Messaggio di avvertimento

The subscription service is currently unavailable. Please try again later.

Aggregatore di feed

Nostalgia canaglia (e rompicoglioni, alla lunga)

La casa di Kikko (il mio blog) - Dom, 11/02/2029 - 12:29

Un giorno la nebbia era tanta che non si vedeva da qui a là, cioè una decina di metri, forse anche meno. Ero imbarcato su un peschereccio vecchio, con la prua a picco che sembrava un bragozzo e la poppa allungata che sembrava la coda ritta di un tacchino, con un comandante che definire alcoolista era un eufemismo: una cassa di vino bianco gli durava un giorno in mare. Stavamo tornando in porto e per un po' abbiamo viaggiato a radar, ma vicino all'imboccatura non bastava più: toccava seguire il nautofono e guardare. Il radar, all’epoca, non era molto preciso sulle corte distanze e il GPS era sconosciuto su quel legno.

Io ero a prua e il capitano aveva ficcato la testa nella finestrella per sentire meglio le mie indicazioni, ripetendo ansiosamente «Vedi niente?» Cercavo gli scogli intorno al faro rosso all'imboccatura. Niente: il suono del nautofono era sempre più forte, ma di scogli nessun contorno. Mi ero quasi convinto di averli superati quando mi sorpresi a gridare «dai indietro, dai indietro...» a quel vecchio ubriacone. Mi spaventai parecchio. Però imboccammo il porto, seguendo il profilo della palata e l'ombra del Rockisland.

Tolta questa esperienza, datata 30 anni fa, con le attrezzature che ci sono ora su qualunque barca, il nautofono non ha senso. E’ un vezzo retrò per pochi nostalgici, che magari vivono lontano dal suono e non fanno a tempo ad esasperarsi al cupo brontolio intermittente, ormai superato dal tempo. E che, forse, come talvolta accade, del mare conoscono giusto «la roiga blu» orizzontale e quella verticale dei tanga.

(Foto del Corriere Romagna tratta dall'articolo https://www.corriereromagna.it/news-rimini-33396-suoni-solidi-fatti-nebb...)

Argomenti: BloggingSpazi: Rockisland

Con la Srl trasparente si pagano meno tasse e ci si protegge di più.

La società a responsabilità limitata, diventata di gran moda negli ultimi periodi con la promessa di limitare la responsabilità di chi la conduce e di fargli pure risparmiare le tasse, sconta un limite che i suoi convinti sostenitori tacciono per non venir sbugiardati di fronte alle mirabolanti promesse circa il loro potere taumaturgico: conviene fiscalmente nella misura in cui i soldi vengono lasciati dentro la società e non goduti direttamente dai soci. Ancor meglio: con la srl si pagano meno tasse se gli utili vengono reinvestiti piuttosto che essere utilizzati per comprarsi, sia ben inteso legittimamente, bolidi a motore o immobili da sogno. Come non bastasse, anche di fronte a questi rilievi, i sostenitori più facinorosi dello strumento offrono come soluzione quella di farsi un bel compenso come amministratore, oltre a inventarsi delle royalties per il proprio marchio o qualche buono pasto aggiuntivo. A far di conto, con questi suggerimenti si ottiene lo stesso risparmio fiscale di una volgarotta snc. Come si ottiene il medesimo risultato anche sul piano della responsabilità personale del socio: tolto quello che ci mette i soldi ma sta alla larga dall’attività, per tutti gli altri che, al contrario, le mani in pasta ce le mettono come amministratori, si può affermare che non siamo molto distanti dalle responsabilità previste per le società di persone. In tal senso si può ricordare l’art. 2476 c. 1 del codice civile, il quale stabilisce che gli amministratori rispondono con il proprio patrimonio dei danni causati ai terzi nell’esercizio delle proprie funzioni. Srl “trasparente”. A un fanatico delle srl, non dissuaso dalle critiche testè fatte, per aiutarlo a non compiere una scelta illogica, e per tenere insieme un minimo di responsabilità limitata e un più agevole utilizzo personale degli utili prodotti, gli si può raccontare che esiste una società a responsabilità limitata che può pagare le tasse come se fosse una snc, perché ha scelto la tassazione per trasparenza, prevista dagli articoli 115 e 116 del D.p.r. 917/86. Questo particolare tipo di regime prevede che il reddito prodotto dalla società partecipata non viene tassato direttamente in capo a questa ma viene imputato ai soci sulla base delle partecipazioni agli utili e indipendentemente dal fatto che questo reddito sia stato distribuito o meno. E’ lo stesso principio che governa la tassazione delle società di persona. Il meccanismo può essere applicato sia a una società a responsabilità limitata partecipata da altre società di capitali, sia a una partecipata esclusivamente da soci persone fisiche. Per comodità espositiva, e sintesi di articolo, ci si limita a illustrare solo la società a responsabilità limitata partecipata da persone fisiche, foss’altro perché è la disciplina che meglio consente di superare i limiti delle srl “normali” fin qui illustrati. Condizioni per la tassazione per trasparenza. Per poter aderire al regime per trasparenza le condizioni sono:
  • la società partecipata deve essere una srl o una società cooperativa con sede in Italia;
  • la società partecipata non deve avere un fatturato maggiore di quello previsto per l’applicazione degli Isa, e cioè 5.164.569 euro;
  • i soci devono essere esclusivamente persone fisiche residenti in Italia. Possono anche essere non residenti, purchè la partecipazione si riferisca a una stabile organizzazione presente in Italia;
  • il numero dei soci della partecipata non può essere superiore a 10; in caso di cooperativa, il numero dei soci non può essere superiore a 20. La tassazione per trasparenza vale per le società unipersonali.
Esercizio dell’opzione e durata. L’opzione si esercita con la seguente modalità:
  • i soci inviano una raccomandata alla società dichiarando la volontà di avvalersi di questa opzione;
  • la società compila il quadro OP della propria dichiarazione dei redditi presentata nel periodo a decorrere dal quale l’opzione vuole essere esercitata.
E’ ammesso anche il comportamento concludente, per il quale è necessario pagare la sanzione di euro 250,00 non ravvedibile. La durata dell’opzione è triennale ed è tacitamente rinnovata. La revoca va, quindi, comunicata all’Agenzia delle Entrate. Nel calcolo della convenienza nell’adottare il regime per trasparenza occorre, quindi, tener conto della dinamica perlomeno triennale dell’attività e, in particolare, dell’utile atteso, stante l’impossibilità di rinunciare a questo tipo di tassazione, qualora ritenuta non più conveniente, prima dello spirare del termine triennale. Cessazione del regime per trasparenza. Come detto poc’anzi, il regime cessa allo scadere dei tre anni e previa richiesta di revoca. Inoltre, il regime per trasparenza cessa, prima dello scadere del triennio, al ricorrere dei seguenti casi: CAUSA DECORRENZA Superamento della soglia di euro  Dall'esercizio successivo. Ingresso di un nuovo socio che comporta lo sforamento del limite di 10 soci per le srl o 20 soci per le cooperative.  Nel periodo di imposta in cui si avviene lo sforamento. Ingresso di un nuovo socio che non è una persona fisica oppure che è un socio non residente che non possiede la partecipazione per tramite di una stabile organizzazione. Nel periodo di imposta in cui avviene l'ingresso. Assoggettamento della società partecipata al fallimento o altra procedura concorsuale. Dalla data in cui si apre la procedura concorsuale. Trasformazione della società partecipata in altro tipo societario non soggetto a Ires.  Dalla data di effetto della trasformazione. Trasformazione della società in altra società soggetta a Ires diversa da s.r.l.  Dall'anno di imposta in cui si è verificata la trasformazione Trasferimento all’estero della sede legale della partecipata. Dall'anno in cui si è verificato il trasferimento. Fusione o scissione della società partecipata. La cessazione decorre dalla data in cui ha effetto fiscale l’operazione straordinaria, salvo che l’opzione non sia confermata da tutti i soggetti che partecipano all’operazione.  Dalla data in cui ha effetto fiscale l’operazione straordinaria, salvo che l’opzione non sia confermata da tutti i soggetti che partecipano all’operazione.  Convenienza. Se ipotizziamo una srl unipersonale con un utile a fine anno prima delle imposte di euro 50.000,00, il calcolo per stabilirne la convenienza è il seguente: SRL "NORMALE" SRL TRASPARENTE Ires 24% euro 12.000   Utile netto (50.000 - 12.000) euro 38.000 Imposta 26% su dividendo euro 38.000 euro 28.120 Imposte totali ( Ires + imposta sul dividento) euro 21.880 euro 9.873 Inps in capo al socio lavoratore (24% di 50.000) euro 12.000 euro 12.000 Tassazione totale euro 33.880 euro 21.783 RISPARMIO TOTALE EURO 12.000 Conclusione. Sviluppati i calcoli si può concludere che in presenza di una società a responsabilità limitata che distribuisce annualmente tutti gli utili prodotti, appare più conveniente adottare il regime di tassazione per trasparenza in capo ai soci piuttosto che il regime ordinario. In questo modo si consegue un risparmio di imposta, simile a quello delle società di persone, con l’aggiunta che ci si può avvalere della responsabilità limitata per i soci. Se hai una srl e vuoi approfondire la convenienza di utilizzare il regime di tassazione per trasparenza puoi contattare lo studio al numero 0541.708252

 

Analisi e commenti ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Il diritto di ispezione dei soci delle Srl non può essere illimitato e indefinito

Il diritto di accesso dei soci delle srl riconosciuto dall’art. 2476 c. 2 del Codice Civile non può essere illimitato e indefinito, ma deve essere circostanziato e specifico, in modo da non compromettere la gestione sociale né ostacolare lo svolgimento regolare dell’attività della società destinataria della richiesta. Questo il principio espresso dal Tribunale Ordinario di Bologna, sezione Impresa, con propria ordinanza n. 10947/2025 del 26 ottobre 2025 in merito alla corretta interpretazione dell’art. 2476 c. 2 del Codice Civile, che norma il diritto di ispezione del socio non amministratore. Il caso. Il Tribunale bolognese è stato chiamato a decidere su un caso sollevato da un socio di una società a responsabilità limitata il quale lamentava di non aver ottenuto un riscontro positivo alla sua richiesta di ispezione dei documenti societari. La società, costituitasi in giudizio, di contro, aveva evidenziato il fatto che la richiesta del socio era stata formulata in modo generico e sproporzionato a tal punto che si era arrivati a chiedere di verificare tutta la documentazione sociale e contabile, senza indicare elementi precisi di indagine, facendo diventare la richiesta di accesso come un controllo generalizzato dell’attività dell’amministratore unico. La decisione. Il Tribunale delle imprese di Bologna, nel rigettare la richiesta avanzata dal socio di avere riconosciuto il proprio diritto di ispezione così come formulato, ricorda che questo diritto è previsto dall’art. 2476 c. 2 del Codice Civile; esso permette, ai soci che non partecipano all’amministrazione, di “avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione”. I giudici affermano, poi, che il diritto di ispezione ha la finalità di garantire trasparenza e controllo sulla gestione sociale ma non può considerarsi illimitato e deve essere esercitato “nel rispetto dei principi generali di correttezza e buona fede, mediante istanze specifiche e circostanziate, in modo da non compromettere la gestione sociale, né ostacolare il regolare svolgimento dell’attività sociale”. Nello specifico del caso il Tribunale delle Imprese prende atto che la richiesta di ispezione è stata formulata in modo generico e non circostanziata, non evidenziando i documenti per i quali si vuole la riproduzione, rendendo in tal modo impossibile capire la legittimità della richiesta e la sua oggettiva finalità. Agendo in tal modo, ci si pone “in contrasto con i principi di buona fede e correttezza che devono informare anche i rapporti tra socio e società, specie quando si tratta di diritti che, pur riconosciuti dalla legge, devono essere esercitati in modo conforme alla loro funzione senza abusarne”. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Ali è tornato tra i suoi cari. La Cooperativa sociale Cento Fiori ringrazia la comunità pakistana, la generosità riminese e la professionalità delle onoranze funebri Terra Cielo di Rimini

Cooperativa sociale Cento Fiori - Mer, 29/10/2025 - 16:14

Diecimila 437 grazie a tutti: tanti sono i fondi raccolti, serviti per il rimpatrio di Yousaf Muhammad Ali, accompagnato da uno degli amici che ha lasciato, mentre il rimanente verrà versato alla famiglia, ancora gravata dai debiti per il suo viaggio della speranza.

Rimini – Con profonda gratitudine annunciamo la chiusura della raccolta fondi per il rimpatrio della salma di Yousaf Muhammad Ali, giovane richiedente asilo pakistano scomparso a lo scorso 15 Ottobre presso l’ospedale di Cattolica, assistito dalla Cooperativa Sociale Cento fiori.

Grazie alla straordinaria partecipazione e al cuore grande della comunità pakistana, in Italia e all’estero e alla generosità della cittadinanza riminese, è stato possibile raccogliere le risorse necessarie per permettere a Ali di tornare nella sua terra, dove potrà finalmente riposare accanto ai suoi cari.

La salma di Ali è finalmente arrivata in Pakistan e vorremmo fare un ringraziamento speciale alle Onoranze funebri Terra Cielo Rimini, e in particolare a Luigi Girometti, che hanno seguito con professionalità, rispetto e grande umanità ogni passaggio di questo delicato percorso, portando a termine il tutto in tempi rapidissimi.

La raccolta fondi che la Cooperativa Sociale Cento Fiori ha lanciato con un proprio contributo ha raggiunto dei grandi risultati, che per trasparenza rendicontiamo:

Totale raccolto: € 10.437
Spese sostenute per rimpatrio e pratiche funebri: € 7.335,81
Spese sostenute per accompagnamento salma in Pakistan da parte di un amico di Ali viaggio a/r: € 999,00
Totale spese complessive: € 8.334,81
Somma rimanente: € 2.102,19

Il conto resterà aperto ancora per 15 giorni, e ogni ulteriore donazione sarà destinata ad aiutare la famiglia di Ali nel pagamento dei debiti contratti per le spese del viaggio per arrivare in Italia e per le difficili condizioni affrontate durante la sua permanenza e le sue detenzioni in Libia.

Grazie ancora a tutte e tutti per la fiducia, la solidarietà e il rispetto dimostrati. Questa raccolta è stata una dimostrazione concreta di solidarietà, vicinanza e umanità condivisa.

L'articolo Ali è tornato tra i suoi cari. La Cooperativa sociale Cento Fiori ringrazia la comunità pakistana, la generosità riminese e la professionalità delle onoranze funebri Terra Cielo di Rimini proviene da Cento Fiori, Rimini.

Categorie: siti che curo

Nella Legge di Stabilità 2026 c’è un bonus per i lavoratori del turismo, bar e ristoranti

La Legge di Stabilità 2026, nella bozza inviata al Senato per iniziare l’iter di approvazione, prevede un trattamento integrativo del 15 per cento per garantire la stabilità occupazionale e per far fronte alla mancanza di personale nel settore turistico alberghiero e termale L’incentivo e i beneficiari. Nella bozza della Legge di Stabilità 2026 si legge che l’incentivo, sul quale non si pagano le tasse, è pari al 15 per cento della retribuzione lorda percepita come lavoro notturno e come prestazione di lavoro straordinario effettuato nei giorni festivi. I beneficiari di questa misura di incentivo sono i lavoratori dipendenti del settore privato che prestano la propria opera negli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande come indicati nell’art. 5 della legge 25 agosto 1991 n. 287 (ristoranti, bar, pizzerie, tavole calde, gelaterie e pasticcerie) e i lavoratori del settore alberghiero e degli stabilimenti balneari. Ulteriore condizione per avere diritto all’incentivo è quello di avere un reddito da lavoro dipendente, per l’anno 2025, non superiore a 40.000 euro lordi annui. Come richiederlo. L’incentivo per i lavoratori del comparto turistico viene anticipato direttamente dal datore di lavoro, al quale compete l’obbligo di verificare il non superamento del limite massimo di 40.000 euro di reddito lordo da lavoro dipendente. A sua volta il datore di lavoro, quale sostituto di imposta, compenserà il trattamento integrativo erogato al suo dipendente con le imposte, le tasse e i contributi che andrà a versare nel corso dell’anno, ai sensi del comma 1 dell’art. 17 del D. Lgs. 241/1997.   Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Non serve dimostrare il pagamento della fattura per avere diritto alla detrazione Iva

Il contribuente ha diritto alla detrazione Iva nel momento in cui dimostra in giudizio che è stato rispettato il presupposto sostanziale della cessione di beni o prestazione di servizio e dà prova del requisito formale, cioè di avere registrato la fattura nei registri Iva. L’Ufficio o il Giudice non possono chiedere di dimostrare anche il pagamento delle fatture, perché non previsto dalle norme in materia. Questo il principio enunciato dalla Corte di Cassazione sez. V, con ordinanza numero 27328 del 18 settembre 2025 pubblicata il giorno 11 ottobre 2025. Il caso. La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere su un caso riguardante il rigetto di un ricorso presentato avverso una cartella di pagamento per Iva relativa all’anno di imposta 2012. Nello specifico al contribuente non è stato riconosciuto il credito nascente dalla dichiarazione Iva perché questa era stata presentata oltre il termine di novanta giorni dalla scadenza e quindi era ritenuta omessa. Nei due gradi di giudizio, entrambi i Giudici, hanno rigettato il ricorso perchè il contribuente non aveva dimostrato in giudizio l’esistenza del credito iva, in quanto non erano state fornite le prove di pagamento delle fatture contabilizzate nei registri Iva. La decisione. I Giudici della Cassazione ripercorrono le norme in materia di diritto alla detrazione in ambito Iva, richiamando in tal senso gli articoli 167 e seguenti e 178 della direttiva n. 2006/112/CE che fissano il meccanismo di funzionamento della detrazione Iva; i principi europei in materia di detrazione iva sono stati recepiti nel nostro ordinamento negli articoli 19 e seguenti del D.p.r. 633/72. Nello specifico sono due i requisiti da rispettare per avere diritto alla detrazione Iva. Il primo, di natura sostanziale, stabilisce che la detrazione si consegue nel momento in cui l’imposta diventa esigibile (art. 167 Direttiva 2006/112/CE e art. 19 Dpr 633/72). L’art. 10 n. 2 della direttiva 77/388/CEE stabilisce che l’esigibilità dell’imposta nasce nel momento in cui vi è la cessione dei beni o la conclusione della prestazione di servizi. Concetto ripreso anche dall’art. 6 del D.p.r. 633/72 che parla di esigibilità dell’imposta nel momento in cui l’operazione rilevante ai fini Iva viene effettuata. Il secondo principio, di natura formale, prevede che la detrazione Iva può avvenire se si è in possesso dell’originale della fattura o del documento che uno Stato membro ritenga rilevante ai fini Iva. Questo principio lo si può ricavare dal combinato disposto dell’art. 18 n. 1 lett. a) e art. 22 n. 3 della direttiva 77/388/CEE, nonché dall’art. 178 della Direttiva 2006/112/CE. Sulla base, dunque, della normativa in essere sono solo due i requisiti da valutare per definire se un contribuente ha diritto o meno alla detrazione Iva. Richiedere di dimostrare anche il pagamento della fattura vuol dire introdurre un requisito non previsto dalla normativa. Scrive la Cassazione: “[…] non è affatto prevista la dimostrazione anche del pagamento della fattura, circostanza che, se ammessa a condizione per l’esercizio del diritto, assurgerebbe a un terzo requisito per accedere alla detrazione, non previsto dalla normativa e idoneo a incidere sulla neutralità dell’imposta armonizzata”. Il principio di diritto in materia di detrazione Iva. La precisa ricostruzione normativa avanzata dalla Cassazione porta la stessa a stabilire il seguente principio di diritto:Il diritto alla detrazione non può essere negato quando il soggetto passivo che lo fa valere in giudizio dimostra il presupposto sostanziale dell’effettuazione della cessione di beni o prestazione di servizi e dà prova del requisito formale, attraverso la pertinente valida fattura d’acquisto annotata nei registri IVA, mentre non è necessaria la prova del pagamento”. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

“Gaza chiama”, Rimini risponde: le testimonianze di chi ha partecipato alla Global Sumud Flotilla, le azioni per la pace nel Vicino Oriente.

Cooperativa sociale Cento Fiori - Mer, 15/10/2025 - 16:14
Gaza chiama, con Michela Monte, Marco Croatti, Yousef Hamdouna, Silvestro Ramunno, Vera Bessone, è promossa da Cooperativa sociale Cento Fiori, CGIL Rimini, AssoPace Palestina, Coordinamento donne Rimini, Il Palloncino Rosso, ANPI Comitato Provinciale Rimini.

La tragica attualità del Vicino Oriente è al centro dell’attenzione, anche qui nel riminese. Sono diverse infatti le realtà e le persone impegnate ad alleviare per quanto possibile le vittime degli eventi che stanno destabilizzando la pace. Oggi più che mai si levano le voci per “fermare genocidio e apartheid, ottenere giustizia per i crimini di guerra e cambiare la narrazione mainstream di media e politica”. In due parole, “Gaza chiama”, l’incontro di sabato 18 ottobre alle 16 con i testimoni riminesi che hanno partecipato alla Global Sumud Flotilla, Michela Monte (giornalista) e Marco Croatti (senatore), insieme a Yousef Hamdouna, responsabile dei programmi Educaid per il Medio Oriente, Silvestro Ramunno, presidente dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia – Romagna, con la moderazione di Vera Bessone.

Durante l’incontro che si terrà presso la sede CGIL di Rimini (salone Adriano Polverelli), via Caduti di Marzabotto 30, Rimini, ci saranno anche le letture di Sabrina Foschini e Tamara Balducci. Immediatamente prima dell’iniziativa, alle 15.30 si terrà l’inaugurazione dell’opera d’arte su Gaza di Giovanni Aureli con la collaborazione di Emma Baiesi Lanfranchi.

Gaza chiama è promossa da Cooperativa sociale Cento Fiori, CGIL Rimini, AssoPace Palestina, Coordinamento donne Rimini, Il Palloncino Rosso, ANPI Comitato Provinciale Rimini.

L'articolo “Gaza chiama”, Rimini risponde: le testimonianze di chi ha partecipato alla Global Sumud Flotilla, le azioni per la pace nel Vicino Oriente. proviene da Cento Fiori, Rimini.

Categorie: siti che curo

Incostituzionale vietare il cambio d’uso di un albergo non redditizio.

E’ incostituzionale una norma regionale che impedisce la perdita del vincolo di destinazione alberghiera quando l’esercizio della sua attività non produce più nessun utile. E’ questa, in sintesi, la posizione che la Corte Costituzionale ha assunto, con sentenza n. 143 del 09 luglio 2025 e depositata il 07 ottobre 2025, nel dichiarare incostituzionale la Legge della Regione Liguria n. 1 del 07.02.2008. Il caso. L’art. 2 c. 2 della Legge Regionale n. 1/2008 della Regione Liguria prevede una serie di casi per i quali i proprietari possono chiedere l’eliminazione del vincolo della destinazione alberghiera sui propri immobili. Tra i casi previsti non è contemplato quello della non convenienza economica della gestione della struttura ricettiva. Tale omissione ha portato a un contenzioso amministrativo tra una società proprietaria di un immobile alberghiero e il Comune di Ameglia. Il Tar della Liguria, chiamato a dirimere la questione, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale della legge regionale in materia. Il vincolo di destinazione alberghiera. Previsto dall’art. 8 della Legge 217/1983, il vincolo di destinazione alberghiera ha lo scopo, come recita la norma, di conservare e tutale il “patrimonio ricettivo, in quanto rispondente alle finalità di pubblico interesse e della utilità sociale”. Il compito delle regioni è quello di emanare le leggi contenenti gli indirizzi necessari a sottoporre a vincolo le strutture ricettive, mentre i comuni, nell’ambito della loro pianificazione urbanistica, tenendo conto delle linee regionali, devono indicare le aree del proprio territorio soggette a tale vincolo. Infine la legge 217/1983 prevede che il vincolo di destinazione possa essere rimosso su richiesta del proprietario se questo riesce a dimostrare la non convenienza economica della sua struttura ricettiva. Nel corso del tempo si sono succedute una serie di sentenze amministrative nelle quali si è specificato, più volte, che il vincolo di destinazione alberghiera deve essere mediato con la necessità di non far continuare all’infinito una attività economica non più remunerativa, ciò anche in ragione dell’utilità sociale che l’impresa produce alla vita pubblica. La decisione della Corte Costituzionale. Secondo la Corte Costituzionale, una legge che impedisce la decadenza del vincolo di destinazione alberghiera nel caso non vi sia più economicità nella sua gestione, è irrazionale e non meritevole di tutela. Scrivono, a tal proposito: “l’obbligo di proseguire una attività, anche quando sia gravata da perdite e da oneri esorbitanti, pregiudica l’interesse del singolo operatore economico e non apporta alcun vantaggio alla comunità”. La Corte osserva che il far perdurare un vincolo alberghiero all’infinito, impedisce all’ente pubblico di valutare un uso alternativo di quella struttura, che potrebbero essere più vantaggiosi ed efficienti, in termini di utilità sociale, per gli abitanti di quel comune. Inoltre, partendo dal presupposto che il vincolo alberghiero serve per conseguire un interesse pubblico in un settore strategico per il nostro Paese, con il divieto assoluto della sua rimozione per causa economica si ottiene il risultato esattamente opposto: nessuno vorrà più investire in un settore dove non vi può essere un uso alternativo di un immobile non più produttivo di reddito. I Giudici costituzionali concludono osservando: “Nel disconoscere un appropriato rilievo alla sopravvenuta insostenibilità dell’attività, la disciplina in esame si rivela sproporzionata rispetto all’obiettivo di assicurare l’efficienza del mercato turistico e di salvaguardare tutti gli interessi, occupazionali e culturali, che gravitano attorno ad esso”. La legge regionale dell’Emilia Romagna e il caso del Comune di Rimini. La Regione Emilia Romagna norma il vincolo alberghiero con la Legge Regionale n. 28/1990, secondo la quale la decadenza dal vincolo di destinazione alberghiera avviene quando è dimostrata la non convenienza economica della gestione. Sempre la legge regionale demanda ai Comuni il compito di prevedere, nei loro strumenti urbanistici, i criteri per arrivare a stabilire questa decadenza. Nonostante il dettato normativo regionale, ad oggi il Comune di Rimini non ha nel suo regolamento edilizio alcun criterio che stabilisca la decadenza del vincolo alberghiero. Anzi, a seguito di una serie di sentenze dei Tar e del Consiglio di Stato, nel regolamento non si parla proprio della possibilità della sua decadenza. In questo senso, quindi, nel territorio del Comune di Rimini non è ben chiaro cosa succede se un proprietario richiede la rimozione del vincolo in questione. Gli scenari teorici, a questo punto, possono essere due. Il primo è che non menzionando la possibilità della decadenza del vincolo alberghiero, questo sia sempre possibile a prescindere da qualsiasi criterio. Il proprietario di un albergo può chiedere direttamente, senza oberarsi di dimostrare l’anti economicità della sua gestione, il cambio di destinazione negli usi ammessi per la zona in cui si trova. Il secondo scenario è che il proprietario deve prima richiedere lo svincolo della destinazione alberghiera, dimostrando prima la non convenienza economica della gestione. Si propende per questa ultima ipotesi, in ragione del fatto che il vincolo è previsto sia da una normativa nazionale che regionale. L’assenza di una previsione specifica nel regolamento edilizio del Comune di Rimini non può derogare una norma sovra ordinata. Certamente l’Amministrazione non potrà eccepire l’assenza di criteri per concedere lo svincolo, essendo questi ormai ampiamente contenuti sia nella giurisprudenza amministrativa che, soprattutto, in quella costituzionale.   Se sei interessato ad approfondire la questione e vuoi presentare una richiesta di decadenza dal vincolo alberghiero al Comune dove è ubicato l'immobile puoi contattare lo studio al numero 0541.708252. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Come si calcolano le tasse e l’Inps dei lavoratori sportivi forfettari.

Nell’ambito del lavoro sportivo, a seguito delle riforme introdotte a partire dal D. Lgs. 36/2021, particolare attenzione bisogna prestare al calcolo delle imposte e dei contributi Inps dovuti dal lavoratore sportivo autonomo che apre la partita Iva per fatturare e incassare i propri compensi. Lavoratore sportivo autonomo. L’articolo 25 del D. Lgs. 36/2021, al comma 1, definisce il lavoratore sportivo come colui che, dietro un corrispettivo specifico, all’interno di un ente sportivo riveste la qualifica di atleta, allenatore, istruttore, direttore tecnico, direttore sportivo, preparatore atletico e direttore di gara. Più in generale, comunque, è considerato lavoratore sportivo colui che svolge, a favore di un ente iscritto nel R.A.S.D., e dietro corrispettivo specifico, tutte quelle mansioni necessarie per lo svolgimento della disciplina sportiva. Non sono considerati, comunque, lavoratori sportivi coloro che all’interno degli enti sportivi esercitano mansioni di carattere amministrativo-gestionale. Circoscritto l’ambito di definizione del lavoro sportivo, colui che presta tale lavoro può farlo anche come lavoratore autonomo, così come stabilità dal comma 2 dell’art. 25 del D.Lgs. 36/2021. Calcolo delle tasse per lo sportivo “forfettario”. Nel presente contributo ci si limita ad illustrare il calcolo delle tasse, e poi successivamente dell’Inps, limitatamente al lavoratore sportivo che ha scelto il regime forfettario, di cui all’art. 1 comma 54 - 89 della Legge 190/2014. In via generale si ricorda che con il regime forfettario il reddito tassabile viene determinato applicando al fatturato dei coefficienti di redditività, differenziati a seconda dell’attività che il contribuente svolge. Nel caso del lavoro sportivo il coefficiente da utilizzare è pari al 78%. La tipicità del calcolo del reddito per il lavoratore sportivo sta nel fatto che l’art. 36 comma 6 del D.Lgs. 36/2021 introduce una soglia di esenzione specifica per il settore sportivo. Per tutti i lavoratori sportivi autonomi (quindi non solo i forfettari ma anche coloro che scelgono la determinazione ordinaria del reddito) è prevista una franchigia sui compensi percepiti pari ad euro 15.000,00. Tale franchigia, dunque, va sottratta all’ammontare dei compensi percepiti dal lavoratore sportivo nell’anno di imposta. Di seguito un esempio:   Forfettario sportivo con tassazione al 5% perché ha appena iniziato l’attività Compensi percepiti nell’anno: 19.056 euro Euro 19.056 – franchigia euro 15.000 = euro 4.056 compensi da dichiarare Euro 4.056 x coeff. 78% = euro 3.164,00 reddito tassabile Euro 3.164,00 x 5% =euro 158,00 tasse da pagare.   Ai fini operativi nel quadro LM del modello Unico Pf non esiste un rigo specifico dove inserire il compenso del lavoratore sportivo, in modo da calcolare in automatico la franchigia. Occorre procedere manualmente, inserendo nel rigo LM22, campo 3, l’importo totale dei compensi percepiti già al netto della franchigia. Calcolo dei contributi INPS per lo sportivo “forfettario”. Ai fini previdenziali, l’articolo 35 comma 8 del D. Lgs. 36/2021 prevede che i lavoratori sportivi siano obbligati a iscriversi alla Gestione separata Inps prevista dall’articolo 2, comma 26 della L. 335/1995. Se il lavoratore sportivo non è iscritto ad altra forma di previdenza obbligatoria, l’aliquota prevista, nel 2025, è così determinata: 25% gestione separata + 0,72% maternità + 0,35% ISCRO = 26,07% aliquota INPS Se, invece, il lavoratore è iscritto ad altra forma di previdenza obbligatoria (come può essere il lavoratore dipendente che esercita un’attività anche come lavoratore sportivo), l’aliquota scende al 24%, senza l’aggiunta della percentuale per la maternità e per l’Iscro. Il successivo comma 8-bis dell’art. 35 del D. Lgs. 36/2021 introduce una franchigia per il calcolo dell’Inps, stabilendo l’aliquota contributiva della Gestione separata si applica “sulla parte di compenso eccedente i primi 5.000,00 euro annui”. Una precisazione, anche se può apparire superflua, è però importante. La franchigia dei 5.000 euro, per espressa previsione normativa, deve essere scalata dall’importo totale dei compensi e non, come potrebbe essere naturale pensare sulla base di una lettura veloce, dal reddito imponibile ai fini fiscali. Infine il successivo comma 8-ter del citato articolo 35 prevede poi che fino al 31 dicembre 2027 la base imponibile per il calcolo dell’INPS da versare è soggetta alla riduzione della metà limitatamente alla contribuzione prevista per la Gestione separata. Il contributo dovuto per la maternità e per il finanziamento dell’ISCRO, complessivamente pari al 1,07%, si calcola sulla base imponibile intera. Riprendendo l’esempio del calcolo effettuato rispetto alle tasse, l’Inps da versare sarà determinata nel seguente modo:   compensi euro 19.056 – franchigia euro 5.000,00 = euro 14.056 euro 14.056,00 x 50% = euro 7.028,00 base imponibile INPS euro 7.028,00 x 25,00% = euro 1.757,00 euro 14.056,00 x 1,07% = euro 150,00 euro 1.757,00 + euro 150,00 = euro 1.907,00   Operativamente il quadro del modello Unico PF da valorizzare è l’RR, rigo 9 e rigo 10.       Analisi e commenti ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Agevolazione prima casa su più immobili vicini anche senza fusione catastale

Il beneficio “prima casa” spetta anche nel caso di accorpamento di due abitazioni confinanti in una unica abitazione senza che vi sia l’obbligo di procedere, entro tre anni dall’acquisto, ad un accatastamento unitario. In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con ordinanza sezione V civile n. 25866 del 16.09.2025 e pubblicata in data 22 settembre 2025. L’agevolazione prima casa. L’agevolazione prima casa è prevista dalla nota II - bis posta in calce all'articolo 1 della Tariffa, parte prima, allegata alla legge 131/1986 ed è possibile fruirne nel caso di acquisto a titolo oneroso di abitazioni, ad esclusione di quelle accatastate come A1, A8 e A9, purchè ricorrano queste condizioni:
  • l'immobile deve essere ubicato nel territorio del Comune in cui l'acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall'acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l'acquirente svolge la propria attività;
  • nell'atto di acquisto l'acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l'immobile da acquistare;
  • nell'atto di acquisto, l'acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale, dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni.
L’agevolazione consiste nel pagamento dell’imposta di registro del 2% e ipotecaria e catastale di euro 50,00 ciascuna, nel caso in cui il venditore sia un privato o una impresa che ha optato per l’esenzione IVA; nel caso di acquisto da impresa con vendita soggetta ad Iva, l’aliquota di questa è pari al 4% e le imposte ipotecarie e catastali ammontano ad euro 200,00 per ciascuna imposta. Il caso. I Giudici della Suprema Corte sono stati chiamati a decidere sul caso di un contribuente che ha acquistato due immobili disposti su due piani ma uniti da una scala interna e divisi catastalmente in due particelle, richiedendo nell’atto di acquisto l’applicazione dell’agevolazione prima casa per entrambi posto che, nei fatti, si trattava di un unico immobile da destinare a prima abitazione. L’Agenzia delle Entrate ha provveduto all’invio dell’accertamento per il recupero delle maggiori imposte di registro e ipo-catastali, eccependo la non spettanza dell’agevolazione prima casa in quanto il contribuente, nei tre anni di decadenza del potere accertativo, non ha provveduto alla unificazione catastale dei due immobili. La decisione. La Cassazione, nel preambolo della sua decisione, evidenzia che i benefici “prima casa” possono essere riconosciuti anche nel caso di acquisto di più unità immobiliari contemporaneamente purchè ricorrano due condizioni:
  • La destinazione, da parte dell’acquirente, delle unità immobiliari a suo alloggio abitativo in forma unitaria, entro tre anni dalla registrazione dell’atto di acquisto;
  • L’accorpamento delle unità immobiliari non deve dar luogo a un alloggio di lusso.
Ricorda inoltre la Suprema Corte che anche l’Agenzia delle Entrate ha ammesso pacificamente la possibilità di godere dell’agevolazione prima casa nel caso di acquisto di immobili contigui da destinare ad abitazione principale. Tra i documenti di prassi citati vi è la risposta a interpello n. 154 del 19 dicembre 2017 nella quale, per un caso analogo a quello della sentenza in commento, l’Ufficio scrive che “deve ritenersi, dunque, che le agevolazioni ‘prima casa’ debbano essere riconosciute anche nel caso rappresentato nella presente istanza di interpello riguardante l’acquisto di un appartamento da accorpare ad altri due appartamenti preposseduti, di cui uno contiguo, sito al terzo piano ed altro sottostante, ubicato al secondo piano”. Ciò premesso, la Suprema Corte ritiene infondati i rilievi dell’Agenzia delle Entrate circa l’obbligo di dar corso, pena la decadenza dall’agevolazione, alla fusione catastale degli immobili contigui adibiti ad abitazione principale. La Cassazione osserva che certamente una fusione catastale rafforza il concetto di accorpamento di più immobili ma non è sufficiente a dimostrare l’effettiva destinazione quale unica abitazione del contribuente. E’ quest’ultimo infatti che è oberato dal dover dimostrare che questa “fusione” sia effettiva e non solo catastale.   In più voler inserire l’elemento dell’accorpamento catastale quale condizione specifica per godere dell’agevolazione prima casa significa, secondo gli Ermellini, “introdurre un dato di regolazione eccentrico rispetto alla disciplina agevolativa da applicare” estraneo alla finalità dell’agevolazione, che prevede, al contrario la dimostrazione effettiva dell’unione dei vari immobili. Conclusioni. La Corte di Cassazione ribadisce che i benefici fiscali “prima casa” spettano anche nel caso di accorpamento di più unità immobiliari contigue purchè nel termine triennale di decadenza dal potere accertativo del Fisco e senza che sia necessario un accatastamento unitario delle unità immobiliari separatamente acquistate.   Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Con la riforma dei redditi a San Marino i frontalieri pagheranno dal 7% al 200% di tasse in più.

Con la riforma della tassazione sui redditi in discussione nella Repubblica di San Marino, i frontalieri italiani, a regime, dovranno aspettarsi un aumento complessivo delle tasse da un minimo del 7% ad un massimo del 200%, a seconda sia dell’importo del reddito da lavoro estero percepito sia della situazione delle detrazioni fiscali di cui il frontaliere gode in Italia. La riforma dei redditi a San Marino. Con la riforma della tassazione sui redditi (detta anche riforma IGR) in discussione a San Marino, il lavoratore straniero non residente perde tutte le detrazioni, compresa la quota SMAC e quelle diverse stabilite in misura forfettaria, che saranno solo ed esclusivamente a vantaggio dei residenti sammarinesi.  In questo modo, rispetto alla situazione attuale, si pagheranno più tasse all’estero e, di conseguenza, maggiore sarà l’importo di quest’ultime che il frontaliere dovrà portare in detrazione in Italia. In maniera superficiale si può pensare che ciò non sia un grandissimo problema: più imposte si pagheranno a San Marino, più basse saranno quelle italiane. Un aumento a somma zero, che lascerà intatta l’importo da versare al Fisco nel nostro Paese. Il ragionamento è però parzialmente errato, in quanto non si tiene conto del fatto che le imposte pagate all’estero vengono recuperate in Italia fino all’importo dell’imposta netta pagata e, comunque, nel rapporto esistente fra il reddito prodotto all’estero e quello complessivo dichiarato in Italia. Per quanto si dirà più avanti, l’imposta netta potrebbe non consentire un recupero totale di quanto pagato a San Marino, facendo venir meno il concetto di compensazione fra ciò che si paga all’estero e ciò che si paga nel nostro Paese. Tassazione del lavoratore frontaliere. Il lavoratore residente in Italia che si percepisce un reddito da lavoro dipendente all’estero deve dichiarare quest’ultimo nella propria dichiarazione italiana. Al fine di evitare la doppia imposizione, l’art. 165 del Tuir prevede che il frontaliere abbia diritto a portare in detrazione, dall’imposta netta complessiva, le imposte pagate all’estero, nella misura del rapporto esistente fra i redditi prodotti all’estero e quelli complessivi da dichiarare. Per fare un esempio, se il contribuente ha solo ed esclusivamente un reddito da lavoro dipendente di fonte estera, le imposte che porterà in detrazione saranno in misura totale. Se, al contrario, ha un reddito come lavoratore estero pari ad euro 30.000,00 e un reddito da fabbricato (cioè percepisce un affitto non in cedolare secca), pari ad euro 12.000,00, la percentuale delle imposte estere che potrà detrarre saranno le seguenti: (euro 30.000 / (euro 30.000 + euro 12.000) = 71,43%   La quota di imposta estera che potrà detrarre in Italia sarà dunque pari al 71,43% delle imposte complessivamente pagate nello Stato straniero nel limite, come già illustrato, dell’imposta netta da versare. Nel caso quest’ultima sia inferiore all’imposta estera, l’eccedenza andrà persa e non più recuperabile. Calcolo dell’imposta netta. Nel sistema italiano, l’imposta netta è calcolata come differenza fra l’imposta lorda e le detrazioni che il nostro sistema fiscale riconosce. Rientrano in questa casistica:
  • Le spese mediche;
  • Le spese per la scuola e l’università dei figli;
  • Gli interessi pagati sul mutuo prima casa;
  • Le spese veterinarie;
  • Le spese per la ristrutturazione di immobili;
  • Le spese per il miglioramento energetico degli immobili;
  • Il bonus mobili
Volendo enunciare un principio di carattere generale, il lavoratore frontaliere sammarinese avrà meno probabilità di portare in detrazione l’imposta pagata all’estero quanto più sono alte le detrazioni di cui gode in Italia. Franchigia. Prima di illustrare i calcoli riferiti ad alcuni casi singoli, è giusto accennare brevemente alla questione della franchigia. Il sistema fiscale italiano riconosce, all'articolo 1, comma 175, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, una franchigia al frontaliere pari ad euro 10.000,00, quale indennizzo forfettario dei costi sostenuti per recarsi periodicamente all’estero. In un precedente articolo si è analizzato come tale franchigia, sulla base di sentenze di alcune Corti di Giustizia Tributaria di primo grado, debba essere parametrata al rapporto esistente fra il reddito al netto della stessa franchigia e quello lordo tassato a San Marino. Altre Corti di Giustizia Tributaria, soprattutto regionali, al contrario dicono che la franchigia può essere usufruita per intero, a prescindere dal rapporto fra i redditi del contribuente. I casi analizzati. Si specifica che per calcolare le imposte da pagare in Italia nei casi di seguito illustrati, la franchigia di euro 10.000,00 è stata considerata per intero e non riparametrata al rapporto visto nel punto precedente.   REDDITO LORDO SAN MARINO SITUAZIONE ATTUALE SITUAZIONE POST RIFORMA IGR INCREMENTO REDDITO DA LAVORO DIPENDENTE E NESSUNA DETRAZIONE IN ITALIA Euro 34.700,00 Imposta pagata a San Marino pari ad euro 2.308,45. Imposta pagata in Italia euro 1.252 Imposta a San Marino pari ad euro 4.718. Imposta pagata in Italia pari a zero euro 1.255,47 cioè il 36% in più SOLO REDDITO DA LAVORO DIPENDENTE E DETRAZIONE PER RISTRUTTURAZIONE ABITAZIONE (spese sostenuta euro 96.000) Euro 34.700,00 Imposta pagata a San Marino pari ad euro 2.308,45. Imposta pagata in Italia pari a zero Imposta a San Marino pari ad euro 4.718. Imposta pagata in Italia pari a zero euro 2.409,55 cioè il 200% in più SOLO REDDITO DA LAVORO DIPENDENTE E NESSUNA DETRAZIONE IN ITALIA Euro 26.500,00 Imposta pagata a San Marino pari ad euro 1.225,11. Imposta pagata in Italia pari a zero Imposta a San Marino pari ad euro 1.312,12. Imposta pagata in Italia pari a zero euro 57,00 cioè il 7% in più SOLO REDDITO DA LAVORO DIPENDENTE E NESSUNA DETRAZIONE IN ITALIA Euro 64.800,00 NESSUNA VARIAZIONE. PAGHERA' PIU' TASSE A SAN MARINO MA LE RECUPERA INTERAMENTE IN ITALIA   Per qualsiasi informazione relativa a quanto qui illustrato o anche solo per avere dei calcoli rispetto alla propria posizione individuale si può far riferimento al numero 0541.708252.

 

Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Tossicodipendenza e riduzione dei danni e dei rischi connessi: Cento Fiori e CNCA aprono una riflessione sugli attacchi alla distribuzione di pipe per i consumatori di crack

Cooperativa sociale Cento Fiori - Mer, 10/09/2025 - 14:33
La prevenzione delle infezioni e delle malattie attraverso materiali sterili come le pipette sono assunte da decenni dalla comunità scientifica come essenziali strumenti di tutela della salute pubblica e dei soggetti che le utilizzano

CNCA Emilia-Romagna esprime la propria solidarietà e vicinanza al Comune di Bologna, ai SerDP e agli Enti del Privato Sociale che in Regione attuano interventi di Riduzione del Danno (RdD) e Limitazione dei Rischi (LdR), per gli attacchi politici ricevuti in merito alla distribuzione in strada di pipe destinate alla tutela della salute delle persone che fanno uso di crack.

Questi attacchi stupiscono ancora di più oggi, quando le politiche e gli interventi di RdD e LdR risultano ormai consolidati e validati da decenni all’interno della comunità scientifica e tra gli operatori della prevenzione; tant’è che gli interventi di RdD dal 2017 sono inclusi a pieno titolo nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) che lo Stato dovrebbe garantire ad ogni cittadino e cittadina.

Alla base di questi interventi non c’è una “resa”, né tanto meno un “favorire” il consumo di sostanze, ma vi sono principi validati scientificamente ed eticamente, prima ancora che di buon senso:

  • gli interventi di RdD in generale e la distribuzione di materiali sterili e di profilassi (tra cui anche le pipette per il crack) in particolare aiutano a tutelare la salute dei consumatori (prevenendo e/o riducendo l’incidenza di infezioni, alcune anche letali, e lesioni) e a diminuire la frequenza dell’uso/abuso; tant’è che oggi possiamo dire che questi interventi hanno salvato la vita di migliaia di persone nel corso degli anni;
  • aiutano a tutelare la salute della comunità, riducendo le occasioni di diffusione di malattie a trasmissione sessuale, ematica, salivare e limitando i costi sanitari e sociali annessi, e la sicurezza dei cittadini, contenendo le situazioni di degrado legate ai fenomeni di spaccio e consumo;
  • aiutano ad instaurare relazioni significative coi consumatori (molti dei quali invisibili ai servizi sanitari), primo passo per avviare un eventuale percorso di fuoriuscita dalla dipendenza e/o da situazioni di disagio e degrado;
  • riconoscono dignità a persone che, al di là della loro condizione di dipendenza o della loro scelta di usare sostanze, hanno il diritto imprescindibile e costituzionalmente riconosciuto alla salute fisica e mentale.

Per questo un’ulteriore polemica sugli interventi di RdD ci pare pretestuosa e frutto di un dibattito arretrato.

Crediamo invece che la sfida dovrebbe essere opposta, ovvero garantire in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale servizi e interventi che, seppur riconosciuti dai LEA, risultano allo stato attuale ancora implementati a macchia di leopardo sui diversi territori.

Auspichiamo che le politiche di RdD e LdR tornino ad essere a pieno titolo incluse e riattualizzate all’interno del dibattito sul fenomeno delle dipendenze (a cominciare dalla prossima Conferenza Nazionale sulle Droghe del 7 e 8 novembre); un fenomeno oggi quanto mai complesso e sfaccettato e che, proprio per questo, richiede approcci multidimensionali (non paternalistici o moralistici) e proposte di cura e presa in carico della persona tossicodipendente che non possono essere legate esclusivamente ad una condizione di astinenza dall’uso.

Riuscirà la politica ad essere adeguata a questa sfida? Almeno una parte di essa ci sembra proprio che ancora oggi non lo sia.

L’Esecutivo CNCA Emilia-Romagna

Cristian Tamagnini, Silvia Salucci, Fabio Salati, Giorgia Olezzi, Nello Calvi

L'articolo Tossicodipendenza e riduzione dei danni e dei rischi connessi: Cento Fiori e CNCA aprono una riflessione sugli attacchi alla distribuzione di pipe per i consumatori di crack proviene da Cento Fiori, Rimini.

Categorie: siti che curo

Le tasse pagate dai frontalieri a San Marino non si detraggono interamente in Italia

Il credito spettante in Italia per le imposte pagate a San Marino deve essere calcolato riproporzionando l’imposta estera versata al rapporto esistente tra il reddito ridotto della franchigia tassato in Italia e quello lordo tassato nella Repubblica di San Marino. A tale conclusione arrivano due sentenze, la n. 222 del 14.04.2025 e la n. 229 del 26 maggio 2025, della Corte di Giustizia Tributaria di Rimini, le quali escludono che, anche in presenza esclusivamente per il frontaliere del reddito prodotto a San Marino, le imposte pagate all’estero devono necessariamente essere riparametrate tenendo in considerazione la franchigia di esenzione scontata in Italia. Il caso. Per entrambi i casi esaminati dalle due sentenze citate, la questione riguarda un contribuente italiano frontaliere il quale lavora a San Marino. Si ricorda che per i lavoratori frontalieri in genere opera una franchigia di esenzione indicata nell'articolo 1, comma 175, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 e che per il 2025, per effetto dell’articolo 4 della legge 13 giugno 2023, n. 83, è fissata in euro 10.000. L’art. 165 comma 1 del Tuir prevede che, in presenza di redditi prodotti all’estero, le imposte qui pagate sono ammesse in detrazione all’imposta netta italiana fino alla concorrenza della quota corrispondente all’importo tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo del soggetto dichiarante. Nel caso, quindi, di un frontaliere che ha solo ed esclusivamente il reddito da lavoro estero, in via generale si possono scomputare tutte le imposte pagate all’estero da quella netta dovuta in Italia. Tuttavia, secondo i giudici riminesi, tale regola deve essere letta assieme al successivo comma 10 del medesimo art. 165, il quale prevede che nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra “parzialmente alla formazione del reddito complessivo” anche l’imposta estera detraibile “va ridotta in misura corrispondente”. Il caso operativo. Il caso che prendono in esame le due sentenze è sostanzialmente lo stesso: un lavoratore dipendente frontaliere italiano che presta la sua attività a San Marino. Per rendere più comprensibile la questione in discussione, è utile fornire un esempio pratico. Ipotizziamo di trovarci di fronte a un italiano che lavora a San Marino e qui percepisce un reddito lordo pari ad euro 39.615,00. L’imposta pagata all’estero è pari ad euro 4.570,00. In sede di compilazione della dichiarazione in Italia, per effetto della franchigia pari euro 10.000,00 accennata sopra, in Italia indicherà un reddito imponibile IRPEF pari ad euro 29.615,00. Seguendo l’interpretazione restrittiva offerta dalla Corte di Giustizia Tributaria riminese, le imposte da scomputare a quelle da pagare in Italia non saranno pari all’intera somma versata a San Marino, e cioè 4.570,00 euro, ma bensì l’importo risultante da questo calcolo: reddito netto italiano / reddito lordo sammarinese = % di incidenza del reddito italiano imposte estere deducibili = imposte lorde estere X %di incidenza del reddito italiano In numeri: euro 29.615 / euro 39.615 = 74,75% Imposte estere deducibili = euro 4.570,00 x 74,75% = euro 3.416,07 Le sentenze tributarie. Delle due sentenze indicate sopra, quella più strutturata sul piano dell’interpretazione della normativa in esame è senz’altro la sentenza n. 222/2025, che qui viene ripresa per illustrare compiutamente i termini della decisione. Il giudice tributario nel formulare il suo giudizio, si richiama ai principi espressi nella sentenza n. 7355/2012 della Corte di Cassazione la quale enuncia la stretta connessione fra il comma 1 (principio generale di scomputo delle imposte pagate all’estero) e il comma 10 (limitazione allo scomputo delle imposte pagate all’estero) dell’art. 165 del Tuir. Secondo gli Ermellini, il comma 1 detta una proporzionalità fra le imposte pagate all’estero e quelle da scontare in Italia: la detrazione delle prime non può superare, come recita il comma 1, la quota corrispondente tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo del contribuente. Sulla base di tale assunto, quindi, la connessione con il successivo comma 10 è evidente: la Cassazione scrive che senza tale previsione, cioè una riduzione proporzionale dell’imposta estera sulla base del reddito estero tassabile in Italia, ci si troverebbe di fronte a una detraibilità delle imposte pagate all’estero maggiore del rapporto previsto tra i redditi prodotti all’estero e quello complessivo. Sulla base di questa logica, quindi, “la prevista riduzione dell’imposta estera in misura corrispondente al solo parziale concorso […] non costituisce, quindi, una disposizione autonoma (ed avulsa) da quella del comma 1 ma, evidentemente, integrativa della stessa, dovendosi rispettare entrambi i parametri legali di detraibilità posti dalle due disposizioni”. Conclusione e criticità aperte. Le due citate sentenze della Corte di Giustizia Tributaria di Rimini si pongono, in realtà, in contrasto con la sentenza n. 129/2019 della Commissione Tributaria di Forlì, confermata dalla Corte di Giustizia dell’Emilia Romagna con sentenza n. 944/2023. Ma non solo! Le due sentenze in commento si pongono in contrasto anche con la sentenza n. 91/2025 della stessa Corte di Giustizia Tributaria di Rimini, anche se di diversa sezione (la sezione due per le sentenze n. 222 e 229 e la Sezione uno per la 91). Quest’ultima, che è precedente di pochi mesi rispetto alle due in commento, si allinea alle decisioni dei giudici tributari di Forlì e della Corte Regionale, ritenendo non essere applicabile al caso di un lavoratore frontaliere la riparametrazione delle imposte pagate a San Marino così come qui illustrato. Non tutti i giudici tributari, dunque, sono d’accordo nel ritenere parziale la detrazione in Italia, per i frontalieri, delle imposte pagate all’estero, nel caso di specie a San Marino. Regna, dunque, una certa confusione interpretativa sulla questione, con alterne interpretazioni anche all’interno delle stesse Corti di Giustizia Tributaria provinciali. Si auspica, dunque, una veloce presa di posizione da parte della Cassazione, per evitare lunghi contenziosi.   Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

L’Agenzia delle Entrate esclude le agevolazioni sulla scissione basandosi su norme non più attuali

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 225/2025 pubblicata il giorno 21 agosto 2025 esclude la possibilità di utilizzare le agevolazioni fiscali di cui all’art. 173 comma 15-ter del Tuir in caso di scissione con scorporo a favore di beneficiaria pre-esistente, in quanto l’operazione non è contemplata dall’articolo 2506.1 del Codice Civile. Peccato, però, che l’articolo del Codice Civile a fondamento del proprio convincimento è stato modificato dal D. Lgs. 88/2025, con decorrenza dal giorno 8 luglio 2025, inserendo al suo interno la possibilità di realizzare operazioni di scissione con scorporo a favore anche di beneficiarie pre-esistenti. Il caso. L’art. 51 del Decreto Legislativo 19/2023, in adempimento alla Direttiva UE 2019/2121, ha introdotto nel nostro sistema giuridico l’articolo 2506.1 che norma la scissione mediante scorporo. Con questa operazione la società scissa assegna una parte del proprio patrimonio a favore di un’altra società e le azioni o le quote vengono assegnate alla società scissa stessa e non ai soci di quest’ultima, come avviene abitualmente nella scissione normale già ampiamente normata dal nostro Codice Civile. A seguito di questa innovazione normativa è stata introdotta anche la relativa disciplina fiscale, attraverso l’inserimento nell’articolo 173 del Tuir del comma 15 ter, il quale contiene una serie di limitazioni alla fruizione del beneficio della neutralità della scissione con scorporo, rispetto a quella più ampia prevista per la scissione ordinaria. L’errore compiuto dall’Agenzia delle Entrate non è nella lettura della normativa in sé, ma piuttosto nel lasso temporale in cui questa lettura è avvenuta. La formulazione originaria dell’articolo 2506.1 del C.c., in effetti, prevedeva che la scissione mediante scorporo potesse avvenire solo a favore di nuove società e non a favore di beneficiarie pre-esistenti. Tuttavia, come è già stato detto, il D. Lgs. 88/2025, ha aperto la possibilità, a far data dal giorno 8 luglio 2025, di realizzare scissioni con scorporo anche a favore di società pre esistenti.   Nell’ambito primigenio, dunque, si colloca la risposta in commento fornita dall’Agenzia delle Entrate la quale esclude qualsiasi agevolazione fiscale alla scissione con scorporo a favore di società pre esistenti per il semplice fatto che la norma civilistica, per l’appunto, non contiene la previsione di realizzare tali operazioni. Il peccato commesso, dunque, potrebbe attenere a quello della svista, avendo pubblicato la risposta successivamente alla modifica normativa, non verificandone l'attualità. Conclusione. Sulla base delle modifiche intervenute, smentendo la risposta n. 225/2025, si può dunque affermare che le agevolazioni contenute nell’art. 173 comma 15-ter del Tuir si possono applicare anche alle scissioni con scorporo nelle quali la beneficiaria è una società pre esistente,  in considerazione del fatto che l’art. 2506.1 del Codice Civile ammette la realizzazione anche di tale tipo di scissione.       Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Le sponsorizzazioni sportive sono sempre deducibili dal reddito di impresa

Le sponsorizzazioni sportive sono assistite da una presunzione legale assoluta di inerenza e l’Agenzia delle Entrate non può effettuare una valutazione sulla congruenza e sulla coerenza delle stesse. Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza numero 17778 del 18 giugno 2025 e pubblicata il 01 luglio 2025. Il caso. I Giudici della Cassazione sono stati chiamati a decidere su un ricorso proposto da un contribuente il quale, per l’annualità 2014 e 2015, si è visto disconoscere dall’Agenzia delle Entrate, i costi relativi a una sponsorizzazione effettuata a favore di una associazione sportiva, per un importo annuale di euro 30.000.  Impugnato l’atto, si è visto riconoscere le proprie ragioni in primo grado. Tuttavia l’Appello ha ribaltato la sentenza, ritenendo i giudici le spese pubblicitarie sostenute non congrue rispetto al fatturato, in quanto pari al 60% dello stesso, e con un bacino di possibili interessati pari al 7% dei clienti della società. La decisione. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso del contribuente e ribalta la decisione dei giudici d’Appello. L’articolo 90 della Legge 289/2002, ora sostituito dall’art. 12 c.3 del D. Lgs 28.02.2021 n. 36, prevede che le spese di sponsorizzazione fatte a favore di associazioni sportive dilettantistiche possiedono una presunzione legale assoluta di inerenza purchè abbiano queste caratteristiche:
  • Il soggetto beneficiario deve essere, alternativamente, una associazione sportiva dilettantistica, una fondazione costituita da istituzioni scolastiche, o associazioni e gruppi sportivi scolastici che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuti dalle Federazioni Sportive Nazionali o da Enti di Promozione Sportiva;
  • Le spese non superino l’importo di 200.000 euro annui;
  • Le spese siano mirate a promuovere l’immagine e i prodotti di chi le sostiene;
  • Il beneficiario, cioè l’associazione sportiva, abbia effettivamente realizzato una attività promozionale a favore di chi ha pagato le sponsorizzazioni.
Se le sponsorizzazioni possiedono le caratteristiche appena enunciate, come nel caso di specie, secondo gli Ermellini allora possono ritenersi interamente deducibili. A tal proposito, richiamandosi alla sentenza della Cassazione n. 8981/2017, osservano che “la presunzione legale di inerenza/deducibilità delle spese di sponsorizzazione di società sportive dilettantistiche, sancita dall’art. 90 comma 8, della L. n. 289 del 2002, opera in virtuù della sola ricorrenza dei presupposti previsti dalla norma, senza che rilevino, pertanto, requisiti ulteriori”. Concetto ulteriormente ribadito anche nella più recente sentenza della Cassazione n. 4612/2023 nella quale, a riguardo delle spese di sponsorizzazione, la norma “fissa una presunzione assoluta di inerenza e congruità”, al punto da ritenere “integralmente deducibili tali spese dal reddito del soggetto sponsor”. Gli Ermellini, nella sentenza in commento, chiudono osservando che l’Agenzia delle Entrate, proprio per il carattere assoluto della presunzione legale in tema di sponsorizzazione sportiva, non può effettuare alcuna valutazione in merito alla congruenza o alla coerenza delle stesse, essendo un’attività che esula dal dettato normativo in materia Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

E’ impugnabile dal contribuente l’avviso per l’imposta di registro notificato solo al notaio.

E’ legittima la notifica solo al notaio e non anche ai contribuenti obbligati in solido, di un avviso di liquidazione riguardante l’imposta di registro. Così come è legittimo, in questo caso, che il contribuente a cui non è stato notificato l’avviso di liquidazione possa comunque proporre il ricorso. Così si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 21454/2025 pubblicata il 25 luglio 2025. Il caso. In sede di assegnazione a una cooperativa edilizia di un terreno destinato ad edilizia economica popolare si è provveduto a registrare il relativo atto applicando l’imposta di registro in misura fissa in luogo, secondo l’Agenzia delle Entrate, dell’imposta proporzionale ai sensi dell’art. 1 della tariffa allegata al Dpr 131/1986. Il conseguente avviso di liquidazione è stato notificato solo al notaio rogante e non anche alle parti che hanno partecipato all’atto di assegnazione. La cooperativa, venuta a conoscenza della rettifica operata dall’Agenzia delle Entrate, ha impugnato l’avviso di liquidazione vedendosi riconosciute le proprie ragioni dalla Commissione Tributaria Regionale. L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la decisione di secondo grado lamentando, tra le altre cose, anche il difetto di legittimazione della cooperativa in quanto non destinataria dell’originaria notifica dell’avviso di liquidazione. La decisione. La Corte di Cassazione ritiene che l’avviso di liquidazione notificato solo al notaio possa essere comunque impugnato anche dai contribuenti che hanno partecipato all’atto oggetto di rettifica. La previsione dell’invio anche al notaio degli avvisi di liquidazione ai fini dell’imposta di registra vale per costituirlo responsabile del pagamento dell’imposta ai sensi dell’art. 13 del D. Lgs. 472/1997 ma non ha alcun effetto sul principio, previsto dall’art. 57 del D.p.r. 131/86, per il quale gli obbligati al pagamento dell’imposta di registro rimangono i soggetti che hanno partecipato all’atto contestato. Trattandosi, poi, di una obbligazione solidale fra i contraenti e il notaio, la Corte di Cassazione osserva che il pagamento dell’avviso di liquidazione da parte del notaio ha come conseguenza l’estinzione dell’obbligazione anche nei confronti degli altri obbligati. Secondo gli Ermellini, quindi, l’Agenzia delle Entrate può chiedere il dovuto a chi vuole; il notaio, che nel caso di specie è il debitore che ha pagato per tutti, potrà richiedere indietro agli altri coobbligati quanto da loro dovuto e sarà in questa sede che le altre controparti potranno proporre eventuali eccezioni al pagamento di quanto richiesto. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Le nuove ricette per prodotti in scatola possono fruire del credito ricerca e sviluppo

La valutazione in merito alla possibilità per le ricette per nuovi prodotti in scatola di godere dell’agevolazione per la Ricerca e Sviluppo deve essere fatta da un esperto del settore e non solamente dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate, perché non hanno le competenze necessarie per giudicare l’innovazione tecnica nei settori produttivi. Questo è il principio espresso dalla sentenza n. 166/2024 emessa dalla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Rimini in data 09 settembre 2024 e pubblicata il giorno 02 ottobre 2024. Il caso. L’Agenzia delle Entrate ha provveduto a emettere degli avvisi di recupero nei confronti di una cooperativa agricola che oltre a trasformare i prodotti agroalimentari, si adopera anche a trovare nuove produzioni, nuove ricette per prodotti confezionati, nuove produzioni agricole, il tutto da destinare poi a una futura commercializzazione. Nello specifico l’attività che ha beneficiato del credito di imposta per la ricerca e sviluppo ha riguardato l’elaborazione di nuove ricette, basate anche sulla ricerca di nuove materie prime, un nuovo packaging e un nuovo marchio. Secondo l’Ufficio la ricerca svolta non ha permesso di superare un ostacolo scientifico ma semplicemente ha prodotto una modifica del gusto e dell’aspetto estetico dei prodotti già commercializzati dalla cooperativa stessa. Inoltre i costi utilizzati per calcolare il credito di imposta hanno riguardato unicamente quelli del personale, senza peraltro identificare in maniera certa che questi si riferissero alla supposta attività di ricerca e sviluppo. Secondo l’Ufficio, sulla base anche dei parametri espressi dal Manuale di Frascati, il contribuente non ha diritto al credito in materia di R&S in quanto la sua attività difetta del carattere innovativo. La decisione. I Giudici di Primo Grado, nell’accogliere il ricorso del contribuente, partono con l’osservare che per valutare correttamente se un’attività svolta sia da considerare effettivamente come ricerca e sviluppo e non una mera attività ordinaria si necessita di competenze tecniche che l’Agenzia delle Entrate oggettivamente non possiede. A tal proposito la norma agevolativa, all’art. 3 del D.L. 145/2013, prevede che venga attivato il Ministero dello Sviluppo Economico quale consulente per fornire pareri sulla effettività attività di ricerca e sviluppo svolta dal contribuente. Consulenza che nel caso di specie l’Ufficio non ha richiesto, svolgendo una verifica esclusivamente documentale della questione. Sul punto i Giudici osservano che nel nostro ordinamento è compito del contribuente provare che possiede i requisiti per avere diritto ad agevolazioni, specie quelli nell’ambito dei crediti di imposta. Se nell’ambito dell’accertamento, come nel caso in esame, il contribuente produce elementi tecnici specifici quali perizie, brevetti riconosciuti dagli organi competenti, convenzioni di ricerca con Università, l’Agenzia delle Entrate può ritenerli non congrui solo se è in possesso di una valutazione espressa da un organo competente, quale può essere il Ministero dello Sviluppo Economico. Diversamente, in sede di eventuale giudizio, sarà compito del Giudice valutare se quanto prodotto dal contribuente a supporto della sua tesi è fondato: non avendo una prova diversa perché l’Ufficio non l’ha prodotta, non può che ritenere convincente, come nel caso di specie, quanto presente agli atti, a maggior ragione se la cooperativa ha ottenuto dei riconoscimenti sul carattere innovativo dell’attività di ricerca e sviluppo oggetto di contestazione. Scrivono i giudici riminese, a riguardo anche della questione delle ricette dei nuovi prodotti: “stabilire se c’è stata una valutazione delle sementi e dei terreni in cui è stata effettuata la raccolta dei prodotti base, se si tratta di prodotti più resistenti ai parassiti, ovvero se sono semplicemente più longevi, così come stabilire se siamo di fronte ad un semplice mix di prodotti già esistenti con la conseguente riformulazione del gusto e dell’aspetto estetico, ovvero un mix di erbe o ortaggi innovativo, implica una valutazione effettuata proprio da specialisti del settore”. Sulla questione, poi, dell’indicazione del solo costo del personale quale elemento formante il credito di imposta, per la Corte di Giustizia la norma non esclude che tutto il personale possa essere impiegato nell’attività di ricerca e sviluppo. E’ una scelta imprenditoriale, che tra l’altro può trovare riscontro nella necessità di adeguarsi più velocemente ai mutamenti del mercato. Infine ce n’è anche per il Manuale di Frascati, il quale indubbiamente può essere un valido aiuto per valutare i progetti di R&S, ma non può diventare l’unico supporto interpretativo vincolante. Così come il Manuale di Oslo, questi sono da considerare “strumenti tecnici, cui fare riferimento per acquisire informazioni utili per supportare le proprie basi concettuali e metodologiche, privi tuttavia di valore vincolante”. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Incostituzionale l’esenzione ICI prima casa solo se si convive con i propri familiari

E’ incostituzionale la norma che, ai fini ICI, limita l’esenzione per la prima casa solo all’immobile dove il contribuente dimora abitualmente con i propri familiari, escludendo, quindi, il caso in cui i due coniugi abbiano residenze diverse. Così si è espressa la Corte Costituzionale con sentenza n. 112/2025 del 24.06.2025 e depositata il 18.07.2025, sulla legittimità costituzionale dell’art. 8 comma 2 del D. Lgs. 30/12/1992 n. 504, il quale prevede una esenzione parziale dal pagamento dell’imposta sull’abitazione principale definita come quella “nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente”. Il caso. L’oggetto del rinvio alla Corte Costituzionale per valutarne la legittimità riguarda la parte della norma in cui si lega l’agevolazione prima casa non solo alla dimora abituale del contribuente ma anche a quella dei propri familiari. Il caso richiama in pieno quello già affrontato dai giudici della Consulta in materia di Imu, e per il quale sono già intervenuti con la sentenza n. 209 del 2022 che ha dichiarato l’incostituzionalità della norma IMU proprio nella parte in cui si lega l’agevolazione prima casa alla residenza anagrafica non solo del contribuente proprietario (o usufruttuario) ma anche a quello dei propri familiari. Il problema si ripropone ai fini ICI, in quanto la sentenza n. 209/2022 ha disposto solo sulla questione riguardante l’IMU e, come correttamente osservato dalla Corte di Cassazione che ha promosso il nuovo giudizio costituzionale, per ormai consolidata prassi giurisprudenziale non è possibile estendere per analogia una norma di agevolazione tributaria. Perciò si è reso necessaria una separata disamina costituzionale su una materia, quella della definizione di prima casa, che di fatto è analoga sia ai fini IMU che ai fini ICI. Il giudizio costituzionale. La Corte Costituzionale, nel prendere la propria decisione, ha semplicemente ripreso le considerazioni espresse nella sentenza del 2022, adeguandole al caso riguardante l’ICI. Pertanto, anche in questo caso, la Consulta ha osservato che la disposizione che lega l’agevolazione alla coabitazione dei coniugi non tiene conto del fatto che, comunque, i coniugi possono stabilire legittimamente delle residenze diverse. Rinviano a quanto già scritto nella sentenza 209 del 2022, dove affermano che “in un contesto come quello attuale […] caratterizzato dall’aumento della mobilità del mercato del lavoro […] è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio […] concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale”. Il sospetto del Fisco, ovviamente, è sempre quello che per avvantaggiarsi di una doppia esenzione, i coniugi decidano di stabilire fittiziamente due residenze diverse ma, in realtà, vivere d’amore e d’accordo sotto un unico tetto. Su questo tema interviene la Corte Costituzionale, così come già fatto nel 2022, osservando che la norma così come è strutturata crea una situazione di disparità fra chi è sposato e chi, invece, è semplicemente convivente. Questi ultimi, infatti, possono liberamente stabilire la residenza anagrafica dove vogliono e godere delle relative agevolazioni, senza dover chiamare in causa familiari conviventi, non avendoli perché non sposati. Conclusioni. Sulla base, dunque, di quanto già sancito con la sentenza n. 209 del 2022 in materia di Imu, e delle considerazioni svolte per il caso specifico, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 comma 2 del D.Lgs. 504/92 nella parte in cui lega l’agevolazione prima casa ai fini ICI alla residenza non solo del proprietario o usufruttuario ma anche a quella dei propri familiari. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Al via i contributi a fondo perduto per gli alloggi destinati ai lavoratori del turismo

Con l’art 14 del Decreto Legge 30 giugno 2025 n. 95 è stato introdotto uno specifico contributo a fondo perduto a favore delle imprese che gestiscono alloggi destinati ad ospitare i lavoratori del settore turistico e di quello della ristorazione. La misura introdotta, poi, prevede ulteriori contributi a favore dei lavoratori stessi di questi specifici settori, per sostenere le spese relative agli affitti. Le risorse a bando per le imprese e i lavoratori ammontano ad euro 44 milioni nel 2025 e 38 milioni per ciascun anno 2026 e 2027. Per l’entrata in vigore della misura di finanziamento a fondo perduto occorre attendere un decreto attuativo, da pubblicarsi entro trenta giorni dalla entrata in vigore della legge che ne prevede l’istituzione. BENEFICIARI DEL CONTRIBUTO. I beneficiari del contributo sono le imprese che hanno la piena ed esclusiva disponibilità degli immobili e che gestiscono in forma imprenditoriale:
  • alloggi o residenze destinati ai lavoratori del comparto turistico ricettivo;
  • strutture turistico ricettive: rientrano, dunque, nella casistica anche chi gestisce alberghi destinati esclusivamente ai lavoratori del comparto turistico ricettivo;
MISURA E CARATTERISTICHE DEL CONTRIBUTO. Come già illustrato, con un successivo decreto del Ministro del Turismo si stabiliranno meglio sia le caratteristiche dei soggetti beneficiari, sia i costi ammessi al contributo. Sempre con il citato decreto attuativo sarà prevista la percentuale del contributo a fondo perduto nonché le varie cause di revoca dello stesso. Al di là degli aspetti più tecnici e formali, il contributo concesso dovrà in ogni caso garantire ai lavoratori del comparto turistico ricettivo un contratto di affitto di almeno cinque anni e una riduzione dell’affitto almeno pari al 30% del valore medio di mercato. Tale riduzione potrà essere anche superiore, in proporzione al contributo che l’impresa richiedente riceverà. MAGGIORI INFORMAZIONI. In caso si fosse interessati al contributo qui descritto, per rimanere aggiornati anche sull’introduzione del relativo decreto attuativo, ci si può iscrivere alla newsletter dello studio. Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Le Regioni non possono prevedere indennizzi o criteri preferenziali per l’assegnazione delle concessioni demaniali marittime.

Se i Comuni volessero fare le gare per le concessioni balneari le potrebbero fare liberamente, senza dover attendere nessuna ulteriore legge nazionale o regionale che ne stabilisca i criteri e le modalità. Si potrebbe sintetizzare così la sentenza della Corte Costituzionale n. 89 del 09.04.2025 (pubblicata in G.u. il 02.07.2025) con la quale viene dichiarata l’illegittimità costituzionale parziale della legge della Regione Toscana n. 30/2024, che norma i criteri per l’espletamento sul territorio della Regione stessa delle gare per l’assegnazione delle concessioni demaniali marittime. La sentenza della Corte Costituzionale non è innovativa di per sé, ma rappresenta un utile compendio di pronunce passate, dimostrando come il dibattito sui criteri premiali, indennizzi, coinvolgimento delle Regioni e dei Comuni sia di fatto del tutto incostituzionale. Il caso. Il Presidente del Consiglio ha impugnato di fronte alla Corte Costituzionale la legge della Regione Toscana n. 30 del 29 luglio 2024 chiedendo la declaratoria parziale di incostituzionalità sui seguenti punti:
  • Facoltà per le Regioni di introdurre criteri o modalità di affidamento delle concessioni demaniali marittime diversi da quelli stabiliti dalle norme europee e o dalle leggi dello Stato. Secondo il Governo questa materia, per costante giurisprudenza costituzionale, è di sua esclusiva competenza e non può essere modificata dalle Regioni;
  • Introduzione di un criterio di premialità nel rilascio della concessione demaniale a favore di micro, piccole o medio impresa che operano nell’ambito turistico ricreativo;
  • Introduzione di un indennizzo in favore del concessionario uscente, a carico di quello subentrante, calcolato non solo considerando il valore residuo degli investimenti realizzati ma anche considerando il “valore reddituale” della concessione scaduta. Valore che non è altro che il più noto “avviamento”, escluso da qualsiasi normativa europea.
Nel suo ricorso il Presidente del Consiglio osserva, tra le altre cose, che introdurre un elemento di premialità dei concorrenti e un indennizzo calcolato anche sul valore dell’avviamento, è attività legislativa in netto contrasto con il D.L. 131/2024, che rappresenta il punto di equilibrio che lo Stato italiano ha raggiunto con la Commissione Europea rispetto alla procedura di infrazione sul tema della corretta applicazione della direttiva Bolkestein. La pronuncia della Corte Costituzionale. Il primo punto che i Giudici della Corte trattano riguarda la possibilità, per le Regioni, di introdurre nuovi criteri e nuove modalità non previsti dalla legislazione nazionale o europea. La Corte Costituzionale ritiene che tale possibilità non sia nei poteri delle Regioni. Richiama, in tal senso, le proprie sentenze n.  161/2020, n. 86/2019, n. 221, n.118 e n. 109/2018. Scrive la Corte: “i criteri e le modalità di affidamento di tali concessioni debbono essere stabiliti nell’osservanza dei principi della libera concorrenza recati dalla normativa statale e dell’Unione Europea, con conseguente loro attrazione nella competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e) Cost., che rappresenta sotto questo profilo un limite insuperabile alle pur concorrenti competenze regionali”. Resta salva, per la Corte, la possibilità per le Regioni di intervenire sulla materia riguardante le concessioni demaniali purchè tale non influisca “sulle modalità di scelta del contraente e non incida sull’assetto concorrenziale dei mercati in termini tali da restringere il libero esplicarsi delle iniziative imprenditoriali”, in quanto la potestà legislativa in tale ambito è di esclusiva prerogativa dello Stato. Sull’introduzione di una premialità a favore delle imprese turistico balneari e sulla determinazione dell’indennizzo, per la Corte costituzionale non vi è dubbio: la competenza su questo punto è dello Stato e non delle Regioni. A tal proposito scrive: “la disciplina regionale interferisce evidentemente con l’assetto concorrenziale del mercato delle concessioni balneari, restringendo il libero esplicarsi delle iniziative imprenditoriali […] in violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza”. E’ a questo punto che la Corte Costituzionale osserva che se i Comuni volessero le gare le potrebbero già fare oggi senza attendere l’introduzione di ulteriori leggi attuative. La Corte scrive: “Erano infatti già enucleabili dall’ordinamento, sia europeo che nazionale, principi e altri indicatori normativi utili in base ai quali indire le relative gare, valorizzati dalla stessa giurisprudenza amministrativa, pure richiamata dalla Regione Toscana”. Conclusioni. La Corte Costituzionale non fa altro, con la sentenza in commento, che riassumere la propria copiosa giurisprudenza in merito al tema delle concessioni demaniali marittime. La sua lettura , dunque, oltre che a rinfrescare la memoria pone davanti a sé il fatto che qualsiasi legge regionale che violi tali principi, sia da dichiarare incostituzionale e le gare già svolte siano da annullare. Con una chiosa finale che chiama in causa la differenza fra le parole e i fatti: la legge regionale della Toscana è stata impugnata dalla Presidenza del Consiglio in quanto incostituzionale sul tema dei criteri preferenziali e indennizzi a favore dei concessionari uscenti che sono il cavallo di battaglia dello stesso Governo, che non perde giorno per rassicurare quest’ultimi sul fatto che si sta impegnando per la loro tutela.  Notizie ImpreseOggi
Categorie: siti che curo

Pagine

Abbonamento a Enrico Rotelli aggregatore