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Grassi Benaglia Moretti avvocati e commercialisti

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Aggiornato: 2 giorni 23 ore fa

Fuori campo Iva la co-progettazione tra ente non commerciale e Comune.

Dom, 13/04/2025 - 12:15
Il Codice del Terzo Settore ha introdotto, con l’art. 55, la co-progettazione tra gli Enti del Terzo Settore e la Pubblica Amministrazione. L’introduzione di tale strumento permette agli enti locali di sviluppare il principio di sussidiarietà e cooperazione e ha lo scopo principale di individuare, da un lato, i bisogni di una collettività, e dall’altra, di coinvolgere quelle realtà che per diretta esperienza sono in grado di soddisfare questi bisogni. Tuttavia è sorto da più parti l’esigenza di capire se i contributi percepiti a seguito della firma di un accordo di co-progettazione siano da considerare “commerciali” e come tali soggetti a Iva, oppure “istituzionali” e quindi fuori dall’ambito dell’imposta sul valore aggiunto. Per rispondere a questa domanda si può far ricorso a una serie di documenti di prassi emanati dall’Agenzia delle Entrate nel corso degli anni. Il principale, che costituisce un architrave nell’interpretazione della fattispecie che stiamo esaminando, è la circolare n. 34 del 21 novembre 2013. La quale stabilisce, curiosamente, che non esiste alcuna regola precisa per interpretare la natura di una somma ricevuta da un Ente no profit. Occorre, invece, analizzare caso per caso, basandosi su tre principi fondamentali. 1.Esistenza di un rapporto sinallagmatico. Il primo lo si rintraccia nella risoluzione del 11 giugno 2002 n. 183 la quale stabilisce che un contributo è soggetto ad Iva allorquando viene ricevuto a fronte di una obbligazione che l’ente no profit si assume nei confronti dell’Amministrazione Pubblica. Il famoso rapporto sinallagmatico: l’ente locale eroga una somma a favore di un ente no profit e in cambio da questo riceve un servizio. Viceversa, se la somma viene concessa senza alcun obbligo di prestazione da parte dell’ente non commerciale, ci si trova senza ombra di dubbio di fronte a un contributo fuori campo Iva ai sensi dell’articolo 2, terzo comma, lettera a) del Dpr 633/72. 2. Rispetto dell’art. 12 della Legge 241/1990 Il secondo punto fermo prevede la necessità di analizzare se l’Amministrazione, nell’erogare il contributo, agisce secondo i principi contenuti nell’articolo 12 della legge 241/1990. Norma che prevede che la concessione di sovvenzioni o contributi deve avvenire secondo modalità e criteri predeterminati, a garanzia di trasparenza e imparzialità. Quando si rientra in questo caso? Quando la scelta dell’ente no profit beneficiario avviene sulla base di un regolamento precedentemente approvato oppure sulla base di un bando che ha seguito le regole di pubblicità previste dalle normative sugli appalti. Se vi ricorrono almeno una di queste due condizioni, la somma erogata può essere considerata come “contributo istituzionale” e, di conseguenza, essere considerata fuori campo di applicazione dell’Iva. 3. Finalità del contributo: interesse generale o particolare dell’Ente. Il terzo e ultimo punto principio da utilizzare si basa sulla necessità di valutare se la somma viene erogata a fronte di una prestazione che persegue un interesse generale oppure solo quello esclusivo dell’ente erogante. Su questo punto si può analizzare la risposta n. 375 del 2021, a proposito di un contributo erogato su un progetto FAMI, che ha tra gli obiettivi quelli di aiutare le persone fragili provenienti da Paesi extracomunitari. Nel caso esaminato il contributo era stato erogato a fronte di un Avviso pubblico da parte del Ministero e del Comune. Già di partenza, quindi, il contributo specifico rientrava nella casistica di cui all’art. 12 della legge 241/1990, proprio perché era stata erogato in conformità ai principi di massima pubblicità e trasparenza. Oltre a questo, però, l’Agenzia delle Entrate ha osservato che le elargizioni di denaro erano destinate a finanziare attività di interesse generale e rivolte a soggetti fragili, non certo per fornire servizi di diretto ed esclusivo interesse dell’ente proponente.   Conclusione: i contributi della co-progettazione sono fuori campo Iva. Arrivati a questo punto, si deve rispondere alla domanda iniziale: i contributi legati alla co-progettazione di cui all’art. 55 del Codice del Terzo Settore possono rientrare nell’esclusione dell’applicazione della disciplina Iva? Secondo la risposta ad interpello n. 904-785/2024 della Direzione Regionale della Lombardia, le somme percepite a seguito di una co-progettazione non sono soggette a Iva. Ad analoga conclusione si arriva, però, anche esaminando il dettato letterale del citato art. 55. Innanzitutto il coinvolgimento degli enti nella co-progettazione deve avvenire sulla base della legge 241/1990 oppure sulla base di forme di coinvolgimento che garantiscano “principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento, previa definizione, da parte della pubblica amministrazione procedente, degli obiettivi generali e specifici dell'intervento, della durata e delle caratteristiche essenziali dello stesso nonché dei criteri e delle modalità per l'individuazione degli enti partner”. Il punto fermo della massima pubblicità e della trasparenza dell’iniziativa è qui espressamente previsto. Inoltre l’Ente locale deve definire e realizzare “specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti”. Il punto fermo della soddisfazione di bisogni ed interessi generali e quello della mancanza di un rapporto sinallagmatico sono qui rispettati.

 

 

Analisi e commenti ImpreseOggi
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Stop alla piccola proprietà contadina: decadenza dell’agevolazione con rivendita a coltivatore diretto.

Sab, 05/04/2025 - 12:20
Il soggetto che ha acquistato un terreno agricolo avvalendosi dell’agevolazione prevista per la piccola proprietà contadina decade da questa agevolazione se rivende il terreno, prima dei cinque anni, a un altro soggetto, anche se questo è un coltivatore diretto. Lo stabilisce l’Agenzia delle Entrate nella risposta n. 86/2025, a un quesito avanzato da una società iscritta come impresa agricola presso il Registro Imprese. Nello specifico il contribuente, in possesso della qualifica di coltivatore diretto, ha acquistato una serie di fondi rustici avvalendosi dell’agevolazione prevista dall’art. 2, comma 4-bis, del decreto legge n. 194 del 30 dicembre 2009. Successivamente, per motivi strettamente economici, si è trovato nella necessità di dover vendere questi fondi, prima del decorso dei cinque anni, a un altro coltivatore diretto. Chiede, dunque, essendo l’acquirente anch’egli un coltivatore diretto, se tale vendita può comportare o meno la decadenza dall’agevolazione della piccola proprietà contadina. Cos’è la Piccola Proprietà Contadina. L’agevolazione in questione, come accennato, è contenuta nell’art. 2 comma 4 bis del D.L. 194/2009. Essa prevede l’applicazione in misura fissa dell’imposta di registro e ipotecaria, e dell’un per cento dell’imposta catastale, nel caso in cui un coltivatore diretto o un imprenditore agricolo a titolo professionale acquistino dei terreni agricoli. L’unica condizione posta dalla norma è che l’acquirente non può, prima dei cinque anni dall’acquisto, nè cedere i terreni acquisiti con l’agevolazione nè smettere di coltivarli o gestirli direttamente. La decadenza dall’agevolazione in caso di rivendita del terreno L’Agenzia delle Entrate, richiamandosi alla giurisprudenza di legittimità, osserva che le norme agevolative fiscali non possono essere interpretate per analogia, con “la conseguenza che i benefici in esse contemplati non posso essere estesi oltre l’ambito di applicazione come rigorosamente identificato in base alla definizione normativa” (Corte di Cassazione, sentenza n. 11106 del 07 maggio 2008). L’agevolazione in argomento prevede il caso tassativo di decadenza qualora i coltivatori diretti, prima che siano trascorsi cinque anni dall’acquisto, cedano volontariamente o smettano di condurre i terreni oggetti dell’agevolazione. Eccezioni alla decadenza dell’agevolazione fiscale. L’unica deroga concessa, contenuta nell’articolo 11 del D.Lgs. 228/2001, è quando l’alienazione o l’affitto avvengono a favore del coniuge, dei parenti entro il terzo grado o di affini entro il secondo grado, purchè questi svolgano l’attività di imprenditore agricolo come definito dall’articolo 2135 del codice civile. Fattispecie che non riguarda il caso sottoposto a interpello. Conclusione: decadenza automatica dell'agevolazione. Sulla base della normativa vigente, richiamandosi al principio del non applicabilità per analogia delle agevolazioni tributarie, l’Agenzia delle Entrate conclude evidenziando che vi sia decadenza dalla piccola proprietà contadina nel caso di rivendita del terreno agevolato prima dei cinque anni, anche se questa avviene a favore di un altro coltivatore diretto.   Notizie ImpreseOggi
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Stop alla piccola proprietà contadina: decadenza dell’agevolazione con rivendita a coltivatore diretto.

Sab, 05/04/2025 - 12:20
Il soggetto che ha acquistato un terreno agricolo avvalendosi dell’agevolazione prevista per la piccola proprietà contadina decade da questa agevolazione se rivende il terreno, prima dei cinque anni, a un altro soggetto, anche se questo è un coltivatore diretto. Lo stabilisce l’Agenzia delle Entrate nella risposta n. 86/2025, a un quesito avanzato da una società iscritta come impresa agricola presso il Registro Imprese. Nello specifico il contribuente, in possesso della qualifica di coltivatore diretto, ha acquistato una serie di fondi rustici avvalendosi dell’agevolazione prevista dall’art. 2, comma 4-bis, del decreto legge n. 194 del 30 dicembre 2009. Successivamente, per motivi strettamente economici, si è trovato nella necessità di dover vendere questi fondi, prima del decorso dei cinque anni, a un altro coltivatore diretto. Chiede, dunque, essendo l’acquirente anch’egli un coltivatore diretto, se tale vendita può comportare o meno la decadenza dall’agevolazione della piccola proprietà contadina. Cos’è la Piccola Proprietà Contadina. L’agevolazione in questione, come accennato, è contenuta nell’art. 2 comma 4 bis del D.L. 194/2009. Essa prevede l’applicazione in misura fissa dell’imposta di registro e ipotecaria, e dell’un per cento dell’imposta catastale, nel caso in cui un coltivatore diretto o un imprenditore agricolo a titolo professionale acquistino dei terreni agricoli. L’unica condizione posta dalla norma è che l’acquirente non può, prima dei cinque anni dall’acquisto, nè cedere i terreni acquisiti con l’agevolazione nè smettere di coltivarli o gestirli direttamente. La decadenza dall’agevolazione in caso di rivendita del terreno L’Agenzia delle Entrate, richiamandosi alla giurisprudenza di legittimità, osserva che le norme agevolative fiscali non possono essere interpretate per analogia, con “la conseguenza che i benefici in esse contemplati non posso essere estesi oltre l’ambito di applicazione come rigorosamente identificato in base alla definizione normativa” (Corte di Cassazione, sentenza n. 11106 del 07 maggio 2008). L’agevolazione in argomento prevede il caso tassativo di decadenza qualora i coltivatori diretti, prima che siano trascorsi cinque anni dall’acquisto, cedano volontariamente o smettano di condurre i terreni oggetti dell’agevolazione. Eccezioni alla decadenza dell’agevolazione fiscale. L’unica deroga concessa, contenuta nell’articolo 11 del D.Lgs. 228/2001, è quando l’alienazione o l’affitto avvengono a favore del coniuge, dei parenti entro il terzo grado o di affini entro il secondo grado, purchè questi svolgano l’attività di imprenditore agricolo come definito dall’articolo 2135 del codice civile. Fattispecie che non riguarda il caso sottoposto a interpello. Conclusione: decadenza automatica dell'agevolazione. Sulla base della normativa vigente, richiamandosi al principio del non applicabilità per analogia delle agevolazioni tributarie, l’Agenzia delle Entrate conclude evidenziando che vi sia decadenza dalla piccola proprietà contadina nel caso di rivendita del terreno agevolato prima dei cinque anni, anche se questa avviene a favore di un altro coltivatore diretto.   Notizie ImpreseOggi
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Cooperative sociali e imprese sociali: al via i contributi a fondo perduto sui finanziamenti agevolati

Dom, 30/03/2025 - 16:47
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale numero n.72 del 27 marzo 2025 il Decreto del Ministero delle imprese e del made in Italy del 10 marzo 2025 con il quale si stabiliscono le modalità operative per la concessione del contributo a fondo perduto previsto dal Decreto ministeriale 3 luglio 2015. L’obiettivo della misura agevolativa in argomento è quello di finanziarie la nascita, lo sviluppo e il rafforzamento delle cooperative sociali e delle imprese sociali in generaleche operano all’interno del territorio italiano. La misura di aiuto è formata dalla concessione di un finanziamento agevolato a tasso agevolato dello 0,5% a cui si affianca, per l’appunto, un contributo a fondo perduto variabile a seconda della tipologia e dell’ubicazione dell’intervento. Chi può beneficiare del contributo a fondo perduto? I beneficiari di questa agevolazione sono:
  • Le imprese sociali, in qualsiasi forma costituite e iscritte nell’apposta sezione del Registro delle imprese;
  • Le cooperative sociali e i loro consorzi iscritti nell’albo delle Cooperative sociali e nell’apposita sezione del Registro delle Imprese;
  • Le società cooperative che hanno la qualifica di ONLUS;
  • Le imprese culturali e creative, costituite in forma di società di persone o di capitali, che operano o vorranno operare nei settori indicati nell’allegato n. 1 del decreto direttoriale 8 agosto 2022;
Requisiti per i beneficiari.  I beneficiari, come sopra elencati, alla data di presentazione delle domande devono possedere le seguenti caratteristiche:
  • essere regolarmente costituiti e iscritti nel Registro delle imprese e nel Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS);
  • non essere in liquidazione volontaria o sottoposte a procedure concorsuali;
  • avere sede legale e operativa in Italia. I beneficiari che non hanno sede nel nostro territorio nazionale devono essere costituitI secondo le norme di diritto civile e commerciale vigenti nello Stato di residenza e iscrittI nell’omologo registro delle imprese;
  • essere in regola con la normativa edilizia e urbanistica, del lavoro, della prevenzione degli infortuni e della salvaguardia dell’ambiente ed essere in regola con gli obblighi contributivi;
  • adottare il regime di contabilità ordinaria;
  • non aver delocalizzato, nei due anni precedenti la presentazione della domanda, una parte dell’unità produttiva che sarà interessata dal progetto.
Contestualmente si assume l’impegno a non delocalizzare, per almeno i due successivi il completamento dell’investimento agevolato.   Come funziona il finanziamento agevolato.  L’agevolazione consiste nella concessione di un finanziamento agevolato e di un contributo a fondo perduto. Il finanziamento agevolato. Il finanziamento è composto da un finanziamento agevolato vero e proprio al quale si affianca un finanziamento, di pari durata, erogato da una Banca che ha sottoscritto la Convenzione tra il Ministero dello sviluppo economico, l’Associazione Bancaria Italiana e Cassa Depositi e Prestiti del 12 ottobre 2022. Il finanziamento agevolato può avere una durata fino a quindici anni. Nel periodo di tempo è compreso anche il pre ammortamento, con durata massima di quattro anni. Il tasso di interessi previsto è 0,5%. I due finanziamenti, quello agevolato e quello bancario, sono considerati in maniera unitaria e possono raggiungere l’importo massimo dell’80% delle spese ammissibili. Il finanziamento bancario deve rappresentare il 30% della somma richiesta, mentre il restante 70% è rappresentato dal finanziamento agevolato. Contributo a fondo perduto. Oltre al finanziamento agevolato è prevista la concessione di un contributo a fondo perduto, in una percentuale che varia a seconda del richiedente e della sua ubicazione nel territorio nazionale. In particolare il contributo a fondo perduto sarà:
  • 20% delle spese ammissibili se la richiesta è presentata da PMI localizzate nelle aree del territorio nazionale ammesse alla deroga di cui all’articolo 107, paragrafo 3, lettera a), del TFUE previste dalla Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale. In questo caso la somma del finanziamento agevolato e del contributo non può essere superiore al 75% delle spese ammissibili;
  • 15% delle spese ammissibili se la richiesta del finanziamento è fatta da grandi imprese che possiedono la deroga di cui all’articolo 107, paragrafo 3, lettera a), del TFUE previste dalla Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale;
  • 15% delle spese ammissibili se la richiesta del finanziamento agevolato è fatta da PMI che possiedono la deroga di cui all’articolo 107, paragrafo 3, lettera c), del TFUE previste dalla Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale;
  • 5% delle spese ammissibili se la domanda è presentata da grandi imprese nelle aree del territorio nazionale ammesse alla deroga di cui all’articolo 107, paragrafo 3, lettera c), del TFUE previste dalla Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale;
  • 5% delle spese ammissibili se la richiesta viene presentata dalle PMI o grandi imprese che non rientrano nelle categorie precedenti.
Obiettivi dell’investimento agevolato. La richiesta di finanziamento agevolato può essere presentata per spese ammissibili, al netto di IVA, non inferiori a centomila euro e non superiori a dieci milioni di euro. Gli investimenti in essere devono raggiungere almeno uno di questi obiettivi;
  • Incremento occupazionale di categorie svantaggiate;
  • Inclusione sociale di soggetti vulnerabili;
  • Valorizzazione ambientale, rigenerazione urbana, turismo sostenibile;
  • Valorizzazione e salvaguardia di beni storico – culturali, o perseguimento di finalità culturali e creative, utilità sociale;
Spese ammissibili per il finanziamento. Nello specifico le spese ammissibili sono:
  • suolo aziendale e sue sistemazioni, nella misura del 10% dell’investimento agevolabile;
  • fabbricati, opere edili/murarie, comprese le ristrutturazioni, purchè inserite in un contesto di investimento più ampio. Pertanto l’acquisto o la sistemazione di un immobile non può essere l’unica finalità dell’investimento per cui si chiede l’agevolazione;
  • infrastrutture specifiche aziendali;
  • macchinari, impianti e attrezzature varie, purchè nuovi di fabbrica;
  • software, brevetti, licenze riguardanti nuove tecnologie e processi produttivi.
Come presentare la domanda di agevolazione? Le domande di agevolazione dovranno essere presentate a mezzo Pec a partire dalle ore 12.00 del giorno 13 ottobre 2022. L’indirizzo pec è: es.imprese@pec.mise.gov.it   Per maggiori informazioni. Le imprese interessate, per ulteriori informazioni o per la redazione della domanda di finanziamento, nonché la sua più generale valutazione, potranno rivolgersi allo studio al numero 0541.708252 o inviare una mail all’indirizzo studio@giovannibenaglia.it Notizie ImpreseOggi
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Esenzione IMU per la Parrocchia che concede immobile a un'associazione no profit

Dom, 23/03/2025 - 11:36
La Corte di Giustizia Tributaria dell’Emilia Romagna, con propria sentenza n. 1118/2024 del 09.12.2024 e depositata il giorno 17 dicembre 2024, è tornata sulla ormai storica questione dell’esenzione Imu prevista per gli immobili strumentali di proprietà degli Enti del Terzo Settore. Il caso. Il caso per cui è stata interpellata riguarda un immobile, di proprietà di una Parrocchia, concesso in comodato d’uso gratuito a una associazione iscritta al Registro delle Associazioni di Promozione sociale. Secondo il Comune l’agevolazione Imu non sarebbe spettata all’ente religioso in quanto sia la norma che la giurisprudenza maggioritaria hanno sempre interpretato la disciplina di favore esclusivamente nel caso in cui l’utilizzatore è direttamente l’ente del terzo settore e non anche quando questi concede in comodato a terzi, ancorchè gratuito, l’immobile agevolato. Normativa IMU ed Enti del Terzo Settore. I Giudici, nel proprio dispositivo, si premurano di illustrare l’esenzione contenuta nell’art. 7 comma 1 lett. i del D.Lgs. 504/1992. Condizione per il suo godimento è che gli immobili siano utilizzati per lo svolgimento, con modalità non commerciali, di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive. Rientrano in tale agevolazioni, per espresso rinvio normativo, anche gli enti ecclesiastici. Nonostante la già citata contrarietà della Giurisprudenza della Corte di Cassazione, il Ministero delle Finanze con propria risoluzione n. 4/DF del 04 marzo 2013 si era espresso a favore della concessione dell’agevolazione Imu anche in caso di comodato gratuito a favore di un altro ente non commerciale. Solo nel 2023 il Parlamento è intervenuto a mettere fine a queste ondivaghe interpretazioni della materia, emanando una norma di interpretazione autentica, contenuta nell’art. 1 comma 71 della Legge 213/2023. In particolare si è specificato che l’agevolazione Imu sugli immobili degli enti no profit spetta anche nel caso in cui questi siano concessi in comodato a favore di altri enti simili, al ricorrere, però, delle seguenti condizioni:
  1. Gli enti destinatari devono essere collegati funzionalmente o strutturalmente al soggetto concedente;
  2. All’interno dell’immobile devono essere svolte, con modalità non commerciali, delle attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive.
Il collegamento funzionale e strutturale Per chiarire il concetto di “collegamento funzionale e strutturale” necessario per ottenere l’agevolazione IMU è intervenuto il Ministero delle Finanze con la circolare 2/DF del 16 luglio 2024. Il collegamento esiste quando:
  • l’attività svolta all’interno dell’immobile è legata alla finalità dell’ente concedente ed è coerente con gli scopi istituzionali del concedente stesso;
  • l’immobile è concesso in comodato a favore di un ente che appartiene alla stessa struttura del concedente.
La decisione. Nel caso esaminato, i Giudici di Secondo Grado hanno richiamato le norme che regolano il funzionamento degli enti ecclesiastici, contenute nella legge 222/1985. In particolare l’articolo 15, che stabilisce che gli enti ecclesiastici possono svolgere attività diverse da quelle di culto, e l’articolo 16 che fa rientrare nelle attività svolte dagli enti religiosi anche quelle di religione, di culto, di assistenza, di beneficenza, istruzione educazione e cultura. Nel caso trattato, il “collegamento funzionale o strutturale” è presente in quanto l’ente a cui è stato concesso il comodato gratuito ha tra le proprie finalità anche quelle di promuovere l’aggregazione giovanile anche attraverso la realtà degli oratori, il tutto secondo “la concezione cristiana dell’uomo e per la sua elevazione sociale”. Tale previsione è stata sufficiente per far decidere ai Giudici la presenza di quel nesso funzionale e strutturale necessario per far beneficiare alla Parrocchia dell’esenzione ai fini Imu dell’immobile concesso in comodato gratuito. Notizie ImpreseOggi
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Esenzione IMU per la Parrocchia che concede immobile a un'associazione no profit

Dom, 23/03/2025 - 11:36
La Corte di Giustizia Tributaria dell’Emilia Romagna, con propria sentenza n. 1118/2024 del 09.12.2024 e depositata il giorno 17 dicembre 2024, è tornata sulla ormai storica questione dell’esenzione Imu prevista per gli immobili strumentali di proprietà degli Enti del Terzo Settore. Il caso. Il caso per cui è stata interpellata riguarda un immobile, di proprietà di una Parrocchia, concesso in comodato d’uso gratuito a una associazione iscritta al Registro delle Associazioni di Promozione sociale. Secondo il Comune l’agevolazione Imu non sarebbe spettata all’ente religioso in quanto sia la norma che la giurisprudenza maggioritaria hanno sempre interpretato la disciplina di favore esclusivamente nel caso in cui l’utilizzatore è direttamente l’ente del terzo settore e non anche quando questi concede in comodato a terzi, ancorchè gratuito, l’immobile agevolato. Normativa IMU ed Enti del Terzo Settore. I Giudici, nel proprio dispositivo, si premurano di illustrare l’esenzione contenuta nell’art. 7 comma 1 lett. i del D.Lgs. 504/1992. Condizione per il suo godimento è che gli immobili siano utilizzati per lo svolgimento, con modalità non commerciali, di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive. Rientrano in tale agevolazioni, per espresso rinvio normativo, anche gli enti ecclesiastici. Nonostante la già citata contrarietà della Giurisprudenza della Corte di Cassazione, il Ministero delle Finanze con propria risoluzione n. 4/DF del 04 marzo 2013 si era espresso a favore della concessione dell’agevolazione Imu anche in caso di comodato gratuito a favore di un altro ente non commerciale. Solo nel 2023 il Parlamento è intervenuto a mettere fine a queste ondivaghe interpretazioni della materia, emanando una norma di interpretazione autentica, contenuta nell’art. 1 comma 71 della Legge 213/2023. In particolare si è specificato che l’agevolazione Imu sugli immobili degli enti no profit spetta anche nel caso in cui questi siano concessi in comodato a favore di altri enti simili, al ricorrere, però, delle seguenti condizioni:
  1. Gli enti destinatari devono essere collegati funzionalmente o strutturalmente al soggetto concedente;
  2. All’interno dell’immobile devono essere svolte, con modalità non commerciali, delle attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive.
Il collegamento funzionale e strutturale Per chiarire il concetto di “collegamento funzionale e strutturale” necessario per ottenere l’agevolazione IMU è intervenuto il Ministero delle Finanze con la circolare 2/DF del 16 luglio 2024. Il collegamento esiste quando:
  • l’attività svolta all’interno dell’immobile è legata alla finalità dell’ente concedente ed è coerente con gli scopi istituzionali del concedente stesso;
  • l’immobile è concesso in comodato a favore di un ente che appartiene alla stessa struttura del concedente.
La decisione. Nel caso esaminato, i Giudici di Secondo Grado hanno richiamato le norme che regolano il funzionamento degli enti ecclesiastici, contenute nella legge 222/1985. In particolare l’articolo 15, che stabilisce che gli enti ecclesiastici possono svolgere attività diverse da quelle di culto, e l’articolo 16 che fa rientrare nelle attività svolte dagli enti religiosi anche quelle di religione, di culto, di assistenza, di beneficenza, istruzione educazione e cultura. Nel caso trattato, il “collegamento funzionale o strutturale” è presente in quanto l’ente a cui è stato concesso il comodato gratuito ha tra le proprie finalità anche quelle di promuovere l’aggregazione giovanile anche attraverso la realtà degli oratori, il tutto secondo “la concezione cristiana dell’uomo e per la sua elevazione sociale”. Tale previsione è stata sufficiente per far decidere ai Giudici la presenza di quel nesso funzionale e strutturale necessario per far beneficiare alla Parrocchia dell’esenzione ai fini Imu dell’immobile concesso in comodato gratuito. Notizie ImpreseOggi
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Agriturismo: contributi a fondo perduto nella provincia di Rimini

Sab, 15/03/2025 - 12:33
Sostenere le aziende agricole nel realizzare, ampliare o adeguare la propria attività agrituristica: queste le linee guide dell’iniziativa promossa dal Gal Valli Marecchia e Conca, tramite il proprio Avviso Pubblico denominato “Investimenti nelle aziende agricole per la diversificazione in attività non agricole”. Misura del contributo a fondo perduto. Il sostegno prevede l’erogazione di un contributo a fondo perduto nella misura del 50% della spesa ammissibile in caso di interventi realizzati nella Zona D ”Aree rurali con problemi di sviluppo”; contributo che scende al 40% nel caso di interventi ubicati nella zona B “Aree ad agricoltura intensiva e specializzata”. L’esatta indicazione dei confini delle zone rurali la si può trovare nel sito internet dell’Assessorato Regionale all’Agricoltura e Pesca. Beneficiari. Possono richiedere l’agevolazione gli imprenditori agricoli, sia singoli che associati, che possiedono i seguenti requisiti:
  • essere regolarmente iscritti all’Anagrafe Regionale delle Aziende Agricole;
  • rispettare i contratti collettivi nazionali e territoriali per il personale dipendente;
  • essere in regola con il Durc;
  • essere iscritti al Registro Imprese al momento della presentazione della domanda di sostegno, salvo il caso di adozione del regime speciale Iva (volume d’affari non superiore a euro 7.000,00);
  • non trovarsi in stato di fallimento o liquidazione coatta amministrativa;
  • essere iscritti all’elenco di cui all’art. 30 della L.R. n. 4/2009 sezione “operatori agrituristici”;
Interventi ammessi. Gli interventi ammessi sono:
  • interventi di recupero, ristrutturazione e ampliamento degli immobili esistenti;
  • realizzazione di piazzole attrezzate per il campeggio;
  • interventi di recupero, ristrutturazione, ampliamento ed allestimento di strutture destinate ad attività ricreative o sportive;
  • interventi di recupero, ristrutturazione e ampliamento di locali da destinare a spazi multiuso;
  • sistemazione di aree esterne al servizio dell’agriturismo;
  • mobili e arredi per camere, sale da pranzo e cucine, rigorosamente nuovi e non di antiquariato o vintage;
  • spese generali e tecniche nella misura massima del 10% della spesa ammissibile;
  • acquisto di hardware e software specifico per l’attività agrituristica;
Termine presentazione delle domande.  Le domande devono essere presentate entro e non oltre le ore 13.00 del giorno 21.07.2025. La spesa minima ammissibile è pari ad euro 20.000. Il contributo sarà erogato sulla base di una graduatoria formata utilizzando i criteri definiti all’interno dello stesso bando di agevolazione. Notizie ImpreseOggi
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Agriturismo: contributi a fondo perduto nella provincia di Rimini

Sab, 15/03/2025 - 12:33
Sostenere le aziende agricole nel realizzare, ampliare o adeguare la propria attività agrituristica: queste le linee guide dell’iniziativa promossa dal Gal Valli Marecchia e Conca, tramite il proprio Avviso Pubblico denominato “Investimenti nelle aziende agricole per la diversificazione in attività non agricole”. Misura del contributo a fondo perduto. Il sostegno prevede l’erogazione di un contributo a fondo perduto nella misura del 50% della spesa ammissibile in caso di interventi realizzati nella Zona D ”Aree rurali con problemi di sviluppo”; contributo che scende al 40% nel caso di interventi ubicati nella zona B “Aree ad agricoltura intensiva e specializzata”. L’esatta indicazione dei confini delle zone rurali la si può trovare nel sito internet dell’Assessorato Regionale all’Agricoltura e Pesca. Beneficiari. Possono richiedere l’agevolazione gli imprenditori agricoli, sia singoli che associati, che possiedono i seguenti requisiti:
  • essere regolarmente iscritti all’Anagrafe Regionale delle Aziende Agricole;
  • rispettare i contratti collettivi nazionali e territoriali per il personale dipendente;
  • essere in regola con il Durc;
  • essere iscritti al Registro Imprese al momento della presentazione della domanda di sostegno, salvo il caso di adozione del regime speciale Iva (volume d’affari non superiore a euro 7.000,00);
  • non trovarsi in stato di fallimento o liquidazione coatta amministrativa;
  • essere iscritti all’elenco di cui all’art. 30 della L.R. n. 4/2009 sezione “operatori agrituristici”;
Interventi ammessi. Gli interventi ammessi sono:
  • interventi di recupero, ristrutturazione e ampliamento degli immobili esistenti;
  • realizzazione di piazzole attrezzate per il campeggio;
  • interventi di recupero, ristrutturazione, ampliamento ed allestimento di strutture destinate ad attività ricreative o sportive;
  • interventi di recupero, ristrutturazione e ampliamento di locali da destinare a spazi multiuso;
  • sistemazione di aree esterne al servizio dell’agriturismo;
  • mobili e arredi per camere, sale da pranzo e cucine, rigorosamente nuovi e non di antiquariato o vintage;
  • spese generali e tecniche nella misura massima del 10% della spesa ammissibile;
  • acquisto di hardware e software specifico per l’attività agrituristica;
Termine presentazione delle domande.  Le domande devono essere presentate entro e non oltre le ore 13.00 del giorno 21.07.2025. La spesa minima ammissibile è pari ad euro 20.000. Il contributo sarà erogato sulla base di una graduatoria formata utilizzando i criteri definiti all’interno dello stesso bando di agevolazione. Notizie ImpreseOggi
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Al via i contributi a fondo perduto sugli interessi pagati dalle aziende agricole.

Dom, 09/03/2025 - 11:30
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale numero n.55 del 7-3-2025 il Decreto del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste con il quale si dà attuazione all’agevolazione contenuta nel comma 424 della Legge di Stabilità 2023 (Legge n. 197 del 29 dicembre 2022). L’agevolazione consiste in un contributo a fondo perduto, pari al 50% degli interessi che l’azienda agricola andrà a pagare su un finanziamento concesso da un Istituto di credito. La durata massima del finanziamento bancario ammesso all’agevolazione è di cinque anni compreso il periodo di pre-ammortamento. I beneficiari del contributo sono le imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura che al momento della presentazione della domanda hanno i seguenti requisiti:
  • Hanno la sede in Italia, siano iscritte al Registro delle Imprese e sono iscritte in questo registro come imprese agricole attive o come piccolo imprenditore agricolo e coltivatore diretto al 31 dicembre 2021;
  • hanno sottoscritto una polizza  assicurativa  contro  i  danni alle produzioni, alle strutture, alle infrastrutture e agli  impianti derivanti da calamità naturali o da eventi eccezionali;
  • non sono stati destinatari di revoche di aiuti da parte della Commissione Europea.
La domanda di contributo a fondo perduto in conto interessi deve essere presentata ad AGEA, su un modello che provvederà a rendere disponibile sul proprio sito internet. Alla domanda dovranno essere allegati:
  • la copia della delibera bancaria di concessione del finanziamento. La delibera non deve essere più vecchia di trenta giorni rispetto alla data di richiesta del contributo;
  • mandato irrevocabile all'incasso in favore della banca, sempre su modello redatto da Agea, con il quale l’impresa beneficiaria autorizza la stessa banca ad utilizzare il contributo per estinguere la quota parte di finanziamento bancario che ha ottenuto l’agevolazione in commento.
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Al via i contributi a fondo perduto sugli interessi pagati dalle aziende agricole.

Dom, 09/03/2025 - 11:30
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale numero n.55 del 7-3-2025 il Decreto del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste con il quale si dà attuazione all’agevolazione contenuta nel comma 424 della Legge di Stabilità 2023 (Legge n. 197 del 29 dicembre 2022). L’agevolazione consiste in un contributo a fondo perduto, pari al 50% degli interessi che l’azienda agricola andrà a pagare su un finanziamento concesso da un Istituto di credito. La durata massima del finanziamento bancario ammesso all’agevolazione è di cinque anni compreso il periodo di pre-ammortamento. I beneficiari del contributo sono le imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura che al momento della presentazione della domanda hanno i seguenti requisiti:
  • Hanno la sede in Italia, siano iscritte al Registro delle Imprese e sono iscritte in questo registro come imprese agricole attive o come piccolo imprenditore agricolo e coltivatore diretto al 31 dicembre 2021;
  • hanno sottoscritto una polizza  assicurativa  contro  i  danni alle produzioni, alle strutture, alle infrastrutture e agli  impianti derivanti da calamità naturali o da eventi eccezionali;
  • non sono stati destinatari di revoche di aiuti da parte della Commissione Europea.
La domanda di contributo a fondo perduto in conto interessi deve essere presentata ad AGEA, su un modello che provvederà a rendere disponibile sul proprio sito internet. Alla domanda dovranno essere allegati:
  • la copia della delibera bancaria di concessione del finanziamento. La delibera non deve essere più vecchia di trenta giorni rispetto alla data di richiesta del contributo;
  • mandato irrevocabile all'incasso in favore della banca, sempre su modello redatto da Agea, con il quale l’impresa beneficiaria autorizza la stessa banca ad utilizzare il contributo per estinguere la quota parte di finanziamento bancario che ha ottenuto l’agevolazione in commento.
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Cooperativa sociale: iva agevolata al 5% anche sulle prestazioni accessorie.

Dom, 02/03/2025 - 11:51
Una cooperativa sociale può applicare l’iva agevolata al 5% anche alle prestazioni accessorie rese a favore di soggetti ospitati in una casa di cura, a cui fornisce in via principale delle prestazioni socio assistenziali. Questo è il principio espresso dalla sentenza n. 1131/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado dell’Emilia Romagna, sezione 6, sul caso riguardante un accertamento ai fini Iva emesso nei confronti di una cooperativa sociale che gestisce una casa di riposo all’interno della quale, tra gli altri servizi, offre anche quello di parrucchiere, lavanderia, mensa e pulizia dei locali. Oggetto del contendere riguarda il fatto che la cooperativa sociale applica l’aliquota iva agevolata al 5% su tutte le prestazioni rese non distinguendo, secondo il parere dell’Agenzia delle Entrate, quelle naturalmente al 5% come l’attività socio assistenziale, da quelle ad aliquota ordinaria, come il servizio di parrucchiere o lavanderia. Questi servizi, in una logica di ottimizzazione della gestione aziendale, vengono resi da fornitori esterni, i quali però provvedono ad emettere fattura nei confronti della cooperativa sociale applicando le aliquote iva previste per la loro specifica attività. Secondo il parere dell’Ufficio la fatturazione con aliquota agevolata al 5% (prevista dall’articolo 1, comma 960, lettera c) della legge 208/2015) o, a seconda del regime scelto dal contribuente, in esenzione ai sensi dell’art. 10 comma 1 n. 21 del D.p.r. 633/72, è possibile solo nell’ambito di una gestione globale del servizio. Non vi può essere gestione globale nel caso in cui i servizi accessori vengano resi da soggetti esterni, ancorchè fatturati dalla cooperativa stessa agli utilizzatori finali. La Corte di Giustizia Tributaria dell’Emilia Romagna rigetta in toto la tesi avanzata dall’Agenzia delle Entrate. Secondo i giudici tributari il concetto di assistenza alla persona ha un significato complesso, che non si può limitare solo ai quei servizi che servono per soddisfare i bisogni primari. Occorre ampliare la definizione tenendo conto anche di quelle prestazioni che servono a garantire dignità alle persone ospitate all’interno di una struttura. Tra queste rientrano, senza dubbio, anche quelle di lavanderia e pulizia dei locali. E’ privo di significato, quindi, sostenere un trattamento fiscale diverso fra prestazione principale e quella accessoria, in quanto la finalità della seconda è quella di garantire dignità alla prima diventando, così, inscindibile da quest’ultima. A maggior conforto della sua affermazione, la Corte Tributaria richiama la sentenza della Corte di Giustizia Europea, causa C-335/14 del 21.01.2016, nella quale si specifica che alle prestazioni rese dalle case di riposo e i centri residenziali per gli anziani occorre riservare un trattamento IVA unitario, ribadendo ancora una volta l’unitarietà e l’inscindibilità delle prestazioni rese. Infine i giudici respingono anche il rilievo avanzato circa l’assenza di un contratto di global service fra la cooperativa sociale e il soggetto ospitato, soprattutto se una parte dei servizi accessori viene reso da soggetti esterni. Il rigetto avviene anche sulla base dell’art. 132, par. 1, lettera g), della Direttiva CE n. 112 del 2006, la quale stabilisce l’esenzione Iva (o la sua assoggettabilità all’aliquota agevolata del 5% nel caso di prestazioni rese da cooperative sociali) per le prestazioni di servizi e le cessioni di beni strettamente connesse con l’assistenza e la previdenza sociale, rese da soggetti riconosciuti dallo Stato membro come aventi carattere sociale.  Rientrano tra questi soggetti, senza dubbio alcuno, le cooperative sociali.   Analisi e commenti ImpreseOggi
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Cooperativa sociale: iva agevolata al 5% anche sulle prestazioni accessorie.

Dom, 02/03/2025 - 11:51
Una cooperativa sociale può applicare l’iva agevolata al 5% anche alle prestazioni accessorie rese a favore di soggetti ospitati in una casa di cura, a cui fornisce in via principale delle prestazioni socio assistenziali. Questo è il principio espresso dalla sentenza n. 1131/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado dell’Emilia Romagna, sezione 6, sul caso riguardante un accertamento ai fini Iva emesso nei confronti di una cooperativa sociale che gestisce una casa di riposo all’interno della quale, tra gli altri servizi, offre anche quello di parrucchiere, lavanderia, mensa e pulizia dei locali. Oggetto del contendere riguarda il fatto che la cooperativa sociale applica l’aliquota iva agevolata al 5% su tutte le prestazioni rese non distinguendo, secondo il parere dell’Agenzia delle Entrate, quelle naturalmente al 5% come l’attività socio assistenziale, da quelle ad aliquota ordinaria, come il servizio di parrucchiere o lavanderia. Questi servizi, in una logica di ottimizzazione della gestione aziendale, vengono resi da fornitori esterni, i quali però provvedono ad emettere fattura nei confronti della cooperativa sociale applicando le aliquote iva previste per la loro specifica attività. Secondo il parere dell’Ufficio la fatturazione con aliquota agevolata al 5% (prevista dall’articolo 1, comma 960, lettera c) della legge 208/2015) o, a seconda del regime scelto dal contribuente, in esenzione ai sensi dell’art. 10 comma 1 n. 21 del D.p.r. 633/72, è possibile solo nell’ambito di una gestione globale del servizio. Non vi può essere gestione globale nel caso in cui i servizi accessori vengano resi da soggetti esterni, ancorchè fatturati dalla cooperativa stessa agli utilizzatori finali. La Corte di Giustizia Tributaria dell’Emilia Romagna rigetta in toto la tesi avanzata dall’Agenzia delle Entrate. Secondo i giudici tributari il concetto di assistenza alla persona ha un significato complesso, che non si può limitare solo ai quei servizi che servono per soddisfare i bisogni primari. Occorre ampliare la definizione tenendo conto anche di quelle prestazioni che servono a garantire dignità alle persone ospitate all’interno di una struttura. Tra queste rientrano, senza dubbio, anche quelle di lavanderia e pulizia dei locali. E’ privo di significato, quindi, sostenere un trattamento fiscale diverso fra prestazione principale e quella accessoria, in quanto la finalità della seconda è quella di garantire dignità alla prima diventando, così, inscindibile da quest’ultima. A maggior conforto della sua affermazione, la Corte Tributaria richiama la sentenza della Corte di Giustizia Europea, causa C-335/14 del 21.01.2016, nella quale si specifica che alle prestazioni rese dalle case di riposo e i centri residenziali per gli anziani occorre riservare un trattamento IVA unitario, ribadendo ancora una volta l’unitarietà e l’inscindibilità delle prestazioni rese. Infine i giudici respingono anche il rilievo avanzato circa l’assenza di un contratto di global service fra la cooperativa sociale e il soggetto ospitato, soprattutto se una parte dei servizi accessori viene reso da soggetti esterni. Il rigetto avviene anche sulla base dell’art. 132, par. 1, lettera g), della Direttiva CE n. 112 del 2006, la quale stabilisce l’esenzione Iva (o la sua assoggettabilità all’aliquota agevolata del 5% nel caso di prestazioni rese da cooperative sociali) per le prestazioni di servizi e le cessioni di beni strettamente connesse con l’assistenza e la previdenza sociale, rese da soggetti riconosciuti dallo Stato membro come aventi carattere sociale.  Rientrano tra questi soggetti, senza dubbio alcuno, le cooperative sociali.   Analisi e commenti ImpreseOggi
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Appalto pulizia camere: l'Agenzia delle Entrate deve provare la somministrazione abusiva di manodopera

Dom, 23/02/2025 - 11:26
In assenza di contestazioni da parte di Inps ed Ispettorato del lavoro, compete all’Agenzia delle Entrate dimostrare in maniera circostanziata e puntuale che il contratto di appalto di servizi è, in realtà, una somministrazione illecita di manodopera. Non è sufficiente richiamarsi alla mancanza di attrezzature da parte dell’appaltatore o all’assenza di rischio di quest’ultimo per rendere indeducibile l’IVA pagata dal committente.   Il principio è contenuto nella sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di Rimini, numero 231/2024 del 25/11/2024. Il caso trae origine dalla prassi commerciale, in uso soprattutto nelle strutture alberghiere, di appaltare il servizio di pulizia delle camere a società esterne, onde liberare l’albergatore dall’onere di organizzare tale servizio. L’Ufficio ha costruito il suo accertamento basandosi principalmente su congetture, sostenendo che l’onere di dimostrare il contrario grava unicamente sul contribuente. Per stabilire la diversa classificazione del contratto di appalto si è limitato a esporre generiche considerazioni:
  • L’appaltatore si è avvalso di subappaltatori;
  • L’appaltatore è privo di una organizzazione aziendale propria e si limita a gestire solamente la parte amministrativa e formale dei propri lavoratori presso i committenti;
  • L’appaltatore non corre nessun rischio di impresa;
  • L’appaltatore è privo di attrezzature e quelle impiegate sono fornite dal committente;
  • I subappaltatori sono delle società “apri e chiudi” e riconducibili a una unica persona fisica.
I Giudici riminesi non hanno condiviso questo assunto. Sono partiti dalla nozione di “appalto leggero”, che è caratterizzato dal fatto che l’attività viene prestata solo con l’impiego di manodopera e non anche di attrezzature o beni materiali diversi. Forma contrattuale ammessa nel nostro ordinamento e per la quale, la giurisprudenza della Cassazione ha sancito (sentenza n. 14371/2020 – sez. Lavoro) che la verifica della sua genuinità si misura accertando se è l’appaltatore che gestisce e indirizza l’attività dei suoi dipendenti e non il committente. Richiamandosi all’art. 7 comma 5 bis del D. Lgs. 546/92, hanno stabilito che l’onere della prova è, in questo caso, incombente a carico dell’Ufficio il quale deve dimostrare, anche avvalendosi di ispezioni effettuate dai soggetti preposti al controllo in materia di lavoro (Inps e Ispettorato del Lavoro) che il contratto di appalto è simulato nascondendo, al contrario, una illecita somministrazione di manodopera. Concludono, poi, smontando anche alcune tesi avanzate dall’Agenzia delle Entrate:
  • Non è corretto affermare che non vi sia il rischio di impresa, in quanto l’appaltatore deve garantire la presenza dei lavoratori e l’adempimento delle richieste del committente;
  • Non è sufficiente nemmeno affermare che l’appaltatore non possiede attrezzature o beni materiali: l’articolo 1658 del codice civile indica chiaramente che il materiale può essere fornito anche dal committente.
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Appalto pulizia camere: l'Agenzia delle Entrate deve provare la somministrazione abusiva di manodopera

Dom, 23/02/2025 - 11:26
In assenza di contestazioni da parte di Inps ed Ispettorato del lavoro, compete all’Agenzia delle Entrate dimostrare in maniera circostanziata e puntuale che il contratto di appalto di servizi è, in realtà, una somministrazione illecita di manodopera. Non è sufficiente richiamarsi alla mancanza di attrezzature da parte dell’appaltatore o all’assenza di rischio di quest’ultimo per rendere indeducibile l’IVA pagata dal committente.   Il principio è contenuto nella sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di Rimini, numero 231/2024 del 25/11/2024. Il caso trae origine dalla prassi commerciale, in uso soprattutto nelle strutture alberghiere, di appaltare il servizio di pulizia delle camere a società esterne, onde liberare l’albergatore dall’onere di organizzare tale servizio. L’Ufficio ha costruito il suo accertamento basandosi principalmente su congetture, sostenendo che l’onere di dimostrare il contrario grava unicamente sul contribuente. Per stabilire la diversa classificazione del contratto di appalto si è limitato a esporre generiche considerazioni:
  • L’appaltatore si è avvalso di subappaltatori;
  • L’appaltatore è privo di una organizzazione aziendale propria e si limita a gestire solamente la parte amministrativa e formale dei propri lavoratori presso i committenti;
  • L’appaltatore non corre nessun rischio di impresa;
  • L’appaltatore è privo di attrezzature e quelle impiegate sono fornite dal committente;
  • I subappaltatori sono delle società “apri e chiudi” e riconducibili a una unica persona fisica.
I Giudici riminesi non hanno condiviso questo assunto. Sono partiti dalla nozione di “appalto leggero”, che è caratterizzato dal fatto che l’attività viene prestata solo con l’impiego di manodopera e non anche di attrezzature o beni materiali diversi. Forma contrattuale ammessa nel nostro ordinamento e per la quale, la giurisprudenza della Cassazione ha sancito (sentenza n. 14371/2020 – sez. Lavoro) che la verifica della sua genuinità si misura accertando se è l’appaltatore che gestisce e indirizza l’attività dei suoi dipendenti e non il committente. Richiamandosi all’art. 7 comma 5 bis del D. Lgs. 546/92, hanno stabilito che l’onere della prova è, in questo caso, incombente a carico dell’Ufficio il quale deve dimostrare, anche avvalendosi di ispezioni effettuate dai soggetti preposti al controllo in materia di lavoro (Inps e Ispettorato del Lavoro) che il contratto di appalto è simulato nascondendo, al contrario, una illecita somministrazione di manodopera. Concludono, poi, smontando anche alcune tesi avanzate dall’Agenzia delle Entrate:
  • Non è corretto affermare che non vi sia il rischio di impresa, in quanto l’appaltatore deve garantire la presenza dei lavoratori e l’adempimento delle richieste del committente;
  • Non è sufficiente nemmeno affermare che l’appaltatore non possiede attrezzature o beni materiali: l’articolo 1658 del codice civile indica chiaramente che il materiale può essere fornito anche dal committente.
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Al servizio mensa di una Fondazione si applica l’Iva esente art. 10.

Dom, 02/02/2025 - 12:32
Il servizio mensa fornito ai propri alunni da una Fondazione che ha tra i suoi scopi quelli educativi e didattici è esente Iva ai sensi dell’articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72. Lo prevede la risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate a un interpello non pubblicato avanzato da un Ente del Terzo Settore che svolge attività educative a favore dell’infanzia. La risposta fornita si sofferma innanzitutto sul tenore dell’articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72 il quale prevede l’esenzione Iva per le “prestazioni educative, dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere” compresa la formazione purchè rese da “istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da enti del Terzo Settore di natura non commerciale”. Se si rientra in questa casistica, la normativa iva prevede piuttosto esplicitamente che l’esenzione in argomento possa applicarsi anche all’alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici. I requisiti da tenere in considerazione, dunque, per poter valutare l’eventuale esenzione Iva del servizio mensa sono due. Il primo, di carattere oggettivo, prevede che la prestazione resa sia di natura educativa dell’infanzia, della gioventù o didattica di ogni genere; rientra in quest’ultima categoria anche l’attività di formazione professionale. Il secondo requisito, di natura soggettiva, è che le suddette prestazioni siano rese da enti del Terzo Settore, oltre che da scuole o istituti riconosciuti da pubbliche amministrazioni. L’Agenzia delle Entrate specifica, però, che il servizio mensa (così come l’alloggio e il materiale didattico) deve essere connesso con la prestazione principale, cioè l’erogazione del servizio educativo. Qualora questo non avvenga, e cioè il soggetto che fornisce l’attività educativa è diverso da quello che fornisce l’attività di mensa, su quest’ultima non può vedersi applicata l’esenzione di cui all’articolo 10 Dpr 633/72. Situazione, però, assai diversa nel caso in cui la Fondazione o l’Ente del Terzo Settore in genere acquisti da terzi il servizio della mensa e poi lo rivenda ai suoi alunni o partecipanti, fatturandolo direttamente. L’interpello non prende in esame questa eventualità, ma la logica giuridica porta a ritenere che anche in questo caso si possa applicare l’esenzione iva articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72, in quanto la prestazione finale è resa da un unico soggetto. Nulla rileva, e nulla dispone la norma, sul rapporto che sta a monte della prestazione resa. Ovviamente sul servizio che acquista la Fondazione o l’Ente del Terzo Settore andrà applicata l’Iva con l’aliquota prevista per la tipologia di attività svolta, in quanto non si rientra nella casistica fino a qui esaminata, essendo carente sia il requisito oggettivo e soggettivo. Notizie ImpreseOggi
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Al servizio mensa di una Fondazione si applica l’Iva esente art. 10.

Dom, 02/02/2025 - 12:32
Il servizio mensa fornito ai propri alunni da una Fondazione che ha tra i suoi scopi quelli educativi e didattici è esente Iva ai sensi dell’articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72. Lo prevede la risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate a un interpello non pubblicato avanzato da un Ente del Terzo Settore che svolge attività educative a favore dell’infanzia. La risposta fornita si sofferma innanzitutto sul tenore dell’articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72 il quale prevede l’esenzione Iva per le “prestazioni educative, dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere” compresa la formazione purchè rese da “istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da enti del Terzo Settore di natura non commerciale”. Se si rientra in questa casistica, la normativa iva prevede piuttosto esplicitamente che l’esenzione in argomento possa applicarsi anche all’alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici. I requisiti da tenere in considerazione, dunque, per poter valutare l’eventuale esenzione Iva del servizio mensa sono due. Il primo, di carattere oggettivo, prevede che la prestazione resa sia di natura educativa dell’infanzia, della gioventù o didattica di ogni genere; rientra in quest’ultima categoria anche l’attività di formazione professionale. Il secondo requisito, di natura soggettiva, è che le suddette prestazioni siano rese da enti del Terzo Settore, oltre che da scuole o istituti riconosciuti da pubbliche amministrazioni. L’Agenzia delle Entrate specifica, però, che il servizio mensa (così come l’alloggio e il materiale didattico) deve essere connesso con la prestazione principale, cioè l’erogazione del servizio educativo. Qualora questo non avvenga, e cioè il soggetto che fornisce l’attività educativa è diverso da quello che fornisce l’attività di mensa, su quest’ultima non può vedersi applicata l’esenzione di cui all’articolo 10 Dpr 633/72. Situazione, però, assai diversa nel caso in cui la Fondazione o l’Ente del Terzo Settore in genere acquisti da terzi il servizio della mensa e poi lo rivenda ai suoi alunni o partecipanti, fatturandolo direttamente. L’interpello non prende in esame questa eventualità, ma la logica giuridica porta a ritenere che anche in questo caso si possa applicare l’esenzione iva articolo 10, n. 20 del Dpr 633/72, in quanto la prestazione finale è resa da un unico soggetto. Nulla rileva, e nulla dispone la norma, sul rapporto che sta a monte della prestazione resa. Ovviamente sul servizio che acquista la Fondazione o l’Ente del Terzo Settore andrà applicata l’Iva con l’aliquota prevista per la tipologia di attività svolta, in quanto non si rientra nella casistica fino a qui esaminata, essendo carente sia il requisito oggettivo e soggettivo. Notizie ImpreseOggi
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Dom, 19/01/2025 - 11:36
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Finanziare lo sviluppo delle cooperative: la nuova Legge Marcora

Dom, 19/01/2025 - 11:32
Finanziare la nascita e lo sviluppo delle cooperative di piccola e media dimensione con l’obiettivo di creare nuove attività economiche e di incrementare i posti di lavoro: sono queste le finalità del Decreto del Ministero dello sviluppo economico pubblicato il 4 gennaio 2021. I soggetti destinatari sono le cooperative di produzione e lavoro e sociali che svolgono attività sia di tipo A che di tipo B, che operano in tutti i settori produttivi. Unici requisiti che devono possedere sono quelli di rientrare nei limiti previsti per le piccole e medie imprese e di essere partecipate da CFI, il fondo istituzionale controllato dal Ministero dello Sviluppo Economico e previsto dalla Legge 49/85, chiamata anche Legge Marcora. Nel caso in cui la cooperativa non sia partecipata da CFI, contestualmente alla presentazione della domanda di agevolazione deve essere presentata anche quella di partecipazione a CFI. Le cooperative richiedenti, inoltre, devono essere regolarmente costituite e non trovarsi in liquidazione o in procedure concorsuali. Le tipologie di iniziative ammissibile sono tutte quelle che permettono di realizzare la nascita o il consolidamento delle attività delle cooperative richiedenti, salvo alcune eccezioni. Tra queste vi sono quelle notarili, imposte, tasse, oppure riferite a investimenti di pura sostituzione di impianti o macchinari già esistenti. Sono escluse anche le spese per l’acquisto di automezzi, salvo che non servano direttamente nell’attività che svolge la cooperativa. I programmi di investimento non devono essere avviati alla di presentazione della richiesta di finanziamento agevolato. Il programma di investimento deve terminare entro 36 mesi dalla data di sottoscrizione del finanziamento agevolato. Può essere chiesto, inoltre, anche il finanziamento per supportare le esigenze di liquidità delle cooperative. In questo caso la sua concessione assume la forma di contributo de minimis, e deve essere finalizzato a realizzare programmi di investimento iniziati da non più di sei mesi dalla data di presentazione della richiesta oppure deve essere finalizzato a coprire esigenze di capitale circolante netto in un arco di tempo di dodici mesi. L’importo del finanziamento da richiedere non può essere superiore a cinque volte il valore della partecipazione di CFI nella cooperativa e, comunque, non superiore al limite complessivo di due milioni di euro. La durata del finanziamento non può essere inferiore a tre anni e non superiore a dieci anni, con un preammortamento di 3 anni. Le rate sono semestrali con scadenza il 31 maggio e il 30 novembre di ogni anno Il tasso di interesse è pari a zero.   Lo studio è in grado di supportare le cooperative per la richiesta del finanziamento agevolato e l’analisi di fattibilità dell’investimento da proporre. Prenota una prima consulenza gratuita al numero 0541.708252 Notizie ImpreseOggi
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Finanziare lo sviluppo delle cooperative: la nuova Legge Marcora

Dom, 19/01/2025 - 11:32
Finanziare la nascita e lo sviluppo delle cooperative di piccola e media dimensione con l’obiettivo di creare nuove attività economiche e di incrementare i posti di lavoro: sono queste le finalità del Decreto del Ministero dello sviluppo economico pubblicato il 4 gennaio 2021. I soggetti destinatari sono le cooperative di produzione e lavoro e sociali che svolgono attività sia di tipo A che di tipo B, che operano in tutti i settori produttivi. Unici requisiti che devono possedere sono quelli di rientrare nei limiti previsti per le piccole e medie imprese e di essere partecipate da CFI, il fondo istituzionale controllato dal Ministero dello Sviluppo Economico e previsto dalla Legge 49/85, chiamata anche Legge Marcora. Nel caso in cui la cooperativa non sia partecipata da CFI, contestualmente alla presentazione della domanda di agevolazione deve essere presentata anche quella di partecipazione a CFI. Le cooperative richiedenti, inoltre, devono essere regolarmente costituite e non trovarsi in liquidazione o in procedure concorsuali. Le tipologie di iniziative ammissibile sono tutte quelle che permettono di realizzare la nascita o il consolidamento delle attività delle cooperative richiedenti, salvo alcune eccezioni. Tra queste vi sono quelle notarili, imposte, tasse, oppure riferite a investimenti di pura sostituzione di impianti o macchinari già esistenti. Sono escluse anche le spese per l’acquisto di automezzi, salvo che non servano direttamente nell’attività che svolge la cooperativa. I programmi di investimento non devono essere avviati alla di presentazione della richiesta di finanziamento agevolato. Il programma di investimento deve terminare entro 36 mesi dalla data di sottoscrizione del finanziamento agevolato. Può essere chiesto, inoltre, anche il finanziamento per supportare le esigenze di liquidità delle cooperative. In questo caso la sua concessione assume la forma di contributo de minimis, e deve essere finalizzato a realizzare programmi di investimento iniziati da non più di sei mesi dalla data di presentazione della richiesta oppure deve essere finalizzato a coprire esigenze di capitale circolante netto in un arco di tempo di dodici mesi. L’importo del finanziamento da richiedere non può essere superiore a cinque volte il valore della partecipazione di CFI nella cooperativa e, comunque, non superiore al limite complessivo di due milioni di euro. La durata del finanziamento non può essere inferiore a tre anni e non superiore a dieci anni, con un preammortamento di 3 anni. Le rate sono semestrali con scadenza il 31 maggio e il 30 novembre di ogni anno Il tasso di interesse è pari a zero.   Lo studio è in grado di supportare le cooperative per la richiesta del finanziamento agevolato e l’analisi di fattibilità dell’investimento da proporre. Prenota una prima consulenza gratuita al numero 0541.708252 Notizie ImpreseOggi
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