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Cassazione: ai fini fiscali l’esclusione di un socio di società di persone ha efficacia dopo trenta giorni dalla comunicazione al socio escluso

In caso di mutamento, nel corso dell’esercizio, della compagine sociale di una società di persone a causa dell’esclusione di un socio, per individuare i soci a cui imputare i redditi di tale esercizio, occorre tenere presente che la delibera di esclusione ha effetto, ai sensi dell’art. 2287 del codice civile, dopo trenta giorni dalla comunicazione dell’esclusione al socio stesso. Questo principio di diritto è contenuto nella sentenza n. 29775 della Cassazione, sezione V Civile, del 12 ottobre 2023 e pubblicata il 26 ottobre 2023.   Il caso, per cui si sono pronunciati gli Ermellini, riguarda un accertamento emesso nei confronti di una s.a.s. con tre soci, nella quale uno di questi è stato escluso con delibera datata 14 dicembre 2016. Per l’Ufficio, i soggetti obbligati al pagamento delle maggiori imposte per l’anno 2016 sono i due soci superstiti, e non anche il terzo escluso in quanto la delibera di esclusione è stata presa con effetto immediato. Il fatto che la delibera abbia effetto immediato, secondo il Fisco, deroga quanto riportato nel comma 1 dell’art. 2887 del Codice Civile, facendo rimanere in vita solo il secondo comma dell’articolo stesso, che impone il limite dei trenta giorni solo al diritto del socio escluso di proporre ricorso contro la decisione a lui avversa. I contribuenti ricorrono contro l’accertamento e in primo grado ottengono ragione. L’Ufficio propone, quindi, ricorso in secondo grado e la C.T.R. adita ribalta la decisione di primo grado e riconosce la validità dell’operato dell’ufficio fiscale. A questo punto i contribuenti si rivolgono alla Cassazione la quale, alla fine, sconfessa l’operato dell’Ufficio ed estende anche al socio escluso il maggior reddito per l’anno 2016. Il ragionamento a fondamento della decisione della Corte di Cassazione, si basa sul dettato letterale dell’art. 2887 del Codice Civile. In esso si legge, chiaramente, che “l'esclusione è deliberata dalla maggioranza dei soci, non computandosi nel numero di questi il socio da escludere, ed ha effetto decorsi trenta giorni dalla data della comunicazione al socio escluso. I Giudici scrivono che “la chiarezza del testo normativo non lascia dubbi interpretativi in ordine alla doppia rilevanza del termine di trenta giorni, decorrenti dalla comunicazione della delibera al socio escluso: al suo decorso, infatti, è collegato sia il prodursi dell’effetto costitutivo dello scioglimento del rapporto sociale sia la decadenza dall’impugnazione”. Inoltre, nel caso di specie, nulla rileva che la delibera di esclusione sia stata dichiarata immediatamente esecutiva dai soci superstiti: infatti l’intero art. 2887 del Codice Civile è a tutela del socio escluso, al quale non può essere compresso un diritto sulla base della volontà di soggetti a lui estranei. In tal senso si è espressa la Cassazione con la sentenza 5958/1993.   Notizie ImpreseOggi
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Fondo Starter: finanziamenti agevolati e a tasso zero per le Startup dell’Emilia Romagna.

Riapre, a partire dal giorno 08 novembre 2023, la possibilità per le startup dell’Emilia Romagna di accedere ai finanziamenti a tassi agevolati previsti dal Fondo Starter. I beneficiari di questa particolare forma di agevolazione sono le imprese costituite da non più di cinque anni, che hanno meno di 50 dipendenti e che non svolgono attività legate all’agricoltura. La condizione essenziale è che il programma di investimento sia ubicato in Emilia Romagna. Il finanziamento, fino a un massimo di euro 500.000,00 è concesso nel seguente modo:
  • Il 75% a tasso zero;
  • Il 25% a un tasso agevolato, non superiore all’Euribor 6 mesi + 4,99%. Ad oggi il tasso sarebbe pari al 5,092%.
Complessivamente, quindi, il tasso di finanziamento, con i valori attuali, è pari al 1,27%! Il finanziamento agevolato ha una durata massima di 96 mesi con la possibilità di un preammortamento di 12 mesi. Gli interventi ammissibili sono i seguenti:
  • Interventi su immobili strumentali. E’ finanziato sia l’acquisto, che l’ampliamento oppure la ristrutturazione;
  • acquisto di beni strumentali, hardware e software;
  • acquisto di brevetti, licenze, marchi, e avviamento;
  • spese per partecipazione alle fiere;
  • consulenze tecniche;
  • spese per il personale che è adibito alla realizzazione del progetto;
  • acquisto di materiale e scorte:
  • spese per affitti di unità locali per la realizzazione del progetto;
  • spese per la partecipazione al bando STARTER.
Si specifica che le spese per le consulenze, personale, acquisto di materiale e per l’affitto di unità locali non potranno essere superiori al 50% del finanziamento richiesto. Le domande, corredate dalla documentazione richiesta, dovranno essere presentate a partire dalle ore 10 del giorno 08 novembre 2023 e fino alle ore 13 del giorno 11 dicembre 2023. Le richieste saranno vagliate da un Comitato tecnico, il quale delibererà sulla loro ammissione.   Notizie ImpreseOggi
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Fondo Starter: finanziamenti agevolati e a tasso zero per le Startup dell’Emilia Romagna.

Riapre, a partire dal giorno 08 novembre 2023, la possibilità per le startup dell’Emilia Romagna di accedere ai finanziamenti a tassi agevolati previsti dal Fondo Starter. I beneficiari di questa particolare forma di agevolazione sono le imprese costituite da non più di cinque anni, che hanno meno di 50 dipendenti e che non svolgono attività legate all’agricoltura. La condizione essenziale è che il programma di investimento sia ubicato in Emilia Romagna. Il finanziamento, fino a un massimo di euro 500.000,00 è concesso nel seguente modo:
  • Il 75% a tasso zero;
  • Il 25% a un tasso agevolato, non superiore all’Euribor 6 mesi + 4,99%. Ad oggi il tasso sarebbe pari al 5,092%.
Complessivamente, quindi, il tasso di finanziamento, con i valori attuali, è pari al 1,27%! Il finanziamento agevolato ha una durata massima di 96 mesi con la possibilità di un preammortamento di 12 mesi. Gli interventi ammissibili sono i seguenti:
  • Interventi su immobili strumentali. E’ finanziato sia l’acquisto, che l’ampliamento oppure la ristrutturazione;
  • acquisto di beni strumentali, hardware e software;
  • acquisto di brevetti, licenze, marchi, e avviamento;
  • spese per partecipazione alle fiere;
  • consulenze tecniche;
  • spese per il personale che è adibito alla realizzazione del progetto;
  • acquisto di materiale e scorte:
  • spese per affitti di unità locali per la realizzazione del progetto;
  • spese per la partecipazione al bando STARTER.
Si specifica che le spese per le consulenze, personale, acquisto di materiale e per l’affitto di unità locali non potranno essere superiori al 50% del finanziamento richiesto. Le domande, corredate dalla documentazione richiesta, dovranno essere presentate a partire dalle ore 10 del giorno 08 novembre 2023 e fino alle ore 13 del giorno 11 dicembre 2023. Le richieste saranno vagliate da un Comitato tecnico, il quale delibererà sulla loro ammissione.   Notizie ImpreseOggi
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Cessione d’azienda e avviamento: no della Cassazione al calcolo della plusvalenza basato sul criterio previsto per l’imposta di registro.

Non è possibile accertare induttivamente il valore dell’avviamento, e la relativa plusvalenza, in caso di cessione d’azienda utilizzando il criterio previsto dalle norme in materia di imposta di registro. Così stabilisce la Corte di Cassazione, sezione V civile, con sentenza numero 29151 del 11 ottobre 2023 e pubblicata il 19 ottobre 2023, nel giudicare una lite assai curiosa nella quale un contribuente si è visto rettificare il valore dell’avviamento in caso di cessione di impresa, sulla base del criterio induttivo stabilito dalle norme in materia di imposta di registro. La curiosità sta nel fatto che il contribuente non aveva mai ricevuto alcun avviso di accertamento per questa imposta. Gli Ermellini, nel rigettare sia la tesi dell’Agenzia delle Entrate che quella della Commissione di Secondo Grado, partono dal dettato dell’articolo 86 del Tuir nel quale si stabilisce che la plusvalenza, in caso di cessione d’azienda, è calcolata come differenza fra il corrispettivo ricevuto, al netto degli oneri accessori, e il costo non ammortizzato. Nel calcolo concorre anche l’avviamento, assunto al suo valore fiscale. Stabilito questo, la Corte riprende una sua passata sentenza, nella quale si osserva che “in tema di imposte sui redditi, la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 5, comma 3, del D. Lgs. 147/2015, avente efficacia retroattiva, esclude che l’Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo l’Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria”. In sostanza, l’eventuale maggior valore determinato in sede di accertamento dell’imposta di registro, può essere un indice di una presunta evasione sulla plusvalenza, ma di per sé non è sufficiente a dimostrarla liberando, altresì, l'Ufficio dall'onore di una ulteriore dimostrazione e girando al contribuente la fatica di dimostrare il contrario. Occorre, come stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza in commento, che l’Ufficio proceda ad individuare ulteriori elementi di gravità tali da far presumere, in maniera fondata, l’esistenza di un provento non dichiarato. Si osserva, infine, che nel caso in esame, che non c’era stato nemmeno un accertamento ai fini dell’imposta di registro, per cui il comportamento dell’Ufficio è stato quantomeno pittoresco. Notizie ImpreseOggi
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Cessione d’azienda e avviamento: no della Cassazione al calcolo della plusvalenza basato sul criterio previsto per l’imposta di registro.

Non è possibile accertare induttivamente il valore dell’avviamento, e la relativa plusvalenza, in caso di cessione d’azienda utilizzando il criterio previsto dalle norme in materia di imposta di registro. Così stabilisce la Corte di Cassazione, sezione V civile, con sentenza numero 29151 del 11 ottobre 2023 e pubblicata il 19 ottobre 2023, nel giudicare una lite assai curiosa nella quale un contribuente si è visto rettificare il valore dell’avviamento in caso di cessione di impresa, sulla base del criterio induttivo stabilito dalle norme in materia di imposta di registro. La curiosità sta nel fatto che il contribuente non aveva mai ricevuto alcun avviso di accertamento per questa imposta. Gli Ermellini, nel rigettare sia la tesi dell’Agenzia delle Entrate che quella della Commissione di Secondo Grado, partono dal dettato dell’articolo 86 del Tuir nel quale si stabilisce che la plusvalenza, in caso di cessione d’azienda, è calcolata come differenza fra il corrispettivo ricevuto, al netto degli oneri accessori, e il costo non ammortizzato. Nel calcolo concorre anche l’avviamento, assunto al suo valore fiscale. Stabilito questo, la Corte riprende una sua passata sentenza, nella quale si osserva che “in tema di imposte sui redditi, la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 5, comma 3, del D. Lgs. 147/2015, avente efficacia retroattiva, esclude che l’Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo l’Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria”. In sostanza, l’eventuale maggior valore determinato in sede di accertamento dell’imposta di registro, può essere un indice di una presunta evasione sulla plusvalenza, ma di per sé non è sufficiente a dimostrarla liberando, altresì, l'Ufficio dall'onore di una ulteriore dimostrazione e girando al contribuente la fatica di dimostrare il contrario. Occorre, come stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza in commento, che l’Ufficio proceda ad individuare ulteriori elementi di gravità tali da far presumere, in maniera fondata, l’esistenza di un provento non dichiarato. Si osserva, infine, che nel caso in esame, che non c’era stato nemmeno un accertamento ai fini dell’imposta di registro, per cui il comportamento dell’Ufficio è stato quantomeno pittoresco. Notizie ImpreseOggi
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Cassazione: la prestazione del chiropratico è esente iva.

All’attività del chiropratico si applica l’iva esente ai sensi dell’art. 10, primo comma, n. 18 del D.p.r. 633/72. A nulla rileva l’assenza del relativo albo professionale. Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 28512/2023 del 04 luglio 2023, pubblicata il 12.10.202. La decisione nasce dal caso di un contribuente che si è visto negare l’applicazione dell’esenzione Iva in quanto non è stato ancora istituito l’albo dei chiropratici ai sensi dell’art. 2, comma della legge 244/2007. In primo grado l’Ufficio ha avuto ragione della propria tesi. La sentenza è stata poi ribaltata dalla Commissione Tributaria Regionale, la quale ha ritenuto non decisiva l’assenza del relativo albo professionale, essendo sufficiente che la professione sia inquadrata tra quelle sanitarie. Contro la decisione della Commissione di secondo grado, l’Ufficio ha proposto ricorso in Cassazione, ribadendo nel motivo l’assenza del relativo albo professionale, aggiungendo, poi, che l'attività del chiropratico, non essendo regolamentata tramite un albo professionale, non può dare garanzia di sufficiente livello di qualità. La Cassazione rigetta il ricorso dell’Ufficio. La giurisprudenza dell’Unione Europea, secondo la Suprema Corte, prevede chiaramente che l’accertamento dell’esenzione IVA si basa sul fatto che la prestazione proposta garantisca un sufficiente livello di qualità e che chi la rende sia munito di formazione adeguata, fatta da istituti di formazione riconosciuti dallo Stato, a prescindere dall’esistenza o meno di un albo professionale. La Cassazione scrive che “la natura medica della prestazione va, invero, valutata in termini sostanziali, costituendo l’ambito regolamentare un elemento come altri al fine di verificare l’esistenza dei presupposti perché la prestazione benefici dell’esenzione Iva”. Infine la Cassazione osserva che è da ritenersi superato l’opposto orientamento tenuto in passato dalla Suprema corte, con il quale si è più volte ribadito, ai fini dell’esenzione Iva, l’emanazione del relativo regolamento attuativo del percorso formativo della professione. Notizie ImpreseOggi
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Cassazione: la prestazione del chiropratico è esente iva.

All’attività del chiropratico si applica l’iva esente ai sensi dell’art. 10, primo comma, n. 18 del D.p.r. 633/72. A nulla rileva l’assenza del relativo albo professionale. Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 28512/2023 del 04 luglio 2023, pubblicata il 12.10.202. La decisione nasce dal caso di un contribuente che si è visto negare l’applicazione dell’esenzione Iva in quanto non è stato ancora istituito l’albo dei chiropratici ai sensi dell’art. 2, comma della legge 244/2007. In primo grado l’Ufficio ha avuto ragione della propria tesi. La sentenza è stata poi ribaltata dalla Commissione Tributaria Regionale, la quale ha ritenuto non decisiva l’assenza del relativo albo professionale, essendo sufficiente che la professione sia inquadrata tra quelle sanitarie. Contro la decisione della Commissione di secondo grado, l’Ufficio ha proposto ricorso in Cassazione, ribadendo nel motivo l’assenza del relativo albo professionale, aggiungendo, poi, che l'attività del chiropratico, non essendo regolamentata tramite un albo professionale, non può dare garanzia di sufficiente livello di qualità. La Cassazione rigetta il ricorso dell’Ufficio. La giurisprudenza dell’Unione Europea, secondo la Suprema Corte, prevede chiaramente che l’accertamento dell’esenzione IVA si basa sul fatto che la prestazione proposta garantisca un sufficiente livello di qualità e che chi la rende sia munito di formazione adeguata, fatta da istituti di formazione riconosciuti dallo Stato, a prescindere dall’esistenza o meno di un albo professionale. La Cassazione scrive che “la natura medica della prestazione va, invero, valutata in termini sostanziali, costituendo l’ambito regolamentare un elemento come altri al fine di verificare l’esistenza dei presupposti perché la prestazione benefici dell’esenzione Iva”. Infine la Cassazione osserva che è da ritenersi superato l’opposto orientamento tenuto in passato dalla Suprema corte, con il quale si è più volte ribadito, ai fini dell’esenzione Iva, l’emanazione del relativo regolamento attuativo del percorso formativo della professione. Notizie ImpreseOggi
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Un accertamento definitivo è annullabile in autotutela solo se viola un rilevante interesse pubblico.

Un accertamento divenuto definitivo per mancata impugnazione può essere annullato, a seguito di istanza di autotutela, solo se lo stesso contiene vizi tali da violare principi ed interessi che vanno oltre a quelli diretti del contribuente stesso. Così si esprime la Corte di Cassazione, sezione V Civile, con sentenza n. 28134/2023 del 20.09.2023, pubblicata il 05.10.2023. La decisione nasce dal caso di un contribuente al quale sono stati notificati quattro avvisi di accertamenti, per i quali non sono stati proposti tempestivi ricorsi. Solo a seguito della notifica delle relative cartelle di pagamento, il contribuente si è attivato e ha presentato delle istanze di annullamento in autotutela, che sono state rigettate dall'Ufficio. Contro questo rifiuto è stato presentato ricorso dall'interessato. Entrambi i gradi di giudizio tributario hanno dato torto al contribuente il quale, a questo punto, si è rivolto alla Corte di Cassazione per vedere riconosciute le proprie ragioni. Tra i motivi di ricorso vi è, tra l'altro, quello riguardante la violazione del principio costituzionale della capacità contributiva. Secondo il contribuente, infatti, il mancato annullamento in autotutela dell’accertamento non impugnato fa produrre a questo degli effetti che sono ritenuti in violazione del principio costituzionale della capacità contributiva. La Cassazione, nel rigettare il ricorso del contribuente, rimanda nel preambolo alla sentenza n. 181 del 13.07.2017 della Corte Costituzionale, la quale stabilische che l’atto di annullamento in autotutela è un atto discrezionale della Pubblica Amministrazione e “non costituisce un mezzo di tutela del contribuente”. Nel valutare l’annullamento di un atto amministrativo, aggiunge la Consulta, occorre valutare anche “altri interessi” fra i quali vi è anche “quello della stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico” che sarebbero inevitabilmente compromessi a seguito dell’annullamento di un atto che è diventato definitivo. La Corte Costituzionale ritiene che l’interesse pubblico è quello di far prevalere la certezza che un atto tributario diventa definitivo se non impugnato, piuttosto che far prevalere il principio che l’atto si può comunque sempre, e a prescindere, annullare. Sulla base di questo principio, la Corte di Cassazione, richiamandosi anche a precedenti pronunce, ribadisce che un diniego di autotutela può essere impugnato soltanto di fronte ad eventuali profili di illegittimità di rifiuto che compromettono, in maniera rilevante, degli interessi generali. Certamente lamentarsi di generici vizi dell’atto divenuto definitivo non rientra tra i motivi di annullamento di un avviso di accertamento definitivo. Il contribuente “deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per allegare eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non contestare la fondatezza della pretesa tributaria”, che è diventata definitiva a seguito di mancata impugnazione. Poco spazio concede la Cassazione anche alla questione della presunta violazione, a prescindere, della capacità contributiva: non è ammesso l’annullamento in autotutela di un atto basandosi solamente su un’asserita tassazione non conforme che viola, ancorchè definitiva, il principio di capacità contributiva. In questo caso l'annullamento andrebbe a tutelare un interesse specifico del soggetto che ha richiesto tale annullamento e non, invece, un più generale principio di corretta applicazione dei dettami costituzionali in materia di imposte.   Notizie ImpreseOggi
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Un accertamento definitivo è annullabile in autotutela solo se viola un rilevante interesse pubblico.

Un accertamento divenuto definitivo per mancata impugnazione può essere annullato, a seguito di istanza di autotutela, solo se lo stesso contiene vizi tali da violare principi ed interessi che vanno oltre a quelli diretti del contribuente stesso. Così si esprime la Corte di Cassazione, sezione V Civile, con sentenza n. 28134/2023 del 20.09.2023, pubblicata il 05.10.2023. La decisione nasce dal caso di un contribuente al quale sono stati notificati quattro avvisi di accertamenti, per i quali non sono stati proposti tempestivi ricorsi. Solo a seguito della notifica delle relative cartelle di pagamento, il contribuente si è attivato e ha presentato delle istanze di annullamento in autotutela, che sono state rigettate dall'Ufficio. Contro questo rifiuto è stato presentato ricorso dall'interessato. Entrambi i gradi di giudizio tributario hanno dato torto al contribuente il quale, a questo punto, si è rivolto alla Corte di Cassazione per vedere riconosciute le proprie ragioni. Tra i motivi di ricorso vi è, tra l'altro, quello riguardante la violazione del principio costituzionale della capacità contributiva. Secondo il contribuente, infatti, il mancato annullamento in autotutela dell’accertamento non impugnato fa produrre a questo degli effetti che sono ritenuti in violazione del principio costituzionale della capacità contributiva. La Cassazione, nel rigettare il ricorso del contribuente, rimanda nel preambolo alla sentenza n. 181 del 13.07.2017 della Corte Costituzionale, la quale stabilische che l’atto di annullamento in autotutela è un atto discrezionale della Pubblica Amministrazione e “non costituisce un mezzo di tutela del contribuente”. Nel valutare l’annullamento di un atto amministrativo, aggiunge la Consulta, occorre valutare anche “altri interessi” fra i quali vi è anche “quello della stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico” che sarebbero inevitabilmente compromessi a seguito dell’annullamento di un atto che è diventato definitivo. La Corte Costituzionale ritiene che l’interesse pubblico è quello di far prevalere la certezza che un atto tributario diventa definitivo se non impugnato, piuttosto che far prevalere il principio che l’atto si può comunque sempre, e a prescindere, annullare. Sulla base di questo principio, la Corte di Cassazione, richiamandosi anche a precedenti pronunce, ribadisce che un diniego di autotutela può essere impugnato soltanto di fronte ad eventuali profili di illegittimità di rifiuto che compromettono, in maniera rilevante, degli interessi generali. Certamente lamentarsi di generici vizi dell’atto divenuto definitivo non rientra tra i motivi di annullamento di un avviso di accertamento definitivo. Il contribuente “deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per allegare eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non contestare la fondatezza della pretesa tributaria”, che è diventata definitiva a seguito di mancata impugnazione. Poco spazio concede la Cassazione anche alla questione della presunta violazione, a prescindere, della capacità contributiva: non è ammesso l’annullamento in autotutela di un atto basandosi solamente su un’asserita tassazione non conforme che viola, ancorchè definitiva, il principio di capacità contributiva. In questo caso l'annullamento andrebbe a tutelare un interesse specifico del soggetto che ha richiesto tale annullamento e non, invece, un più generale principio di corretta applicazione dei dettami costituzionali in materia di imposte.   Notizie ImpreseOggi
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Fondo perduto per il sostegno alla transizione industriale: dal 10 ottobre al via le domande per ricevere il contributo a fondo perduto.

Apre il 10 ottobre, sul sito di Invitalia, lo sportello per poter richiedere il contributo relativo al Fondo per il sostegno alla transizione industriale. Previsto dall’articolo 1, commi 478 e 479, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, e poi disciplinato nelle modalità di attuazione del Decreto del Direttore per gli Incentivi alle Imprese del 30 agosto 2023, il Fondo ha come obiettivo quello di incentivare le imprese manifatturiere, produttive ed estrattive ad adeguarsi alle politiche europee in materia di lotta ai cambiamenti climatici. I soggetti destinatari del contributo a fondo perduto sono, quindi, le imprese che operano nel settore estrattivo e manifatturiero, la cui attività rientrano nelle sezioni B e C del codice Ateco 2007. Il fondo finanzia gli investimenti che perseguono almeno una di queste finalità
  • Maggior efficienza energetica dell’attività produttiva o un cambiamento fondamentale del processo produttivo che si vuole modificare. In questo ambito è prevista l’ammissibilità di spese accessorie, nel limite del 40%, che sono funzionali all’installazione di impianti di produzione da fonti rinnovabili;
  • Uso efficiente delle risorse, attraverso processi che ne riducano il loro uso o ne favoriscono il riuso, il riciclo o il recupero.
Gli investimenti non devono, però, dare luogo a un aumento della capacità produttiva. E’ finanziato, quindi, solo il miglioramento “ecologico” dei processi produttivi e non il loro aumento.   Le spese ammissibili sono:
  • Acquisto di terreni e relative sistemazioni, nel limite massimo del 10% dell’investimento complessivo;
  • Opere murarie, nel limite del 40% dell’investimento complessivo e solo se strettamente necessarie a raggiungere gli obiettivi ambientali posti dalla misura di agevolazione;
  • Impianti e attrezzattura, purchè nuovi e non usati;
  • Programmi informatici, brevetti e altre conoscenze tecniche ancorchè non brevettate;
  • Spese di formazione del personale.
Il contributo a fondo perduto è pari:
  • Al 30% delle spese ammissibili, se le spese sono state determinate confrontandole con i costi dell’investimento in caso di assenza dell’aiuto. Il contributo può essere aumentato del 20% in caso di piccole imprese, del 10% per le medie imprese, del 15% se gli investimenti vengono fatti nelle zone A, e del 5% nel caso vengano effettuati in zone C;
  • Se le spese sono state determinate considerando il 100% dei costi totali, le agevolazioni sono ridotte del 50%;
  • Se viene richiesto l’applicazione del Temporary Framework, il contributo è pari al 40% dei costi ammessi, se questi sono determinati come differenza tra i costi del progetto rispetto alla situazione senza aiuti. Anche in questo caso ci sono delle maggiorazioni, rispettivamente del 20% in caso di piccole imprese, 10% in caso di medie imprese e del 15% per investimenti che riducono il consumo di energia almeno del 25%.
  • Se le spese sono determinate considerando il 100% dei costi totali di investimento, il contributo sarà pari al 30%
I progetti di investimento saranno ammessi sulla base di una procedura di valutazione. I progetti dovranno essere presentati a partire dalle ore 12:00 del giorno 10 ottobre 2023 per terminare alle ore 12:00 del giorno 12 dicembre 2023. Le domande saranno esclusivamente telematiche, da inoltrare tramite lapposita sezione presente sul sito di Invitalia.

 

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Fondo perduto per il sostegno alla transizione industriale: dal 10 ottobre al via le domande per ricevere il contributo a fondo perduto.

Apre il 10 ottobre, sul sito di Invitalia, lo sportello per poter richiedere il contributo relativo al Fondo per il sostegno alla transizione industriale. Previsto dall’articolo 1, commi 478 e 479, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, e poi disciplinato nelle modalità di attuazione del Decreto del Direttore per gli Incentivi alle Imprese del 30 agosto 2023, il Fondo ha come obiettivo quello di incentivare le imprese manifatturiere, produttive ed estrattive ad adeguarsi alle politiche europee in materia di lotta ai cambiamenti climatici. I soggetti destinatari del contributo a fondo perduto sono, quindi, le imprese che operano nel settore estrattivo e manifatturiero, la cui attività rientrano nelle sezioni B e C del codice Ateco 2007. Il fondo finanzia gli investimenti che perseguono almeno una di queste finalità
  • Maggior efficienza energetica dell’attività produttiva o un cambiamento fondamentale del processo produttivo che si vuole modificare. In questo ambito è prevista l’ammissibilità di spese accessorie, nel limite del 40%, che sono funzionali all’installazione di impianti di produzione da fonti rinnovabili;
  • Uso efficiente delle risorse, attraverso processi che ne riducano il loro uso o ne favoriscono il riuso, il riciclo o il recupero.
Gli investimenti non devono, però, dare luogo a un aumento della capacità produttiva. E’ finanziato, quindi, solo il miglioramento “ecologico” dei processi produttivi e non il loro aumento.   Le spese ammissibili sono:
  • Acquisto di terreni e relative sistemazioni, nel limite massimo del 10% dell’investimento complessivo;
  • Opere murarie, nel limite del 40% dell’investimento complessivo e solo se strettamente necessarie a raggiungere gli obiettivi ambientali posti dalla misura di agevolazione;
  • Impianti e attrezzattura, purchè nuovi e non usati;
  • Programmi informatici, brevetti e altre conoscenze tecniche ancorchè non brevettate;
  • Spese di formazione del personale.
Il contributo a fondo perduto è pari:
  • Al 30% delle spese ammissibili, se le spese sono state determinate confrontandole con i costi dell’investimento in caso di assenza dell’aiuto. Il contributo può essere aumentato del 20% in caso di piccole imprese, del 10% per le medie imprese, del 15% se gli investimenti vengono fatti nelle zone A, e del 5% nel caso vengano effettuati in zone C;
  • Se le spese sono state determinate considerando il 100% dei costi totali, le agevolazioni sono ridotte del 50%;
  • Se viene richiesto l’applicazione del Temporary Framework, il contributo è pari al 40% dei costi ammessi, se questi sono determinati come differenza tra i costi del progetto rispetto alla situazione senza aiuti. Anche in questo caso ci sono delle maggiorazioni, rispettivamente del 20% in caso di piccole imprese, 10% in caso di medie imprese e del 15% per investimenti che riducono il consumo di energia almeno del 25%.
  • Se le spese sono determinate considerando il 100% dei costi totali di investimento, il contributo sarà pari al 30%
I progetti di investimento saranno ammessi sulla base di una procedura di valutazione. I progetti dovranno essere presentati a partire dalle ore 12:00 del giorno 10 ottobre 2023 per terminare alle ore 12:00 del giorno 12 dicembre 2023. Le domande saranno esclusivamente telematiche, da inoltrare tramite lapposita sezione presente sul sito di Invitalia.

 

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Digital box 2023: dalla Regione Emilia Romagna un contributo a fondo perduto per incentivare lo sviluppo sui mercati esteri

In continuità con quanto avvenuto gli anni precedenti, anche per il 2023 la Regione Emilia Romagna e Unioncamere Emilia Romagna hanno riaperto i termini del bando denominato “Digital Box”. L’obiettivo dichiarato è quello di incentivare ed aiutare le imprese manifatturiere dell’Emilia Romagna che vogliono sviluppare la propria attività sui mercati esteri, incrementando sia l’export oppure creando nuovi mercati di sbocco per i propri prodotti. Possono accedere all’agevolazione le micro-imprese, le piccole o medie imprese manifatturiere che hanno sede legale o una unità operativa nel territorio dell’Emilia Romagna. L’incentivo come si può notare è, quindi, limitato esclusivamente alle imprese che producono prodotti, individuate tra quelle che rientrano nella sezione C - attività manifatturiere - divisioni dalla 10 alle 33 – del Codice Ateco 2007. Ogni impresa potrà presentare un solo progetto, rivolto a qualsiasi Paese senza un numero minimo di obiettivi, che coinvolga almeno due di questi ambiti:
  • Temporary Export Manager e Digital Export Manager;
  • B2B e B2C;
  • Fiere e convegni specialistici a carattere internazionale;
  • Marketing digitale;
  • Business online;
  • Sito web;
  • Materiali promozionali;
Le spese relative al progetto dovranno essere sostenute nel periodo dal 01.01.2024 al 31.12.2024. Il contributo a fondo perduto è pari al 50% delle spese dichiarate ammissibile con un contributo minimo pari ad euro 5.000,00 e massimo pari ad euro 10.000,00. Il progetto per cui si richiede il fondo perduto dovrà avere, quindi, spese minime per euro 10.000,00 e massime per euro 20.000,00. Le spese ammissibili sono precisamente elencate nel Bando pubblicato. I progetti che riceveranno il contributo saranno selezionati tramite una procedura di tipo valutativo a graduatoria, secondo un punteggio puntuale illustrato anch’esso nel bando. Le domande potranno essere presentate a partire dalle ore 12:00 del giorno 09 ottobre 2023 e fino alle ore 14:00 del giorno 27 ottobre 2023. Per ogni informazione si può contattare lo studio al numero 0541.708252 Notizie ImpreseOggi
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Digital box 2023: dalla Regione Emilia Romagna un contributo a fondo perduto per incentivare lo sviluppo sui mercati esteri

In continuità con quanto avvenuto gli anni precedenti, anche per il 2023 la Regione Emilia Romagna e Unioncamere Emilia Romagna hanno riaperto i termini del bando denominato “Digital Box”. L’obiettivo dichiarato è quello di incentivare ed aiutare le imprese manifatturiere dell’Emilia Romagna che vogliono sviluppare la propria attività sui mercati esteri, incrementando sia l’export oppure creando nuovi mercati di sbocco per i propri prodotti. Possono accedere all’agevolazione le micro-imprese, le piccole o medie imprese manifatturiere che hanno sede legale o una unità operativa nel territorio dell’Emilia Romagna. L’incentivo come si può notare è, quindi, limitato esclusivamente alle imprese che producono prodotti, individuate tra quelle che rientrano nella sezione C - attività manifatturiere - divisioni dalla 10 alle 33 – del Codice Ateco 2007. Ogni impresa potrà presentare un solo progetto, rivolto a qualsiasi Paese senza un numero minimo di obiettivi, che coinvolga almeno due di questi ambiti:
  • Temporary Export Manager e Digital Export Manager;
  • B2B e B2C;
  • Fiere e convegni specialistici a carattere internazionale;
  • Marketing digitale;
  • Business online;
  • Sito web;
  • Materiali promozionali;
Le spese relative al progetto dovranno essere sostenute nel periodo dal 01.01.2024 al 31.12.2024. Il contributo a fondo perduto è pari al 50% delle spese dichiarate ammissibile con un contributo minimo pari ad euro 5.000,00 e massimo pari ad euro 10.000,00. Il progetto per cui si richiede il fondo perduto dovrà avere, quindi, spese minime per euro 10.000,00 e massime per euro 20.000,00. Le spese ammissibili sono precisamente elencate nel Bando pubblicato. I progetti che riceveranno il contributo saranno selezionati tramite una procedura di tipo valutativo a graduatoria, secondo un punteggio puntuale illustrato anch’esso nel bando. Le domande potranno essere presentate a partire dalle ore 12:00 del giorno 09 ottobre 2023 e fino alle ore 14:00 del giorno 27 ottobre 2023. Per ogni informazione si può contattare lo studio al numero 0541.708252 Notizie ImpreseOggi
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Risarcimento danni alluvione da enti bilaterali: nessuna ritenuta e nessuna tassazione per i dipendenti.

Nessuna ritenuta e nessuna tassazione per i contributi che un ente bilaterale eroga, ai dipendenti iscritti, per il riacquisto di beni materiali danneggiati dall’alluvione. Nessuna ritenuta del 4% sui contributi erogati alle imprese per il riacquisto di beni strumentali danneggiati, mentre va applicata nel caso siano destinati al mero ripristino degli stessi. A queste conclusioni arriva l’Agenzia delle Entrate rispondendo a un interpello, non pubblicato, avanzato da un ente bilaterale. Il quesito proposto riguarda l’obbligatorietà della ritenuta e l’assoggettamento a tassazione di un contributo erogato a favore di imprese e dipendenti a parziale copertura dei danni subiti con le recenti alluvioni. Le somme sono erogate al beneficiario previa consegna di idonea documentazione attestante la sostituzione o il ripristino dei beni danneggiati.  L’Agenzia delle Entrate, nel rispondere, richiama l’art. 6 del Tuir e la circolare 20/2011, precisando che, in via generale, un risarcimento è tassabile quando va a sostituire un reddito, di qualsiasi natura, che è stato perduto a seguito dell’avvento avverso. Nel caso in esame, il contributo a favore dei dipendenti non rientra in questa casistica perché non va a sostituire un reddito perduto, ma ha una funzione prettamente assistenziale e costituisce un mero rimborso di spese documentate. La sua natura di rimborso spesa, quindi, lo porta a essere escluso sia da tassazione in capo al beneficiario, sia dalla ritenuta del 23%. Diverso è il caso che riguarda le imprese. Se il contributo erogato è finalizzato alla sostituzione dei beni strumentali danneggiati, questo non è soggetto a ritenuta perché rientra nella previsione dell’art. 28, c. 2 del Dpr 600/1973, il quale stabilisce l’esclusione da ritenuta dei contributi, erogati da regioni, provincie, comuni e altri enti pubblici e privati, finalizzati all’acquisto di beni strumentali. L’impresa dovrà trattare tale somma come contributo in conto impianto, portandolo in diminuzione dell’importo ammortizzabile. Se il contributo erogato è finalizzato al ripristino del bene, va considerato come contributo in conto esercizio, va contabilizzato ad integrazione dei ricavi o in riduzione dei relativi costi ed è soggetto a ritenuta al 4%. Notizie ImpreseOggi
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Risarcimento danni alluvione da enti bilaterali: nessuna ritenuta e nessuna tassazione per i dipendenti.

Nessuna ritenuta e nessuna tassazione per i contributi che un ente bilaterale eroga, ai dipendenti iscritti, per il riacquisto di beni materiali danneggiati dall’alluvione. Nessuna ritenuta del 4% sui contributi erogati alle imprese per il riacquisto di beni strumentali danneggiati, mentre va applicata nel caso siano destinati al mero ripristino degli stessi. A queste conclusioni arriva l’Agenzia delle Entrate rispondendo a un interpello, non pubblicato, avanzato da un ente bilaterale. Il quesito proposto riguarda l’obbligatorietà della ritenuta e l’assoggettamento a tassazione di un contributo erogato a favore di imprese e dipendenti a parziale copertura dei danni subiti con le recenti alluvioni. Le somme sono erogate al beneficiario previa consegna di idonea documentazione attestante la sostituzione o il ripristino dei beni danneggiati.  L’Agenzia delle Entrate, nel rispondere, richiama l’art. 6 del Tuir e la circolare 20/2011, precisando che, in via generale, un risarcimento è tassabile quando va a sostituire un reddito, di qualsiasi natura, che è stato perduto a seguito dell’avvento avverso. Nel caso in esame, il contributo a favore dei dipendenti non rientra in questa casistica perché non va a sostituire un reddito perduto, ma ha una funzione prettamente assistenziale e costituisce un mero rimborso di spese documentate. La sua natura di rimborso spesa, quindi, lo porta a essere escluso sia da tassazione in capo al beneficiario, sia dalla ritenuta del 23%. Diverso è il caso che riguarda le imprese. Se il contributo erogato è finalizzato alla sostituzione dei beni strumentali danneggiati, questo non è soggetto a ritenuta perché rientra nella previsione dell’art. 28, c. 2 del Dpr 600/1973, il quale stabilisce l’esclusione da ritenuta dei contributi, erogati da regioni, provincie, comuni e altri enti pubblici e privati, finalizzati all’acquisto di beni strumentali. L’impresa dovrà trattare tale somma come contributo in conto impianto, portandolo in diminuzione dell’importo ammortizzabile. Se il contributo erogato è finalizzato al ripristino del bene, va considerato come contributo in conto esercizio, va contabilizzato ad integrazione dei ricavi o in riduzione dei relativi costi ed è soggetto a ritenuta al 4%. Notizie ImpreseOggi
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Ministro Giorgetti: “Non è intenzione del Governo procedere alla proroga delle misure relative al 110%”.

Con risposta fornita oggi 13 settembre al question time alla Camera dei Deputati, il Ministro dell'Economia e Finanza Giorgetti, a nome del Governo, mette fine alle voci che si sono rincorse nelle ultime settimane circa la volontà di prorogare al 2024 il superbonus per i condomini. “L’effetto espansivo non è stato tale da rendere lo strumento a impatto nullo per il conto economico delle amministrazioni pubbliche”, dice il Ministro Giorgetti per poi aggiungere: “In sintesi se da una parte la stima dell’impatto macroeconomico del superbonus 110% è incerta, dall’altra parte la quantificazione dei costi per le finanze pubbliche è certa, e dovrà darsene conto anche nella prossima nota di aggiornamento al Def”. Il Ministro, poi, solleva dei dubbi anche sull’equità della misura del superbonus che “è stato pagato da tutti gli italiani” ma ad usufruirne materialmente è stato solo “il 3% del patrimonio immobiliare formato da prime e seconde case, al mare e ai monti, di ricchi e di poveri, e anche sei castelli”. Proprio per questa iniquità il Governo non ha intenzione di “procedere alla proroga delle misure relative agli interventi nelle forme finora conosciute”. Allo studio, invece, misure per favorire maggiormente “la verifica della bontà di quelli ancora in possesso dei cittadini e delle imprese e sorti nel periodo antecedente l’introduzione dei vincoli di appropriatezza”. Insomma, una chiusura netta e precisa da parte dell’Esecutivo. Si osserva, però, che al di là del tentativo di favorire maggiormente la cessione del credito, nulla è stato fatto (e probabilmente nulla si potrà fare) per evitare che, al di là della indiscussa buonafede di chi acquista il credito, questo possa essere comunque sequestrato in ambito di indagine penale, bloccandolo per tutto il periodo necessario alla conclusione dei vari procedimenti. Forse, alla fine, è questa la grande paura delle banche: essere coinvolte in situazioni in cui non possono utilizzare ciò che è stato pagato in anticipo, se non quando ormai i termini l'effettivo beneficio sono spirati. Notizie ImpreseOggi
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Ministro Giorgetti: “Non è intenzione del Governo procedere alla proroga delle misure relative al 110%”.

Con risposta fornita oggi 13 settembre al question time alla Camera dei Deputati, il Ministro dell'Economia e Finanza Giorgetti, a nome del Governo, mette fine alle voci che si sono rincorse nelle ultime settimane circa la volontà di prorogare al 2024 il superbonus per i condomini. “L’effetto espansivo non è stato tale da rendere lo strumento a impatto nullo per il conto economico delle amministrazioni pubbliche”, dice il Ministro Giorgetti per poi aggiungere: “In sintesi se da una parte la stima dell’impatto macroeconomico del superbonus 110% è incerta, dall’altra parte la quantificazione dei costi per le finanze pubbliche è certa, e dovrà darsene conto anche nella prossima nota di aggiornamento al Def”. Il Ministro, poi, solleva dei dubbi anche sull’equità della misura del superbonus che “è stato pagato da tutti gli italiani” ma ad usufruirne materialmente è stato solo “il 3% del patrimonio immobiliare formato da prime e seconde case, al mare e ai monti, di ricchi e di poveri, e anche sei castelli”. Proprio per questa iniquità il Governo non ha intenzione di “procedere alla proroga delle misure relative agli interventi nelle forme finora conosciute”. Allo studio, invece, misure per favorire maggiormente “la verifica della bontà di quelli ancora in possesso dei cittadini e delle imprese e sorti nel periodo antecedente l’introduzione dei vincoli di appropriatezza”. Insomma, una chiusura netta e precisa da parte dell’Esecutivo. Si osserva, però, che al di là del tentativo di favorire maggiormente la cessione del credito, nulla è stato fatto (e probabilmente nulla si potrà fare) per evitare che, al di là della indiscussa buonafede di chi acquista il credito, questo possa essere comunque sequestrato in ambito di indagine penale, bloccandolo per tutto il periodo necessario alla conclusione dei vari procedimenti. Forse, alla fine, è questa la grande paura delle banche: essere coinvolte in situazioni in cui non possono utilizzare ciò che è stato pagato in anticipo, se non quando ormai i termini l'effettivo beneficio sono spirati. Notizie ImpreseOggi
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Regione Marche: contributi a fondo perduto a favore di artigiani.

La Regione Marche ha previsto un’agevolazione a fondo perduto per le imprese artigiane che vogliono realizzare nuovi investimenti finalizzati all’innovazione e all’ammodernamento dei propri impianti produttivi. L’agevolazione è rivolta sia alle imprese già esistenti che alle nuove imprese artigiane. Spese ammesse Possono essere ammesse al contributo a fondo perduto le seguenti spese:
  • Spese per la ristrutturazione ordinaria e straordinaria di immobili di proprietà o in locazione, con espressa esclusione degli immobili detenuti in comodato. Nella ristrutturazione rientrano gli interventi sugli impianti e sui sistemi di vigilanza;
  • Spese per acquisto di macchinari e relative attrezzature;
  • Spese per l’acquisto di immobilizzazioni immateriali. Ad esempio le spese per acquisto di licenze, concessioni, registrazione di disegni e/o brevetti;
  • Spese di progettazione e di consulenza. L’importo ammesso è il 20% delle spese viste sopra;
  • Spese generali, quantificate nella misura del 7% delle spese relative ai punti 1, 2, 3 di cui sopra.
Requisiti delle imprese. Sono ammesse al contributo le imprese che:
  • Sono attive e hanno la sede legale o una unità produttiva nella Regione Marche.
  • Sono iscritte all’Albo Artigiani. Sono da considerarsi “nuove imprese”, le imprese già costituite alla data del 01.01.2023. Nel caso in cui non siano ancora iscritte al momento della presentazione della domanda, le stesse dovranno provvedere a farlo entro 30 giorni dalla concessione del contributo;
  • Non esercitano attività rientranti nell’agricoltura, nella pesca o nell’estrazione di minerali;
  • Non sono da considerarsi “imprese in difficoltà” o non essere sottoposti a procedure di insolvenza;
  • Sono in regola con le disposizioni in materia fiscale, di contributi previdenziali ed assistenziali;
  • Che applicano contratti ai lavoratori dipendenti sottoscritte dalle Organizzazioni sindacali più rappresentative;
Limiti di investimento. L’importo ammesso all’agevolazione non può essere inferiore a:
  • Euro 40.000,00 iva esclusa nel caso di partecipazione di imprese già costituite e che vogliono ampliare o modernizzare la propria attività;
  • Euro 20.000,00 iva esclusa nel caso di imprese neo-costuite.
Percentuale del contributo a fondo perduto. Nel caso di scelta della modalità sottoforma di contributo de minimis, le spese ammesse sono quelle a decorrere dal 01.01.2022 e il contributo è pari al 50% della spesa ammessa con un massimo di euro 200.000,00. Nel caso di contributo calcolato con il metodo del Regolamento di esenzione di cui al Reg. Ue 651/2014, l’importo del contributo è pari al 20% delle spese ammesse, elevato al 35% nel caso l’investimento sia realizzato nei comuni che rientrano nelle regioni svantaggiate. In questo caso il contributo massimo ottenibile è pari ad euro 250.000,00 e gli investimenti devono essere iniziati successivamente al momento di presentazione della domanda. Termini di presentazione della domanda. La domanda deve essere presentata entro e non oltre le ore 12.00 del 13 ottobre 2023, tramite procedura informatica sul sito https://sigef.regione.marche.it/web/HomePage.aspx Modalità di assegnazione del contributo. Le domande saranno valutate secondo i criteri previsti nel bando. Dall’applicazione di questi criteri scaturirà, poi, una graduatoria e i contributi saranno assegnati fino a concorrenza dell’importo messo a bando. Notizie ImpreseOggi
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Regione Marche: contributi a fondo perduto a favore di artigiani.

La Regione Marche ha previsto un’agevolazione a fondo perduto per le imprese artigiane che vogliono realizzare nuovi investimenti finalizzati all’innovazione e all’ammodernamento dei propri impianti produttivi. L’agevolazione è rivolta sia alle imprese già esistenti che alle nuove imprese artigiane. Spese ammesse Possono essere ammesse al contributo a fondo perduto le seguenti spese:
  • Spese per la ristrutturazione ordinaria e straordinaria di immobili di proprietà o in locazione, con espressa esclusione degli immobili detenuti in comodato. Nella ristrutturazione rientrano gli interventi sugli impianti e sui sistemi di vigilanza;
  • Spese per acquisto di macchinari e relative attrezzature;
  • Spese per l’acquisto di immobilizzazioni immateriali. Ad esempio le spese per acquisto di licenze, concessioni, registrazione di disegni e/o brevetti;
  • Spese di progettazione e di consulenza. L’importo ammesso è il 20% delle spese viste sopra;
  • Spese generali, quantificate nella misura del 7% delle spese relative ai punti 1, 2, 3 di cui sopra.
Requisiti delle imprese. Sono ammesse al contributo le imprese che:
  • Sono attive e hanno la sede legale o una unità produttiva nella Regione Marche.
  • Sono iscritte all’Albo Artigiani. Sono da considerarsi “nuove imprese”, le imprese già costituite alla data del 01.01.2023. Nel caso in cui non siano ancora iscritte al momento della presentazione della domanda, le stesse dovranno provvedere a farlo entro 30 giorni dalla concessione del contributo;
  • Non esercitano attività rientranti nell’agricoltura, nella pesca o nell’estrazione di minerali;
  • Non sono da considerarsi “imprese in difficoltà” o non essere sottoposti a procedure di insolvenza;
  • Sono in regola con le disposizioni in materia fiscale, di contributi previdenziali ed assistenziali;
  • Che applicano contratti ai lavoratori dipendenti sottoscritte dalle Organizzazioni sindacali più rappresentative;
Limiti di investimento. L’importo ammesso all’agevolazione non può essere inferiore a:
  • Euro 40.000,00 iva esclusa nel caso di partecipazione di imprese già costituite e che vogliono ampliare o modernizzare la propria attività;
  • Euro 20.000,00 iva esclusa nel caso di imprese neo-costuite.
Percentuale del contributo a fondo perduto. Nel caso di scelta della modalità sottoforma di contributo de minimis, le spese ammesse sono quelle a decorrere dal 01.01.2022 e il contributo è pari al 50% della spesa ammessa con un massimo di euro 200.000,00. Nel caso di contributo calcolato con il metodo del Regolamento di esenzione di cui al Reg. Ue 651/2014, l’importo del contributo è pari al 20% delle spese ammesse, elevato al 35% nel caso l’investimento sia realizzato nei comuni che rientrano nelle regioni svantaggiate. In questo caso il contributo massimo ottenibile è pari ad euro 250.000,00 e gli investimenti devono essere iniziati successivamente al momento di presentazione della domanda. Termini di presentazione della domanda. La domanda deve essere presentata entro e non oltre le ore 12.00 del 13 ottobre 2023, tramite procedura informatica sul sito https://sigef.regione.marche.it/web/HomePage.aspx Modalità di assegnazione del contributo. Le domande saranno valutate secondo i criteri previsti nel bando. Dall’applicazione di questi criteri scaturirà, poi, una graduatoria e i contributi saranno assegnati fino a concorrenza dell’importo messo a bando. Notizie ImpreseOggi
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Cristian Tamagnini, Cento Fiori: “Dl Caivano inutile, prevenzione, rieducazione, integrazione sono le tre parole per combattere la devianza giovanile”

Cooperativa sociale Cento Fiori - Ven, 08/09/2023 - 15:01
Il presidente della cooperativa sociale di Rimini, che si occupa di recupero da dipendenze e progetti di prevenzione tra i giovani, interviene sul decreto: i tagli ai servizi sociali e sanitari tolgono linfa alla prevenzione.

“Il disagio giovanile non si combatte né inasprendo le pene né depauperando la prevenzione e l’assistenza sociale. L’abbandono dello stato delle periferie urbane, i tagli sociali inaspriscono il disagio che poi, sconsideratamente, qualcuno pensa di arginare promulgando dei disegni di legge, come il cosiddetto DL Caivano sul tavolo del Consiglio dei ministri, che servono a mostrare inutilmente muscoli per produrre solo consenso, non veri risultati”. Cristian Tamagnini, presidente della Cooperativa Sociale Cento Fiori, che gestisce numerosi strutture di recupero dalle dipendenze e fa azioni di prevenzione tra i giovani del territorio riminese, interviene sulle ultime mosse del Governo in tema di problemi giovanili.

“Autorevoli magistrati di corti minorili sono già intervenuti per sottolineare l’inutilità di meri slogan come “inasprimento delle pene”, io sottolineo che “prevenzione”, “rieducazione” e “integrazione” sono le parole chiave per intercettare il disagio giovanile prima che questo diventi devianza. Lo abbiamo toccato con mano anche noi, quando una nostra struttura è stata attaccata da un gesto vandalico. Uno dei protagonisti ha scontato la pena alternativa aiutando le vittime e non solo ha compreso la portata del suo gesto, ma, dopo, è diventato un supporto al nostro lavoro, cosa di cui siamo orgogliosi”.

“La verità scomoda per chi ama le soluzioni che infiammano l’opinione pubblica – dice Tamagnini – è che tagliare i servizi sociali e sanitari toglie linfa alla prevenzione, limita il lavoro delle strutture professionali di accoglienza come comunità e case famiglia, depaupera il nostro patrimonio di educatori professionali, abbandona a loro stessi i giovani a rischio. E mi limito a questi aspetti, perché altri autorevoli membri della magistratura hanno puntato il dito sui tagli alla giustizia minorile, che si riverbera anche nelle strutture di accoglienza. Caivano è un monito per la nostra società e invece di farlo nostro per combatterlo, con provvedimenti sbagliati purtroppo puntiamo a farlo prosperare”.

L'articolo Cristian Tamagnini, Cento Fiori: “Dl Caivano inutile, prevenzione, rieducazione, integrazione sono le tre parole per combattere la devianza giovanile” proviene da Cento Fiori, Rimini.

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