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Grassi Benaglia Moretti avvocati e commercialisti

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Aggiornato: 6 giorni 10 ore fa

Badanti al servizio di persone non autosufficienti: niente contributi se il rapporto di lavoro è trasformato a tempo indeterminato.

Ven, 15/03/2024 - 23:13
Niente contributi per due anni nel caso di assunzioni o stabilizzazioni di badanti che prestano assistenza a persona non autosufficiente con più di ottanta anni di età. L’agevolazione è prevista nei commi dal 15 al 18 dell’articolo29 del D.L. 02 marzo 2024 n. 19, noto anche come “Decreto P.N.R.R.”. Lo sgravio contributivo consiste nell’esonero del 100% dei contributi previdenziali e assicurativi a carico del datore di lavoro, nella misura massima di tremila euro su base annuale. Ulteriore condizione per accedere alla norma di favore è che il datore di lavoro, oltre a godere della pensione di accompagnamento, deve anche possedere un valore ISEE riguardante le prestazioni agevolate di natura sociosanitaria non superiore ad euro seimila. Nel caso in cui il datore di lavoro possegga i requisiti precedenti, cioè età anagrafica superiore agli 80 anni, una indennità di accompagnamento e un valore ISEE inferiore ai seimila, non può comunque accedere all’agevolazione in commento nel caso in cui:
  • Tra il lavoratore e il datore di lavoro o persona del suo nucleo familiare sia cessato, da meno di sei mesi, un rapporto di lavoro avente natura uguale a quella che si vuole stabilizzare;
  • La persona assunta sia un parente o un affini del soggetto da assistere, salvo il caso in cui il familiare sia destinato all’assistenza di invalidi civili, di guerra, sacerdoti e altri ministri di culto o autorità militari;
Lo sgravio contributivo non è ancora in funzione, ma occorrerà attendere che l’Inps comunichi la data di apertura. Inoltre è prevista una soglia massima di domande, in ragione dei fondi stanziati dal Decreto Legge P.N.R.R. Nello specifico le risorse stanziate sono le seguenti:
  • Euro 10.000.000 per l’anno 2024;
  • Euro 39.900.000 per l’anno 2025;
  • Euro 58.800.000 per l’anno 2026;
  • Euro 27.900.000 per l’anno 2027;
  • Euro 600.000 per l’anno 2028.
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Comune di Rimini: contributi a fondo perduto per iniziative, eventi e manifestazioni a sostegno delle attività economiche.

Mer, 17/01/2024 - 22:38

Il Comune di Rimini, con Determina dirigenziale n. 3592 del 05.12.2023 ha previsto l’erogazione di un contributo a fondo perduto a favore di iniziative volte a sostenere lo sviluppo del commercio e delle attività economiche.

Iniziative ammesse.

Sono ammissibili al contributo a fondo perduto:

  • Gli eventi, mostre, spettacoli, intrattenimenti di animazione da svolgersi in una o più zone della città di Rimini;
  • Iniziative volte alla valorizzazione delle attività del Centro Storico, dei Borghi e della Marina, o di aree della città di Rimini interessate da importanti interventi di riqualificazione;
  • Campagne pubblicitarie volte a promuovere eventi di un certo rilievo oppure a contrastare l’abusivismo e il gioco d’azzardo;
  • Iniziative volte a incentivare la produzione e il consumo di prodotti enogastronomici tipici oppure iniziative rivolte al sostegno del comprato relativo alla ristorazione locale;
  • Iniziative frutto di progetti aggregati fra le reti di esercenti all’interno del Comune di Rimini;

Non possono, comunque, essere ammesse iniziative che:

  • Sono già avviate al momento della presentazione della domanda;
  • che si concluderanno dopo il 01/04/2024;
  • per le quali si prevede una spesa complessiva superiore a euro 80.000,00.
Soggetti ammessi.

Possono presentare la domanda di contributo a fondo perduto:

  • enti del Terzo Settore iscritti al Runts o enti non iscritti o non rientranti nella disciplina del Runts ma, comunque, costituiti con atto scritto;
  • associazioni sportive dilettantistiche e/o società sportive dilettantistiche;
  • altri soggetti privati, anche con scopo di lucro. In questo caso possono formare oggetto di contributo solo le iniziative prive di lucro e con caratteristiche tali da promuovere in misura rilevante il commercio o le attività economiche.
Misura del contributo e modalità di assegnazione.

Il contributo non può essere superiore all’importo della spesa richiesta e non può essere, comunque, superiore nè al 70% delle spese previste né al 70% della differenza fra spese e entrate come indicate nel bilancio di previsione da allegare alla domanda. Il contributo verrà assegnato sulla base di una graduatoria stilata da una apposita commissione di valutazione.

Termine per la presentazione.

La domanda, a pena di ammissibilità, dovrà essere presentata, tramite PEC, entro e non oltre il giorno 11.02.2024.

 

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Comune di Rimini: contributi a fondo perduto per iniziative, eventi e manifestazioni a sostegno delle attività economiche.

Mer, 17/01/2024 - 22:38

Il Comune di Rimini, con Determina dirigenziale n. 3592 del 05.12.2023 ha previsto l’erogazione di un contributo a fondo perduto a favore di iniziative volte a sostenere lo sviluppo del commercio e delle attività economiche.

Iniziative ammesse.

Sono ammissibili al contributo a fondo perduto:

  • Gli eventi, mostre, spettacoli, intrattenimenti di animazione da svolgersi in una o più zone della città di Rimini;
  • Iniziative volte alla valorizzazione delle attività del Centro Storico, dei Borghi e della Marina, o di aree della città di Rimini interessate da importanti interventi di riqualificazione;
  • Campagne pubblicitarie volte a promuovere eventi di un certo rilievo oppure a contrastare l’abusivismo e il gioco d’azzardo;
  • Iniziative volte a incentivare la produzione e il consumo di prodotti enogastronomici tipici oppure iniziative rivolte al sostegno del comprato relativo alla ristorazione locale;
  • Iniziative frutto di progetti aggregati fra le reti di esercenti all’interno del Comune di Rimini;

Non possono, comunque, essere ammesse iniziative che:

  • Sono già avviate al momento della presentazione della domanda;
  • che si concluderanno dopo il 01/04/2024;
  • per le quali si prevede una spesa complessiva superiore a euro 80.000,00.
Soggetti ammessi.

Possono presentare la domanda di contributo a fondo perduto:

  • enti del Terzo Settore iscritti al Runts o enti non iscritti o non rientranti nella disciplina del Runts ma, comunque, costituiti con atto scritto;
  • associazioni sportive dilettantistiche e/o società sportive dilettantistiche;
  • altri soggetti privati, anche con scopo di lucro. In questo caso possono formare oggetto di contributo solo le iniziative prive di lucro e con caratteristiche tali da promuovere in misura rilevante il commercio o le attività economiche.
Misura del contributo e modalità di assegnazione.

Il contributo non può essere superiore all’importo della spesa richiesta e non può essere, comunque, superiore nè al 70% delle spese previste né al 70% della differenza fra spese e entrate come indicate nel bilancio di previsione da allegare alla domanda. Il contributo verrà assegnato sulla base di una graduatoria stilata da una apposita commissione di valutazione.

Termine per la presentazione.

La domanda, a pena di ammissibilità, dovrà essere presentata, tramite PEC, entro e non oltre il giorno 11.02.2024.

 

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Detrazione abbattimento barriere architettoniche: dal 01 gennaio 2024 stop alla cessione di credito e allo sconto in fattura.

Sab, 30/12/2023 - 00:09

Tra le novità più importanti del decreto 212/2023 approvato dal Consiglio dei Ministri in data 28 dicembre 2023 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.302 del 29 dicembre 2023 vi è la revisione profonda della disciplina riguardante l’agevolazione fiscale per i lavori per l’abbattimento delle barriere architettoniche.

La prima novità riguarda il comma 1 dell’articolo 119-ter del d.l. 34/2020, cioè quello che ha introdotto l’agevolazione in commento. Se fino a ieri si parlava genericamente di detrazione di imposta per lavori riguardanti “la realizzazione di interventi direttamente finalizzati al superamento e all'eliminazione di barriere architettoniche in edifici già esistenti”, ora si parla più specificatamente di lavori riguardanti solo ed esclusivamente scale, rampe, ascensori, servoscala e piattaforme elevatrici. Spariscono, quindi, dalla scena tutti quei lavori riguardanti infissi, impianti elettrici, idraulici ed eccetera, che hanno rappresentato il grimaldello per mascherare come abbattimento di barriere architettoniche lavori che in realtà raggiungevano sono causalmente tale scopo. Inoltre il nuovo comma 1 specifica che le modalità di pagamento di queste spese devono essere quelle previste per le ristrutturazioni edilizie, cioè bonifici parlanti.

Viene abrogato il comma 3, quale conseguenza delle specifiche fatte nel comma 1: non rientrano più nell’agevolazione, quindi, i lavori necessari all’automazione degli impianti degli edifici, voce nella quale ci stava dentro di tutto, compreso il rifacimento dell’impianto elettrico. Si specifica, inoltre, che un tecnico abilitato deve asseverare che i lavori svolti all’interno dell’immobile abbiano il requisito dell’abbattimento delle barriere architettoniche. Nella previgente disciplina, invece, era sufficiente che gli interventi rispettassero i requisiti del decreto n. 236/1989, senza alcuna asseverazione particolare.

La novità più importante, però, è la fine della possibilità, per i lavori di abbattimento delle barriere architettoniche, di poter cedere il credito o di applicare lo sconto in fattura a far data dal 01 gennaio 2024. Fanno eccezione a questo divieto:

  • Le spese sostenute dai condomini per gli interventi riguardanti le parti comuni di edifici prevalentemente abitativi;
  • Gli interventi su edifici unifamiliari o unità abitative in edifici plurifamiliari a condizione che il contribuente:
    • sia proprietario o abbia un altro diritto reale di godimento (escluso, quindi, il comodato);
    • sia la sua abitazione principale;
    • abbia un reddito inferiore ai 15.000,00, calcolato con le modalità previste dal comma 8.1bis dell’art.119 del D.L. 34/2020;
    • nel caso in cui nel nucleo familiare ci sia un familiare con una disabilità accertata, il requisito reddituale viene meno

Il divieto di cessione del credito non si applica per gli interventi per i quali, al momento dell'entrata in vigore del decreto, sono già stati presentati i titoli edilizi abitativi, ove necessari.

Per gli interventi in “edilizia libera”, cioè per quelli dove non è necessario presentare un titolo edilizio, occorre che siano già iniziati i lavori oppure sia stato sottoscritto un contratto vincolante tra il contribuente e gli appaltatori e che sia già stato versato un acconto.

Si ricorda, infine, che il decreto entra in vigore il giorno 30 dicembre 2023.

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Detrazione abbattimento barriere architettoniche: dal 01 gennaio 2024 stop alla cessione di credito e allo sconto in fattura.

Sab, 30/12/2023 - 00:09

Tra le novità più importanti del decreto 212/2023 approvato dal Consiglio dei Ministri in data 28 dicembre 2023 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.302 del 29 dicembre 2023 vi è la revisione profonda della disciplina riguardante l’agevolazione fiscale per i lavori per l’abbattimento delle barriere architettoniche.

La prima novità riguarda il comma 1 dell’articolo 119-ter del d.l. 34/2020, cioè quello che ha introdotto l’agevolazione in commento. Se fino a ieri si parlava genericamente di detrazione di imposta per lavori riguardanti “la realizzazione di interventi direttamente finalizzati al superamento e all'eliminazione di barriere architettoniche in edifici già esistenti”, ora si parla più specificatamente di lavori riguardanti solo ed esclusivamente scale, rampe, ascensori, servoscala e piattaforme elevatrici. Spariscono, quindi, dalla scena tutti quei lavori riguardanti infissi, impianti elettrici, idraulici ed eccetera, che hanno rappresentato il grimaldello per mascherare come abbattimento di barriere architettoniche lavori che in realtà raggiungevano sono causalmente tale scopo. Inoltre il nuovo comma 1 specifica che le modalità di pagamento di queste spese devono essere quelle previste per le ristrutturazioni edilizie, cioè bonifici parlanti.

Viene abrogato il comma 3, quale conseguenza delle specifiche fatte nel comma 1: non rientrano più nell’agevolazione, quindi, i lavori necessari all’automazione degli impianti degli edifici, voce nella quale ci stava dentro di tutto, compreso il rifacimento dell’impianto elettrico. Si specifica, inoltre, che un tecnico abilitato deve asseverare che i lavori svolti all’interno dell’immobile abbiano il requisito dell’abbattimento delle barriere architettoniche. Nella previgente disciplina, invece, era sufficiente che gli interventi rispettassero i requisiti del decreto n. 236/1989, senza alcuna asseverazione particolare.

La novità più importante, però, è la fine della possibilità, per i lavori di abbattimento delle barriere architettoniche, di poter cedere il credito o di applicare lo sconto in fattura a far data dal 01 gennaio 2024. Fanno eccezione a questo divieto:

  • Le spese sostenute dai condomini per gli interventi riguardanti le parti comuni di edifici prevalentemente abitativi;
  • Gli interventi su edifici unifamiliari o unità abitative in edifici plurifamiliari a condizione che il contribuente:
    • sia proprietario o abbia un altro diritto reale di godimento (escluso, quindi, il comodato);
    • sia la sua abitazione principale;
    • abbia un reddito inferiore ai 15.000,00, calcolato con le modalità previste dal comma 8.1bis dell’art.119 del D.L. 34/2020;
    • nel caso in cui nel nucleo familiare ci sia un familiare con una disabilità accertata, il requisito reddituale viene meno

Il divieto di cessione del credito non si applica per gli interventi per i quali, al momento dell'entrata in vigore del decreto, sono già stati presentati i titoli edilizi abitativi, ove necessari.

Per gli interventi in “edilizia libera”, cioè per quelli dove non è necessario presentare un titolo edilizio, occorre che siano già iniziati i lavori oppure sia stato sottoscritto un contratto vincolante tra il contribuente e gli appaltatori e che sia già stato versato un acconto.

Si ricorda, infine, che il decreto entra in vigore il giorno 30 dicembre 2023.

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Regione Marche: contributo a fondo perduto per gli investimenti delle cooperative.

Mar, 26/12/2023 - 18:22

La Regione Marche ha istituito un contributo a fondo perduto a favore delle cooperative, presenti nel proprio territorio, che hanno intenzione di realizzare investimenti innovativi o l’ammodernamento di propri impianti produttivi. Una parte delle risorse finanziate, inoltre, andrà a favore della costituzione di nuove cooperative. Ciò è quanto previsto dal Decreto del Dirigente del Settore Industria, Artigianato e Credito N. 624 del 21 novembre 2023.

Beneficiari del contributo.

Sono beneficiarie del contributo le micro e piccole medie imprese costituite sotto forma di cooperative di produzione e lavoro, comprese le cooperative sociali di tipo B. Rimangono escluse, quindi, tutte le altre cooperative comprese quelle sociali che svolgono esclusivamente attività di tipo A. Gli ulteriori requisiti, oltre quelli di non essere in liquidazione giudiziale, fallimento, liquidazione coatta o amministrazione giudiziale sono:

  • Avere la sede operativa destinataria dell’investimento agevolato nella Regione Marche. In caso di nuove cooperative anche la sede legale, oltrechè quella operativa, deve essere ubicata nella Regione Marche;
  • Risultare attive alla Camera di Commercio della Regione Marche nonché essere iscritte all’Albo statale delle Cooperative;
  • Esercitare una attività che rientra nei codici Ateco previsti dal bando. Sostanzialmente non esercitare una attività agricola, sia dirette che di trasformazione, nonché l’attività riguardante i tabacchi;
  • Solo per le cooperative di tipo B, essere iscritte all’Albo delle Cooperative Sociali di cui all’art. 3 della L.R. 34/2001.
Interventi ammissibili.

Gli interventi ammissibili devono riguardare:

  1. investimenti in innovazione o significativo ammodernamento di impianti o siti produttivi esistenti. Rientrano in tale ambito anche le applicazioni digitali e le soluzioni finalizzate al risparmio energetico;
  2. investimenti riguardanti la realizzazione di nuove unità produttive per cooperative già esistenti o la creazione di nuove cooperative di produzione e lavoro.
Spese ammissibili.

L’investimento per cui si chiede l’ammissione al finanziamento a fondo perduto deve avere una dimensione minima pari ad euro 15.000,00. Le spese ammissibili sono:

  1. spese relative a ristrutturazione ordinaria o straordinaria, comprese quelle relative agli impianti, sia su immobili propri che in locazione, con esclusione di quelli in comodato, il tutto purchè necessarie alla realizzazione dell’intervento;
  2. spese relative all’acquisto di macchinari ed attrezzature nuove e che conseguono un risparmio energetico e ambientale;
  3. spese per acquisto di beni immateriali quali brevetti, marchi, modelli, disegni ecc.;
  4. spese per la progettazione e la consulenza, nella misura del 20% dell’importo delle spese precedenti;
  5. spese generali, nella misura del 7% delle spese ammissibili di cui al punto a., b., e c.. Nel caso di nuove cooperative costituite dopo il 01 gennaio 2023, le spese generali sono riconosciute nella misura del 15% anziché del 7%.
Termine temporale di effettuazione delle spese.

Il termine temporale di effettuazione delle spese varia a seconda del tipo di regime agevolativo scelto dalle cooperative.

Nel caso di regime de minimis, le spese per essere ammesse devono essere state effettuate successivamente al 01 gennaio 2022.

Nel caso di regime in esenzione, le spese per essere ammesse devono essere state pagate successivamente alla presentazione delle domande.

Importo dell’agevolazione.

L'importo dell'agevolazione varia a seconda del regime prescelto.

Regime agevolativo Dimesione di impresa cooperativa Intensità dell'aiuto Massimale di contributo De minimis Tutte le cooperative 50% euro 200.000,00 Regime in esenzione Micro e piccole imprese 20% euro 300.000,00 Micro e piccole imprese se in zona assistita 35% euro 300.000,00 Regime in esenzione Medie imprese 10% euro 300.000,00 Medie imprese se in zona assistita 25% euro 300.000,00 Presentazione delle domande e modalità di valutazione.

La domanda, in via telematica, può essere presentata dalle ore 12 del 18 dicembre 2023 fino alle ore 12 del 29 febbraio 2024. Le domande saranno valutate con la modalità a graduatoria.

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Regione Marche: contributo a fondo perduto per gli investimenti delle cooperative.

Mar, 26/12/2023 - 18:22

La Regione Marche ha istituito un contributo a fondo perduto a favore delle cooperative, presenti nel proprio territorio, che hanno intenzione di realizzare investimenti innovativi o l’ammodernamento di propri impianti produttivi. Una parte delle risorse finanziate, inoltre, andrà a favore della costituzione di nuove cooperative. Ciò è quanto previsto dal Decreto del Dirigente del Settore Industria, Artigianato e Credito N. 624 del 21 novembre 2023.

Beneficiari del contributo.

Sono beneficiarie del contributo le micro e piccole medie imprese costituite sotto forma di cooperative di produzione e lavoro, comprese le cooperative sociali di tipo B. Rimangono escluse, quindi, tutte le altre cooperative comprese quelle sociali che svolgono esclusivamente attività di tipo A. Gli ulteriori requisiti, oltre quelli di non essere in liquidazione giudiziale, fallimento, liquidazione coatta o amministrazione giudiziale sono:

  • Avere la sede operativa destinataria dell’investimento agevolato nella Regione Marche. In caso di nuove cooperative anche la sede legale, oltrechè quella operativa, deve essere ubicata nella Regione Marche;
  • Risultare attive alla Camera di Commercio della Regione Marche nonché essere iscritte all’Albo statale delle Cooperative;
  • Esercitare una attività che rientra nei codici Ateco previsti dal bando. Sostanzialmente non esercitare una attività agricola, sia dirette che di trasformazione, nonché l’attività riguardante i tabacchi;
  • Solo per le cooperative di tipo B, essere iscritte all’Albo delle Cooperative Sociali di cui all’art. 3 della L.R. 34/2001.
Interventi ammissibili.

Gli interventi ammissibili devono riguardare:

  1. investimenti in innovazione o significativo ammodernamento di impianti o siti produttivi esistenti. Rientrano in tale ambito anche le applicazioni digitali e le soluzioni finalizzate al risparmio energetico;
  2. investimenti riguardanti la realizzazione di nuove unità produttive per cooperative già esistenti o la creazione di nuove cooperative di produzione e lavoro.
Spese ammissibili.

L’investimento per cui si chiede l’ammissione al finanziamento a fondo perduto deve avere una dimensione minima pari ad euro 15.000,00. Le spese ammissibili sono:

  1. spese relative a ristrutturazione ordinaria o straordinaria, comprese quelle relative agli impianti, sia su immobili propri che in locazione, con esclusione di quelli in comodato, il tutto purchè necessarie alla realizzazione dell’intervento;
  2. spese relative all’acquisto di macchinari ed attrezzature nuove e che conseguono un risparmio energetico e ambientale;
  3. spese per acquisto di beni immateriali quali brevetti, marchi, modelli, disegni ecc.;
  4. spese per la progettazione e la consulenza, nella misura del 20% dell’importo delle spese precedenti;
  5. spese generali, nella misura del 7% delle spese ammissibili di cui al punto a., b., e c.. Nel caso di nuove cooperative costituite dopo il 01 gennaio 2023, le spese generali sono riconosciute nella misura del 15% anziché del 7%.
Termine temporale di effettuazione delle spese.

Il termine temporale di effettuazione delle spese varia a seconda del tipo di regime agevolativo scelto dalle cooperative.

Nel caso di regime de minimis, le spese per essere ammesse devono essere state effettuate successivamente al 01 gennaio 2022.

Nel caso di regime in esenzione, le spese per essere ammesse devono essere state pagate successivamente alla presentazione delle domande.

Importo dell’agevolazione.

L'importo dell'agevolazione varia a seconda del regime prescelto.

Regime agevolativo Dimesione di impresa cooperativa Intensità dell'aiuto Massimale di contributo De minimis Tutte le cooperative 50% euro 200.000,00 Regime in esenzione Micro e piccole imprese 20% euro 300.000,00 Micro e piccole imprese se in zona assistita 35% euro 300.000,00 Regime in esenzione Medie imprese 10% euro 300.000,00 Medie imprese se in zona assistita 25% euro 300.000,00 Presentazione delle domande e modalità di valutazione.

La domanda, in via telematica, può essere presentata dalle ore 12 del 18 dicembre 2023 fino alle ore 12 del 29 febbraio 2024. Le domande saranno valutate con la modalità a graduatoria.

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Tax Free e rimborso Iva: dal 01 febbraio 2024 la soglia per la richiesta di rimborso scende ad euro 70,00

Mer, 20/12/2023 - 22:07

Dal 01 febbraio 2024 la soglia di applicazione per l’agevolazione “tax free” scende dagli originari 300.000 lire ad euro 70,00.

Lo prevede l’articolo l’articolo 19 della Legge di Stabilità 2024 in questo momento al vaglio dell’aula del Senato, che si ricorda ha già ricevuto l’approvazione della Quinta Commissione Permanente del Senato stesso.

Il Tax free è previsto dall’articolo 38 – quater del D.p.r. 633/72 e consiste nella possibilità, per i soggetti domiciliati o residenti al di fuori dell’Unione Europea, di ottenere il rimborso per l’Iva pagata su beni destinati al consumo personale o familiare.

Nella vecchia normativa, la possibilità di aver il rimborso sui suddetti beni scattava al superamento della soglia delle vecchie 300.000 lire (euro 154,59). Con l’articolo appena approvato dalla Commissione del Senato questo limite scende ad euro 70,00 ampliando, in questo modo, i soggetti che ne possono chiedere l’applicazione.

La richiesta di rimborso può avvenire in due modi. Il primo modo è quello che prevede la possibilità, per il venditore del bene, di non applicare l’Iva sulla cessione. La condizione per applicare questo metodo è che il bene sia trasportato al di fuori dell’Unione Europea entro tre mesi dall’effettuazione dell’acquisto.

Il secondo modo, invece, prevede che l’acquirente paghi per intero l’importo dell’Iva sul bene e poi faccia richiesta di rimborso entro tre mesi dall’acquisto. Il rimborso dell’Iva viene fatto materialmente dal venditore del bene il quale, poi, porterà in detrazione dalla propria liquidazione Iva la somma restituita al soggetto extra Ue.

In entrambi i casi l’Agenzia delle Dogane deve apporre sui documenti la prova dell’avvenuta esportazione dei beni.

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Tax Free e rimborso Iva: dal 01 febbraio 2024 la soglia per la richiesta di rimborso scende ad euro 70,00

Mer, 20/12/2023 - 22:07

Dal 01 febbraio 2024 la soglia di applicazione per l’agevolazione “tax free” scende dagli originari 300.000 lire ad euro 70,00.

Lo prevede l’articolo l’articolo 19 della Legge di Stabilità 2024 in questo momento al vaglio dell’aula del Senato, che si ricorda ha già ricevuto l’approvazione della Quinta Commissione Permanente del Senato stesso.

Il Tax free è previsto dall’articolo 38 – quater del D.p.r. 633/72 e consiste nella possibilità, per i soggetti domiciliati o residenti al di fuori dell’Unione Europea, di ottenere il rimborso per l’Iva pagata su beni destinati al consumo personale o familiare.

Nella vecchia normativa, la possibilità di aver il rimborso sui suddetti beni scattava al superamento della soglia delle vecchie 300.000 lire (euro 154,59). Con l’articolo appena approvato dalla Commissione del Senato questo limite scende ad euro 70,00 ampliando, in questo modo, i soggetti che ne possono chiedere l’applicazione.

La richiesta di rimborso può avvenire in due modi. Il primo modo è quello che prevede la possibilità, per il venditore del bene, di non applicare l’Iva sulla cessione. La condizione per applicare questo metodo è che il bene sia trasportato al di fuori dell’Unione Europea entro tre mesi dall’effettuazione dell’acquisto.

Il secondo modo, invece, prevede che l’acquirente paghi per intero l’importo dell’Iva sul bene e poi faccia richiesta di rimborso entro tre mesi dall’acquisto. Il rimborso dell’Iva viene fatto materialmente dal venditore del bene il quale, poi, porterà in detrazione dalla propria liquidazione Iva la somma restituita al soggetto extra Ue.

In entrambi i casi l’Agenzia delle Dogane deve apporre sui documenti la prova dell’avvenuta esportazione dei beni.

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Tassazione indennità di esproprio: il risarcimento per il deprezzamento dell’area non espropriata è da considerare reddito diverso.

Ven, 15/12/2023 - 22:57
L’indennità di deprezzamento, e cioè la somma di denaro da corrispondere al soggetto espropriato quale indennizzo per la perdita di valore dell’area residua non espropriata va considerata come reddito diverso di cui all’articolo 67, comma 1, lettera b) del Dpr 917/1986 (Tuir). Così risponde l’Agenzia delle Entrate, con interpello n. 476/2023, a un contribuente roso dal dubbio se l’indennità di deprezzamento sia da considerarsi tassabile oppure no. Ci si domanda, infatti, se questa indennità di deprezzamento debba considerarsi come risarcimento per lucro cessante (che si ha quando a seguito di un danno viene meno la possibilità di percepire dei guadagni) oppure risarcimento per danno emergente (minor valore del bene che si ha con la perdita o il danneggiamento del bene). Nel primo caso, trattandosi di una perdita di guadagno, il risarcimento è sicuramente tassabile. Nel secondo caso, essendo un puro risarcimento danni che va a reintegrare il valore del bene perduto, non si fa luogo a tassazione. Ça va sans dire, per l’Ufficio ci troviamo di fronte a un risarcimento per lucro cessante, quindi tassabile. La convinzione parte dall’analisi dell’art 35, comma 1, del Dpr 8 giugno 2001 n. 327 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, in sigla anche TUEPU) che prevede che l’indennità di esproprio sia tassata come reddito diverso qualora sia corrisposta a chi non eserciti una impresa commerciale, una somma a titolo di indennità di esproprio, per l’acquisizione coattiva di un terreno per realizzare un’opera pubblica all’interno delle zone omogenee di tipo A, B, C e D. Per inciso le zone omogenee rappresentano le varie parti del territorio a seconda che si tratti di zone del centro storico, di completamento, di espansione, industriali o agricole. L'Agenzia delle Entrate aggiunge che la norma fa riferimento alla collocazione dell’eventuale area in una delle zone omogenee, senza fare alcuna distinzione sul fatto che sia edificabile oppure agricola. E’ irrilevante, perciò, discutere se ci si trova di fronte a un’area fabbricabile o agricola, in quanto ciò che conta è solo la sua ubicazione all’interno del territorio comunale. Sulla questione dell’area residua non espropriata, l’articolo 33 del Dpr 8 giugno 2001 n. 327, prevede che in caso di esproprio parziale, nel determinare la relativa indennità, occorre tenere in considerazione il anche la diminuzione di valore che può subire la parte non espropriata. Si torna, dunque, al dilemma iniziale: lucro cessante o danno emergente? Per il Fisco ci ha già pensato la Cassazione a risolvere l’arcano. La sua costante giurisprudenza prevede che non può esserci distinzione fra indennità di esproprio e quella erogata quale risarcimento danni per le parti non espropriate. Quest’ultima è senz’altro da ricomprendersi nell’indennità di esproprio la quale, quindi, per definizione serve a compensare sia le perdite di guadagno (lucro cessante) che il danno vero e proprio (danno emergente). La risposta alla fine è a favore del lucro cessante: l’indennizzo per il risarcimento per il deprezzamento dell’area non espropriata è parte integrante, e quindi non separata, dell’indennità di esproprio. Va tassata, perciò, come reddito diverso e al momento dell’erogazione va pure applicata la ritenuta del 20%.   Notizie ImpreseOggi
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Tassazione indennità di esproprio: il risarcimento per il deprezzamento dell’area non espropriata è da considerare reddito diverso.

Ven, 15/12/2023 - 22:57
L’indennità di deprezzamento, e cioè la somma di denaro da corrispondere al soggetto espropriato quale indennizzo per la perdita di valore dell’area residua non espropriata va considerata come reddito diverso di cui all’articolo 67, comma 1, lettera b) del Dpr 917/1986 (Tuir). Così risponde l’Agenzia delle Entrate, con interpello n. 476/2023, a un contribuente roso dal dubbio se l’indennità di deprezzamento sia da considerarsi tassabile oppure no. Ci si domanda, infatti, se questa indennità di deprezzamento debba considerarsi come risarcimento per lucro cessante (che si ha quando a seguito di un danno viene meno la possibilità di percepire dei guadagni) oppure risarcimento per danno emergente (minor valore del bene che si ha con la perdita o il danneggiamento del bene). Nel primo caso, trattandosi di una perdita di guadagno, il risarcimento è sicuramente tassabile. Nel secondo caso, essendo un puro risarcimento danni che va a reintegrare il valore del bene perduto, non si fa luogo a tassazione. Ça va sans dire, per l’Ufficio ci troviamo di fronte a un risarcimento per lucro cessante, quindi tassabile. La convinzione parte dall’analisi dell’art 35, comma 1, del Dpr 8 giugno 2001 n. 327 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, in sigla anche TUEPU) che prevede che l’indennità di esproprio sia tassata come reddito diverso qualora sia corrisposta a chi non eserciti una impresa commerciale, una somma a titolo di indennità di esproprio, per l’acquisizione coattiva di un terreno per realizzare un’opera pubblica all’interno delle zone omogenee di tipo A, B, C e D. Per inciso le zone omogenee rappresentano le varie parti del territorio a seconda che si tratti di zone del centro storico, di completamento, di espansione, industriali o agricole. L'Agenzia delle Entrate aggiunge che la norma fa riferimento alla collocazione dell’eventuale area in una delle zone omogenee, senza fare alcuna distinzione sul fatto che sia edificabile oppure agricola. E’ irrilevante, perciò, discutere se ci si trova di fronte a un’area fabbricabile o agricola, in quanto ciò che conta è solo la sua ubicazione all’interno del territorio comunale. Sulla questione dell’area residua non espropriata, l’articolo 33 del Dpr 8 giugno 2001 n. 327, prevede che in caso di esproprio parziale, nel determinare la relativa indennità, occorre tenere in considerazione il anche la diminuzione di valore che può subire la parte non espropriata. Si torna, dunque, al dilemma iniziale: lucro cessante o danno emergente? Per il Fisco ci ha già pensato la Cassazione a risolvere l’arcano. La sua costante giurisprudenza prevede che non può esserci distinzione fra indennità di esproprio e quella erogata quale risarcimento danni per le parti non espropriate. Quest’ultima è senz’altro da ricomprendersi nell’indennità di esproprio la quale, quindi, per definizione serve a compensare sia le perdite di guadagno (lucro cessante) che il danno vero e proprio (danno emergente). La risposta alla fine è a favore del lucro cessante: l’indennizzo per il risarcimento per il deprezzamento dell’area non espropriata è parte integrante, e quindi non separata, dell’indennità di esproprio. Va tassata, perciò, come reddito diverso e al momento dell’erogazione va pure applicata la ritenuta del 20%.   Notizie ImpreseOggi
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Non è necessaria l’iscrizione a ruolo nei confronti della società estinta per chiedere il pagamento del debito tributario anche al suo liquidatore

Mar, 05/12/2023 - 22:24
Il tema è quello che appassiona e divide, da un po’ di anni, le aule delle commissioni tributarie e della Cassazione. Ossia: per agire contro il liquidatore ex art. 36 del D.p.r. 602/73 è necessario che prima l’Ufficio iscriva a ruolo le somme dovute dalla società estinta? Oppure può notificare a entrambi, cioè società e liquidatore, l’avviso di accertamento? La Cassazione, a Sezioni Unite, quindi con un certo peso nella decisione, hanno messo la parola fine al dibattito giurisprudenziale e dottrinale stabilendo che non serve la preventiva iscrizione a ruolo nei confronti della società per poter chiedere il dovuto, poi, al liquidatore. Il principio di diritto è contenuto nella sentenza n. 32790 del 27 novembre 2023. Per dovere di esposizione, si ricorda che la diatriba trae origine dall'interpretazione dell art. 36 del D.p.r. 602/73 dove, al primo comma, prevede che il liquidatore è responsabile in proprio del pagamento delle imposte se non prova di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all'assegnazione di beni ai soci o associati oppure di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale tipo di responsabilità, per copiosa giurisprudenza di legittimità, confermata definitivamente dalla sentenza in commento, è una responsabilità che ha natura civilistica e non tributaria. Ciò implica che non vi sia nessuna successione di rapporti fra soggetto sociale estinto e liquidatore. Il liquidatore non è un coobbligato della società, ma bensì un ulteriore responsabile nel soddisfare i creditori sociali. Sul liquidatore, dunque, sorge una ipotesi di responsabilità nuova, con la quale l’Erario acquisisce un diritto al pagamento di quanto dovuto che è autonomo rispetto all’obbligazione fiscale vera e propria imputata alla società estinta.   Sancito questo principio, secondo gli Ermellini è più semplice stabilire se il Fisco necessita di un titolo esecutivo per agire contro il liquidatore della società estinta. Il ragionamento che viene svolto dai Giudici è assai semplice. I creditori ordinari possono agire contro il liquidatore ai sensi dell’art. 2495 del Codice civile, senza alcun obbligo di dotarsi di un titolo esecutivo preventivo. Devono solo provare che il credito insoddisfatto è liquido ed esigibile. Da ciò i Giudici si domandano per quale motivo il Fisco, che è un creditore al pari degli altri, debba precostituirsi un titolo esecutivo non richiesto agli altri creditori. In più, a essere precisi, l’avviso di accertamento è esso stesso, per legge, un titolo esecutivo e, pertanto, l’Erario il fantomatico titolo esecutivo lo possiede nel momento stesso in cui viene emesso l’avviso di accertamento. Sul finire della sentenza la Cassazione apre uno scenario importante, introducendo la possibilità che il liquidatore possa discutere anche dell’accertamento emesso nei confronti della società estinta. Quest’ultima, infatti, non può stare in giudizio perché, appunto, estinta. Di conseguenza, quindi, l’avviso di accertamento nei suoi confronti, in punta di diritto, non può essere impugnato. Sulla questione scrive la Suprema Corte: “non può dubitarsi […] che il liquidatore, in sede di ricorso innanzi agli Organi di giustizia tributaria, possa confutare anche la sussistenza (come accertata nell’avviso emesso nei suoi confronti) di imposte a carico della società, al fine di escludere il contestatogli inadempimento agli obblighi connaturati alla carica ricoperta”. Concetto pienamente ribadito nel principio di diritto contenuto nella sentenza in commento. Si legge, infatti, che il liquidatore potrà contestare “la sussistenza dei presupposti dell’azione intrapresa nei suoi confronti ivi compresa la debenza di imposte a carico della società”. Se non è questa una forma di litisconsorzio necessario fra società estinta e liquidatore, poco ci manca.   Notizie ImpreseOggi
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Non è necessaria l’iscrizione a ruolo nei confronti della società estinta per chiedere il pagamento del debito tributario anche al suo liquidatore

Mar, 05/12/2023 - 22:24
Il tema è quello che appassiona e divide, da un po’ di anni, le aule delle commissioni tributarie e della Cassazione. Ossia: per agire contro il liquidatore ex art. 36 del D.p.r. 602/73 è necessario che prima l’Ufficio iscriva a ruolo le somme dovute dalla società estinta? Oppure può notificare a entrambi, cioè società e liquidatore, l’avviso di accertamento? La Cassazione, a Sezioni Unite, quindi con un certo peso nella decisione, hanno messo la parola fine al dibattito giurisprudenziale e dottrinale stabilendo che non serve la preventiva iscrizione a ruolo nei confronti della società per poter chiedere il dovuto, poi, al liquidatore. Il principio di diritto è contenuto nella sentenza n. 32790 del 27 novembre 2023. Per dovere di esposizione, si ricorda che la diatriba trae origine dall'interpretazione dell art. 36 del D.p.r. 602/73 dove, al primo comma, prevede che il liquidatore è responsabile in proprio del pagamento delle imposte se non prova di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all'assegnazione di beni ai soci o associati oppure di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale tipo di responsabilità, per copiosa giurisprudenza di legittimità, confermata definitivamente dalla sentenza in commento, è una responsabilità che ha natura civilistica e non tributaria. Ciò implica che non vi sia nessuna successione di rapporti fra soggetto sociale estinto e liquidatore. Il liquidatore non è un coobbligato della società, ma bensì un ulteriore responsabile nel soddisfare i creditori sociali. Sul liquidatore, dunque, sorge una ipotesi di responsabilità nuova, con la quale l’Erario acquisisce un diritto al pagamento di quanto dovuto che è autonomo rispetto all’obbligazione fiscale vera e propria imputata alla società estinta.   Sancito questo principio, secondo gli Ermellini è più semplice stabilire se il Fisco necessita di un titolo esecutivo per agire contro il liquidatore della società estinta. Il ragionamento che viene svolto dai Giudici è assai semplice. I creditori ordinari possono agire contro il liquidatore ai sensi dell’art. 2495 del Codice civile, senza alcun obbligo di dotarsi di un titolo esecutivo preventivo. Devono solo provare che il credito insoddisfatto è liquido ed esigibile. Da ciò i Giudici si domandano per quale motivo il Fisco, che è un creditore al pari degli altri, debba precostituirsi un titolo esecutivo non richiesto agli altri creditori. In più, a essere precisi, l’avviso di accertamento è esso stesso, per legge, un titolo esecutivo e, pertanto, l’Erario il fantomatico titolo esecutivo lo possiede nel momento stesso in cui viene emesso l’avviso di accertamento. Sul finire della sentenza la Cassazione apre uno scenario importante, introducendo la possibilità che il liquidatore possa discutere anche dell’accertamento emesso nei confronti della società estinta. Quest’ultima, infatti, non può stare in giudizio perché, appunto, estinta. Di conseguenza, quindi, l’avviso di accertamento nei suoi confronti, in punta di diritto, non può essere impugnato. Sulla questione scrive la Suprema Corte: “non può dubitarsi […] che il liquidatore, in sede di ricorso innanzi agli Organi di giustizia tributaria, possa confutare anche la sussistenza (come accertata nell’avviso emesso nei suoi confronti) di imposte a carico della società, al fine di escludere il contestatogli inadempimento agli obblighi connaturati alla carica ricoperta”. Concetto pienamente ribadito nel principio di diritto contenuto nella sentenza in commento. Si legge, infatti, che il liquidatore potrà contestare “la sussistenza dei presupposti dell’azione intrapresa nei suoi confronti ivi compresa la debenza di imposte a carico della società”. Se non è questa una forma di litisconsorzio necessario fra società estinta e liquidatore, poco ci manca.   Notizie ImpreseOggi
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Gli eredi che rivalutano nuovamente le partecipazioni del defunto non hanno diritto al rimborso di quanto pagato da quest’ultimo

Ven, 17/11/2023 - 23:48
Nell’ambito dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione delle partecipazioni ex art. 5 L. 448/2001, gli eredi del contribuente defunto che in vita ha effettuato una prima rivalutazione delle partecipazioni, non hanno diritto al rimborso di quanto pagato da quest’ultimo, nel caso in cui gli stessi procedano successivamente a una seconda rivalutazione. L’interessante principio di diritto è contenuto nella sentenza della Corte di Cassazione n. 31263/2023 del 07 luglio 2023 e pubblicata il 09 novembre 2023. La decisione degli Ermellini trae origine dalla richiesta di rimborso avanzato dagli eredi di un contribuente defunto che in vita aveva versato la prima rata dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione delle partecipazioni. Il motivo della richiesta di rimborso avanzata risiedeva nel fatto che gli eredi, una volta acquisite le partecipazioni, avevano provveduto anch’essi a versare l’imposta per una seconda rivalutazione. Di fronte al diniego avanzato dall’Ufficio i contribuenti hanno presentato ricorso in primo grado, vedendosi però negate le proprie richieste. La Commissione Tributaria Regionale ribalta la sentenza di primo grado e dispone il rimborso così come richiesto dai contribuenti.  Contro questa decisione propone ricorso l’Agenzia delle Entrate, eccependo che la decisione dei Giudici di Secondo grado è da ritenersi sbagliata e in contrasto sia con la normativa che con la giurisprudenza. Ciò in quanto una volta pagata l’imposta da parte del contribuente, poi deceduto, eventuali scelte successive rimangono esclusivamente personali e non possono essere “ereditate” dai familiari. La Cassazione riconosce fondate le tesi avanzate dall’Ufficio. In via preliminare osserva che l’adesione alla rivalutazione rappresenta una dichiarazione di volontà irretrattabile e, come tale, può essere modificata sono nel caso di un errore obiettivamente riconoscibile ed essenziale. Il pagamento dell’imposta sostitutiva rappresenta, dunque, la ferma volontà del contribuente ad aderire all’istituto agevolato, non potendo semplicemente egli stesso ammettere di “essersi sbagliato”. Neanche in vita, dunque, secondo la Cassazione un soggetto può chiedere il rimborso di quanto pagato a titolo di imposta sostitutiva. L’unico modo per modificare la scelta iniziale è quello di procedere a una nuova rivalutazione. Con la successione, osservano sempre gli Ermellini, gli eredi non sono diventati titolari del diritto al rimborso della prima rivalutazione, perché questo diritto rimane in capo solo ed esclusivamente al contribuente che ha pagato la prima volta e solo se effettua una nuova rivalutazione. Gli eredi diventano semplicemente titolari della partecipazione del defunto. Conclude la Cassazione osservando che il diritto al rimborso, pertanto, spetta soltanto al soggetto che abbia già versato l’imposta sostitutiva in occasione della prima rivalutazione, e ciò proprio in virtù del carattere personale dell’opzione fiscale sopra specificata, che si caratterizza per essere una dichiarazione di volontà non revocabile”. Notizie ImpreseOggi
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Gli eredi che rivalutano nuovamente le partecipazioni del defunto non hanno diritto al rimborso di quanto pagato da quest’ultimo

Ven, 17/11/2023 - 23:48
Nell’ambito dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione delle partecipazioni ex art. 5 L. 448/2001, gli eredi del contribuente defunto che in vita ha effettuato una prima rivalutazione delle partecipazioni, non hanno diritto al rimborso di quanto pagato da quest’ultimo, nel caso in cui gli stessi procedano successivamente a una seconda rivalutazione. L’interessante principio di diritto è contenuto nella sentenza della Corte di Cassazione n. 31263/2023 del 07 luglio 2023 e pubblicata il 09 novembre 2023. La decisione degli Ermellini trae origine dalla richiesta di rimborso avanzato dagli eredi di un contribuente defunto che in vita aveva versato la prima rata dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione delle partecipazioni. Il motivo della richiesta di rimborso avanzata risiedeva nel fatto che gli eredi, una volta acquisite le partecipazioni, avevano provveduto anch’essi a versare l’imposta per una seconda rivalutazione. Di fronte al diniego avanzato dall’Ufficio i contribuenti hanno presentato ricorso in primo grado, vedendosi però negate le proprie richieste. La Commissione Tributaria Regionale ribalta la sentenza di primo grado e dispone il rimborso così come richiesto dai contribuenti.  Contro questa decisione propone ricorso l’Agenzia delle Entrate, eccependo che la decisione dei Giudici di Secondo grado è da ritenersi sbagliata e in contrasto sia con la normativa che con la giurisprudenza. Ciò in quanto una volta pagata l’imposta da parte del contribuente, poi deceduto, eventuali scelte successive rimangono esclusivamente personali e non possono essere “ereditate” dai familiari. La Cassazione riconosce fondate le tesi avanzate dall’Ufficio. In via preliminare osserva che l’adesione alla rivalutazione rappresenta una dichiarazione di volontà irretrattabile e, come tale, può essere modificata sono nel caso di un errore obiettivamente riconoscibile ed essenziale. Il pagamento dell’imposta sostitutiva rappresenta, dunque, la ferma volontà del contribuente ad aderire all’istituto agevolato, non potendo semplicemente egli stesso ammettere di “essersi sbagliato”. Neanche in vita, dunque, secondo la Cassazione un soggetto può chiedere il rimborso di quanto pagato a titolo di imposta sostitutiva. L’unico modo per modificare la scelta iniziale è quello di procedere a una nuova rivalutazione. Con la successione, osservano sempre gli Ermellini, gli eredi non sono diventati titolari del diritto al rimborso della prima rivalutazione, perché questo diritto rimane in capo solo ed esclusivamente al contribuente che ha pagato la prima volta e solo se effettua una nuova rivalutazione. Gli eredi diventano semplicemente titolari della partecipazione del defunto. Conclude la Cassazione osservando che il diritto al rimborso, pertanto, spetta soltanto al soggetto che abbia già versato l’imposta sostitutiva in occasione della prima rivalutazione, e ciò proprio in virtù del carattere personale dell’opzione fiscale sopra specificata, che si caratterizza per essere una dichiarazione di volontà non revocabile”. Notizie ImpreseOggi
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La vendita di un fabbricato che viene successivamente demolito non genera mai plusvalenza come area fabbricabile.

Mar, 07/11/2023 - 21:57
In materia di imposta sui redditi, la vendita di un fabbricato che viene poi successivamente demolito dall’acquirente, non può mai essere riqualificata come cessione di terreno edificabile e, di conseguenza, la plusvalenza non può formare oggetto di tassazione se realizzata dopo cinque anni dall’acquisto del bene oggetto di vendita, nemmeno se sul terreno può essere costruita una volumetria aggiuntiva rispetto a quella effettivamente edificata. Così si è espressa la Corte di Cassazione, con sentenza n. 30346 del 13.10.2023 pubblicata il 31.10.2023, sull’annosa questione che vede l’Agenzia delle Entrate riqualificare gli atti di cessione di fabbricati poi demoliti in atti di cessione di terreni edificabili, cosicchè da richiedere le imposte sulle plusvalenze ben oltre i cinque anni dal loro acquisto. Un caso ormai da manuale, che evidenzia il tentativo del Fisco di recuperare imposte anche dove queste non ci sono. In quello oggetto di decisione vede protagonista un contribuente destinatario di un avviso di accertamento in quanto ha provveduto a vendere un fabbricato sul quale era già stato rilasciato un Piano di recupero da parte del Comune che prevedeva anche un aumento di cubatura rispetto a quella già edificata. La commissione tributaria di primo grado ha accolto il ricorso del contribuente, mentre quella di secondo grado lo ha rigettato dando ragione all’Agenzia delle Entrate. Quasi surreale la tesi espressa dai giudici di secondo grado nell’accogliere la tesi dell’Ufficio: “ragionando diversamente, si potrebbe verificare che il titolare di una grande area edificabile potrebbe avere l’accortezza di edificarvi un pollaietto per poi fingere, cinque anni dopo, di vendere il suddetto pollaio, sia pure allo scopo implicito di fare utilizzare tutta la volumetria potenziale dell’area, ovviamente previa demolizione dell’ormai inutile pollaio”. La Suprema Corte interviene e ripristina la superiorità del diritto rispetto ai pollaietti. Lo fa richiamando sue sentenze passate (la 1674/2018) per ribadire che nel nostro ordinamento sono soggette a tassazione separata le plusvalenze realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria e non anche i terreni sui quali sono edificati dei fabbricati. Questo criterio vale anche se si è già presentata una domanda di concessione edilizia, in quanto l’articolo 81 del Tuir, che si ricorda governa la tassazione in caso di cessione di aree edificabili, si ispira al principio che oggetto di tassazione è la destinazione edificatoria del terreno e non l’attività che il proprietario o il possessore successivamente pongono in essere su di esso. In merito, poi, al fatto che sul terreno si possa costruire una volumetria maggiore rispetto a quella esistente, la Cassazione osserva che nel nostro ordinamento esiste l’alternativa fra edificato e non edificato, e non è ammesso che l’Agenzia delle Entrate crei una terza categoria, formata da quei fabbricati suscettibili di aumento di volumetria. La cessione di un edificio di questa specie, scrivono i Giudici della Suprema Corte, “non può essere riqualificata dall’Amministrazione finanziaria come cessione del terreno edificabile sottostante, neppure se l’edificio non assorbe integralmente la capacità edificatoria del lotto su cui insiste, essendo inibito all’Ufficio, in sede di riqualificazione, superare il diverso regime fiscale previsto tassativamente dal legislatore per la cessione di edifici e per quella dei terreni”. Notizie ImpreseOggi
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La vendita di un fabbricato che viene successivamente demolito non genera mai plusvalenza come area fabbricabile.

Mar, 07/11/2023 - 21:57
In materia di imposta sui redditi, la vendita di un fabbricato che viene poi successivamente demolito dall’acquirente, non può mai essere riqualificata come cessione di terreno edificabile e, di conseguenza, la plusvalenza non può formare oggetto di tassazione se realizzata dopo cinque anni dall’acquisto del bene oggetto di vendita, nemmeno se sul terreno può essere costruita una volumetria aggiuntiva rispetto a quella effettivamente edificata. Così si è espressa la Corte di Cassazione, con sentenza n. 30346 del 13.10.2023 pubblicata il 31.10.2023, sull’annosa questione che vede l’Agenzia delle Entrate riqualificare gli atti di cessione di fabbricati poi demoliti in atti di cessione di terreni edificabili, cosicchè da richiedere le imposte sulle plusvalenze ben oltre i cinque anni dal loro acquisto. Un caso ormai da manuale, che evidenzia il tentativo del Fisco di recuperare imposte anche dove queste non ci sono. In quello oggetto di decisione vede protagonista un contribuente destinatario di un avviso di accertamento in quanto ha provveduto a vendere un fabbricato sul quale era già stato rilasciato un Piano di recupero da parte del Comune che prevedeva anche un aumento di cubatura rispetto a quella già edificata. La commissione tributaria di primo grado ha accolto il ricorso del contribuente, mentre quella di secondo grado lo ha rigettato dando ragione all’Agenzia delle Entrate. Quasi surreale la tesi espressa dai giudici di secondo grado nell’accogliere la tesi dell’Ufficio: “ragionando diversamente, si potrebbe verificare che il titolare di una grande area edificabile potrebbe avere l’accortezza di edificarvi un pollaietto per poi fingere, cinque anni dopo, di vendere il suddetto pollaio, sia pure allo scopo implicito di fare utilizzare tutta la volumetria potenziale dell’area, ovviamente previa demolizione dell’ormai inutile pollaio”. La Suprema Corte interviene e ripristina la superiorità del diritto rispetto ai pollaietti. Lo fa richiamando sue sentenze passate (la 1674/2018) per ribadire che nel nostro ordinamento sono soggette a tassazione separata le plusvalenze realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria e non anche i terreni sui quali sono edificati dei fabbricati. Questo criterio vale anche se si è già presentata una domanda di concessione edilizia, in quanto l’articolo 81 del Tuir, che si ricorda governa la tassazione in caso di cessione di aree edificabili, si ispira al principio che oggetto di tassazione è la destinazione edificatoria del terreno e non l’attività che il proprietario o il possessore successivamente pongono in essere su di esso. In merito, poi, al fatto che sul terreno si possa costruire una volumetria maggiore rispetto a quella esistente, la Cassazione osserva che nel nostro ordinamento esiste l’alternativa fra edificato e non edificato, e non è ammesso che l’Agenzia delle Entrate crei una terza categoria, formata da quei fabbricati suscettibili di aumento di volumetria. La cessione di un edificio di questa specie, scrivono i Giudici della Suprema Corte, “non può essere riqualificata dall’Amministrazione finanziaria come cessione del terreno edificabile sottostante, neppure se l’edificio non assorbe integralmente la capacità edificatoria del lotto su cui insiste, essendo inibito all’Ufficio, in sede di riqualificazione, superare il diverso regime fiscale previsto tassativamente dal legislatore per la cessione di edifici e per quella dei terreni”. Notizie ImpreseOggi
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Legge di Stabilità 2024: prevista la sanatoria per le rimanenze di magazzino.

Mer, 01/11/2023 - 11:22
La legge di Stabilità 2024 ripropone, dopo quasi vent’anni dall’ultima applicazione, la sanatoria per le rimanenze di magazzino. Prevista dall’art. 20 della bozza in discussione in questo momento al Senato, la misura consente, attraverso il pagamento di una imposta sostitutiva, di adeguare in aumento o in diminuzione le rimanenze iniziali delle imprese, ai fini del conteggio previsto dall’art. 92 del Tuir, con effetto dall’esercizio in corso al 30 settembre 2023. L’adeguamento può essere fatto in due modi:
  • Eliminando le rimanenze iniziali conteggiate in eccesso rispetto a quelle effettive;
  • Aumentando le rimanenze iniziali conteggiate in difetto rispetto a quelle effettive.
QUANTO SI PAGA

1. In caso di eliminazione occorre pagare:

  • L’imposta sul valore aggiunto, che viene calcolata in questo modo:

aliquota media IVA anno 2023

X

(Valore eliminato x coefficiente di maggiorazione stabilito con decreto dirigenziale da emanarsi)

 

  • L’imposta sostitutiva sui redditi e sull’Irap pari al 18% calcolata nel seguente modo:

aliquota 18%

X

(Valore eliminato x coefficiente di maggiorazione – Valore eliminato)

 

​2. In caso di aumento del valore delle rimanenze iniziali, si pagherà solo l’imposta sostitutiva del 18% da applicarsi unicamente sul valore di tale aumento.

COME SI PAGA La sanatoria può essere fatta nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo in corso al 30 settembre 2023. Per le imprese che hanno esercizio coincidente con l’anno solare tale possibilità scatterà nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 2023. Il pagamento avviene in due rate di pari importo con le seguenti scadenze:
  • La prima entro la scadenza per il versamento delle imposte a saldo relative all’anno di imposta in corso al 30 settembre 2023;
  • La seconda entro la scadenza per il versamento dell’acconto per l’anno successivo a quello di riferimento della sanatoria;
Dalla lettura del testo in discussione pare di comprendere che il mancato pagamento delle imposte sostitutive non comporta la decadenza dalla sanatoria ma semplicemente il recupero di quanto omesso.   Effetti della sanatoria. L’adeguamento del valore delle rimanenze non rileva ai fini dell’applicazione di sanzioni di nessun tipo. Il valore rettificato può essere utilizzato a decorrere dall’esercizio in corso al 30 settembre 2023 e tale valore non può essere utilizzato come base per l’accertamento di periodi di imposta pregressi a quelli in cui ha effetto. In sostanza l’Ufficio non può accertare induttivamente gli anni precedenti basandosi unicamente sul maggior valore dichiarato ai fini della sanatoria. L’adeguamento delle rimanenze non ha effetto sui controlli già iniziati, sia che siano processi verbali di constatazione in corso oppure accertamenti già notificati alla data di entrata in vigore della Legge di Stabilità 2024 (credibilmente alla fine di dicembre 2023). Infine l’imposta sostitutiva pagata non è deducibile ai fini delle imposte sui redditi, addizionali e Irap. Notizie ImpreseOggi
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Legge di Stabilità 2024: prevista la sanatoria per le rimanenze di magazzino.

Mer, 01/11/2023 - 11:22
La legge di Stabilità 2024 ripropone, dopo quasi vent’anni dall’ultima applicazione, la sanatoria per le rimanenze di magazzino. Prevista dall’art. 20 della bozza in discussione in questo momento al Senato, la misura consente, attraverso il pagamento di una imposta sostitutiva, di adeguare in aumento o in diminuzione le rimanenze iniziali delle imprese, ai fini del conteggio previsto dall’art. 92 del Tuir, con effetto dall’esercizio in corso al 30 settembre 2023. L’adeguamento può essere fatto in due modi:
  • Eliminando le rimanenze iniziali conteggiate in eccesso rispetto a quelle effettive;
  • Aumentando le rimanenze iniziali conteggiate in difetto rispetto a quelle effettive.
QUANTO SI PAGA

1. In caso di eliminazione occorre pagare:

  • L’imposta sul valore aggiunto, che viene calcolata in questo modo:

aliquota media IVA anno 2023

X

(Valore eliminato x coefficiente di maggiorazione stabilito con decreto dirigenziale da emanarsi)

 

  • L’imposta sostitutiva sui redditi e sull’Irap pari al 18% calcolata nel seguente modo:

aliquota 18%

X

(Valore eliminato x coefficiente di maggiorazione – Valore eliminato)

 

​2. In caso di aumento del valore delle rimanenze iniziali, si pagherà solo l’imposta sostitutiva del 18% da applicarsi unicamente sul valore di tale aumento.

COME SI PAGA La sanatoria può essere fatta nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo in corso al 30 settembre 2023. Per le imprese che hanno esercizio coincidente con l’anno solare tale possibilità scatterà nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 2023. Il pagamento avviene in due rate di pari importo con le seguenti scadenze:
  • La prima entro la scadenza per il versamento delle imposte a saldo relative all’anno di imposta in corso al 30 settembre 2023;
  • La seconda entro la scadenza per il versamento dell’acconto per l’anno successivo a quello di riferimento della sanatoria;
Dalla lettura del testo in discussione pare di comprendere che il mancato pagamento delle imposte sostitutive non comporta la decadenza dalla sanatoria ma semplicemente il recupero di quanto omesso.   Effetti della sanatoria. L’adeguamento del valore delle rimanenze non rileva ai fini dell’applicazione di sanzioni di nessun tipo. Il valore rettificato può essere utilizzato a decorrere dall’esercizio in corso al 30 settembre 2023 e tale valore non può essere utilizzato come base per l’accertamento di periodi di imposta pregressi a quelli in cui ha effetto. In sostanza l’Ufficio non può accertare induttivamente gli anni precedenti basandosi unicamente sul maggior valore dichiarato ai fini della sanatoria. L’adeguamento delle rimanenze non ha effetto sui controlli già iniziati, sia che siano processi verbali di constatazione in corso oppure accertamenti già notificati alla data di entrata in vigore della Legge di Stabilità 2024 (credibilmente alla fine di dicembre 2023). Infine l’imposta sostitutiva pagata non è deducibile ai fini delle imposte sui redditi, addizionali e Irap. Notizie ImpreseOggi
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Cassazione: ai fini fiscali l’esclusione di un socio di società di persone ha efficacia dopo trenta giorni dalla comunicazione al socio escluso

Dom, 29/10/2023 - 19:53
In caso di mutamento, nel corso dell’esercizio, della compagine sociale di una società di persone a causa dell’esclusione di un socio, per individuare i soci a cui imputare i redditi di tale esercizio, occorre tenere presente che la delibera di esclusione ha effetto, ai sensi dell’art. 2287 del codice civile, dopo trenta giorni dalla comunicazione dell’esclusione al socio stesso. Questo principio di diritto è contenuto nella sentenza n. 29775 della Cassazione, sezione V Civile, del 12 ottobre 2023 e pubblicata il 26 ottobre 2023.   Il caso, per cui si sono pronunciati gli Ermellini, riguarda un accertamento emesso nei confronti di una s.a.s. con tre soci, nella quale uno di questi è stato escluso con delibera datata 14 dicembre 2016. Per l’Ufficio, i soggetti obbligati al pagamento delle maggiori imposte per l’anno 2016 sono i due soci superstiti, e non anche il terzo escluso in quanto la delibera di esclusione è stata presa con effetto immediato. Il fatto che la delibera abbia effetto immediato, secondo il Fisco, deroga quanto riportato nel comma 1 dell’art. 2887 del Codice Civile, facendo rimanere in vita solo il secondo comma dell’articolo stesso, che impone il limite dei trenta giorni solo al diritto del socio escluso di proporre ricorso contro la decisione a lui avversa. I contribuenti ricorrono contro l’accertamento e in primo grado ottengono ragione. L’Ufficio propone, quindi, ricorso in secondo grado e la C.T.R. adita ribalta la decisione di primo grado e riconosce la validità dell’operato dell’ufficio fiscale. A questo punto i contribuenti si rivolgono alla Cassazione la quale, alla fine, sconfessa l’operato dell’Ufficio ed estende anche al socio escluso il maggior reddito per l’anno 2016. Il ragionamento a fondamento della decisione della Corte di Cassazione, si basa sul dettato letterale dell’art. 2887 del Codice Civile. In esso si legge, chiaramente, che “l'esclusione è deliberata dalla maggioranza dei soci, non computandosi nel numero di questi il socio da escludere, ed ha effetto decorsi trenta giorni dalla data della comunicazione al socio escluso. I Giudici scrivono che “la chiarezza del testo normativo non lascia dubbi interpretativi in ordine alla doppia rilevanza del termine di trenta giorni, decorrenti dalla comunicazione della delibera al socio escluso: al suo decorso, infatti, è collegato sia il prodursi dell’effetto costitutivo dello scioglimento del rapporto sociale sia la decadenza dall’impugnazione”. Inoltre, nel caso di specie, nulla rileva che la delibera di esclusione sia stata dichiarata immediatamente esecutiva dai soci superstiti: infatti l’intero art. 2887 del Codice Civile è a tutela del socio escluso, al quale non può essere compresso un diritto sulla base della volontà di soggetti a lui estranei. In tal senso si è espressa la Cassazione con la sentenza 5958/1993.   Notizie ImpreseOggi
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