio, anche quelle di lavanderia e pulizia dei locali. E’ privo di significato, quindi, sostenere un trattamento fiscale diverso fra prestazione principale e quella accessoria, in quanto la finalità della seconda è quella di garantire dignità alla prima diventando, così, inscindibile da quest’ultima. A maggior conforto della sua affermazione, la Corte Tributaria richiama la sentenza della Corte di Giustizia Europea, causa C-335/14 del 21.01.2016, nella quale si specifica che alle prestazioni rese dalle case di riposo e i centri residenziali per gli anziani occorre riservare un trattamento IVA unitario, ribadendo ancora una volta l’unitarietà e l’inscindibilità delle prestazioni rese. Infine i giudici respingono anche il rilievo avanzato circa l’assenza di un contratto di global service fra la cooperativa sociale e il soggetto ospitato, soprattutto se una parte dei servizi accessori viene reso da soggetti esterni. Il rigetto avviene anche sulla base dell’art. 132, par. 1, lettera g), della Direttiva CE n. 112 del 2006, la quale stabilisce l’esenzione Iva (o la sua assoggettabilità all’aliquota agevolata del 5% nel caso di prestazioni rese da cooperative sociali) per le prestazioni di servizi e le cessioni di beni strettamente connesse con l’assistenza e la previdenza sociale, rese da soggetti riconosciuti dallo Stato membro come aventi carattere sociale.  Rientrano tra questi soggetti, senza dubbio alcuno, le cooperative sociali.   Analisi e commenti ImpreseOggi
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Cooperativa sociale: iva agevolata al 5% anche sulle prestazioni accessorie.

Una cooperativa sociale può applicare l’iva agevolata al 5% anche alle prestazioni accessorie rese a favore di soggetti ospitati in una casa di cura, a cui fornisce in via principale delle prestazioni socio assistenziali. Questo è il principio espresso dalla sentenza n. 1131/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado dell’Emilia Romagna, sezione 6, sul caso riguardante un accertamento ai fini Iva emesso nei confronti di una cooperativa sociale che gestisce una casa di riposo all’interno della quale, tra gli altri servizi, offre anche quello di parrucchiere, lavanderia, mensa e pulizia dei locali. Oggetto del contendere riguarda il fatto che la cooperativa sociale applica l’aliquota iva agevolata al 5% su tutte le prestazioni rese non distinguendo, secondo il parere dell’Agenzia delle Entrate, quelle naturalmente al 5% come l’attività socio assistenziale, da quelle ad aliquota ordinaria, come il servizio di parrucchiere o lavanderia. Questi servizi, in una logica di ottimizzazione della gestione aziendale, vengono resi da fornitori esterni, i quali però provvedono ad emettere fattura nei confronti della cooperativa sociale applicando le aliquote iva previste per la loro specifica attività. Secondo il parere dell’Ufficio la fatturazione con aliquota agevolata al 5% (prevista dall’articolo 1, comma 960, lettera c) della legge 208/2015) o, a seconda del regime scelto dal contribuente, in esenzione ai sensi dell’art. 10 comma 1 n. 21 del D.p.r. 633/72, è possibile solo nell’ambito di una gestione globale del servizio. Non vi può essere gestione globale nel caso in cui i servizi accessori vengano resi da soggetti esterni, ancorchè fatturati dalla cooperativa stessa agli utilizzatori finali. La Corte di Giustizia Tributaria dell’Emilia Romagna rigetta in toto la tesi avanzata dall’Agenzia delle Entrate. Secondo i giudici tributari il concetto di assistenza alla persona ha un significato complesso, che non si può limitare solo ai quei servizi che servono per soddisfare i bisogni primari. Occorre ampliare la definizione tenendo conto anche di quelle prestazioni che servono a garantire dignità alle persone ospitate all’interno di una struttura. Tra queste rientrano, senza dubbio, anche quelle di lavanderia e pulizia dei locali. E’ privo di significato, quindi, sostenere un trattamento fiscale diverso fra prestazione principale e quella accessoria, in quanto la finalità della seconda è quella di garantire dignità alla prima diventando, così, inscindibile da quest’ultima. A maggior conforto della sua affermazione, la Corte Tributaria richiama la sentenza della Corte di Giustizia Europea, causa C-335/14 del 21.01.2016, nella quale si specifica che alle prestazioni rese dalle case di riposo e i centri residenziali per gli anziani occorre riservare un trattamento IVA unitario, ribadendo ancora una volta l’unitarietà e l’inscindibilità delle prestazioni rese. Infine i giudici respingono anche il rilievo avanzato circa l’assenza di un contratto di global service fra la cooperativa sociale e il soggetto ospitato, soprattutto se una parte dei servizi accessori viene reso da soggetti esterni. Il rigetto avviene anche sulla base dell’art. 132, par. 1, lettera g), della Direttiva CE n. 112 del 2006, la quale stabilisce l’esenzione Iva (o la sua assoggettabilità all’aliquota agevolata del 5% nel caso di prestazioni rese da cooperative sociali) per le prestazioni di servizi e le cessioni di beni strettamente connesse con l’assistenza e la previdenza sociale, rese da soggetti riconosciuti dallo Stato membro come aventi carattere sociale.  Rientrano tra questi soggetti, senza dubbio alcuno, le cooperative sociali.   Analisi e commenti ImpreseOggi
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“Arrivare ai bisogni e alle persone con cui lavoriamo”: la cooperazione e il Cas migranti di Rimini secondo il collega e socio Giuseppe Frustaci

Cooperativa sociale Cento Fiori - Lun, 24/02/2025 - 15:40
Nel servizio di Legacoop Romagna, presentato all’annuale Assemblea dei soci 2025, il progetto della Cento Fiori avviato nel quartiere più multiculturale di Rimini.

Il servizio di Legacoop Romagna sul Centro di Accoglienza Straordinario (Cas) dei migranti a Rimini, creato dalla Cooperativa Sociale Cento Fiori, raccontato dal collega e socio Giuseppe Frustaci.

Nella breve intervista Giuseppe non solo spiega come è nato e cosa si propone l’esperienza nata in centro a Rimini, ma anche la sua personale visione di cosa voglia dire essere cooperatore e come vive l’Accoglienza: “Progettare dispositivi che aiutano in maniera più efficace possibile ad arrivare a dei bisogni, alle persone, con cui lavoriamo”.

Il Cas di Rimini è nato, spiega Giuseppe Frustaci, “nel quartiere più multiculturale di Rimini, una sfida poiché quartiere denso di situazioni importanti. Il quartiere ci ha accolto, e da una iniziale diffidenza si è giunta a una festa”.

Il video è stato presentato in occasione dell’Assemblea Annuale 2025 di Legacoop Romagna e gentilmente è stato fornitoci per la pubblicazione sul sito e sulla nostra rete social. Grazie! Le produzioni di Legacoop Romagna possono essere guardate nel canale https://www.youtube.com/@UCZ-iGQ_Ycdu_exR13xvc0Eg.

L'articolo “Arrivare ai bisogni e alle persone con cui lavoriamo”: la cooperazione e il Cas migranti di Rimini secondo il collega e socio Giuseppe Frustaci proviene da Cento Fiori, Rimini.

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Appalto pulizia camere: l'Agenzia delle Entrate deve provare la somministrazione abusiva di manodopera

In assenza di contestazioni da parte di Inps ed Ispettorato del lavoro, compete all’Agenzia delle Entrate dimostrare in maniera circostanziata e puntuale che il contratto di appalto di servizi è, in realtà, una somministrazione illecita di manodopera. Non è sufficiente richiamarsi alla mancanza di attrezzature da parte dell’appaltatore o all’assenza di rischio di quest’ultimo per rendere indeducibile l’IVA pagata dal committente.   Il principio è contenuto nella sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di Rimini, numero 231/2024 del 25/11/2024. Il caso trae origine dalla prassi commerciale, in uso soprattutto nelle strutture alberghiere, di appaltare il servizio di pulizia delle camere a società esterne, onde liberare l’albergatore dall’onere di organizzare tale servizio. L’Ufficio ha costruito il suo accertamento basandosi principalmente su congetture, sostenendo che l’onere di dimostrare il contrario grava unicamente sul contribuente. Per stabilire la diversa classificazione del contratto di appalto si è limitato a esporre generiche considerazioni:
  • L’appaltatore si è avvalso di subappaltatori;
  • L’appaltatore è privo di una organizzazione aziendale propria e si limita a gestire solamente la parte amministrativa e formale dei propri lavoratori presso i committenti;
  • L’appaltatore non corre nessun rischio di impresa;
  • L’appaltatore è privo di attrezzature e quelle impiegate sono fornite dal committente;
  • I subappaltatori sono delle società “apri e chiudi” e riconducibili a una unica persona fisica.
I Giudici riminesi non hanno condiviso questo assunto. Sono partiti dalla nozione di “appalto leggero”, che è caratterizzato dal fatto che l’attività viene prestata solo con l’impiego di manodopera e non anche di attrezzature o beni materiali diversi. Forma contrattuale ammessa nel nostro ordinamento e per la quale, la giurisprudenza della Cassazione ha sancito (sentenza n. 14371/2020 – sez. Lavoro) che la verifica della sua genuinità si misura accertando se è l’appaltatore che gestisce e indirizza l’attività dei suoi dipendenti e non il committente. Richiamandosi all’art. 7 comma 5 bis del D. Lgs. 546/92, hanno stabilito che l’onere della prova è, in questo caso, incombente a carico dell’Ufficio il quale deve dimostrare, anche avvalendosi di ispezioni effettuate dai soggetti preposti al controllo in materia di lavoro (Inps e Ispettorato del Lavoro) che il contratto di appalto è simulato nascondendo, al contrario, una illecita somministrazione di manodopera. Concludono, poi, smontando anche alcune tesi avanzate dall’Agenzia delle Entrate:
  • Non è corretto affermare che non vi sia il rischio di impresa, in quanto l’appaltatore deve garantire la presenza dei lavoratori e l’adempimento delle richieste del committente;
  • Non è sufficiente nemmeno affermare che l’appaltatore non possiede attrezzature o beni materiali: l’articolo 1658 del codice civile indica chiaramente che il materiale può essere fornito anche dal committente.
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Appalto pulizia camere: l'Agenzia delle Entrate deve provare la somministrazione abusiva di manodopera

In assenza di contestazioni da parte di Inps ed Ispettorato del lavoro, compete all’Agenzia delle Entrate dimostrare in maniera circostanziata e puntuale che il contratto di appalto di servizi è, in realtà, una somministrazione illecita di manodopera. Non è sufficiente richiamarsi alla mancanza di attrezzature da parte dell’appaltatore o all’assenza di rischio di quest’ultimo per rendere indeducibile l’IVA pagata dal committente.   Il principio è contenuto nella sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di Rimini, numero 231/2024 del 25/11/2024. Il caso trae origine dalla prassi commerciale, in uso soprattutto nelle strutture alberghiere, di appaltare il servizio di pulizia delle camere a società esterne, onde liberare l’albergatore dall’onere di organizzare tale servizio. L’Ufficio ha costruito il suo accertamento basandosi principalmente su congetture, sostenendo che l’onere di dimostrare il contrario grava unicamente sul contribuente. Per stabilire la diversa classificazione del contratto di appalto si è limitato a esporre generiche considerazioni:
  • L’appaltatore si è avvalso di subappaltatori;
  • L’appaltatore è privo di una organizzazione aziendale propria e si limita a gestire solamente la parte amministrativa e formale dei propri lavoratori presso i committenti;
  • L’appaltatore non corre nessun rischio di impresa;
  • L’appaltatore è privo di attrezzature e quelle impiegate sono fornite dal committente;
  • I subappaltatori sono delle società “apri e chiudi” e riconducibili a una unica persona fisica.
I Giudici riminesi non hanno condiviso questo assunto. Sono partiti dalla nozione di “appalto leggero”, che è caratterizzato dal fatto che l’attività viene prestata solo con l’impiego di manodopera e non anche di attrezzature o beni materiali diversi. Forma contrattuale ammessa nel nostro ordinamento e per la quale, la giurisprudenza della Cassazione ha sancito (sentenza n. 14371/2020 – sez. Lavoro) che la verifica della sua genuinità si misura accertando se è l’appaltatore che gestisce e indirizza l’attività dei suoi dipendenti e non il committente. Richiamandosi all’art. 7 comma 5 bis del D. Lgs. 546/92, hanno stabilito che l’onere della prova è, in questo caso, incombente a carico dell’Ufficio il quale deve dimostrare, anche avvalendosi di ispezioni effettuate dai soggetti preposti al controllo in materia di lavoro (Inps e Ispettorato del Lavoro) che il contratto di appalto è simulato nascondendo, al contrario, una illecita somministrazione di manodopera. Concludono, poi, smontando anche alcune tesi avanzate dall’Agenzia delle Entrate:
  • Non è corretto affermare che non vi sia il rischio di impresa, in quanto l’appaltatore deve garantire la presenza dei lavoratori e l’adempimento delle richieste del committente;
  • Non è sufficiente nemmeno affermare che l’appaltatore non possiede attrezzature o beni materiali: l’articolo 1658 del codice civile indica chiaramente che il materiale può essere fornito anche dal committente.
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Santarcangelo, la Polizia locale dona trenta giubbotti contraffatti sequestrati alla Fiera di San Martino alla Cento Fiori

Cooperativa sociale Cento Fiori - Mer, 05/02/2025 - 16:03
La merce consegnata alla cooperativa sociale sarà destinata agli utenti delle strutture di accoglienza

Santarcangelo – La Polizia locale dell’Unione di Comuni Valmarecchia ha donato trenta giubbotti contraffatti sequestrati in occasione della Fiera di San Martino alla cooperativa sociale Cento Fiori, che li destinerà a persone ospiti della rete di accoglienza. La consegna è stata effettuata nei giorni scorsi dal Comandante della Polizia locale, Daniele Del Fabbro, al presidente della cooperativa Cristian Tamagnini e alla collaboratrice Cristina Fabbri.

In occasione dell’ultima edizione della Fiera di San Martino, gli agenti della Polizia locale avevano infatti sequestrato la merce contraffatta: il Comando ha poi fatto richiesta e ottenuto il nulla osta dalla Procura della Repubblica di Rimini per poter donare in beneficenza i prodotti, che diversamente sarebbero stati destinati alla discarica. Dopo aver rimosso i marchi e i contrassegni falsi sui capi di vestiario, la Polizia locale ha quindi accolto la richiesta della cooperativa sociale di poter ottenere la merce in dono.

Il Comandante della Polizia locale Del Fabbro ha rimarcato la disponibilità e sensibilità dimostrate dall’autorità giudiziaria per evitare che venissero avviati a smaltimento beni che – pur provenendo da attività illecite – potevano essere destinati a nuova vita, evidenziando d’altra parte l’importanza dell’attività svolta dalla cooperativa Cento Fiori sul territorio.

La cooperativa, infatti, collabora con la pubblica amministrazione per dare risposta e sostegno a numerose problematiche sociali – dall’integrazione alle dipendenze patologiche – attraverso percorsi di inserimenti sociali, progetti di prevenzione e contrasto del disagio giovanile, della marginalità e della discriminazione. La Cento Fiori ha inoltre messo a punto ormai da diversi anni attività di inserimento lavorativo, nelle quali gli operatori affiancano persone in terapia e disabilità, oltre a gestire progetti di accoglienza di richiedenti asilo attraverso i Centri di accoglienza straordinaria (Cas) in convenzione con la Prefettura di Rimini e il Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) in convenzione con i Comuni della Valmarecchia.

In occasione della consegna della merce – che sarà destinata proprio agli utenti di queste strutture – il presidente della cooperativa Cento Fiori ha ringraziato la Polizia locale, ricordando anche la preziosa collaborazione dei Servizi Sociali dell’Unione di Comuni.

Comunicato stampa diramato da Polizia Locale Valmarecchia

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Al servizio mensa di una Fondazione si applica l’Iva esente art. 10.

Il servizio mensa fornito ai propri alunni da una Fondazione che ha tra i suoi scopi quelli educativi e didattici è esente Iva ai sensi dell’articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72. Lo prevede la risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate a un interpello non pubblicato avanzato da un Ente del Terzo Settore che svolge attività educative a favore dell’infanzia. La risposta fornita si sofferma innanzitutto sul tenore dell’articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72 il quale prevede l’esenzione Iva per le “prestazioni educative, dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere” compresa la formazione purchè rese da “istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da enti del Terzo Settore di natura non commerciale”. Se si rientra in questa casistica, la normativa iva prevede piuttosto esplicitamente che l’esenzione in argomento possa applicarsi anche all’alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici. I requisiti da tenere in considerazione, dunque, per poter valutare l’eventuale esenzione Iva del servizio mensa sono due. Il primo, di carattere oggettivo, prevede che la prestazione resa sia di natura educativa dell’infanzia, della gioventù o didattica di ogni genere; rientra in quest’ultima categoria anche l’attività di formazione professionale. Il secondo requisito, di natura soggettiva, è che le suddette prestazioni siano rese da enti del Terzo Settore, oltre che da scuole o istituti riconosciuti da pubbliche amministrazioni. L’Agenzia delle Entrate specifica, però, che il servizio mensa (così come l’alloggio e il materiale didattico) deve essere connesso con la prestazione principale, cioè l’erogazione del servizio educativo. Qualora questo non avvenga, e cioè il soggetto che fornisce l’attività educativa è diverso da quello che fornisce l’attività di mensa, su quest’ultima non può vedersi applicata l’esenzione di cui all’articolo 10 Dpr 633/72. Situazione, però, assai diversa nel caso in cui la Fondazione o l’Ente del Terzo Settore in genere acquisti da terzi il servizio della mensa e poi lo rivenda ai suoi alunni o partecipanti, fatturandolo direttamente. L’interpello non prende in esame questa eventualità, ma la logica giuridica porta a ritenere che anche in questo caso si possa applicare l’esenzione iva articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72, in quanto la prestazione finale è resa da un unico soggetto. Nulla rileva, e nulla dispone la norma, sul rapporto che sta a monte della prestazione resa. Ovviamente sul servizio che acquista la Fondazione o l’Ente del Terzo Settore andrà applicata l’Iva con l’aliquota prevista per la tipologia di attività svolta, in quanto non si rientra nella casistica fino a qui esaminata, essendo carente sia il requisito oggettivo e soggettivo. Notizie ImpreseOggi
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Al servizio mensa di una Fondazione si applica l’Iva esente art. 10.

Il servizio mensa fornito ai propri alunni da una Fondazione che ha tra i suoi scopi quelli educativi e didattici è esente Iva ai sensi dell’articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72. Lo prevede la risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate a un interpello non pubblicato avanzato da un Ente del Terzo Settore che svolge attività educative a favore dell’infanzia. La risposta fornita si sofferma innanzitutto sul tenore dell’articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72 il quale prevede l’esenzione Iva per le “prestazioni educative, dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere” compresa la formazione purchè rese da “istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da enti del Terzo Settore di natura non commerciale”. Se si rientra in questa casistica, la normativa iva prevede piuttosto esplicitamente che l’esenzione in argomento possa applicarsi anche all’alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici. I requisiti da tenere in considerazione, dunque, per poter valutare l’eventuale esenzione Iva del servizio mensa sono due. Il primo, di carattere oggettivo, prevede che la prestazione resa sia di natura educativa dell’infanzia, della gioventù o didattica di ogni genere; rientra in quest’ultima categoria anche l’attività di formazione professionale. Il secondo requisito, di natura soggettiva, è che le suddette prestazioni siano rese da enti del Terzo Settore, oltre che da scuole o istituti riconosciuti da pubbliche amministrazioni. L’Agenzia delle Entrate specifica, però, che il servizio mensa (così come l’alloggio e il materiale didattico) deve essere connesso con la prestazione principale, cioè l’erogazione del servizio educativo. Qualora questo non avvenga, e cioè il soggetto che fornisce l’attività educativa è diverso da quello che fornisce l’attività di mensa, su quest’ultima non può vedersi applicata l’esenzione di cui all’articolo 10 Dpr 633/72. Situazione, però, assai diversa nel caso in cui la Fondazione o l’Ente del Terzo Settore in genere acquisti da terzi il servizio della mensa e poi lo rivenda ai suoi alunni o partecipanti, fatturandolo direttamente. L’interpello non prende in esame questa eventualità, ma la logica giuridica porta a ritenere che anche in questo caso si possa applicare l’esenzione iva articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72, in quanto la prestazione finale è resa da un unico soggetto. Nulla rileva, e nulla dispone la norma, sul rapporto che sta a monte della prestazione resa. Ovviamente sul servizio che acquista la Fondazione o l’Ente del Terzo Settore andrà applicata l’Iva con l’aliquota prevista per la tipologia di attività svolta, in quanto non si rientra nella casistica fino a qui esaminata, essendo carente sia il requisito oggettivo e soggettivo. Notizie ImpreseOggi
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Cristian Tamagnini, Rete Gap e Cento Fiori: “Gioco d’azzardo, + entrate ma quanto costano alla società in dolore, disperazione e costi per sistema socio – sanitario?”

Cooperativa sociale Cento Fiori - Gio, 30/01/2025 - 17:27
Il presidente della Cooperativa Sociale di Rimini commenta i dati diffusi dal report ‘Pane e azzardo 2’ realizzato da Cgil e Federconsumatori Emilia-Romagna, insieme all’istituto di studi sul consumo Isscon e alla Regione Emilia- Romagna.

Rimini – «Sono nove miliardi che grondano malattie, disperazione, dolore e talvolta persino sangue. Come ha recentemente proposto Federconsumatori in un convegno, è ora di aggiornare le statistiche sul gioco d’azzardo regionale e aggiungere una colonna al bilancio sempre più positivo degli introiti dello Stato sul gioco fisico. Ovvero, mettere accanto la colonna delle uscite e delle pesanti ricadute che il gioco d’azzardo patologico sta sempre più caricando sui sistemi sanitario e assistenziale, sulle famiglie, sulle persone deboli e fragili, sulla società e infine sullo Stato». Cristian Tamagnini, presidente e referente per la Rete Gap della Cooperativa Sociale Cento Fiori, interviene sul gioco d’azzardo fisico nella provincia di Rimini.

E’ di poche ore fa la presentazione del report ‘Pane e azzardo 2’ realizzato da Cgil e Federconsumatori Emilia-Romagna, insieme all’istituto di studi sul consumo Isscon e alla Regione Emilia- Romagna. Ma è di diversi anni il lavoro di sensibilizzazione, prevenzione e sostegno ai malati di ludopatia che sul territorio Ausl Romagna e Rete Gap – cooperative sociali e associazioni di volontariato quali Comunità Papa Giovanni XXIII (capofila), Millepiedi, Cento Fiori, Alcantara, Parkinson in Rete e Il Gesto – portano avanti con incontri e sportelli di ascolto. «Un lavoro in sinergia di pubblico e privato sociale perché il gioco d’azzardo legale non sia solo un affare per le entrate dello Stato – 727 milioni solo in provincia – ma si riveli per quel che è, un’arma a doppio taglio che da una parte incassa denaro e dall’altra colpisce le fasce più deboli della popolazione facendo leva sulla speranza o sulla loro malattia», dice Cristian Tamagnini.

«Nei momenti di crisi il gioco si impenna, quest’anno siamo oltre il 10% in più. Male. Ma non continuiamo a guardarlo come un “vizio” individuale, cominciamo a guardarlo come un malanno sociale e cominciamo a mettere, accanto alle entrate, una colonna delle uscite: quanto pesa sulle famiglie, sui malati di Parkinson che spesso restano vittime della ludopatia? Quanto vale la fatica di assistere i loro cari, il loro dolore, la disperazione delle famiglie di ludopatici? Quanto valgono le spese che sostiene il sistema sanitario locale per strappare i malati di gioco al rito quotidiano della grattata? E, infine, quanto vale la vita di una persona che nella disperazione si gioca la sua stessa esistenza?»

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Finanziare lo sviluppo delle cooperative: la nuova Legge Marcora

Finanziare la nascita e lo sviluppo delle cooperative di piccola e media dimensione con l’obiettivo di creare nuove attività economiche e di incrementare i posti di lavoro: sono queste le finalità del Decreto del Ministero dello sviluppo economico pubblicato il 4 gennaio 2021. I soggetti destinatari sono le cooperative di produzione e lavoro e sociali che svolgono attività sia di tipo A che di tipo B, che operano in tutti i settori produttivi. Unici requisiti che devono possedere sono quelli di rientrare nei limiti previsti per le piccole e medie imprese e di essere partecipate da CFI, il fondo istituzionale controllato dal Ministero dello Sviluppo Economico e previsto dalla Legge 49/85, chiamata anche Legge Marcora. Nel caso in cui la cooperativa non sia partecipata da CFI, contestualmente alla presentazione della domanda di agevolazione deve essere presentata anche quella di partecipazione a CFI. Le cooperative richiedenti, inoltre, devono essere regolarmente costituite e non trovarsi in liquidazione o in procedure concorsuali. Le tipologie di iniziative ammissibile sono tutte quelle che permettono di realizzare la nascita o il consolidamento delle attività delle cooperative richiedenti, salvo alcune eccezioni. Tra queste vi sono quelle notarili, imposte, tasse, oppure riferite a investimenti di pura sostituzione di impianti o macchinari già esistenti. Sono escluse anche le spese per l’acquisto di automezzi, salvo che non servano direttamente nell’attività che svolge la cooperativa. I programmi di investimento non devono essere avviati alla di presentazione della richiesta di finanziamento agevolato. Il programma di investimento deve terminare entro 36 mesi dalla data di sottoscrizione del finanziamento agevolato. Può essere chiesto, inoltre, anche il finanziamento per supportare le esigenze di liquidità delle cooperative. In questo caso la sua concessione assume la forma di contributo de minimis, e deve essere finalizzato a realizzare programmi di investimento iniziati da non più di sei mesi dalla data di presentazione della richiesta oppure deve essere finalizzato a coprire esigenze di capitale circolante netto in un arco di tempo di dodici mesi. L’importo del finanziamento da richiedere non può essere superiore a cinque volte il valore della partecipazione di CFI nella cooperativa e, comunque, non superiore al limite complessivo di due milioni di euro. La durata del finanziamento non può essere inferiore a tre anni e non superiore a dieci anni, con un preammortamento di 3 anni. Le rate sono semestrali con scadenza il 31 maggio e il 30 novembre di ogni anno Il tasso di interesse è pari a zero.   Lo studio è in grado di supportare le cooperative per la richiesta del finanziamento agevolato e l’analisi di fattibilità dell’investimento da proporre. Prenota una prima consulenza gratuita al numero 0541.708252 Notizie ImpreseOggi
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Finanziare lo sviluppo delle cooperative: la nuova Legge Marcora

Finanziare la nascita e lo sviluppo delle cooperative di piccola e media dimensione con l’obiettivo di creare nuove attività economiche e di incrementare i posti di lavoro: sono queste le finalità del Decreto del Ministero dello sviluppo economico pubblicato il 4 gennaio 2021. I soggetti destinatari sono le cooperative di produzione e lavoro e sociali che svolgono attività sia di tipo A che di tipo B, che operano in tutti i settori produttivi. Unici requisiti che devono possedere sono quelli di rientrare nei limiti previsti per le piccole e medie imprese e di essere partecipate da CFI, il fondo istituzionale controllato dal Ministero dello Sviluppo Economico e previsto dalla Legge 49/85, chiamata anche Legge Marcora. Nel caso in cui la cooperativa non sia partecipata da CFI, contestualmente alla presentazione della domanda di agevolazione deve essere presentata anche quella di partecipazione a CFI. Le cooperative richiedenti, inoltre, devono essere regolarmente costituite e non trovarsi in liquidazione o in procedure concorsuali. Le tipologie di iniziative ammissibile sono tutte quelle che permettono di realizzare la nascita o il consolidamento delle attività delle cooperative richiedenti, salvo alcune eccezioni. Tra queste vi sono quelle notarili, imposte, tasse, oppure riferite a investimenti di pura sostituzione di impianti o macchinari già esistenti. Sono escluse anche le spese per l’acquisto di automezzi, salvo che non servano direttamente nell’attività che svolge la cooperativa. I programmi di investimento non devono essere avviati alla di presentazione della richiesta di finanziamento agevolato. Il programma di investimento deve terminare entro 36 mesi dalla data di sottoscrizione del finanziamento agevolato. Può essere chiesto, inoltre, anche il finanziamento per supportare le esigenze di liquidità delle cooperative. In questo caso la sua concessione assume la forma di contributo de minimis, e deve essere finalizzato a realizzare programmi di investimento iniziati da non più di sei mesi dalla data di presentazione della richiesta oppure deve essere finalizzato a coprire esigenze di capitale circolante netto in un arco di tempo di dodici mesi. L’importo del finanziamento da richiedere non può essere superiore a cinque volte il valore della partecipazione di CFI nella cooperativa e, comunque, non superiore al limite complessivo di due milioni di euro. La durata del finanziamento non può essere inferiore a tre anni e non superiore a dieci anni, con un preammortamento di 3 anni. Le rate sono semestrali con scadenza il 31 maggio e il 30 novembre di ogni anno Il tasso di interesse è pari a zero.   Lo studio è in grado di supportare le cooperative per la richiesta del finanziamento agevolato e l’analisi di fattibilità dell’investimento da proporre. Prenota una prima consulenza gratuita al numero 0541.708252 Notizie ImpreseOggi
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Proroga Covid si applica solo agli accertamenti relativi al 2020

La proroga Covid contenuta nell’art. 67 del D.L. 18/2020 poi assorbita nell’art. 157 del successivo DL n. 34/2020 (Decreto Rilancio) si applica solo agli accertamenti relativi all’anno 2020 e non alle altre annualità. Lo stabilisce la Corte di Giustizia Tributaria di Forlì con la sentenza n. 228/2024 depositata il 16 dicembre 2024 e riguardante un caso, più complesso per i rilievi avanzati, seguito dallo studio. Anche i giudici di prime cure di Forlì si esprimono, dunque, sulla controversa questione della proroga dei termini di accertamento introdotta dalla normativa emergenziale per contrastare gli effetti della pandemia Covid. La proroga in esame è stata introdotta dall’art 67 del D.L. 18/2020 e poi assorbita nell’art. 157 del successivo DL n. 34/2020 (Decreto Rilancio). La norma prevede che i termini per gli atti di accertamento, di contestazione, di irrogazione delle sanzioni sono sospesi nel periodo dall’otto marzo al 31 maggio 2020. Nel calcolo dei suddetti termini, dunque, bisogna posticipare la data di scadenza di 85 giorni. L’Agenzia delle Entrate considera tale sospensione valida per tutti gli anni accertabili. Nel caso riferito alla sentenza in commento, riguardante l’annualità 2017, per l’Ufficio il termine di decadenza dell’accertamento non è il 31 dicembre 2023 ma, bensì, il 25 marzo 2024, cioè 85 giorni successivi alla scadenza del termine decadenziale ordinario. Non sono dello stesso avviso i giudici tributari di Forlì i quali si iscrivono si iscrive nel filone più ampio della giustizia di merito che ritiene infondata la proroga di 85 giorni per tutti gli accertamenti ancora aperti. Il concetto di fondo è che non vi può essere disparità di trattamento fra Agenzia delle Entrate e contribuente. L’art. 67, infatti, stabilisce da una parte la sospensione dei termini di accertamento a favore del Fisco e, dall’altra, la sospensione dei versamenti a favore dei contribuenti. Un uguale trattamento fra due soggetti vittime del grave periodo di contrazione delle attività a seguito dei vari lock-down. Intendere, quindi, il termine di proroga di 85 giorni valevole di fatto all’infinito, in un periodo in cui la pandemia è finita, realizzerebbe una grave disparità di trattamento non ravvisabile nelle norme che sovraintendono gli accertamenti fiscali. Su questo punto si osserva che l’art. 67 del D.L. 18/2020, al comma 4 rimanda alla disciplina contenuta nell’art.12, commi 1 e 3 del D.LGS. 159/2015. Disposizione normativa, questa, che prevede che in caso di sospensione dei termini relativi ai versamenti siano sospesi, sempre per lo stesso lasso di tempo, anche i termini processuali. Notizie ImpreseOggi
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Proroga Covid si applica solo agli accertamenti relativi al 2020

La proroga Covid contenuta nell’art. 67 del D.L. 18/2020 poi assorbita nell’art. 157 del successivo DL n. 34/2020 (Decreto Rilancio) si applica solo agli accertamenti relativi all’anno 2020 e non alle altre annualità. Lo stabilisce la Corte di Giustizia Tributaria di Forlì con la sentenza n. 228/2024 depositata il 16 dicembre 2024 e riguardante un caso, più complesso per i rilievi avanzati, seguito dallo studio. Anche i giudici di prime cure di Forlì si esprimono, dunque, sulla controversa questione della proroga dei termini di accertamento introdotta dalla normativa emergenziale per contrastare gli effetti della pandemia Covid. La proroga in esame è stata introdotta dall’art 67 del D.L. 18/2020 e poi assorbita nell’art. 157 del successivo DL n. 34/2020 (Decreto Rilancio). La norma prevede che i termini per gli atti di accertamento, di contestazione, di irrogazione delle sanzioni sono sospesi nel periodo dall’otto marzo al 31 maggio 2020. Nel calcolo dei suddetti termini, dunque, bisogna posticipare la data di scadenza di 85 giorni. L’Agenzia delle Entrate considera tale sospensione valida per tutti gli anni accertabili. Nel caso riferito alla sentenza in commento, riguardante l’annualità 2017, per l’Ufficio il termine di decadenza dell’accertamento non è il 31 dicembre 2023 ma, bensì, il 25 marzo 2024, cioè 85 giorni successivi alla scadenza del termine decadenziale ordinario. Non sono dello stesso avviso i giudici tributari di Forlì i quali si iscrivono si iscrive nel filone più ampio della giustizia di merito che ritiene infondata la proroga di 85 giorni per tutti gli accertamenti ancora aperti. Il concetto di fondo è che non vi può essere disparità di trattamento fra Agenzia delle Entrate e contribuente. L’art. 67, infatti, stabilisce da una parte la sospensione dei termini di accertamento a favore del Fisco e, dall’altra, la sospensione dei versamenti a favore dei contribuenti. Un uguale trattamento fra due soggetti vittime del grave periodo di contrazione delle attività a seguito dei vari lock-down. Intendere, quindi, il termine di proroga di 85 giorni valevole di fatto all’infinito, in un periodo in cui la pandemia è finita, realizzerebbe una grave disparità di trattamento non ravvisabile nelle norme che sovraintendono gli accertamenti fiscali. Su questo punto si osserva che l’art. 67 del D.L. 18/2020, al comma 4 rimanda alla disciplina contenuta nell’art.12, commi 1 e 3 del D.LGS. 159/2015. Disposizione normativa, questa, che prevede che in caso di sospensione dei termini relativi ai versamenti siano sospesi, sempre per lo stesso lasso di tempo, anche i termini processuali. Notizie ImpreseOggi
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D(i)ritti a tavola, da Santarcangelo a La Stampa di Torino: Francesca Santolini su Specchio racconta gli eventi gastronomici e culturali di inclusione sociale

Cooperativa sociale Cento Fiori - Lun, 16/12/2024 - 16:08
Sul quotidiano torinese il progetto varato dalla Cooperativa Sociale Cento Fiori, in collaborazione con la cooperativa Il Millepiedi e Valmarecchia Comunità Solidale. I prossimi appuntamenti.

Santarcangelo – Si sa che la città clementina è da decenni una fucina di cultura, un po’ per i suoi figli – Guerra, Baldini, Teodorani, giusto per dirne tre – o per il Festival del Teatro. Ma che anche una piccola iniziativa che mira a coniugare la cucina romagnola con le nuove culture che si sono affacciate in paese – D(i)ritti a tavola – assurga alle cronache dei quotidiani nazionali, beh, è un bel risultato. E’ grazie a Francesca Santolini, giornalista de La Stampa e curatrice della rubrica Futura sull’inserto domenicale Specchio, che il progetto varato dalla Cooperativa Sociale Cento Fiori, in collaborazione con la cooperativa Il Millepiedi e Valmarecchia Comunità Solidale, è salito agli onori delle cronache nazionali. “Un’idea di accoglienza bella, concreta, scevra da ogni forma retorica”, scrive la giornalista. Che ha potuto toccare con mano, anzi assaggiare con gusto, la proposta di D(i)ritti a tavola, giunta quest’anno alla terza edizione.

Proprio Francesca Santolini ha aperto quest’anno la fortunata rassegna venerdì 29 novembre, presentando i suoi due libri Profughi del clima e Ecofascisti, dialogando con Marta Lovato, responsabile sostenibilità di Santarcangelo Festival. Una volta terminato l’incontro – oltre una settantina di persone sono intervenute nella ex scuolina del Bornaccino, ora Centro Giovani Labo380 – l’autrice ha assaggiato l’apericena con degustazione gratuita di piatti nati dall’incontro tra varie culture preparati dalle persone del progetto Sistema Accoglienza Integrazione (Sai) dell’Unione comuni Valmarecchia. Perché D(i)ritti a tavola è un progetto di inclusione sociale che passa dalle cucine del mondo e dalla tavola come simbolo di pace, dialogo e solidarietà tra le persone. Promuove il diritto al cibo quale diritto umano fondamentale e come strumento di accoglienza interculturale e sviluppo sostenibile.

Quest’anno il focus è sul rapporto tra crisi climatica, accesso al cibo e migrazioni forzate. Prima o dopo ogni incontro gli organizzatori offriranno una cena o aperitivo preparato dalle persone ospiti del progetto Sai, come restituzione di un laboratorio di auto-narrazione e cucina insieme a un’educatrice e a un cuoco. Un’accoppiata, al primo appuntamento, azzeccatissima, visto che la Santolini, giornalista, è esperta di temi ambientali, collaborando con i quotidiani «La Stampa» e «la Repubblica» e ha pubblicato Passione verde (2010), Profughi del clima (2019), Ecofascisti (2024).

D(i)ritti a tavola prosegue quest’anno domenica 29 dicembre alle ore 20 con le ricette del dialogo itinerante e alle 22 con il concerto di Tonino 3000 e Felafel Fazz Familia al Centro Parrocchiale Giovanni Paolo II, in via Merigi. Nel 2025 invece il 15 gennaio al Supercinema Santarcangelo, con alle 20 l’aperitivo e alle 21 con il film Africa nel mondo sommerso, , di Angelos Rallis. Mercoledì 19 febbraio oltre all’apericena delle 20, con alle 21 “Il secolo è mobile”, monologo multimediale di Gabriele Del Grande, sempre al Supercinema di Santarcangelo.

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Il mare di Lampedusa: Pietro Bartolo a Rimini, ospite della Cento Fiori. Il video integrale

Cooperativa sociale Cento Fiori - Mer, 11/12/2024 - 16:20

Il medico in prima fila nel soccorso dei migranti racconta con video e immagini le sue esperienze, introdotto da Vera Bessone, caposervizio Cultura del Corriere Romagna nell’incontro organizzato dalla Cooperativa Sociale Cento Fiori il 15 novembre alle ore 20,30. Le storie di mare di Lampedusa, le tragedie e le speranze che hanno costellato quello specchio enorme di Mediterraneo che lambisce l’estrema propaggine dell’Italia, raccontate dal medico di Lampedusa che insieme a concittadini e volontari hanno assistito e assistono quotidianamente a lutti, sofferenze e insieme speranze dei migranti. Una narrazione di Storie migranti fatta di dialoghi ma anche immagini e video per sensibilizzare sul tema dei migranti e della loro accoglienza. L’incontro è stato organizzato dalla Cooperativa Sociale Cento Fiori in collaborazione con il Sistema Accoglienza Integrazione (Sai) dell’Unione dei Comuni della Valmarecchia a ingresso libero.

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Il lease back fa decadere dall’agevolazione per la piccola proprietà contadina

Il coltivatore diretto o l’imprenditore a titolo professionale (IAP) che pone in essere una operazione di lease back prima dei cinque anni dall’acquisto agevolato di un terreno agricolo per il quale ha usufruito dell’agevolazione per la piccola proprietà contadina, decade da tale ultima agevolazione. Il principio è contenuto nella sentenza della Cassazione n. 30664 del 25 ottobre 2024 pubblicata in data 28.11.2024. Piccola proprietà contadina. L’agevolazione sulla piccola proprietà contadina la possiamo trovare nell’art. 2 comma 4 bis del D.L. 194/2009. Essa prevede l’applicazione in misura fissa dell’imposta di registro e ipotecaria, e dell’un per cento dell’imposta catastale. Oggetto dell’acquisto devono essere dei terreni agricoli e tali acquisti devono essere effettuati da coltivatori diretti o imprenditori agricoli a titolo professionale. L’unica condizione è che l’acquirente non può, prima dei cinque anni, cedere i terreni acquisiti con l’agevolazione o cessare di coltivarli o gestirli direttamente. Lease back. Il contratto di lease back è una forma contrattuale atipica, che nel nostro ordinamento non esiste. Tuttavia è pacificamente consentito ai sensi dell’art. 1322 comma 2 del Codice Civile, in quanto raggiunge degli interessi meritevoli di tutela giuridica. Nel caso questi sono costituiti dalla necessità di finanziamento maturata dal soggetto che lo pone in essere. Nella sostanza si tratta di un contratto mediante il quale il proprietario cede a un istituto finanziario un bene e quest’ultimo lo riassegna al proprietario iniziale dietro pagamento di un canone di locazione. Il caso. Gli Ermellini sono stati chiamati ad esprimersi su un caso che vede coinvolta una società agricola che ha acquisito dei terreni in diritto di superficie utilizzando l’agevolazione sulla piccola proprietà contadina e, prima dei cinque anni, ha posto in essere un’operazione di lease back sugli stessi. Lo scopo dell’operazione era solo quello di finanziare lo sviluppo agricolo e fotovoltaico sui terreni acquisiti. L’Agenzia delle Entrate, di fronte al compimento di tale contratto, ha revocato le agevolazioni sulle imposte di registro, ipotecaria e catastale e ha recuperato le imposte calcolandole in misura ordinaria. Il contribuente si è opposto a questo recupero lamentando il fatto che il contratto di lease back di fatto non è altro che un modo alternativo utilizzato per finanziarsi e che il terreno, al termine del periodo di leasing, sarebbe comunque rientrato nella sua disponibilità attraverso il pagamento del prezzo di riscatto. Di diverso parere è la Corte di Cassazione. L’obiezione principale che viene mossa è che il contratto di lease back è un’operazione complessa composta da più negozi successivi (cessione, successiva locazione, eventuale riacquisto) certamente collegati funzionalmente tra di loro ma ciascuno ben distinto sul piano della sua forma tecnica. Il contratto di lease back prevedendo proprio come primo atto quello della cessione, fa scattare in automatico la decadenza dall’agevolazione stessa che non ammette nessuna cessione di bene. Non si può invocare, inoltre, su questo punto una interpretazione estensiva della norma, con la prevalenza della sostanza sulla forma. Gli Ermellini, nella sentenza in commento, ribadiscono nuovamente il principio che le norme tributarie non possono essere interpretate in via analogica. L’agevolazione sulla piccola proprietà contadina non fa alcun riferimento al lease back tra le cause di esclusione dalla decadenza. Pertanto, per l’invocato principio di rigidità interpretativa delle agevolazioni fiscali, non si può che decidere a favore dell’Agenzia delle Entrate, legittimando il recupero delle maggiori imposte non pagate in sede di acquisto.   Notizie ImpreseOggi
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Il lease back fa decadere dall’agevolazione per la piccola proprietà contadina

Il coltivatore diretto o l’imprenditore a titolo professionale (IAP) che pone in essere una operazione di lease back prima dei cinque anni dall’acquisto agevolato di un terreno agricolo per il quale ha usufruito dell’agevolazione per la piccola proprietà contadina, decade da tale ultima agevolazione. Il principio è contenuto nella sentenza della Cassazione n. 30664 del 25 ottobre 2024 pubblicata in data 28.11.2024. Piccola proprietà contadina. L’agevolazione sulla piccola proprietà contadina la possiamo trovare nell’art. 2 comma 4 bis del D.L. 194/2009. Essa prevede l’applicazione in misura fissa dell’imposta di registro e ipotecaria, e dell’un per cento dell’imposta catastale. Oggetto dell’acquisto devono essere dei terreni agricoli e tali acquisti devono essere effettuati da coltivatori diretti o imprenditori agricoli a titolo professionale. L’unica condizione è che l’acquirente non può, prima dei cinque anni, cedere i terreni acquisiti con l’agevolazione o cessare di coltivarli o gestirli direttamente. Lease back. Il contratto di lease back è una forma contrattuale atipica, che nel nostro ordinamento non esiste. Tuttavia è pacificamente consentito ai sensi dell’art. 1322 comma 2 del Codice Civile, in quanto raggiunge degli interessi meritevoli di tutela giuridica. Nel caso questi sono costituiti dalla necessità di finanziamento maturata dal soggetto che lo pone in essere. Nella sostanza si tratta di un contratto mediante il quale il proprietario cede a un istituto finanziario un bene e quest’ultimo lo riassegna al proprietario iniziale dietro pagamento di un canone di locazione. Il caso. Gli Ermellini sono stati chiamati ad esprimersi su un caso che vede coinvolta una società agricola che ha acquisito dei terreni in diritto di superficie utilizzando l’agevolazione sulla piccola proprietà contadina e, prima dei cinque anni, ha posto in essere un’operazione di lease back sugli stessi. Lo scopo dell’operazione era solo quello di finanziare lo sviluppo agricolo e fotovoltaico sui terreni acquisiti. L’Agenzia delle Entrate, di fronte al compimento di tale contratto, ha revocato le agevolazioni sulle imposte di registro, ipotecaria e catastale e ha recuperato le imposte calcolandole in misura ordinaria. Il contribuente si è opposto a questo recupero lamentando il fatto che il contratto di lease back di fatto non è altro che un modo alternativo utilizzato per finanziarsi e che il terreno, al termine del periodo di leasing, sarebbe comunque rientrato nella sua disponibilità attraverso il pagamento del prezzo di riscatto. Di diverso parere è la Corte di Cassazione. L’obiezione principale che viene mossa è che il contratto di lease back è un’operazione complessa composta da più negozi successivi (cessione, successiva locazione, eventuale riacquisto) certamente collegati funzionalmente tra di loro ma ciascuno ben distinto sul piano della sua forma tecnica. Il contratto di lease back prevedendo proprio come primo atto quello della cessione, fa scattare in automatico la decadenza dall’agevolazione stessa che non ammette nessuna cessione di bene. Non si può invocare, inoltre, su questo punto una interpretazione estensiva della norma, con la prevalenza della sostanza sulla forma. Gli Ermellini, nella sentenza in commento, ribadiscono nuovamente il principio che le norme tributarie non possono essere interpretate in via analogica. L’agevolazione sulla piccola proprietà contadina non fa alcun riferimento al lease back tra le cause di esclusione dalla decadenza. Pertanto, per l’invocato principio di rigidità interpretativa delle agevolazioni fiscali, non si può che decidere a favore dell’Agenzia delle Entrate, legittimando il recupero delle maggiori imposte non pagate in sede di acquisto.   Notizie ImpreseOggi
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Gli auguri Cento Fiori sono un volo di solidarietà e accoglienza sulla città firmato Samuele Grassi ed Enrico Rotelli

Cooperativa sociale Cento Fiori - Gio, 05/12/2024 - 14:44
La cooperativa sociale dedica l’illustrazione per le feste, in tre manifesti 6×3 metri, cento manifesti 100×140 cm, giornali, social e sito, a quanti “con fantasia e impegno”, fanno crescere il terzo settore “attraverso azioni e progetti” sociali

Rimini – Sono un volo con la fantasia gli auguri di Natale della Cooperativa Sociale Cento Fiori che fa “a chi da e chi riceve”, ovvero alle associazioni e alle cooperative sociali che operano e alla città di Rimini. Un volo disegnato dall’illustratore Samuele Grassi con testi di Enrico Rotelli, la “coppia creativa” – come si diceva una volta per le pubblicità – che da anni costruiscono la comunicazione dell’azienda sociale riminese.

Samuele Grassi ha reinterpretato per Cento fiori i tratti costitutivi delle sue opere, ormai sedimentati nell’immaginario collettivo riminese che ama l’illustrazione e i fumetti, dopo la partecipazione alla Biennale del Disegno 2024 e l’attuale mostra al grattacielo. Ovvero, linee chiare che affondano nel ricordo di Moebius per trovare una propria originale collocazione in un dolce futuro che saprà trarre dal possibile disastro ecologico del global warming un nuovo equilibrio. La grande tavola, prodotta per i manifesti 6 per 3 metri e 100 x 140 cm, giornali, social e sito, invece prende l’ispirazione dalle navicelle di Hayao Miyazaki – Il castello errante di Howl, Il mio amico Totoro, Porco Rosso, per citare alcuni titoli – calandole però di nuovo nel delicato immaginario grassiano e nei tratti caratteristici delle nostre tradizioni marinaresche. Una flotta in volo tra le nuvole sopra la città, leggerezza sopra leggerezza che tradisce l’amore per le lezioni regalate dalla letteratura di Italo Calvino.

Pur avendo diversi amori “spirituali” nel terreno comune, i testi di Enrico Rotelli collocano più prosaicamente i voli delle navicelle nel lavoro quotidiano di quanti operano per associazioni e cooperative attive nel sociale. Migliaia di persone che “ogni giorno usano fantasia e impegno per far volare solidarietà e accoglienza a Rimini, attraverso azioni e progetti”. Il fulcro del messaggio è la navicella del progetto Ulisse, le crociere terapeutiche che oltre 20 anni fa hanno iniziato il loro viaggio con il capitano Werther Mussoni e che continuano ad essere una peculiarità dei programmi terapeutici delle due strutture della Cooperativa Sociale Cento Fiori a Vallecchio di Montescudo: la Comunità Terapeutica e il Centro Osservazione e Diagnosi.

Pur firmando gli auguri negli anni scorsi, la coppia ha virato verso l’illustrazione sulla spinta del direttore Giovanni Benaglia, dopo che Samuele Grassi ha realizzato l’illustrazione del manifesto per il concerto del 25 aprile scorso. “Conoscevamo già il grafico Samuele Grassi, abbiamo lasciato carta bianca all’illustratore Grassi e quel che è nato è un omaggio a quanti, come noi, militano nei lavori sociali. – dice Cristian Tamagnini, presidente della cooperativa Sociale Cento Fiori – Militano perché educatori, psicologi, psicanalisti, tecnici, operai, non lavorano per cooperative sociali e associazioni per i lauti guadagni che il settore sociale offre, ma perché fare solidarietà e accoglienza fa stare bene chi la riceve e chi la fa. Ogni volta che si parla di tagli alla spesa pubblica è il Welfare nel mirino delle amministrazioni pubbliche, con le ricadute sulle persone svantaggiate e le loro famiglie. Oggi una educatrice esce da un percorso universitario, eppure il suo stipendio non rappresenta la sua preparazione né le ricadute positive che ha sulla popolazione. Forse è il caso che la gente e chi amministra riconsideri il lavoro sociale e il volontariato. Non solo quando si presume siamo tutti più buoni”.

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