Messaggio di avvertimento

The subscription service is currently unavailable. Please try again later.

Grassi Benaglia Moretti avvocati e commercialisti

Abbonamento a feed Grassi Benaglia Moretti avvocati e commercialisti
Aggiornato: 2 giorni 14 ore fa

No alla partecipazione a Gare Pubbliche in caso di debiti tributari anche non definitivi.

Ven, 14/10/2022 - 18:02
Sulla Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n.239 del 12-10-2022 è stato pubblicato il decreto che dà attuazione all’art. 80 c.4 quinto periodo del D.LGS. 50/2016 (Codice degli Appalti) con il quale una stazione appaltante può escludere dalla partecipazione a una gara pubblica una impresa che ha commesso gravi violazioni, anche se non definitivamente accertate, di obblighi relativi al pagamento di imposte, tasse o contributi. Ambito di applicazione. All’articolo 2 il Decreto in commento definisce cosa si intende per “violazione di obblighi tributari o previdenziali". In particolare, si ha una violazione che potenzialmente può causare l’esclusione ad una gara pubblica, qualora l’impresa non abbia pagato imposte, tasse o contributi derivanti da:
  1. Avvisi di accertamento emessi a seguito di controllo o liquidazione da parte degli uffici preposti;
  2. Cartelle di pagamento comprese quelle derivanti da comunicazioni di irregolarità (c.d. “avvisi bonari”);
Soglia di gravità. Il provvedimento legislativo del MEF individua una soglia minima per valutare se la violazione ha il carattere della “gravità”. Qualora questa soglia venga superata, la stazione appaltante può invocare l’esclusione del partecipante, in quanto verificata la prescritta “gravità”. La soglia, prevista dall’art. 3, è pari al 10% dell’importo dell’appalto. In sostanza, se l’impresa partecipante ha ricevuto un avviso di accertamento, anche se non definitivo, il cui importo presuntivamente evaso, al netto di sanzioni e interessi, è superiore del 10% del valore dell’appalto a cui vuole partecipare, può essere esclusa dalla gara. In caso di gare suddivise in lotti, il valore dell’appalto è pari all’importo del lotto al quale l’impresa vuole partecipare. Ad ogni modo, onde evitare esclusioni per importi oggettivamente insignificanti, l’art. 3 prevede che l’importo della presunta omissione non deve essere inferiore ad euro 35.000. In pratica, l’esclusione può operare solo in presenza di appalti con importi almeno di euro 350.000,00. Violazione non definitivamente accertata. L’art. 4 del Decreto Legge stabilisce che la stazione appaltante può escludere una impresa dalla gara, qualora questa abbia ricevuto un avviso di accertamento o una cartella di pagamento che sono stati oggetto di impugnazione davanti al Giudice competente.  L’impresa, invece, non può essere esclusa qualora il ricorso è stato accolto ma la sentenza non è ancora passata in giudicato. In poche parole, se il partecipante ha impugnato un avviso di accertamento in primo grado, ma sono ancora pendenti i termini per il ricorso da parte dell’Ufficio, non può essere escluso dalla gara in quanto non si è in presenza di una “violazione non definitivamente accertata”.  Lo stesso discorso vale anche qualora l’atto sia stato impugnato ma è stato emesso solo un provvedimento di sospensione dello stesso, rimandando la decisione successivamente. Conclusioni. La chiosa finale, che riporta il pensiero dell’estensore di questo articolo, tocca ancora una volta il tema della colpevolezza fino a prova contraria, con evidenti effetti sul sistema imprenditoriale di questo Paese. Appare chiaro, infatti, che una impresa può essere esclusa dalla gara non in base a una accertata e definitiva violazione (per la quale si può convenire la correttezza della conseguente esclusione), ma sulla base di una violazione che non necessariamente è detto che alla fine dell'iter giuridico si dimostri tale.  Solo un giudizio a favore può ripristinare una presunta legalità, con l’evidente problema, però, che questo può avvenire a distanza di molti anni, causando un costo inammissibile e spropositato per le imprese sane.     Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Esclusa la responsabilità di chi acquista crediti derivanti da Bonus fiscali se c’è visto di conformità e asseverazione.

Gio, 06/10/2022 - 22:20
L’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 33/e del 06 ottobre 2022, pone finalmente un punto chiaro e preciso circa le responsabilità di chi acquista, in buona fede, i crediti derivanti da lavori 110 o bonus edilizi vari. Non che ce ne fosse bisogno, stante il tenore delle norme vigenti, ma è apprezzabile l’intervento soprattutto in quanto fa una certa chiarezza su cosa lei intende quando parla di dolo o colpa grave. Un passo indietro, però. Prima dell’introduzione del Decreto Aiuti e di quello Aiuti – bis, l’art. 121 del D.L. 34/2020, nelle varie riformulazioni succedute nel tempo, prevedeva una generica responsabilità dell’acquirente del credito fiscale, non distinguendo per lo stesso se l’acquisto fosse stato posto in essere con dolo o con colpa. Nel silenzio, quindi, bastava anche semplicemente una colpa lieve per essere chiamati a rispondere di eventuali truffe svolte dal soggetto cedente. I due Decreti Aiuti hanno posto un limite a questa responsabilità, limitandola al dolo e alla sola colpa grave. La circolare n. 33/e si incarica di definire e circoscrivere meglio cosa si intende, quindi, quando si parla di comportamento doloso o viziato da colpa grave. Per farlo, opera un richiamo al D.Lgs. 472/97 e alla circolare 180 del 10 luglio 1998, le quali precisano che:
  • Per dolo si intende quell’azione che è attuata “con l’intento di pregiudicare la determinazione dell’imponibile o dell’imposta ovvero diretta ad ostacolare l’attività amministrativa di accertamento”. In sostanza, l’azione deve essere preordinata all’evasione e vi deve essere la consapevolezza, nell’autore, del suo comportamento fraudolento. Nel caso della cessione dei crediti fiscali, il dolo lo si rileva quando chi compra partecipa al disegno truffaldino oppure quando si capisce che i crediti oggetto di cessione sono inesistenti in maniera macroscopica e, nonostante tale evidenza, l’acquirente procede comunque al suo acquisto.
  • Per colpa grave si intende “quando l’imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non è possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e, di conseguenza, risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari”. Per determinare il grado della colpa occorre fare riferimento alle nozioni tecniche della persona che ha operato l’acquisto. In sostanza una colpa potrà essere grave se rapportata a un commercialista ma non può essere, al contrario, lieve o addirittura inesistente per un imbianchino. Nel caso della cessione dei crediti fiscali, si avrà senz’altro colpa grave quando si acquista un credito senza avere la benchè minima documentazione oppure questa è contradditoria, come ad esempio nel caso in cui sia indicato un immobile diverso da quello che ha generato il credito fiscale oggetto di cessione.
L’articolo 14 del Decreto Aiuti opera una presunzione di legge ed esclude che vi sia dolo o colpa grave:
  • In caso di crediti derivanti da Superbonus 110, quando vi è il visto di conformità, le attestazioni e le asseverazioni previste dalle norme vigenti. Quindi, trattandosi di interventi che rientrano nel bonus 110, non vi potrai mai essere responsabilità per dolo o colpa grave da parte di chi acquista, essendo documentazione necessaria alla circolazione del credito stesso;
  • Per i bonus edilizi diversi dal 110 (ristrutturazioni, ecobonus, eccetera), qualora vi sia, anche in questo caso,  la presenza di attestazioni o asseverazioni. In sostanza, tutti quei crediti sorti o ceduti a partire dal 12 novembre 2021;
  • Per i crediti diversi dal 110 ante 12 novembre 2021, la limitazione della responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave opera solo ed esclusivamente se si reperisce oggi l’attestazione della congruità dei prezzi e il visto di conformità, ancorchè all’epoca non obbligatoria. Questa esimente non opera nel caso in cui chi compra è una banca o una assicurazione, le quali non potranno invocare il richiamo alla sola colpa grave o dolo.
 

 

Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Esclusa la responsabilità di chi acquista crediti derivanti da Bonus fiscali se c’è visto di conformità e asseverazione.

Gio, 06/10/2022 - 22:20
L’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 33/e del 06 ottobre 2022, pone finalmente un punto chiaro e preciso circa le responsabilità di chi acquista, in buona fede, i crediti derivanti da lavori 110 o bonus edilizi vari. Non che ce ne fosse bisogno, stante il tenore delle norme vigenti, ma è apprezzabile l’intervento soprattutto in quanto fa una certa chiarezza su cosa lei intende quando parla di dolo o colpa grave. Un passo indietro, però. Prima dell’introduzione del Decreto Aiuti e di quello Aiuti – bis, l’art. 121 del D.L. 34/2020, nelle varie riformulazioni succedute nel tempo, prevedeva una generica responsabilità dell’acquirente del credito fiscale, non distinguendo per lo stesso se l’acquisto fosse stato posto in essere con dolo o con colpa. Nel silenzio, quindi, bastava anche semplicemente una colpa lieve per essere chiamati a rispondere di eventuali truffe svolte dal soggetto cedente. I due Decreti Aiuti hanno posto un limite a questa responsabilità, limitandola al dolo e alla sola colpa grave. La circolare n. 33/e si incarica di definire e circoscrivere meglio cosa si intende, quindi, quando si parla di comportamento doloso o viziato da colpa grave. Per farlo, opera un richiamo al D.Lgs. 472/97 e alla circolare 180 del 10 luglio 1998, le quali precisano che:
  • Per dolo si intende quell’azione che è attuata “con l’intento di pregiudicare la determinazione dell’imponibile o dell’imposta ovvero diretta ad ostacolare l’attività amministrativa di accertamento”. In sostanza, l’azione deve essere preordinata all’evasione e vi deve essere la consapevolezza, nell’autore, del suo comportamento fraudolento. Nel caso della cessione dei crediti fiscali, il dolo lo si rileva quando chi compra partecipa al disegno truffaldino oppure quando si capisce che i crediti oggetto di cessione sono inesistenti in maniera macroscopica e, nonostante tale evidenza, l’acquirente procede comunque al suo acquisto.
  • Per colpa grave si intende “quando l’imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non è possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e, di conseguenza, risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari”. Per determinare il grado della colpa occorre fare riferimento alle nozioni tecniche della persona che ha operato l’acquisto. In sostanza una colpa potrà essere grave se rapportata a un commercialista ma non può essere, al contrario, lieve o addirittura inesistente per un imbianchino. Nel caso della cessione dei crediti fiscali, si avrà senz’altro colpa grave quando si acquista un credito senza avere la benchè minima documentazione oppure questa è contradditoria, come ad esempio nel caso in cui sia indicato un immobile diverso da quello che ha generato il credito fiscale oggetto di cessione.
L’articolo 14 del Decreto Aiuti opera una presunzione di legge ed esclude che vi sia dolo o colpa grave:
  • In caso di crediti derivanti da Superbonus 110, quando vi è il visto di conformità, le attestazioni e le asseverazioni previste dalle norme vigenti. Quindi, trattandosi di interventi che rientrano nel bonus 110, non vi potrai mai essere responsabilità per dolo o colpa grave da parte di chi acquista, essendo documentazione necessaria alla circolazione del credito stesso;
  • Per i bonus edilizi diversi dal 110 (ristrutturazioni, ecobonus, eccetera), qualora vi sia, anche in questo caso,  la presenza di attestazioni o asseverazioni. In sostanza, tutti quei crediti sorti o ceduti a partire dal 12 novembre 2021;
  • Per i crediti diversi dal 110 ante 12 novembre 2021, la limitazione della responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave opera solo ed esclusivamente se si reperisce oggi l’attestazione della congruità dei prezzi e il visto di conformità, ancorchè all’epoca non obbligatoria. Questa esimente non opera nel caso in cui chi compra è una banca o una assicurazione, le quali non potranno invocare il richiamo alla sola colpa grave o dolo.
 

 

Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Bonus 200 euro autonomi: dal 26 settembre il via alle domande per professionisti, lavoratori autonomi, agricoltori e soci lavoratori.

Dom, 25/09/2022 - 21:23
Solo sabato 24 settembre è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legge che prevede le modalità per richiedere il bonus di euro 200,00 previsto per i professionisti iscritti alla gestione INPS o alle rispettive casse private. L’avvio delle richieste è previsto per il giorno 26 settembre 2022 con termine al giorno 30 novembre 2022. Condizioni per ricevere il bonus. Come si diceva hanno diritto a richiedere il bonus:
  1. i professionisti iscritti alla gestione separata INPS o alle varie casse di previdenza private;
  2. i lavoratori autonomi iscritti alla gestione commercianti, artigiani o agricoltori. Si tratta di tutte quelle persone che trimestralmente versano i contributi fissi;
  3. i soci delle società di persona o di capitali iscritti alla gestione commercianti o artigiani in qualità di soci lavoratori.
Le condizioni per richiedere il bonus sono: Le condizioni per accedere al bonus sono:
  • Avere avuto un reddito complessivo, per l’anno 2021, inferiore a euro 35.000,00;
  • Essere iscritti e avere la partita iva attiva alla data del 17 maggio 2022;
  • Avere effettuato, alla data del 17 maggio 2022, almeno un versamento previdenziale alla rispettiva cassa di previdenza. Per i coadiuvanti e i collaboratori di iscritti alla gestione commercianti, artigiani, agricoltori il requisito deve essere rispettato dal titolare;
  • Per chi non aveva obblighi di versamento ordinari alla data del 17 maggio 2022 come, ad esempio, i soggetti che hanno iniziato l’attività nei giorni precedenti a tale data, il requisito del versamento non verrà, ovviamente, considerato;
Modalità per richiedere il bonus. Per richiedere il bonus occorre collegarsi al sito della rispettiva cassa di previdenza o dell’Inps e utilizzare l’apposita area riservata. Il bonus viene erogato sulla base dell’ordine cronologico di presentazione e tenuto conto delle risorse a disposizione. Pertanto più sarà tempestiva la domanda e più alta sarà la possibilità di riceverlo. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Bonus 200 euro autonomi: dal 26 settembre il via alle domande per professionisti, lavoratori autonomi, agricoltori e soci lavoratori.

Dom, 25/09/2022 - 21:23
Solo sabato 24 settembre è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legge che prevede le modalità per richiedere il bonus di euro 200,00 previsto per i professionisti iscritti alla gestione INPS o alle rispettive casse private. L’avvio delle richieste è previsto per il giorno 26 settembre 2022 con termine al giorno 30 novembre 2022. Condizioni per ricevere il bonus. Come si diceva hanno diritto a richiedere il bonus:
  1. i professionisti iscritti alla gestione separata INPS o alle varie casse di previdenza private;
  2. i lavoratori autonomi iscritti alla gestione commercianti, artigiani o agricoltori. Si tratta di tutte quelle persone che trimestralmente versano i contributi fissi;
  3. i soci delle società di persona o di capitali iscritti alla gestione commercianti o artigiani in qualità di soci lavoratori.
Le condizioni per richiedere il bonus sono: Le condizioni per accedere al bonus sono:
  • Avere avuto un reddito complessivo, per l’anno 2021, inferiore a euro 35.000,00;
  • Essere iscritti e avere la partita iva attiva alla data del 17 maggio 2022;
  • Avere effettuato, alla data del 17 maggio 2022, almeno un versamento previdenziale alla rispettiva cassa di previdenza. Per i coadiuvanti e i collaboratori di iscritti alla gestione commercianti, artigiani, agricoltori il requisito deve essere rispettato dal titolare;
  • Per chi non aveva obblighi di versamento ordinari alla data del 17 maggio 2022 come, ad esempio, i soggetti che hanno iniziato l’attività nei giorni precedenti a tale data, il requisito del versamento non verrà, ovviamente, considerato;
Modalità per richiedere il bonus. Per richiedere il bonus occorre collegarsi al sito della rispettiva cassa di previdenza o dell’Inps e utilizzare l’apposita area riservata. Il bonus viene erogato sulla base dell’ordine cronologico di presentazione e tenuto conto delle risorse a disposizione. Pertanto più sarà tempestiva la domanda e più alta sarà la possibilità di riceverlo. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Credito imposta aumento bollette energia elettrica e gas anche per i mesi di ottobre e novembre 2022

Dom, 25/09/2022 - 12:15
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 23 settembre 2022 il Decreto Legge n. 144 con il quale, tra le altre cose, viene riproposto l’aiuto, sotto forma di credito di imposta, per le imprese che nei mesi di ottobre e novembre subiranno un incremento importante delle tariffe di luce e gas. Nel dettaglio, come riportato nell’articolo 1 del Decreto Legge, per calcolare l’aiuto si dovrà procedere nel seguente modo. CREDITO IMPOSTA ENERGIA ELETTRICA Spetta per tutte le imprese che hanno potenza installata superiore ai 4,5 kw. Il contributo è pari al 30% della spesa sostenuta per l’acquisto della sola “componente energetica” (quindi nel calcolo non entrano costi diversi, quali le accise, oneri vari di sistema eccetera) nei mesi di ottobre e novembre 2022. La condizione è che la stessa impresa abbia avuto un incremento del costo del kwh maggiore del trenta percento rispetto a quello pagato nel terzo trimestre 2019. In assenza di specifica ulteriore, si ritiene che le imprese che nel 2019 non esistevano, possano calcolare il contributo del 30% senza far ricorso alla verifica dell’aumento rispetto al terzo trimestre 2019. CREDITO IMPOSTA GAS Spetta a tutte le imprese, salvo quelle a forte consumo di gas (acciaierie, fonderie, eccetera). Il contributo è pari al 40% della spesa sostenuta per l’acquisto del gas nei mesi di ottobre e novembre 2022, per usi diversi da quelli termoelettrici, cioè che non è stato impiegato per azionare una turbina o per generare, più in generale, energia elettrica. Anche in questo caso la condizione necessaria è che il presso del gas sia aumentato per più del trenta percento rispetto a quello pagato nel terzo trimestre del 2019. Analogalmente a quanto detto sopra circa il credito di imposta per l’energia elettrica, per le imprese che nel 2019 non esistevano, la verifica dell’aumento non deve essere fatta. ULTERIORE CONDIZIONE DI UTILIZZO. Per le imprese che si riforniscono, per l’energia o per il gas, dal medesimo fornitore in essere al terzo trimestre 2019, devono chiedere a quest’ultimo di inviare una comunicazione attestante l’incremento del prezzo dell’energia. Inoltre entro il 16 febbraio 2023 si dovrà comunicare all'Agenzia delle Entrate l'ammontare del credito di imposta di cui si ha diritto. Il modello per la comunicazione uscirà nelle prossime settimane.  UTILIZZO DEL CREDITO DI IMPOSTA Il credito di imposta deve essere utilizzato entro il 31 marzo 2023. Può essere utilizzato in compensazione oppure ceduto anche a terzi, comprese le banche, purchè nel caso di prima cessione sia apposto il visto di conformità. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Credito imposta aumento bollette energia elettrica e gas anche per i mesi di ottobre e novembre 2022

Dom, 25/09/2022 - 12:15
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 23 settembre 2022 il Decreto Legge n. 144 con il quale, tra le altre cose, viene riproposto l’aiuto, sotto forma di credito di imposta, per le imprese che nei mesi di ottobre e novembre subiranno un incremento importante delle tariffe di luce e gas. Nel dettaglio, come riportato nell’articolo 1 del Decreto Legge, per calcolare l’aiuto si dovrà procedere nel seguente modo. CREDITO IMPOSTA ENERGIA ELETTRICA Spetta per tutte le imprese che hanno potenza installata superiore ai 4,5 kw. Il contributo è pari al 30% della spesa sostenuta per l’acquisto della sola “componente energetica” (quindi nel calcolo non entrano costi diversi, quali le accise, oneri vari di sistema eccetera) nei mesi di ottobre e novembre 2022. La condizione è che la stessa impresa abbia avuto un incremento del costo del kwh maggiore del trenta percento rispetto a quello pagato nel terzo trimestre 2019. In assenza di specifica ulteriore, si ritiene che le imprese che nel 2019 non esistevano, possano calcolare il contributo del 30% senza far ricorso alla verifica dell’aumento rispetto al terzo trimestre 2019. CREDITO IMPOSTA GAS Spetta a tutte le imprese, salvo quelle a forte consumo di gas (acciaierie, fonderie, eccetera). Il contributo è pari al 40% della spesa sostenuta per l’acquisto del gas nei mesi di ottobre e novembre 2022, per usi diversi da quelli termoelettrici, cioè che non è stato impiegato per azionare una turbina o per generare, più in generale, energia elettrica. Anche in questo caso la condizione necessaria è che il presso del gas sia aumentato per più del trenta percento rispetto a quello pagato nel terzo trimestre del 2019. Analogalmente a quanto detto sopra circa il credito di imposta per l’energia elettrica, per le imprese che nel 2019 non esistevano, la verifica dell’aumento non deve essere fatta. ULTERIORE CONDIZIONE DI UTILIZZO. Per le imprese che si riforniscono, per l’energia o per il gas, dal medesimo fornitore in essere al terzo trimestre 2019, devono chiedere a quest’ultimo di inviare una comunicazione attestante l’incremento del prezzo dell’energia. Inoltre entro il 16 febbraio 2023 si dovrà comunicare all'Agenzia delle Entrate l'ammontare del credito di imposta di cui si ha diritto. Il modello per la comunicazione uscirà nelle prossime settimane.  UTILIZZO DEL CREDITO DI IMPOSTA Il credito di imposta deve essere utilizzato entro il 31 marzo 2023. Può essere utilizzato in compensazione oppure ceduto anche a terzi, comprese le banche, purchè nel caso di prima cessione sia apposto il visto di conformità. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Agevolazione fiscale impatriati anche per chi cessa lo smart working dall'estero

Lun, 11/07/2022 - 23:08
La Direzione Regionale della Lombardia con risposta a interpello n. 904-1007/2022, su un caso seguito dallo Studio, ha previsto che l’agevolazione fiscale per i lavoratori che rientrano dall’estero spetta anche nel caso del contribuente che cessa il lavoro in “smart working” e che rientra in Italia alle dipendenze della stessa società per la quale lavorava a distanza. IL CASO Il contribuente italiano è dipendente di un’azienda italiana per la quale ha svolto le mansioni, anche a seguito della emergenza da Covid-19, in modalità smart working trovandosi residente all’estero. Si tiene a precisare che la presenza all’estero non era frutto di un distacco, ma di una vera e propria necessità dovuta dalla pandemia. Successivamente, finito il motivo che aveva portato a svolgere il lavoro a distanza, il contribuente è rientrato in Italia continuando a lavorare alle dipendenze della stessa azienda per la quale svolgeva l’attività in smart working. LA RISPOSTA. L’Agenzia delle Entrate ha svolto, preliminarmente, una veloce disamina della disciplina relativa al regime speciale per Lavoratori Impatriati, introdotta con l’art. 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015  n. 147, successivamente modificata nel corso del tempo. Le condizioni per accedere a questo regime speciale sono:
  • Trasferire la residenza nel territorio dello Stato Italiano;
  • Non essere stato residente in Italia per i due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento e impegnarsi a mantenere la residenza in Italia per almeno due anni;
  • Svolgere l’attività lavorativa prevalentemente in Italia.
L’agevolazione spetta per 5 anni a partire dal periodo di imposta in cui si trasferisce la residenza, che può essere prorogata per altri cinque anni purchè il contribuente abbia un figlio minorenne o a carico, oppure diventi proprietario di almeno un immobile residenziale. Nei primi cinque anni l’agevolazione dei lavoratori impatriati consente l’abbattimento forfettario del reddito nella misura del 70% dello stesso. Nei successivi cinque anni, qualora ne ricorrano le condizioni, l’abbattimento forfettario scende al 50%. Fatta questa premessa, l’Ufficio tiene a precisare che il reddito prodotto in smart working, seguendo anche quanto specificato nelle risposte n.296 del 2021 e n.590 del 2021, va tassato tenendo conto del luogo dove si svolge la prestazione. Il criterio generaleè quello della presenza fisica del lavoratore nello Stato in cui viene effettuata la prestazione lavorativa” e, di conseguenza, il reddito deve essere tassato nel Paese in cui viene prodotto, a prescindere da dove poi gli effetti dell’attività lavorativa vengono effettivamente prodotti. Da questo ragionamento discende il fatto che, se il contribuente è residente in uno Stato estero e lavora per una società italiana, nulla vi è da questionare sul fatto che questi pagherà le tasse all’estero, anche se la sua attività lavorativa è svolta a favore di un soggetto italiano. Sulla base di questa ricostruzione, quindi, il contribuente che trasferisce in Italia la residenza e continua a svolgere le stesse mansioni svolte in precedenza per il medesimo datore di lavoro italiano ha diritto all’agevolazione dei lavoratori impatriati ciò in quanto ha effettivamente mutato il luogo di svolgimento della propria mansione lavorativa. L’Agenza scrive che “a seguito dell’attività lavorativa in modalità smart working dall’estero risulti possibile ravvisare un collegamento tra il trasferimento della residenza in Italia e l’inizio di un’attività lavorativa produttiva di reddito di lavoro dipendente in tale Paese, potenzialmente agevolato dall’art. 16 del D.Lgs 147/2015. In tal caso, infatti, pur mantenendo in essere il contratto di lavoro dipendente con la società italiana che lo avevo assunto quando era residente all’estero, il contribuente ha in concreto mutato il luogo della propria prestazione dell’attività di lavoro dipendente, iniziando di fatto a svolgere attività di lavoro in Italia”.   Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Agevolazione fiscale impatriati anche per chi cessa lo smart working dall'estero

Lun, 11/07/2022 - 23:08
La Direzione Regionale della Lombardia con risposta a interpello n. 904-1007/2022, su un caso seguito dallo Studio, ha previsto che l’agevolazione fiscale per i lavoratori che rientrano dall’estero spetta anche nel caso del contribuente che cessa il lavoro in “smart working” e che rientra in Italia alle dipendenze della stessa società per la quale lavorava a distanza. IL CASO Il contribuente italiano è dipendente di un’azienda italiana per la quale ha svolto le mansioni, anche a seguito della emergenza da Covid-19, in modalità smart working trovandosi residente all’estero. Si tiene a precisare che la presenza all’estero non era frutto di un distacco, ma di una vera e propria necessità dovuta dalla pandemia. Successivamente, finito il motivo che aveva portato a svolgere il lavoro a distanza, il contribuente è rientrato in Italia continuando a lavorare alle dipendenze della stessa azienda per la quale svolgeva l’attività in smart working. LA RISPOSTA. L’Agenzia delle Entrate ha svolto, preliminarmente, una veloce disamina della disciplina relativa al regime speciale per Lavoratori Impatriati, introdotta con l’art. 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015  n. 147, successivamente modificata nel corso del tempo. Le condizioni per accedere a questo regime speciale sono:
  • Trasferire la residenza nel territorio dello Stato Italiano;
  • Non essere stato residente in Italia per i due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento e impegnarsi a mantenere la residenza in Italia per almeno due anni;
  • Svolgere l’attività lavorativa prevalentemente in Italia.
L’agevolazione spetta per 5 anni a partire dal periodo di imposta in cui si trasferisce la residenza, che può essere prorogata per altri cinque anni purchè il contribuente abbia un figlio minorenne o a carico, oppure diventi proprietario di almeno un immobile residenziale. Nei primi cinque anni l’agevolazione dei lavoratori impatriati consente l’abbattimento forfettario del reddito nella misura del 70% dello stesso. Nei successivi cinque anni, qualora ne ricorrano le condizioni, l’abbattimento forfettario scende al 50%. Fatta questa premessa, l’Ufficio tiene a precisare che il reddito prodotto in smart working, seguendo anche quanto specificato nelle risposte n.296 del 2021 e n.590 del 2021, va tassato tenendo conto del luogo dove si svolge la prestazione. Il criterio generaleè quello della presenza fisica del lavoratore nello Stato in cui viene effettuata la prestazione lavorativa” e, di conseguenza, il reddito deve essere tassato nel Paese in cui viene prodotto, a prescindere da dove poi gli effetti dell’attività lavorativa vengono effettivamente prodotti. Da questo ragionamento discende il fatto che, se il contribuente è residente in uno Stato estero e lavora per una società italiana, nulla vi è da questionare sul fatto che questi pagherà le tasse all’estero, anche se la sua attività lavorativa è svolta a favore di un soggetto italiano. Sulla base di questa ricostruzione, quindi, il contribuente che trasferisce in Italia la residenza e continua a svolgere le stesse mansioni svolte in precedenza per il medesimo datore di lavoro italiano ha diritto all’agevolazione dei lavoratori impatriati ciò in quanto ha effettivamente mutato il luogo di svolgimento della propria mansione lavorativa. L’Agenza scrive che “a seguito dell’attività lavorativa in modalità smart working dall’estero risulti possibile ravvisare un collegamento tra il trasferimento della residenza in Italia e l’inizio di un’attività lavorativa produttiva di reddito di lavoro dipendente in tale Paese, potenzialmente agevolato dall’art. 16 del D.Lgs 147/2015. In tal caso, infatti, pur mantenendo in essere il contratto di lavoro dipendente con la società italiana che lo avevo assunto quando era residente all’estero, il contribuente ha in concreto mutato il luogo della propria prestazione dell’attività di lavoro dipendente, iniziando di fatto a svolgere attività di lavoro in Italia”.   Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

In Gazzetta Ufficiale i contributi a fondo perduto per il fotovoltaico in agricoltura.

Mer, 29/06/2022 - 11:22
Sulla Gazzetta Ufficiale del 28 giugno 2022 è stato pubblicato il Decreto del 25 marzo 2022 del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, con il quale si stabiliscono le regole per la concessione dei contributi a fondo perduto per l’installazione di impianti fotovoltaici in agricoltura. L’intervento è attuativo della Misura M2C1 – Investimento 2.2 “Parco Agrisolare” contenuta nel PNRR e che ha una dotazione di 1,5 miliardi di euro proprio per sostenere l’installazione di impianti di produzione di energia “verde” all’interno delle imprese agricole. Beneficiari e requisiti per ottenere il contributo a fondo perduto.  Possono richiedere il contributo:
  • Gli imprenditori agricoli in forma individuale o in forma societaria;
  • Le imprese agroindustriali. La corretta identificazione di questa tipologia di beneficiari sarà demandata a un successivo decreto;
  • Le cooperativa agricole che svolgono attività agricole.
Non possono presentare domanda gli imprenditori agricoli che si avvalgono del regime di esonero perché hanno un fatturato inferiore ai 7.500 euro. I requisiti che devono possedere i beneficiari sono i seguenti:
  • Essere iscritti e attivi al Registro Imprese al momento della richiesta del contributo;
  • Non aver subito condanne che limitano la capacità di agire e di sottoscrivere contratti con la pubblica amministrazione, non aver ricevuto provvedimenti di revoca di contributi pubblici e di non essere in stato di fallimento o procedure concorsuali analoghe;
  • Essere in regola con il pagamento dei contributi previdenziali, da dimostrare attraverso il DURC.
Interventi ammissibili Sono ammessi alla agevolazione gli interventi volti all’installazione, sui tetti dei fabbricati strumentali all’attività agricola, di impianti fotovoltaici con potenza di picco non inferiore ai 6 Kwp e non superiore a 500 Kwp. Rientrano nell’oggetto dell’installazione anche gli interventi di riqualificazione, volti al miglioramento energetico delle strutture stesse, che possono essere:
  • Rimozione e smaltimento amianto;
  • Isolamento termico dei tetti;
  • Realizzazione di un sistema di intercapedine d’aria nel tetto.
Per quanto riguarda la realizzazione di impianti fotovoltaici il costo ammissibile non può superare i 1.500,00 euro per Kwp, che può essere aumentato di 1.000,00 euro per Kwp nel caso di installazione di impianti di accumulo. In ogni caso, il contributo complessivo per i sistemi di accumulo non può superiore ad euro 50.000,00. Infine, nel caso di installazione di colonnine per la ricarica, la spesa ammessa non può essere superiore ad euro 1.000 per Kw a colonnina. L’IVA sarà un costo ammissibile solo qualora il soggetto beneficiario non può recuperarla, sulla base del regime fiscale adottato. Entità del contributo a fondo perduto Il contributo, nella forma di finanziamento in conto capitale, è variabile a seconda delle aziende richiedenti. Nel caso di aziende agricole attive nella produzione primaria o nella trasformazione dei prodotti, l’agevolazione va da un minimo del 40% a un massimo del 50% nel caso in cui l’intervento sia ubicato nella Regione Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Per le sole aziende agricole attive nella produzione primaria, qualora l’intervento sia realizzato da giovani agricoltori o da agricoltori che si siano insediati nei cinque anni prima, la percentuale di contributo può essere aumentata di 20 punti percentuali. Nel caso di aziende che trasformano prodotti agricoli in prodotti non agricoli e, più in generale, in quelle che non rientrano nella classificazione sopra riportata, la percentuale di contributo è pari al 30% dei costi ammissibili, senza distinzione di Regione. Presentazione della domanda. La presentazione della domanda dovrà avvenire tramite piattaforma informatica. Un successivo provvedimento del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali stabilirà le date di apertura delle domande e le modalità informatiche per presentarla.   Per qualsiasi informazione e per l’assistenza alla presentazione della domanda si può chiamare lo studio al numero 0541.708252 Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

In Gazzetta Ufficiale i contributi a fondo perduto per il fotovoltaico in agricoltura.

Mer, 29/06/2022 - 11:22
Sulla Gazzetta Ufficiale del 28 giugno 2022 è stato pubblicato il Decreto del 25 marzo 2022 del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, con il quale si stabiliscono le regole per la concessione dei contributi a fondo perduto per l’installazione di impianti fotovoltaici in agricoltura. L’intervento è attuativo della Misura M2C1 – Investimento 2.2 “Parco Agrisolare” contenuta nel PNRR e che ha una dotazione di 1,5 miliardi di euro proprio per sostenere l’installazione di impianti di produzione di energia “verde” all’interno delle imprese agricole. Beneficiari e requisiti per ottenere il contributo a fondo perduto.  Possono richiedere il contributo:
  • Gli imprenditori agricoli in forma individuale o in forma societaria;
  • Le imprese agroindustriali. La corretta identificazione di questa tipologia di beneficiari sarà demandata a un successivo decreto;
  • Le cooperativa agricole che svolgono attività agricole.
Non possono presentare domanda gli imprenditori agricoli che si avvalgono del regime di esonero perché hanno un fatturato inferiore ai 7.500 euro. I requisiti che devono possedere i beneficiari sono i seguenti:
  • Essere iscritti e attivi al Registro Imprese al momento della richiesta del contributo;
  • Non aver subito condanne che limitano la capacità di agire e di sottoscrivere contratti con la pubblica amministrazione, non aver ricevuto provvedimenti di revoca di contributi pubblici e di non essere in stato di fallimento o procedure concorsuali analoghe;
  • Essere in regola con il pagamento dei contributi previdenziali, da dimostrare attraverso il DURC.
Interventi ammissibili Sono ammessi alla agevolazione gli interventi volti all’installazione, sui tetti dei fabbricati strumentali all’attività agricola, di impianti fotovoltaici con potenza di picco non inferiore ai 6 Kwp e non superiore a 500 Kwp. Rientrano nell’oggetto dell’installazione anche gli interventi di riqualificazione, volti al miglioramento energetico delle strutture stesse, che possono essere:
  • Rimozione e smaltimento amianto;
  • Isolamento termico dei tetti;
  • Realizzazione di un sistema di intercapedine d’aria nel tetto.
Per quanto riguarda la realizzazione di impianti fotovoltaici il costo ammissibile non può superare i 1.500,00 euro per Kwp, che può essere aumentato di 1.000,00 euro per Kwp nel caso di installazione di impianti di accumulo. In ogni caso, il contributo complessivo per i sistemi di accumulo non può superiore ad euro 50.000,00. Infine, nel caso di installazione di colonnine per la ricarica, la spesa ammessa non può essere superiore ad euro 1.000 per Kw a colonnina. L’IVA sarà un costo ammissibile solo qualora il soggetto beneficiario non può recuperarla, sulla base del regime fiscale adottato. Entità del contributo a fondo perduto Il contributo, nella forma di finanziamento in conto capitale, è variabile a seconda delle aziende richiedenti. Nel caso di aziende agricole attive nella produzione primaria o nella trasformazione dei prodotti, l’agevolazione va da un minimo del 40% a un massimo del 50% nel caso in cui l’intervento sia ubicato nella Regione Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Per le sole aziende agricole attive nella produzione primaria, qualora l’intervento sia realizzato da giovani agricoltori o da agricoltori che si siano insediati nei cinque anni prima, la percentuale di contributo può essere aumentata di 20 punti percentuali. Nel caso di aziende che trasformano prodotti agricoli in prodotti non agricoli e, più in generale, in quelle che non rientrano nella classificazione sopra riportata, la percentuale di contributo è pari al 30% dei costi ammissibili, senza distinzione di Regione. Presentazione della domanda. La presentazione della domanda dovrà avvenire tramite piattaforma informatica. Un successivo provvedimento del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali stabilirà le date di apertura delle domande e le modalità informatiche per presentarla.   Per qualsiasi informazione e per l’assistenza alla presentazione della domanda si può chiamare lo studio al numero 0541.708252 Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Il credito di imposta per investimenti in beni strumentali è trasferibile in capo ai soci di una società di persone.

Dom, 26/06/2022 - 12:32
L’Agenzia delle Entrate, con risposta n. 817 del 16 dicembre 2021, fa chiarezza su un tema che nel corso del tempo ha visto interpretazioni discordanti e ammette, nell’ambito delle società di persone, il trasferimento in capo ai soci del credito di imposta maturato a seguito di investimenti in beni strumentali non goduto interamente dalla società che ne è titolare. Il caso. Il contribuente istante è un socio di una società semplice agricola e chiede all’Ufficio se è consentito trasferire in capo a lui il credito di imposta previsto dall’articolo 1, comma 1051 e ss, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, conseguito a seguito di investimenti in beni strumentali, sia essi riferiti a beni materiali, immateriali o 4.0. La necessità di tale imputazione deriva dal fatto di volerlo utilizzare per compensare le imposte personali oppure i contributi previdenziali, anch’essi a carattere personale. La risposta. L’Agenzia delle Entrate preliminarmente illustra la disciplina del credito di imposta per investimenti in beni strumentali, contenuta nell’articolo 1, comma 1051 e ss, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, la quale riprende a sua volta la disciplina introdotta in sede di legge di Bilancio 2020, dall’articolo 1, commi da 184 a 197 della legge 27 dicembre 2019, n. 160. A seguito di ulteriori norme, ad oggi il credito di imposta è riconosciuto per tutti i beni strumentali nuovi acquistati nel periodo 16 novembre 2020 e fino al 31 dicembre 2022, con estensione al 30 giugno 2023 purchè entro il 31 dicembre 2022 sia stato versato un acconto pari ad almeno il 20% del costo di acquisto.   Fatta questa premessa, l’Ufficio ricorda che già in precedenza erano stati forniti chiarimenti circa l’utilizzo da parte dei soci di crediti maturati dalla società. In particolare viene richiamata la risoluzione n. 163/e del 31 luglio 2003, che a sua volta richiama le circolari 120/e del 18 aprile 2002 e 286/e del 22 agosto 2002, che ammette l’attribuzione, in capo ai soci delle società di persone, del credito d’imposta per gli incrementi occupazionali e per gli investimenti nelle aree svantaggiate, di cui alla legge n. 388 del 23/12/2000. La circolare 163/e stabilisce che “l'attribuzione ai soci del credito maturato in capo alla società non configura un'ipotesi di cessione del credito d'imposta, ma ne costituisce una particolare forma di utilizzo. I soci potranno utilizzare la quota di credito loro assegnata solo dopo averla acquisita nella propria dichiarazione”. Tale principio, a parere dell’Agenzia delle Entrate, può essere esteso anche al caso del credito di imposta maturato a seguito di investimenti in beni strumentali. La condizione per godere di questa possibilità è che il credito maturato e non utilizzato sia indicato nel quadro RU della dichiarazione della società e che sia attribuito ai soci in base alla quota degli utili di ciascuno di questi. Il credito potrà essere utilizzato in compensazione, ai sensi dell'articolo 17 del dlgs n. 241 del 1997, con le proprie imposte e i propri contributi previdenziali. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Il credito di imposta per investimenti in beni strumentali è trasferibile in capo ai soci di una società di persone.

Dom, 26/06/2022 - 12:32
L’Agenzia delle Entrate, con risposta n. 817 del 16 dicembre 2021, fa chiarezza su un tema che nel corso del tempo ha visto interpretazioni discordanti e ammette, nell’ambito delle società di persone, il trasferimento in capo ai soci del credito di imposta maturato a seguito di investimenti in beni strumentali non goduto interamente dalla società che ne è titolare. Il caso. Il contribuente istante è un socio di una società semplice agricola e chiede all’Ufficio se è consentito trasferire in capo a lui il credito di imposta previsto dall’articolo 1, comma 1051 e ss, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, conseguito a seguito di investimenti in beni strumentali, sia essi riferiti a beni materiali, immateriali o 4.0. La necessità di tale imputazione deriva dal fatto di volerlo utilizzare per compensare le imposte personali oppure i contributi previdenziali, anch’essi a carattere personale. La risposta. L’Agenzia delle Entrate preliminarmente illustra la disciplina del credito di imposta per investimenti in beni strumentali, contenuta nell’articolo 1, comma 1051 e ss, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, la quale riprende a sua volta la disciplina introdotta in sede di legge di Bilancio 2020, dall’articolo 1, commi da 184 a 197 della legge 27 dicembre 2019, n. 160. A seguito di ulteriori norme, ad oggi il credito di imposta è riconosciuto per tutti i beni strumentali nuovi acquistati nel periodo 16 novembre 2020 e fino al 31 dicembre 2022, con estensione al 30 giugno 2023 purchè entro il 31 dicembre 2022 sia stato versato un acconto pari ad almeno il 20% del costo di acquisto.   Fatta questa premessa, l’Ufficio ricorda che già in precedenza erano stati forniti chiarimenti circa l’utilizzo da parte dei soci di crediti maturati dalla società. In particolare viene richiamata la risoluzione n. 163/e del 31 luglio 2003, che a sua volta richiama le circolari 120/e del 18 aprile 2002 e 286/e del 22 agosto 2002, che ammette l’attribuzione, in capo ai soci delle società di persone, del credito d’imposta per gli incrementi occupazionali e per gli investimenti nelle aree svantaggiate, di cui alla legge n. 388 del 23/12/2000. La circolare 163/e stabilisce che “l'attribuzione ai soci del credito maturato in capo alla società non configura un'ipotesi di cessione del credito d'imposta, ma ne costituisce una particolare forma di utilizzo. I soci potranno utilizzare la quota di credito loro assegnata solo dopo averla acquisita nella propria dichiarazione”. Tale principio, a parere dell’Agenzia delle Entrate, può essere esteso anche al caso del credito di imposta maturato a seguito di investimenti in beni strumentali. La condizione per godere di questa possibilità è che il credito maturato e non utilizzato sia indicato nel quadro RU della dichiarazione della società e che sia attribuito ai soci in base alla quota degli utili di ciascuno di questi. Il credito potrà essere utilizzato in compensazione, ai sensi dell'articolo 17 del dlgs n. 241 del 1997, con le proprie imposte e i propri contributi previdenziali. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Congruità spese bonus diversi dal 110%: il tecnico non è obbligato ad avere l'assicurazione specifica.

Dom, 19/06/2022 - 11:27
Novità importante per tutti i professionisti che devono procedere con l’attestazione di congruità delle spese per gli interventi diversi dal 110%: non è richiesto il possesso dell’assicurazione professionale a copertura specifica dell’attestazione resa. Lo stabilisce la circolare 19/e dell’Agenzia delle Entrate. La normativa. L’Agenzia delle Entrate, nel suo documento di prassi, ricostruisce la disciplina sull’obbligo dell’assicurazione per il professionista che rilascia le attestazioni o le asseverazioni nell’ambito degli interventi edilizi. In particolare la disciplina è contenuta all’interno del comma 14 dell’art. 119 del D.L. 34/2020, il quale stabilisce che coloro che rilasciano attestazioni in merito agli interventi rientranti nel suddetto articolo 119 devono stipulare una assicurazione con massimale pari agli importi che sono oggetto delle attestazioni o asseverazioni rilasciate, ciò al fine di garantire sia lo Stato che il cliente da eventuali richieste di risarcimenti danni.  La norma, poi, apre al fatto che l’assicurazione possa non essere necessariamente una polizza assicurativa a parte, ma può rientrare anche in quella professionale purchè quest’ultima:
  • non escluda dal risarcimento le attività di asseverazione;
  • abbia un massimale minimo pari ad euro 500.000,00 specifico per il rischio relativo all’attività di asseverazione;
  • garantisca la copertura per i successivi cinque anni in caso di cessazione dell’attività o abbia una retroattività di almeno cinque anni per le asseverazioni effettuate negli anni precedenti. 
L’esclusione dell’obbligo della polizza. L’Agenzia delle Entrate, correttamente, osserva che solo l’art. 119 del D.L. 34/2020 riporta l’obbligo specifico di una polizza assicurativa, mentre il successivo art. 121 del D.L. 34/2020, che è quello che disciplina le modalità di cessione dei crediti diversi dal 110 e del relativo rilascio di attestazioni di congruità, non fa alcun accenno specifico ad obblighi assicurativi in capo al tecnico attestatore e, pertanto, non è da ritenersi obbligatoria.  Ciò, a parere nostro, non esclude però una responsabilità del tecnico che attesta le congruità delle spese diverse dal 110. L’eventuale copertura dei danni cagionati da una attestazione infedele, deve essere demandata alla polizza professionale che copre l’attività ordinaria del professionista. Resta da capire, quindi, per quest’ultimo aspetto se le compagnie assicurative in qualche modo ritengono l’attestazione delle congruità delle spese per i bonus edilizi diversi dal 110 come attività “ordinaria” della professione, e quindi rientrante nella copertura assicurativa della R.C. professionale obbligatoria, o meno. Un problema non da poco, che deve essere valutato non solo dai diretti interessati, ma anche da chi appone il visto di conformità, visto che tale atto presuppone anche l’esistenza di una conformità dichiarata da un altro soggetto.  Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Congruità spese bonus diversi dal 110%: il tecnico non è obbligato ad avere l'assicurazione specifica.

Dom, 19/06/2022 - 11:27
Novità importante per tutti i professionisti che devono procedere con l’attestazione di congruità delle spese per gli interventi diversi dal 110%: non è richiesto il possesso dell’assicurazione professionale a copertura specifica dell’attestazione resa. Lo stabilisce la circolare 19/e dell’Agenzia delle Entrate. La normativa. L’Agenzia delle Entrate, nel suo documento di prassi, ricostruisce la disciplina sull’obbligo dell’assicurazione per il professionista che rilascia le attestazioni o le asseverazioni nell’ambito degli interventi edilizi. In particolare la disciplina è contenuta all’interno del comma 14 dell’art. 119 del D.L. 34/2020, il quale stabilisce che coloro che rilasciano attestazioni in merito agli interventi rientranti nel suddetto articolo 119 devono stipulare una assicurazione con massimale pari agli importi che sono oggetto delle attestazioni o asseverazioni rilasciate, ciò al fine di garantire sia lo Stato che il cliente da eventuali richieste di risarcimenti danni.  La norma, poi, apre al fatto che l’assicurazione possa non essere necessariamente una polizza assicurativa a parte, ma può rientrare anche in quella professionale purchè quest’ultima:
  • non escluda dal risarcimento le attività di asseverazione;
  • abbia un massimale minimo pari ad euro 500.000,00 specifico per il rischio relativo all’attività di asseverazione;
  • garantisca la copertura per i successivi cinque anni in caso di cessazione dell’attività o abbia una retroattività di almeno cinque anni per le asseverazioni effettuate negli anni precedenti. 
L’esclusione dell’obbligo della polizza. L’Agenzia delle Entrate, correttamente, osserva che solo l’art. 119 del D.L. 34/2020 riporta l’obbligo specifico di una polizza assicurativa, mentre il successivo art. 121 del D.L. 34/2020, che è quello che disciplina le modalità di cessione dei crediti diversi dal 110 e del relativo rilascio di attestazioni di congruità, non fa alcun accenno specifico ad obblighi assicurativi in capo al tecnico attestatore e, pertanto, non è da ritenersi obbligatoria.  Ciò, a parere nostro, non esclude però una responsabilità del tecnico che attesta le congruità delle spese diverse dal 110. L’eventuale copertura dei danni cagionati da una attestazione infedele, deve essere demandata alla polizza professionale che copre l’attività ordinaria del professionista. Resta da capire, quindi, per quest’ultimo aspetto se le compagnie assicurative in qualche modo ritengono l’attestazione delle congruità delle spese per i bonus edilizi diversi dal 110 come attività “ordinaria” della professione, e quindi rientrante nella copertura assicurativa della R.C. professionale obbligatoria, o meno. Un problema non da poco, che deve essere valutato non solo dai diretti interessati, ma anche da chi appone il visto di conformità, visto che tale atto presuppone anche l’esistenza di una conformità dichiarata da un altro soggetto.  Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Il Comune di Rimini apre il bando per la concessione di ristori a fondo perduto alle imprese del suo territorio.

Dom, 19/06/2022 - 10:37
Il Comune di Rimini ha pubblicato sul proprio sito l’avviso pubblico per la concessione di ristori a fondo perduto alle imprese che operano all’interno del territorio comunale e che hanno risentito della crisi dovuta dalla Pandemia da Covid 19. I Beneficiari Possono richiedere il contributo le micro o le piccole imprese che alla data di presentazione del contributo e alla data di erogazione dello stesso hanno sede legale nel Comune di Rimini e che hanno avuto, o nel 2020 o nel 2021, un fatturato inferiore del 20% rispetto al 2019. Non possono accedere al contributo:
  • coloro che hanno ricevuto da enti pubblici aiuti o contributi COVID-19 per un importo superiore a euro 5.000,00;
  • le imprese che forniscono servizi o lavori a favore della pubblica amministrazione o chi negli ultimi tre anni ha svolto funzioni di Dirigente o di posizione organizzativa per il Comune di Rimini;
  • chi non ha il Durc regolare;
  • le imprese non iscritte al Registro Imprese oppure quelle che al momento della richiesta del contributo sono registrate come “inattive”;
  • tutte quelle imprese che hanno i titolari o i soci o i legali rappresentanti che sono incorsi in condanne per reati contro il patrimonio o contro la Pubblica Amministrazione
Entità del contributo Il contributo, determinato in maniera forfettaria, è pari ad euro 5.000,00. Qualora le imprese richiedenti siano superiori a 60, il contributo è ridotto ad euro 3.000,00. Se le imprese richiedenti sono superiori a 100, il contributo sarà erogato solo alle prime 100, sulla base di una graduatoria che privilegerà chi non ha ricevuto alcun contributo COVID-19 e chi avrà subito la maggior perdita percentuale di fatturato, confrontando quello medio del 2020 e 2021 con quello conseguito nel 2019. Scadenza della domanda. Le domande dovranno essere presentate, tramite portale informatico e attraverso l’utilizzo o di carta CNS, CIE o Spid, entro e non oltre il giorno 31 luglio 2022. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Il Comune di Rimini apre il bando per la concessione di ristori a fondo perduto alle imprese del suo territorio.

Dom, 19/06/2022 - 10:37
Il Comune di Rimini ha pubblicato sul proprio sito l’avviso pubblico per la concessione di ristori a fondo perduto alle imprese che operano all’interno del territorio comunale e che hanno risentito della crisi dovuta dalla Pandemia da Covid 19. I Beneficiari Possono richiedere il contributo le micro o le piccole imprese che alla data di presentazione del contributo e alla data di erogazione dello stesso hanno sede legale nel Comune di Rimini e che hanno avuto, o nel 2020 o nel 2021, un fatturato inferiore del 20% rispetto al 2019. Non possono accedere al contributo:
  • coloro che hanno ricevuto da enti pubblici aiuti o contributi COVID-19 per un importo superiore a euro 5.000,00;
  • le imprese che forniscono servizi o lavori a favore della pubblica amministrazione o chi negli ultimi tre anni ha svolto funzioni di Dirigente o di posizione organizzativa per il Comune di Rimini;
  • chi non ha il Durc regolare;
  • le imprese non iscritte al Registro Imprese oppure quelle che al momento della richiesta del contributo sono registrate come “inattive”;
  • tutte quelle imprese che hanno i titolari o i soci o i legali rappresentanti che sono incorsi in condanne per reati contro il patrimonio o contro la Pubblica Amministrazione
Entità del contributo Il contributo, determinato in maniera forfettaria, è pari ad euro 5.000,00. Qualora le imprese richiedenti siano superiori a 60, il contributo è ridotto ad euro 3.000,00. Se le imprese richiedenti sono superiori a 100, il contributo sarà erogato solo alle prime 100, sulla base di una graduatoria che privilegerà chi non ha ricevuto alcun contributo COVID-19 e chi avrà subito la maggior perdita percentuale di fatturato, confrontando quello medio del 2020 e 2021 con quello conseguito nel 2019. Scadenza della domanda. Le domande dovranno essere presentate, tramite portale informatico e attraverso l’utilizzo o di carta CNS, CIE o Spid, entro e non oltre il giorno 31 luglio 2022. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Corte Costituzionale: illegittimo l’art. 66 comma 2 della Legge sull’imposta di registro in quanto subordina il diritto alla tutela giurisdizionale al pagamento del tributo

Sab, 11/06/2022 - 19:36
La Corte Costituzionale, con Sentenza n. 140 del 26 aprile, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 07 giugno 2022, ribadisce un principio fondamentale per il nostro sistema giuridico e tributario: non si può limitare il potere di agire in giudizio del cittadino (c.d. tutela giurisdizionale, prevista dall’art. 24 della Costituzione) al preventivo assolvimento, da parte sua, del pagamento di un tributo. IL CASO. Il caso da cui trae origine la sentenza in commento riguarda la richiesta, avanzata dal Consiglio di Stato, di dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 66 comma 2 del Dpr 131/1986 (Approvazione del Testo Unico delle disposizioni concernenti l’Imposta di Registro). Per comprendere meglio la questione oggetto del contenzioso, è utile ricordare che il comma 1 dell’art. 66, vieta ai cancellieri e ai segretari degli organi giurisdizionali di rilasciare originali, copie ed estratti degli atti soggetti a registrazione, prima che sia pagata l’imposta di registro, con l’obbligo di indicare, nel caso, gli estremi della registrazione effettuata all’Ufficio del Registro. Il comma 2 elenca, invece, cinque distinte deroghe a quest’obbligo, che sono:
  1. le copie rilasciate per la prosecuzione del giudizio;
  2. gli atti richiesti d’ufficio necessari per un procedimento giurisdizionale;
  3. gli atti destinati alla trascrizione o iscrizione nei registri immobiliari;
  4. gli atti necessari all’approvazione per omologazione;
  5. le copie degli atti per le quali il pubblico ufficiale è tenuto per legge a depositarle presso gli uffici pubblici.
In questo elenco di esclusioni che, si ricorda, è tassativo non compare il rilascio dell’originale o della copia della sentenza, necessaria per intraprendere il giudizio di ottemperanza dinanzi al Giudice amministrativo, cioè quel procedimento che permette alla parte vittoriosa di dare esecuzione a una sentenza del processo amministrativo, nel caso in cui la Pubblica Amministrazione non lo faccia spontaneamente.  Per instaurare questo “giudizio di ottemperanza” è necessario dimostrare il passaggio in giudicato della sentenza, che si attesta per tramite di un documento rilasciato dalla cancelleria del Tribunale competente. Il dubbio sulla costituzionalità della norma è stato sollevato dal Consiglio di Stato, il quale osserva che “non consentendo il rilascio” del documento dimostrante il passaggio in giudicato “prima dell’adempimento dell’obbligazione tributaria, precluderebbe l’attuazione del diritto accertato giudizialmente. Questa preclusione violerebbe, innanzitutto, gli artt. 3 e 24 Cost., determinando un’irragionevole compressione del diritto di agire in giudizio”. Prosegue, poi, evidenziando che subordinando il rilascio del certificato di passato in giudicato al pagamento dell’imposta di registro, la norma determinerebbe “una discriminazione tra creditori in base alle rispettive disponibilità economiche”. Solo chi è ricco, quindi, ha il diritto di avere riconosciuto la propria ragione e il conseguente soddisfacimento del diritto leso dalla Pubblica Amministrazione. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, al contrario, ritiene che non vi sia alcuna incostituzionalità nella norma impugnata perché il creditore potrebbe benissimo utilizzare altri strumenti oltre al giudizio di ottemperanza, per ottenere riconosciute le proprie ragioni. Non vi sarebbe nemmeno una discriminazione fra creditori ricchi e quelli poveri, in quanto comunque l’imposta di registro andrebbe pagata, anche se successivamente al rilascio del certificato di passaggio in giudicato. LA SENTENZA DI INCOSTITUZIONALITA'. La Corte Costituzionale richiama preliminarmente oltre che alcune sue sentenze risalenti addirittura, in alcuni casi, agli anni 60, anche l’art. 7 della L. 825/1971 (Legge Delega sulla Riforma Fiscale) nel quale si stabilisce che la nascente riforma tributaria avrebbe dovuto rimuovere “ogni impedimento fiscale al diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”. Stabilito, dunque, sia in forza di passata giurisprudenza costituzionale che di leggi in vigore, che un dovere tributario non può precludere l’esercizio di un diritto di tutela delle proprie ragioni da parte del cittadino, la Consulta esprime due considerazioni che la portano, poi, a dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 66 comma 2 del Dpr 131/86. La prima considerazione è che il divieto di rilascio del certificato di passaggio in giudicato, in assenza del pagamento dell’imposta, limita il diritto alla tutela giurisdizionale. La seconda considerazione è che la limitazione al rilascio del certificato solo al caso del pagamento dell’imposta di registro non è proporzionatarispetto alle esigenze di tutela dell’adempimento del dovere tributario”. In sostanza, anche se questo i Giudici non lo dicono, non si può impedire al cittadino di vedersi riconosciuto un proprio diritto perché non ha pagato preliminarmente i 200,00 euro dell’imposta sul certificato di passaggio in giudicato. C’è evidente una sproporzione fra le due cose. Infine la Corte Costituzionale respinge anche la tesi, avanzata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, circa il fatto che vi sono altre forme di tutela oltre al giudizio di ottemperanza. Ci saranno anche, scrivono gli estensori della sentenza, ma quest’ultimo è un giudizio “diretto, piuttosto, a completare la tutela conseguibile nell’ambito del procedimento di esecuzione forzata, essendo connotato da “potenzialità sostitutive e intromissive nell’azione amministrativa, non comparabili con i poteri del giudice dell’esecuzione nel processo civile (sentenza n. 406 del 1998)””. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Corte Costituzionale: illegittimo l’art. 66 comma 2 della Legge sull’imposta di registro in quanto subordina il diritto alla tutela giurisdizionale al pagamento del tributo

Sab, 11/06/2022 - 19:36
La Corte Costituzionale, con Sentenza n. 140 del 26 aprile, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 07 giugno 2022, ribadisce un principio fondamentale per il nostro sistema giuridico e tributario: non si può limitare il potere di agire in giudizio del cittadino (c.d. tutela giurisdizionale, prevista dall’art. 24 della Costituzione) al preventivo assolvimento, da parte sua, del pagamento di un tributo. IL CASO. Il caso da cui trae origine la sentenza in commento riguarda la richiesta, avanzata dal Consiglio di Stato, di dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 66 comma 2 del Dpr 131/1986 (Approvazione del Testo Unico delle disposizioni concernenti l’Imposta di Registro). Per comprendere meglio la questione oggetto del contenzioso, è utile ricordare che il comma 1 dell’art. 66, vieta ai cancellieri e ai segretari degli organi giurisdizionali di rilasciare originali, copie ed estratti degli atti soggetti a registrazione, prima che sia pagata l’imposta di registro, con l’obbligo di indicare, nel caso, gli estremi della registrazione effettuata all’Ufficio del Registro. Il comma 2 elenca, invece, cinque distinte deroghe a quest’obbligo, che sono:
  1. le copie rilasciate per la prosecuzione del giudizio;
  2. gli atti richiesti d’ufficio necessari per un procedimento giurisdizionale;
  3. gli atti destinati alla trascrizione o iscrizione nei registri immobiliari;
  4. gli atti necessari all’approvazione per omologazione;
  5. le copie degli atti per le quali il pubblico ufficiale è tenuto per legge a depositarle presso gli uffici pubblici.
In questo elenco di esclusioni che, si ricorda, è tassativo non compare il rilascio dell’originale o della copia della sentenza, necessaria per intraprendere il giudizio di ottemperanza dinanzi al Giudice amministrativo, cioè quel procedimento che permette alla parte vittoriosa di dare esecuzione a una sentenza del processo amministrativo, nel caso in cui la Pubblica Amministrazione non lo faccia spontaneamente.  Per instaurare questo “giudizio di ottemperanza” è necessario dimostrare il passaggio in giudicato della sentenza, che si attesta per tramite di un documento rilasciato dalla cancelleria del Tribunale competente. Il dubbio sulla costituzionalità della norma è stato sollevato dal Consiglio di Stato, il quale osserva che “non consentendo il rilascio” del documento dimostrante il passaggio in giudicato “prima dell’adempimento dell’obbligazione tributaria, precluderebbe l’attuazione del diritto accertato giudizialmente. Questa preclusione violerebbe, innanzitutto, gli artt. 3 e 24 Cost., determinando un’irragionevole compressione del diritto di agire in giudizio”. Prosegue, poi, evidenziando che subordinando il rilascio del certificato di passato in giudicato al pagamento dell’imposta di registro, la norma determinerebbe “una discriminazione tra creditori in base alle rispettive disponibilità economiche”. Solo chi è ricco, quindi, ha il diritto di avere riconosciuto la propria ragione e il conseguente soddisfacimento del diritto leso dalla Pubblica Amministrazione. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, al contrario, ritiene che non vi sia alcuna incostituzionalità nella norma impugnata perché il creditore potrebbe benissimo utilizzare altri strumenti oltre al giudizio di ottemperanza, per ottenere riconosciute le proprie ragioni. Non vi sarebbe nemmeno una discriminazione fra creditori ricchi e quelli poveri, in quanto comunque l’imposta di registro andrebbe pagata, anche se successivamente al rilascio del certificato di passaggio in giudicato. LA SENTENZA DI INCOSTITUZIONALITA'. La Corte Costituzionale richiama preliminarmente oltre che alcune sue sentenze risalenti addirittura, in alcuni casi, agli anni 60, anche l’art. 7 della L. 825/1971 (Legge Delega sulla Riforma Fiscale) nel quale si stabilisce che la nascente riforma tributaria avrebbe dovuto rimuovere “ogni impedimento fiscale al diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”. Stabilito, dunque, sia in forza di passata giurisprudenza costituzionale che di leggi in vigore, che un dovere tributario non può precludere l’esercizio di un diritto di tutela delle proprie ragioni da parte del cittadino, la Consulta esprime due considerazioni che la portano, poi, a dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 66 comma 2 del Dpr 131/86. La prima considerazione è che il divieto di rilascio del certificato di passaggio in giudicato, in assenza del pagamento dell’imposta, limita il diritto alla tutela giurisdizionale. La seconda considerazione è che la limitazione al rilascio del certificato solo al caso del pagamento dell’imposta di registro non è proporzionatarispetto alle esigenze di tutela dell’adempimento del dovere tributario”. In sostanza, anche se questo i Giudici non lo dicono, non si può impedire al cittadino di vedersi riconosciuto un proprio diritto perché non ha pagato preliminarmente i 200,00 euro dell’imposta sul certificato di passaggio in giudicato. C’è evidente una sproporzione fra le due cose. Infine la Corte Costituzionale respinge anche la tesi, avanzata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, circa il fatto che vi sono altre forme di tutela oltre al giudizio di ottemperanza. Ci saranno anche, scrivono gli estensori della sentenza, ma quest’ultimo è un giudizio “diretto, piuttosto, a completare la tutela conseguibile nell’ambito del procedimento di esecuzione forzata, essendo connotato da “potenzialità sostitutive e intromissive nell’azione amministrativa, non comparabili con i poteri del giudice dell’esecuzione nel processo civile (sentenza n. 406 del 1998)””. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Agevolazione imposta di registro art. 7 D.L. 34/2019 (Decreto Crescita): sanzioni piene anche con il ravvedimento spontaneo del contribuente.

Mar, 07/06/2022 - 01:04
L’Agenzia delle Entrate, con risposta ad interpello del 06 giugno 2022, interviene sull’agevolazione fiscale in materia di imposta di registro e ipo-catastale contenuta nell’art. 7 del D.l. 34/2019 (c.d. Decreto Crescita), ad oggi tra l’altro non più in vigore, precisando che a questa non è applicabile l’istituto del ravvedimento operoso nel caso di decadenza. Si ricorda che l’art. 7 del citato Decreto Legge ha introdotto nel nostro ordinamento, e fino al 31 dicembre 2021, la possibilità di pagare le imposte di registro e ipotecarie e catastali nella misura fissa di euro 200,00 ciascuna. Condizioni per usufruire di questa importante agevolazione erano:
  • l’acquirente doveva essere impresa di costruzione o di ristrutturazione;
  • i fabbricati dovevano essere acquistati per intero e non parzialmente e sugli stessi di dovevano realizzare interventi di demolizione, ricostruzione, manutenzione straordinaria o ristrutturazione entro dieci anni dall’acquisto;
  • la ristrutturazione o la ricostruzione dovevano portare al conseguimento di una classe energetica NZEB almeno pari a A o B, e i fabbricati dovevano essere adeguati alla normativa antisismica vigente.
In caso di mancato rispetto di anche una di queste condizioni, per espressa previsione normativa l’impresa beneficiaria decadeva dalla agevolazione e avrebbe dovuto pagare le imposte di registro e ipo-catastali ordinarie maggiorate di una sanzione del 30%. L’interpello in esame interviene proprio su questo aspetto: il contribuente istante, infatti, dichiara di aver trasferito il fabbricato acquistato con l’agevolazione ex art. 7 del D.L. 34/2019, di fatto senza aver eseguito sullo stesso alcuna attività edilizia richiesta dalla norma. A questo punto si domanda se autodenunciandosi può, addirittura, versare le imposte dovute in maniera ordinaria senza applicare sulle stesse alcuna sanzione o, al massimo, quelle ridotte previste dall’istituto del ravvedimento operoso, in analogia alla normativa sulle agevolazioni prima casa. Correttamente, a parere di chi scrive, l’Agenzia delle Entrate ha respinto la richiesta avanzata dal contribuente e ha stabilito che, non solo quest’ultimo deve versare le imposte ordinarie, ma maggiorate della sanzione del 30% non potendosi in alcun modo applicare nessun istituto del ravvedimento operoso, neanche se frutto di autodenuncia. Ciò in quanto l’art. 7 del D.L. 34/2019 stabilisce chiaramente che nel caso in cui le condizioni “non siano rispettate nel termine ivi previsto, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una sanzione pari al 30 per cento delle stesse imposte. Sono altresì dovuti gli interessi di mora a decorrere dalla data di acquisto del fabbricato di cui al primo periodo”

 

Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Pagine