Enrico Rotelli / Franco Pozzi
Questo Franco non me l'ha detto Raffaelli Editore, Rimini €50,00
Uno scritto inedito di Enrico Rotelli su una litografia originale di Franco Pozzi, stampato in 15 esemplari.
Questo racconto l'ho scritto dopo essermi trasferito ad Albereto, un breve testo nato per introdurre una mostra di Franco Pozzi. Il quale, invece, ha pensato bene di coinvolgere Walter Raffaelli, editore e litografo, e Monica Alfonsi per l'impaginazione del testo, per realizzare insieme un piccolo libro d'arte, una litografia realizzata in tiratura limitata, prima pubblicazione della collana dei Leporelli, il Leporello 1.
Il testo:
Trasloco. Casa nuova, nuovi muri, nuovi odori: estranei, di legno bruciato, di nicotina, di panni abbandonati. Di umani umori. Muri bianchi ormai opachi, colorati di nerofumo, di rosso, di grigie ragnatele, di schizzi spessi di bianco lì, tra il pavimento e la coltellata. Muri polverosi di chi lasciava la casa dietro di sé. E buchi, buchi irregolari di trapano, un po’ obliqui, un po’ ovali, piccoli crateri di chiodi, screpolature, anfratti d’intonaco anch’essi tana, ricovero, alcova d’insetti.
Trasloco, casa nuova: nuovi odori: i miei.
“Carta vetrata, fine e grossa, rullo e pennellessa, tempera, bianca, 15 chili, base gialla e base blu, retino per il rullo, stucco e spatola. No, quella è troppo piccola, ecco, quella. Quant’è?”
La macchinetta è di Franco, maschera e bandana lasciano solo alle orbite e al naso il pastoso sentire della polvere, mentre il muro comincia a schiarirsi. A tratti ondulati, copro quel tanto che basta a stufarmi di respirare l’aria secca, depurata dalla maschera: tolgo solo la polvere e le ragnatele.
Diluizione al trenta per cento, che in boccali da birra fa circa 14 meno un po’, pari a cinque litri e sei di acqua. Che non ci sta nel secchio della tempera. Cosa faccio, diluisco tutto ora o faccio due secchi? Questo Franco non me l’ha detto. E il colore, fatto due volte, verrà uguale?
Già fare il colore proprio non lo sopporto, quanta base ci devo mettere? Non ci sono nemmeno le istruzioni… cazzo com’è giallo sto limone. Monica dice giallo limone tenue tenue… ma questo non mi pare tenue. Proviamo. Il fluido giallo che si tuffa nella tempera costruisce un tunnel liquido, sinuoso e omogeneo, plastico fino a deformarsi negli anni degli alberi dopo poche volute delle mie braccia. Poi nel nulla del bianco, ormai contaminato di sole.
Son pronto. E mentre cambia la tonalità del campo, l’impercettibile presenza del lavoro di Franco si fa evidente, modulandosi nel mio pensiero. Le pennellate, che abbandonano a tratti compatto a tratti crenato il giallo, me lo svelano, come gli esempi per i bambini. Il polso, l’intensità di movimento, è l’appendice che registra il mio pensiero, il mio comando, la mia tensione. E un’eco affiora, batte il tempo del movimento, guida i gesti, l’intingere, il diluire, il passare e ripassare su un punto che non è uniforme, su gocce cadute, fino all’estremo lembo del perimetro, all’angolo riposto.
Là dove nessuno sguardo si poserà mai, se non il mio che lo conosce.
Albereto, 11 - 12 settembre 1995