Un giorno la nebbia era tanta che non si vedeva da qui a là, cioè una decina di metri, forse anche meno. Ero imbarcato su un peschereccio vecchio, con la prua a picco che sembrava un bragozzo e la poppa allungata che sembrava la coda ritta di un tacchino, con un comandante che definire alcoolista era un eufemismo: una cassa di vino bianco gli durava un giorno in mare. Stavamo tornando in porto e per un po' abbiamo viaggiato a radar, ma vicino all'imboccatura non bastava più: toccava seguire il nautofono e guardare. Il radar, all’epoca, non era molto preciso sulle corte distanze e il GPS era sconosciuto su quel legno.
Io ero a prua e il capitano aveva ficcato la testa nella finestrella per sentire meglio le mie indicazioni, ripetendo ansiosamente «Vedi niente?» Cercavo gli scogli intorno al faro rosso all'imboccatura. Niente: il suono del nautofono era sempre più forte, ma di scogli nessun contorno. Mi ero quasi convinto di averli superati quando mi sorpresi a gridare «dai indietro, dai indietro...» a quel vecchio ubriacone. Mi spaventai parecchio. Però imboccammo il porto, seguendo il profilo della palata e l'ombra del Rockisland.
Tolta questa esperienza, datata 30 anni fa, con le attrezzature che ci sono ora su qualunque barca, il nautofono non ha senso. E’ un vezzo retrò per pochi nostalgici, che magari vivono lontano dal suono e non fanno a tempo ad esasperarsi al cupo brontolio intermittente, ormai superato dal tempo. E che, forse, come talvolta accade, del mare conoscono giusto «la roiga blu» orizzontale e quella verticale dei tanga.
(Foto del Corriere Romagna tratta dall'articolo https://www.corriereromagna.it/news-rimini-33396-suoni-solidi-fatti-nebb...)
Argomenti: BloggingSpazi: RockislandSantarcangelo – Si sa che la città clementina è da decenni una fucina di cultura, un po’ per i suoi figli – Guerra, Baldini, Teodorani, giusto per dirne tre – o per il Festival del Teatro. Ma che anche una piccola iniziativa che mira a coniugare la cucina romagnola con le nuove culture che si sono affacciate in paese – D(i)ritti a tavola – assurga alle cronache dei quotidiani nazionali, beh, è un bel risultato. E’ grazie a Francesca Santolini, giornalista de La Stampa e curatrice della rubrica Futura sull’inserto domenicale Specchio, che il progetto varato dalla Cooperativa Sociale Cento Fiori, in collaborazione con la cooperativa Il Millepiedi e Valmarecchia Comunità Solidale, è salito agli onori delle cronache nazionali. “Un’idea di accoglienza bella, concreta, scevra da ogni forma retorica”, scrive la giornalista. Che ha potuto toccare con mano, anzi assaggiare con gusto, la proposta di D(i)ritti a tavola, giunta quest’anno alla terza edizione.
Proprio Francesca Santolini ha aperto quest’anno la fortunata rassegna venerdì 29 novembre, presentando i suoi due libri Profughi del clima e Ecofascisti, dialogando con Marta Lovato, responsabile sostenibilità di Santarcangelo Festival. Una volta terminato l’incontro – oltre una settantina di persone sono intervenute nella ex scuolina del Bornaccino, ora Centro Giovani Labo380 – l’autrice ha assaggiato l’apericena con degustazione gratuita di piatti nati dall’incontro tra varie culture preparati dalle persone del progetto Sistema Accoglienza Integrazione (Sai) dell’Unione comuni Valmarecchia. Perché D(i)ritti a tavola è un progetto di inclusione sociale che passa dalle cucine del mondo e dalla tavola come simbolo di pace, dialogo e solidarietà tra le persone. Promuove il diritto al cibo quale diritto umano fondamentale e come strumento di accoglienza interculturale e sviluppo sostenibile.
Quest’anno il focus è sul rapporto tra crisi climatica, accesso al cibo e migrazioni forzate. Prima o dopo ogni incontro gli organizzatori offriranno una cena o aperitivo preparato dalle persone ospiti del progetto Sai, come restituzione di un laboratorio di auto-narrazione e cucina insieme a un’educatrice e a un cuoco. Un’accoppiata, al primo appuntamento, azzeccatissima, visto che la Santolini, giornalista, è esperta di temi ambientali, collaborando con i quotidiani «La Stampa» e «la Repubblica» e ha pubblicato Passione verde (2010), Profughi del clima (2019), Ecofascisti (2024).
D(i)ritti a tavola prosegue quest’anno domenica 29 dicembre alle ore 20 con le ricette del dialogo itinerante e alle 22 con il concerto di Tonino 3000 e Felafel Fazz Familia al Centro Parrocchiale Giovanni Paolo II, in via Merigi. Nel 2025 invece il 15 gennaio al Supercinema Santarcangelo, con alle 20 l’aperitivo e alle 21 con il film Africa nel mondo sommerso, , di Angelos Rallis. Mercoledì 19 febbraio oltre all’apericena delle 20, con alle 21 “Il secolo è mobile”, monologo multimediale di Gabriele Del Grande, sempre al Supercinema di Santarcangelo.
L'articolo D(i)ritti a tavola, da Santarcangelo a La Stampa di Torino: Francesca Santolini su Specchio racconta gli eventi gastronomici e culturali di inclusione sociale proviene da Cento Fiori, Rimini.
Il medico in prima fila nel soccorso dei migranti racconta con video e immagini le sue esperienze, introdotto da Vera Bessone, caposervizio Cultura del Corriere Romagna nell’incontro organizzato dalla Cooperativa Sociale Cento Fiori il 15 novembre alle ore 20,30. Le storie di mare di Lampedusa, le tragedie e le speranze che hanno costellato quello specchio enorme di Mediterraneo che lambisce l’estrema propaggine dell’Italia, raccontate dal medico di Lampedusa che insieme a concittadini e volontari hanno assistito e assistono quotidianamente a lutti, sofferenze e insieme speranze dei migranti. Una narrazione di Storie migranti fatta di dialoghi ma anche immagini e video per sensibilizzare sul tema dei migranti e della loro accoglienza. L’incontro è stato organizzato dalla Cooperativa Sociale Cento Fiori in collaborazione con il Sistema Accoglienza Integrazione (Sai) dell’Unione dei Comuni della Valmarecchia a ingresso libero.
L'articolo Il mare di Lampedusa: Pietro Bartolo a Rimini, ospite della Cento Fiori. Il video integrale proviene da Cento Fiori, Rimini.
Rimini – Sono un volo con la fantasia gli auguri di Natale della Cooperativa Sociale Cento Fiori che fa “a chi da e chi riceve”, ovvero alle associazioni e alle cooperative sociali che operano e alla città di Rimini. Un volo disegnato dall’illustratore Samuele Grassi con testi di Enrico Rotelli, la “coppia creativa” – come si diceva una volta per le pubblicità – che da anni costruiscono la comunicazione dell’azienda sociale riminese.
Samuele Grassi ha reinterpretato per Cento fiori i tratti costitutivi delle sue opere, ormai sedimentati nell’immaginario collettivo riminese che ama l’illustrazione e i fumetti, dopo la partecipazione alla Biennale del Disegno 2024 e l’attuale mostra al grattacielo. Ovvero, linee chiare che affondano nel ricordo di Moebius per trovare una propria originale collocazione in un dolce futuro che saprà trarre dal possibile disastro ecologico del global warming un nuovo equilibrio. La grande tavola, prodotta per i manifesti 6 per 3 metri e 100 x 140 cm, giornali, social e sito, invece prende l’ispirazione dalle navicelle di Hayao Miyazaki – Il castello errante di Howl, Il mio amico Totoro, Porco Rosso, per citare alcuni titoli – calandole però di nuovo nel delicato immaginario grassiano e nei tratti caratteristici delle nostre tradizioni marinaresche. Una flotta in volo tra le nuvole sopra la città, leggerezza sopra leggerezza che tradisce l’amore per le lezioni regalate dalla letteratura di Italo Calvino.
Pur avendo diversi amori “spirituali” nel terreno comune, i testi di Enrico Rotelli collocano più prosaicamente i voli delle navicelle nel lavoro quotidiano di quanti operano per associazioni e cooperative attive nel sociale. Migliaia di persone che “ogni giorno usano fantasia e impegno per far volare solidarietà e accoglienza a Rimini, attraverso azioni e progetti”. Il fulcro del messaggio è la navicella del progetto Ulisse, le crociere terapeutiche che oltre 20 anni fa hanno iniziato il loro viaggio con il capitano Werther Mussoni e che continuano ad essere una peculiarità dei programmi terapeutici delle due strutture della Cooperativa Sociale Cento Fiori a Vallecchio di Montescudo: la Comunità Terapeutica e il Centro Osservazione e Diagnosi.
Pur firmando gli auguri negli anni scorsi, la coppia ha virato verso l’illustrazione sulla spinta del direttore Giovanni Benaglia, dopo che Samuele Grassi ha realizzato l’illustrazione del manifesto per il concerto del 25 aprile scorso. “Conoscevamo già il grafico Samuele Grassi, abbiamo lasciato carta bianca all’illustratore Grassi e quel che è nato è un omaggio a quanti, come noi, militano nei lavori sociali. – dice Cristian Tamagnini, presidente della cooperativa Sociale Cento Fiori – Militano perché educatori, psicologi, psicanalisti, tecnici, operai, non lavorano per cooperative sociali e associazioni per i lauti guadagni che il settore sociale offre, ma perché fare solidarietà e accoglienza fa stare bene chi la riceve e chi la fa. Ogni volta che si parla di tagli alla spesa pubblica è il Welfare nel mirino delle amministrazioni pubbliche, con le ricadute sulle persone svantaggiate e le loro famiglie. Oggi una educatrice esce da un percorso universitario, eppure il suo stipendio non rappresenta la sua preparazione né le ricadute positive che ha sulla popolazione. Forse è il caso che la gente e chi amministra riconsideri il lavoro sociale e il volontariato. Non solo quando si presume siamo tutti più buoni”.
L'articolo Gli auguri Cento Fiori sono un volo di solidarietà e accoglienza sulla città firmato Samuele Grassi ed Enrico Rotelli proviene da Cento Fiori, Rimini.
Alle 20 di venerdì 15 novembre le poltrone del Cinema Teatro Tiberio erano già quasi tutte occupate, in attesa che lui, Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, cominciasse le sue Storie Migranti, Il mare di Lampedusa. Portato a Rimini dalla Cooperativa Sociale Cento Fiori, che da anni si occupa di assistenza ai migranti, la testimonianza di Pietro Bartolo è attesa. Ma forse ben pochi dei presenti si potevano aspettare quel che di lì a poco sarebbe cominciato: un lungo, doloroso viaggio nella coscienza di ciascuno. Fatto da chi quel lungo viaggio l’ha cominciato tanti anni fa e forse, ancora oggi, lo sta elaborando, serata dopo serata, parola dopo parola, immagine dopo immagine.
Vera Bessone, la collega caposervizio Cultura del Corriere di Romagna, introduce l’uomo, medico, ostetrico, “perché a Lampedusa non c’era ospedale, non c’era nemmeno l’elicottero per portare le partorienti in Sicilia”. Padre pescatore, lui stesso marinaio prima di lasciare l’isola, l’ultimo lembo d’Europa nel Mediterraneo, per seguire la carriera di Esculapio, torna nella sua isola per incontrare il fato di migliaia di persone – “perché noi spesso ci scordiamo che queste sono persone”, ricorda come un mantra nel corso della serata – vive o morte. E scoprirne il vissuto attraverso le visite mediche in banchina o sulla tolda delle barche da pesca dei suoi compaesani, sulle motovedette della Guardia Costiera, su barche o gommoni alla deriva.
Lui, che ha studiato per dare la vita, immagine dopo immagine, video dopo video, racconta quello che è diventato un viaggio nella medicina del soccorso: ostetrico, medico di pronto soccorso suo malgrado, anatomopatologo, medico legale. Un viaggio nell’orrore del mare e degli aguzzini libici ad ogni approdo, ad ogni sbarco dei pescherecci lampedusani, con i corpi ammucchiati a poppa, scrutando i corpi irrigiditi dal rigor mortis, per trovare un flebile afflato di vita. Perché in quei mucchi di muscoli rattrappiti, una persona non è irrigidita. “Ne tasto il polso, zittisco il pescatore che li ha portati in porto, «fammi sentire», e dopo un minuto lo sento, un battito, flebile, ma un battito». Non entrerà in uno dei sacchi neri in poliuretano, i bodybag che conosciamo nei telefilm e film sulla guerra, come gli altri. Non farà parte di quella lunga teoria di bare allineate nell’hangar di Lampedusa, mostrate in televisione ma subito digerite dopo i tre minuti di servizio, poi fagocitate dalla politica per farle diventare rabbia e voti da scaricare in una x sul simbolo di una scheda elettorale.
Il racconto per parole, immagini, video e, sì, emozioni e lacrime, diventerà una lunga testimonianza di “controinformazione”, storie e tragedie che sui giornali e sulle televisioni, legate alla leggi della notizia, dei palinsesti e dei timoni giornalistici, non diventano servizi ma sono, quel che si dice in gergo giornalistico, “colore”. “Ma la realtà è un’altra, quel che vi raccontano è tutto falso, è tutto distorto. Non ci sono invasioni, ma quali invasioni…”. Una realtà appresa dai media all’ora di pranzo o al Pc che si sgretola nei volti delle oltre 200 persone che, fino alla fine, gremiscono il Cinema Teatro Tiberio.
Man mano che scandisce la parola “avanti” ai tecnici nel loggione della regia, Marco Biagini e Stefano Tonini – grazie ragazzi, nessuno come chi scrive sa quanto vi siate prodigati per la riuscita di questa testimonianza – i volti della sala cambiano espressione. Due adolescenti in seconda fila all’inizio della serata sorridevano con papà e mamma. Ad ogni “avanti” il volto diventava più cupo, si velava di lacrima come gran parte degli altri spettatori. Nuove malattie affioravano nella narrazione, “il male del gommone”, racconta Bartolo, perché i gommoni che trasportano i migranti stipati in cento usano un motore fuoribordo che deve essere rifornito in viaggio, e la benzina, caduta sul pagliolato, si mischia all’acqua di mare, evapora, intossica i polmoni, sballottata sui corpi produce ustioni, ferite, pustole. “Altro che la scabbia… I migranti portano la scabbia, dicono, ma non è vero, non è quella la malattia di cui sono affetti, nessuno di quelli che ho visitato aveva malattie contagiose, queste altre sono le malattie: le sofferenze di queste persone”. E mostra il volto e il corpo di un uomo dalla pelle devastata dalla benzina e dall’acqua di mare. Niente a che vedere con il migrante che, per farne esempio e sprone agli altri, viene colpito con due colpi di pistola alla scapola e al fianco all’altezza del rene. “Perché la gente non vuole salire sui gommoni, lo sanno che la morte è certa su quei gommoni, e allora sparano a uno o due persone per convincere gli altri a salire”, racconta Pietro, “questo ragazzo invece, si è salvato perché pur con due proiettili in corpo è riuscito a salire”.
La strenua lotta per la sopravvivenza, la voglia di vita e la forza necessaria per arrivare all’Europa dopo due anni di viaggio, dopo torture, dopo sevizie inenarrabili nei campi di concentramento in Libia , è il sottotesto della narrazione. E Pietro Bartolo non risparmia questi aspetti. Esalta la forza delle donne, la loro capacità di arrivare pur stremate, dopo aver sopportato stupri, iniezioni di sostanze per indurle in una forzata menopausa per poterne abusare a piacimento senza “complicazioni” o sfruttarla per la prostituzione. O i momenti concitati di un parto sulla motovedetta, con una stringa delle sue scarpe che serve per chiudere il cordone ombellicale del nascituro. “Vedete? Il bambino appena nato è bianco, proprio come noi, tra qualche giorno prenderà la pigmentazione della madre, una donna del Mali. Ma ora è bianco come noi, è una persona uguale a noi, in tutto e per tutto. Non esistono razze, esistono etnie!”.
Ma qualche volta questa spinta di sopravvivenza deve soccombere. E’ uno dei postulati della legge del mare. La stessa che spinge l’ex pescatore ad aiutare, che proibisce alle persone di piegarsi alle leggi ad hoc e portare invece soccorso, “perché anche io sono stato naufrago”, ma che di fronte all’ineluttabile diventa tragedia. Ci sono le foto: una distesa di corpi in una ghiacciaia di un peschereccio, come in tutti i pescherecci che ci sono anche a Rimini. Fatevela mostrare da un marinaio se capitate al porto: una botola, un locale in legno senza oblò, che su un peschereccio di trafficanti diventa la “terza classe” della traversata, “quella dove non si ha diritto ad un filo d’aria”. “Pietro, vieni a vedere qua sotto, mi dissero, scendo al buio e sento sotto i piedi qualcosa, chiedo luce: i corpi ammassati di persone che hanno lottato per uscire, mi raccontano i sopravvissuti, quando l’aria cominciava a scarseggiare, tenuti dabbasso prima con le botte, poi sigillando la botola con i peso dei corpi degli aguzzini, che tenevano lontani i parenti che avevano capito cosa stava succedendo ai loro cari: stavano morendo soffocati”.
O il video della Guardia Costiera, con i sub che estraggono da un peschereccio adagiato sul fondo i corpi degli affogati. Sono immagini irreali, sembra di essere in una piscina da quanta luce c’è,. L’unica cosa non irrigidita nel rigore della morte sono i capelli, che ondeggiano nell’acqua cristallina. I sub li adagiano in fila poco distanti dal relitto, statue di carne modellate nelle pose in cui la morte li ha raccolti. Li sistemano sulla sabbia del fondo, nel chiarore filtrato dal Mediterraneo, per poi legarli assieme con delle tanichette di plastica e per portarli a galla, dove si inscenerà una danza macabra verso la sponda della motovedetta che li porterà, troppo tardi, nella desiderata Europa.
L’intensità e la potenza del racconto di Pietro Bartolo, le sue immagini, le sue emozioni che attraversano la testimonianza portano alla catarsi gran parte del pubblico. Una catarsi che si potrà rivivere nel video che la Cooperativa Sociale Cento Fiori posterà presto su Youtube. Qualcuno non regge, molti piangono, qualcuno è provato e non alza lo sguardo verso il grande schermo. Qualcuno, come chi scrive, riesce a popolare la propria memoria marinaresca dei particolari che solo le genti di mare conoscono – la ghiacciaia popolata di morte, la paura, il senso di fratellanza che abbraccia i marinai, il lavoro spasmodico di fronte alle vite in pericolo, i racconti come mantra per metabolizzare paure ancestrali. Si può popolare la propria memoria, ma c’è una domanda che non abbiamo avuto il coraggio di rivolgere a Pietro. La mattina dopo ha di nuovo raccontato le sue Storie Migranti, i dolori e le gioie della salvezza a cui ha assistito, a una platea di giovani liceali al Serpieri di Rimini. E poi via, di nuovo in viaggio verso Pesaro. E questa settimana altri incontri, altre narrazioni, e di nuovo parole al pubblico in città italiane, d’Europa, di nuovo emozionato ed emozionante. Un mantra doloroso che si ripete, senza epica, senza estetica, senza eroi, men che meno lui. Un lungo flusso di coscienza di anima ferita che regala al pubblico il suo dolore.
Enrico Rotelli
L'articolo Storia di Persone, non “migranti” proviene da Cento Fiori, Rimini.
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ABER giovani (massimale 80%) ABER non giovani (massimale 65%) FIBER (massimale 50%) fino 100.000,00 60% 48,75% 37,50% da 100.000,01 a 200.000 52% 42,25% 32,50% da 200.000,01 a 300.000 44% 35,75% 27,50% da 300.000,01 a 500.000 36% 29,25% 22,50%La domanda dovrà essere presentata in forma telematica, attraverso lo sportello messo a disposizione da Ismea. La finestra temporale per le richieste apre alle ore 12.00 del giorno 15 novembre 2024 per chiudere alle ore 12.00 del giorno 13 dicembre 2024.
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Le storie di mare di Lampedusa, le tragedie e le speranze che hanno costellato quello specchio enorme di Mediterraneo che lambisce l’estrema propaggine dell’Italia, raccontate da Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa che insieme a concittadini e volontari hanno assistito e assistono quotidianamente a lutti, sofferenze e insieme speranze dei migranti.
Il mare di Lampedusa, questo il titolo dell’incontro pubblico di venerdì 15 novembre alle ore 20,30 al cinema Tiberio (via San Giuliano 16) di Rimini, che vedrà Pietro Bartolo dipanare il racconto durante un’intervista condotta da Vera Bessone, giornalista caposervizio Cultura del Corriere Romagna. Una narrazione di Storie migranti fatta di dialoghi ma anche immagini e video per sensibilizzare sul tema dei migranti e della loro accoglienza.
L’incontro è organizzato dalla Cooperativa Sociale Cento Fiori in collaborazione con il Sistema Accoglienza Integrazione (Sai) dell’Unione dei Comuni della Valmarecchia ed è a ingresso libero.
Biografia di Pietro BartoloMedico chirurgo, laureato all’Università di Catania, è specializzato in ginecologia. Sposato e padre di tre figli. Dal 1991 ufficiale sanitario delle isole Pelagie, nel 1993 diviene responsabile del presidio sanitario e del poliambulatorio di Lampedusa, occupandosi anche delle prime visite a tutti i migranti che sbarcano a Lampedusa e di coloro che soggiornano nel centro di accoglienza.
Nonostante qualche settimana prima fosse stato colpito da un’ischemia cerebrale, è stato in prima fila nei soccorsi ai sopravvissuti del Naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 di un peschereccio carico di oltre 500 migranti, in cui persero la vita 368 persone.
Prende parte nel 2015 al film documentario Fuocoammare di Gianfranco Rosi, che nel febbraio 2016 ha vinto l’Orso d’oro al 66º festival di Berlino e ha ottenuto una candidatura nella categoria miglior documentario agli Oscar 2017.
Dal suo libro Lacrime di Sale (2016) è liberamente tratto il film Nour (regia di Maurizio Zaccaro), per il quale ha contribuito all’ideazione del soggetto. Il film, in cui a vestire i panni del medico di Lampedusa è l’attore Sergio Castellitto, è stato presentato alla 37ª edizione del Torino Film Festival del 2019. È autore anche del testo “Le Stelle di Lampedusa” (2018).
Dal 2019 al 2024 è europarlamentare, con l’incarico di vicepresidente della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo (LIBE).
È sempre stato un sostenitore dell’istituzione di corridoi umanitari contro la tratta degli esseri umani.
L'articolo Il mare di Lampedusa: le storie Migranti di Pietro Bartolo, intervistato da Vera Bessone, al Cinema Teatro Tiberio di Rimini proviene da Cento Fiori, Rimini.