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La casa di Kikko (il mio blog)

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Il blog di Enrico Rotelli: la mia Rimini, appunti, viaggi, racconti, articoli, libri e qualche foto…
Aggiornato: 3 giorni 5 ore fa

Buon Natale 2012 (e tutto quel che segue)

Lun, 24/12/2012 - 23:16

Non è che sia un Natale particolarmente brillante: fuori fa freddo ed è pure umido, c'è la crisi, le sfighe si accumulano e per chi ha quella ulteriore di essere di sinistra ci sono pure le primarie, con il loro corollario di sorrisi davanti e coltelli di dietro. Ma c'è chi sta peggio. Per cui vi auguro che almeno il Natale sia sereno. E per il resto, ma proprio tutto il resto, c'è sempre l'adagio di Rossella O'Hara: «non ci posso pensare ora. Ci penserò domani». Auguri.

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Letterina di Natale

Sab, 08/12/2012 - 04:15

Davanti a me ho la lettera di licenziamento. Per conoscenza. Perché è indirizzata alla direzione territoriale del lavoro. La forma non è ancora raffinata nella cooperazione. Ma è solo questione di tempo, impareranno. E in fondo non ha importanza: lo sapevo. Me l'hanno detto in un colloquio. Tutti lo sapevamo. Era nell'aria. Abbiamo perso l'appalto e in genere questa è la trafila: si può passare alla coop che subentra. La Direzione Territoriale convoca il tavolo con le Parti e si definisce la trattativa. A fine mese si può scegliere. O si passa di là, all'altra cooperativa (non sociale) – e il lavoro riprende - o la disoccupazione. Poteva andare peggio. Molto peggio.

Il lavoro perduto dalla mia futura ex cooperativa sociale è la logistica (vedi wikipedia), in appalto da un'azienda leader (si dice così e in effetti lo è) nella distribuzione di libri a prezzo intero e a metà prezzo. La quale esternalizza (outsourcing) parti della lavorazione. La logistica, appunto. Una volta si chiamava facchinaggio. La sede di lavoro è l'azienda appaltante. Per chi non sapesse cos'è una cooperativa sociale, è una forma di società di lavoro che prevede almeno il 30% dei dipendenti diversamente abili o di categorie protette. Tra i miei compagni ci sono (o c'erano, a seconda della scelta che farò) disabili psichici o con ritardi cognitivi, ex carcerati, ex tossicodipendenti, disabili fisici. Io non ho fatto ancora le pratiche, ma con l'infarto mi beccherei il 40% di disabilità. Prima o poi presenterò la documentazione. E comunque, visto da vicino, nessuno è normale. Per cui, sono e mi sento pienamente integrato.

Ho iniziato il 16 giugno 2010 occupandomi delle rese dei clienti del metà prezzo. Avevo il mio computer, uno scanner, come quelli del supermercato, e su un grande banco di lavoro ci passavo sopra i codici a barre dei libri. Ero le Rese, nome proprio di settore. Se il libro era stato acquistato lì, il programma (una robaccia in AS400) lo accreditava al cliente. Se no, no. Se il libro era integro, lo mettevo in un bancale di libri misti, ben ordinato con il dorso all'esterno, se era rotto nel bancale che andava al macero, se era un dizionario lo mettevo con i dizionari, se era un illustrato lo mettevo tra gli illustrati, se era un net price (mai capito cosa volesse dire) lo mettevo in uno dei tre tipi di net price e via così. Ero una specie di cassiera del supermercato che lavorava al contrario. Un privilegiato, rispetto agli altri nel capannone. Otto ore al giorno dalle 7,30, una pausa alle 10, una alle 11,30, una pausa pranzo di mezz'ora alle 12,30, una alle 14,30, fine turno alle 16.

Il caposquadra mi disse che dovevo lavorare 1800 libri al giorno per pagarmi lo stipendio. Calcolando un giorno di otto ore, ovvero 480 minuti, ovvero 28800 secondi fa un libro passato allo scanner ogni 16 secondi. Compresi naturalmente lo spostamento dei bancali – tra i 400 e i 600 kg - , la creazione dei file di pratiche nel computer, l'apertura delle scatole, il posizionamento dei libri in entrata sul bancone, quelli in uscita, l'ordinamento dei libri lavorati sul bancale, lo smistamento negli altri bancali se libri di tipo “speciale”. Più altre mansioni che rientravano nell'appalto per il settore Rese. Non era vero, ne bastavano 1650. Era solo un trucchetto per farmi aumentare la produttività. Roba imparata probabilmente alla scuola di Muccioli (sì, proprio quello della porcilaia). Niente in confronto a quello che gli ho visto fare.

Quando finivo tutte le rese (ci son voluti sei mesi: avevamo molto lavoro arretrato), andavo a dare una mano a quelli di là dal mio banco di lavoro, alle Lavorazioni (con la elle maiuscola, nome proprio di settore). Il che significava togliere le etichette dai libri a metà prezzo con un taglierino, attaccarne di nuove con stampigliato il prezzo e la promozione di cui facevano parte, confezionarli in confezioni. Parliamo di bancali, roba da Grande Distribuzione Organizzata, tipo iper – ultra - mega centri commerciali. Ognuno si metteva al proprio banco- faccia la muro -, un bancale di libri ai quali attingere, una pila sul banco, un nastro di etichette e via così ad attaccare, libro dopo libro, pila dopo pila, bancale dopo bancale, ordine dopo ordine. Otto ore al giorno. In piedi al freddo d'inverno – il capannone non è riscaldato – in piedi al caldo d'estate – il capannone non è refrigerato – la polvere del vicino cementificio tutto l'anno. Dopo un paio d'ore di sto stacca e attacca mi sbarluggicavano gli occhi e barcollavo. Per questo mi consideravo un privilegiato, dietro il mio computer.

Per i disabili psichici invece era un "toccasana". Il lavoro deve essere semplice e ripetitivo, devi dargli istruzioni chiare, devono poter lavorare sereni e quindi tutto fila liscio. Senno entrano in difficoltà. Ci sono persone che si preoccupano di questo in cooperativa, credo in tutte le cooperative sociali. Gente che si preoccupa di trovare le commesse adatte. E nella commessa il lavoro adatto. Che seguono i lavoratori fuori dal lavoro e che intervengono se danno segni di difficoltà, per permettergli di fare la loro parte. Di guadagnarsi il loro stipendio. Insieme ai colleghi, ovvio. Perché tutti hanno le loro magagne. E gestire il proprio lavoro non è facile, se sei uno “svantaggiato”. Gestire le cose, non è facile. Gestire i rapporti, non è facile. Se un amico mi dice «Sono preoccupato un po' per mio figlio, lo vedo irrequieto, ricorda me alla sua età» siamo nell'ordinaria amministrazione di padre di famiglia. Se me lo dice un collega che zoppica perché ha un tendine reciso dal proiettile di un rappresentante di gioielli, esploso mentre lo stava rapinando quando aveva l'età del figlio, beh, capisco il suo tono preoccupato. E siccome tutti hanno le loro magagne, il clima viaggia verso una solidale armonia. Con qualche piccolo scazzo e antipatia, chiaro. Se il clima non viaggia così, è perché qualcuno le proprie magagne non se le ricorda. O le nasconde dietro la sua “responsabilità”.

Quando ho iniziato a lavorare, il 16 giugno 2010, avevo paura. L'infarto mi aveva ridotto a pezzi. Tutto ciò che riguardava il mio vecchio lavoro connesso con la politica mi era proibitivo. Quando sul display del telefono compariva il nome del mio cliente sentivo una fitta alla sinistra del petto. Quando facevo un po' più di fatica sentivo la stessa fitta. Ero terrorizzato. Dopo l'elettrocadiogramma sotto sforzo, a due mesi dall'infarto, ho chiesto alla dottoressa a bruciapelo: «Ma io, che aspettativa di vita ho?». Mi ha guardato come se fossi matto. Matto non so, ma stupido sì: il cuore è sotto lo sterno, ben lontano da dove sentivo la fitta. Ma la psiche viaggia per cazzi suoi e finché non la incocci con una buona analisi, governa lei. Pure dopo, ma un po' meno. Anche l'affitto viaggia per cazzi suoi, come il supermercato e il benzinaio. E le uniche parole che stendevo sulla carta che avessero senso erano quelle per l'Unità. Le altre, non le riconoscevo. La gestione dei siti, l'Html, i Css, non esistevano più. Le entrate quindi erano un po' pochine per tutta quella roba che viaggiava. E avevo bisogno di lavorare. Mesi dopo, a un corso di formazione un cooperatore sociale ferrarese raccontava dei loro servizi di orientamento al lavoro per persone in difficoltà. Non roba da Ufficio di collocamento. Roba un po' più pesa. «Da noi vengono persone vinte. Vinte dalla vita». Parlava di me. Ero un vinto. Il mio cuore mi aveva sconfitto. E sapevo che anche lui era stato vinto. Da tutto il resto. Dovevo cambiare.

Continua

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Renzi e gli amici di destra che vogliono votare alle primarie

Gio, 22/11/2012 - 23:29

Ognuno ha gli amici che si merita. I miei erano berlusconiani. Prima. Ora sono accesi renziani. Non quello di borgo Marina. Quello di Firenze. E sono certo che ci sia un nesso, nel profondo del loro Io di destra. Ultra destra. Venerdì sera, canonica decompressione post lavorativa per soli uomini. All'ordine del giorno chiacchiere che, curiosamente, concedono poco al calcio e quasi tutto alla politica. Donne: niente. Son tutti sposati da anni, meno se ne parla e meglio è. Ma anche se ci fosse quest'ultimo ingrediente, sarebbe comunque una palla galattica perché A) son tutti di destra e quindi mi tocca fare o il sacco delle botte o lo spalanuvole (bella immagine, Niky, massimo rispetto) o il comunista; B) finita la mia striminzita birra mi devo cartonare il culo aspettando che si schiodino dalle loro triple medie con sgranocchiamento; C) devo sentire sproloqui sull'amministrazione della cosa pubblica senza che sappiano minimamente di cosa parlano. Per dirne una, Italo è ancora convinto che il nostro sia un sistema elettorale maggioritario. E invece è proporzionale. Ma sono amici veri e e non li cambierei per niente al mondo.

Ora il tormento è per le primarie. E Italo è saltato su che vuol venire a votare. Alla prima uscita ignoro. Tattica da vittima. Speri che il primo colpo sia estemporaneo. Non lo è. Ricolpisce. «Ah, ho deciso, io vado a votare Renzi». «Renzi?- sonnecchia Marco – vuoi andarlo a votare?» «Sì, io lo voterei». «Ma Italo – gli faccio – tu non sei un elettore del centrosinistra. Te sei di destra. Anzi, più che di destra, cosa vuoi venire a votare Renzi». «Io lo voterei, invece. Se fosse il candidato premier, io lo voterei». «Ma va là, te non c'entri niente con il centrosinistra, lo voteresti alle primarie, ma poi alle elezioni voteresti come al solito». Pigo, che sta maturando una verve più moderata, contraddice il fratello: «ma cosa vai a votare alle primarie del Pd, tu cosa c'entri?» «Io niente, ma Renzi lo voterei, ci vuole un po' di novità». «Ma sono le loro primarie, te non c'entri niente». «Perché, se sono le loro primarie io non posso votare?». ««Puoi votare – gli faccio – però devi registrarti all'albo degli elettori del centrosinistra. E te non sei un elettore del centrosinistra. Non lo sei mai stato e non lo sarai mai». «Ma io voglio votare Renzi anche se non sono del centrosinistra». «E Pigo: «Ma sono le loro primarie, te non c'entri niente. E' come se venissero in azienda da te e decidessero, chessò, cosa dovete fare. Te t'incazzeresti». «Cosa c'entra... Io voglio votare Renzi. Come si fa?». «E' semplice – faccio conciliante - te vai a iscriverti alle primarie e firmi che sei un elettore del centrosinistra. Sei disposto a firmare?» «Sì» «Che sei un elettore del centrosinistra?! Te?!». «Sì». «Ma non dire cazzate. Te non mi hai nemmeno votato quando ero candidato al consiglio di quartiere... Non ti ricordi più? Mi hai pure scritto una mail dicendomi che, di fronte alla scheda, hai visto il simbolo e non ce l'hai fatta. Un simbolo microscopico. Ed ero candidato ad una roba che non serviva a niente. Figurati se poi alle elezioni voti uno del Pd. A governare l'Italia».

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Internet banking (e social surf) protetto, una campagna belga

Mer, 07/11/2012 - 11:18

Il video fa parte di una campagna, Safe Internet banking (http://www.febelfin.be/en/safe-internetbanking), belga. Credo sia utile in temmpi di social network dilaganti. Cheers

Deinde filosofare

Mar, 16/10/2012 - 12:48

Tutti gli anni, tra la fine di settembre e queste ore, un tarlo microscopico comincia a rodere un angolo di cuore, là dove si intersecano desiderio, amor proprio e l'arteria che va alla ragione. C'è una piccola cicatrice che il tarlo va a intaccare: quando lasciai il breve impegno dell'università. Scienze Politiche, indirizzo internazionale. Che a sentirla così suona chissà cosa, anziché poca. Il tarlo allora se ne stette buono, aveva comunque di che essere contento, perché il mio diplomino, abbandonato per le scorribande giovanili nel lavoro, l'avevo preso. E quel poco che raccontavano i docenti forlivesi l'ho inseguito per altre vie. E poi,  Primum vivere, deinde filosofare. E allora se ne stette zitto. Forse perché rincantucciato vicino all'arteria che porta alla ragione. Ma da qualche anno rifaceva capolino, un po' discreto, un po' aggressivo... Stavolta l'ho zittito.

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Quel che resta sono solo vetri e petardi scoppiati

Dom, 30/09/2012 - 19:20

Se il risultato della contestazione alla manifestazione di Forza Nuova è stato un po' di gazzarra e due vetri rotti di un'auto dei carabinieri, credo che l'Anpi abbia fatto bene ad andare a “lustrare le targhe” (come ha più o meno scritto qualcuno), in tutt'altra parte della città. Perché ha segnato diverse misure sulle distanze che possono occorrere oggi tra fascisti e antifascisti e tra metodi che accomunano o distinguono i primi dai secondi.

Forza nuova è andata, comunque la si voglia vedere, ad una conta. Con un'azione dimostrativa su scala regionale e nazionale. Sul peso che ha a Rimini abbiamo già avuto prove evidenti della sua inconsistenza, così come della soglia di attenzione che raccoglie. Sono pochi e non riescono ad andare oltre la stanca litania di teorie ormai rese opaline dalla storia. Non parliamo della loro capacità organizzativa: qualche volantino e un tentativo maldestro finito in giudicato. Una minaccia risibile, insomma: il mascellone, se potesse, li avrebbe già rispediti tra i balilla. La manifestazione di ieri, anche se “organizzata” su scala regionale, non ha superato di molto quelle precedenti. E sì che siamo la terra natia del mascellone. Una ventina di agenti in tenuta antisomossa la dice lunga sulla reale preoccupazione che ha destato il numero dei militanti neri e dei loro contestatori. Il bilancio delle vittime, qualche petardo scoppiato e due vetri rotti, sintetizza il portato degli ideali che li animano. Evitare il terreno di “confronto” con gli uni e gli altri, andando altrove quindi, è stata la summa della filosofia cittadina: quando sei in strada, non parlare con i patacca, chi ti guarda da lontano non capisce la differenza.

Anche andare al parco Cervi ha significato in qualche modo andare alla conta. Intanto per chi si riconosce nell'eredità lasciata dagli antifascisti, quelli scomparsi o con i radi capelli bianchi che l'antifascismo l'hanno vissuto sulla propria pelle. Che, per chi non lo ricordasse, si riassume nella Carta Costituzionale. Ma ha significato anche andare alla conta di chi non sceglie un metodo: quello dei fascisti. E decide di non porsi né allo stesso livello né sulla medesima prospettiva, temporale e politica. Né, tantomeno, prestarsi ad un gioco delle parti che, alla fine, non paga. Ai monumenti di Morri la somma di chi ha ribadito la propria appartenenza mostra un saldo positivo che doppia i manifestanti e i loro interlocutori. E pur senza clamore, soffoca gli echi ormai sordi di parole d'ordine stantie. Non è poco. Anzi, è abbastanza per riflettere su come, almeno a Rimini e provincia, coltivare in futuro il terreno della cultura democratica.

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I robottini da cucina, (forse) il peggior investimento di un single

Ven, 28/09/2012 - 22:25

Tra gli utensili di cucina che POSSONO ASSOLUTAMENTE MANCARE ad un single, c'è sicuramente il robot da cucina. Può capitare che ne sentiate la mancanza, quando dovete preparare, chessò, il ragù in quantità industriali per poi congelarlo. Ed è comprensibile. A tritare la cipolla si fa presto: la tagliate a metà, poi fate quattro taglietti per quasi tutta la sua larghezza, poi la girate e la tagliate a fettine e il gioco è fatto. Il sedano è pure divertente, fa tutto lui: lo stendete, lo battete con il piatto del coltello schiacciandolo ben bene, poi lo tagliate a fettine, ci pensa la sua naturale venatura a far venire fuori i dadini piccoli. La vera tragedia sono le carote. Prima le tagliate a fettine per la lunghezza, poi le fettine le riducete a listarelle lunghe, poi le listarelle le riducete a cubettini. Insomma, una palla. Per fare cosa, poi? Buttarle nel tegame a rosolare con l'alloro in attesa della carne? E vedere scomparire il tutto dopo tre ore di cottura, a parte quei maledetti cubetti che ti hanno fatto perdere tanto tempo? Vabbé, forse però ne vale la pena. Alla prima forchettata :-)

Quando ci si appresta a tutto questo sano lavorio una tantum, è il pensiero delle carote che spinge il single a rimandare la preparazione e a cercare un negozio per investire in un robottino di cucina, magari piccolo perché lo spazio è tiranno. E fa la più grande cazzata della sua vita. Perché se lo prendi piccolo ci triti una cipolla alla volta. E non la triti, no, la rendi una purea. Il che, fa anche un po' schifo, quando vedi che olio e cipolla hanno la stessa consistenza. Non solo. Scopri che per tritarla devi tagliarla in tanti piccoli pezzi, perché senno la lama non fa il suo mestiere. E quindi ci metti più tempo a metterla nel robottino, a tritarla, a scolarla nella pentola che a lavorarla a coltello. Ed ecco che cominci a maledire l'investimento. Ti sollevi un po' quando viene il turno delle carote. Ma è al sedano che scopri quanto sei stronzo. Perché la lama ne trita una parte e i pezzi più grossi rimangono attaccati alle pareti. E non c'è niente da fare, più ti incaponisci e peggio è. Puoi solo consolarti di non averlo preso più grande, perché il risultato sarebbe stato una modica quantità tritata sul fondo ed il resto sparso per le pareti del robottone. Che poi dovrai lavare, prima di metterlo nella scatola e, poi, sul ripiano più alto della dispensa. Dove lo dimenticherai.

Per la cronaca, dopo aver rosolato le verdure, mettete la carne (manzo e maiale = 3 + 1), fate rosolare bene, quando si asciugano i liquidi una bella spruzzata di vino bianco, fate evaporare (bene senno il vino lascia l'acido), aggiungete il pomodoro (io metto i pelati frantumati) e fate cuocere a fuoco lento (due o tre ore).

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Precipoizi, Sòta la guaza, Annalisa Teodorani

Mar, 18/09/2012 - 13:16

Sta vóita che par precipóizi

l'à la spònda d'un lèt

o la róiva d'un pensìr.

(... Questa vita che per precipizio / ha la sponda di un letto / o la riva di un pensiero.)

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Il savoir faire del ciclista. Non quello che pedala, quello che vende le biciclette.

Mar, 28/08/2012 - 23:05

E' bello pedalare, andare al lavoro e tornare, e ricordarti, ogni volta, che fai prima su due ruote piuttosto che su 4. Perché Rimini è piccola. Centro – Gros 15 minuti appena. Gros - centro un po' di più, se – bum! - buchi alla Colonnella. Ma vuoi mettere camminare fino a San Giovanni, con le scarpe antinfortunistica... Vado da Martini, di fronte alla chiesa – ho una bici Martini, gli ho scucito 240 euro anni fa, due settimane dopo avergli scucito altri 240 euro per una bici poi rubata, mi aspetto che mi ripari la ruota - faccio per entrare mentre il titolare si congeda da una cliente e questi, il titolare, sulla porta, mi dice «Aspetti un momento». Aspetto. Sotto il sole. Sento che parla con un altro cliente di una corona da 44, o un pignone, non so. Aspetto. Sotto il sole. Lo congeda con calma – senza aver venduto niente - viene da me, sempre sotto il sole e mi dice «Dica». «Buongiorno». Capisce al volo e ripete «Buongiorno». «Mi è scoppiata una gomma» «Scoppiata o bucata?» «C'è differenza?» «Se è scoppiata tocca cambiare il copertone». «E' scoppiata ma non so se il copertone è da cambiare». «Ma ha fatto bum o ha fatto pssss?» «Ha fatto bum, direi». «Bisogna cambiare anche il copertone, allora». «Mah, vediamolo prima» dico io. «No, è sicuro, se ha fatto bum, tocca cambiare il copertone...» «Prima vediamo» insisto io. E questo mi alza la bici e mi fa controllare il copertone... Non ha strappi, almeno sul battistrada. «Venga domani a prenderla». «Guardi che io ci vado a lavorare con la bici» «Allora venga verso le 7 – 7,30. Sono le sei, vediamo se riesco a trovare un buco...» «Grazie». Nel frattempo, nonsopperché, il dialogo – «ha fatto bum o psss? Cambiamo il copertone» - mi fa venire in mente il meccanico di via Bertola, altro genio del savoir faire commerciale. In vetrina ha un cartello: si riparano solo le bici vendute. Il quale, per un tirante del freno spanato, (sì, quella stupida, piccola vite cava d'allumino che serve a regolare la guaina del cavo del freno) voleva cambiare entrambe le leve. Quattordici euro. Per la cronaca, il tirante l'ho comprato da Semprini per 50 centesimi. Alle 7,30 ritiro la bici, vedo da lontano la camera d'aria e il copertone sulla bici. Gentile – che strano - mi fa vedere il buco nella camera d'aria ma NON quello del copertone. Sbircio quello montato, che mi sembrava un po' tassellato per l'uso che ne faccio e mi dice: «visto che fa molta strada ne ho messo uno più robusto». «Quant'è?» «Venti euro». «Grazie».

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Speriamo di non finire “sotto” la Linea d'ombra

Dom, 26/08/2012 - 15:42

C'era la domenica mattina in piazza Cavour prima delle grandi mostre, sonnacchiosa e usuale, e c'era la domenica mattina delle grandi mostre di Goldin, più movimentata e dagli accenti inusuali. Inusuali in città, beninteso, non a marina. E non era spiacevole, anzi. Direi rinfrancante. Anche perché, prendendo il giornale all'edicola o eseguendo il rito cittadino della colazione al caffé Cavour, vedevi Rimini attraversata da persone che della “solita” cartolina riminese per antonomasia – sabbia sole sandali e sudore – non gliene poteva fregare di meno. Anche in giornate uggiose come questa, o brumose di calico autunnale. Niente contro i sandali e il sudore, parecchio del pane riminese viene da lì, eccezion fatta per buona parte di poveri bagnini e di poveri albergatori, che lavorano “a gratis et amore deo”. Per questo mi sono un po' preoccupato quando la Fondazione Cassa di Risparmio ha annunciato il divorzio dall'imprenditore della Linea d'ombra. Ultima conseguenza di un disastro amministrativo sancito dal commissariamento della cassaforte – e vetrina di potere - dei maggiorenti cittadini.

Attenzione, grandi mostre a Castel Sismondo ce ne sono state: il Meeting negli anni non si è risparmiato, così come la Cgil del congresso nazionale, per dirne qualcuna. Non si può dire che prima di Goldin ci fosse il deserto dei barbari, no. Dico che però la presenza di un evento espositivo in città non è mai stata così palpabile e netta come negli ultimi tre anni. Non tiro in ballo le cifre, anche perché stiracchiandole a destra o a sinistra si può provare tutto e il contrario di tutto. E non faccio nemmeno i conti del bottegaio, con esempi di ristoranti e bar del centro prima e dopo la cura espositiva: su questo terreno scivolano già le associazioni di categoria e gli ultimi esempi di dibattito – torno ai bagnini – mi fanno stare alla larga. Mi preoccupa invece la piega dei commenti sul "divorzio".

C'è chi esulta perché Linea d'ombra non sarà più tra noi. La proposta culturale era troppo bassa, secondo molti e ben educati all'arte pensatori, che vedevano nei percorsi espositivi di Castel Sismondo pochi contenuti e grande ricchezza di nomi, specchietti per il facile orecchio delle casalinghe di Voghera piuttosto che per occhi abituati al bello dell'Arte. Insomma, una cultura con la c minuscola, fatta per masse ineducate. Con buona pace di tutti quei lamentii stratificati nei decenni della cultura riminese – lo stesso coro che ha criticato Goldin, beninteso – circa un eccessivo appiattimento sul turismo senza cultura: sabbia sole sandali sudore, appunto. Coro nel quale mi ci metto anche io, sia chiaro. Non so se la pensano così i molti che nelle esposizioni hanno lavorato, sopratutto in questi periodi grami. Un'amica mi ha parlato delle ore trascorse a lustrarsi gli occhi nei colori di Van Gogh. Se le proposte di Goldin sono da massaia o Culturali, non ha fatto parola. E non posso dimenticare il magnetismo di Turner, quando me lo sono trovato davanti. Ma da qualche parte, per invertire con numeri tangibili (non con le dotte dissertazioni, ché qui a Rimini siamo maestri) la deriva turistica da non culturale a culturale, toccava cominciare.

Un amico ben educato (all'arte), dopo aver ricordato la querelle sulla proposta culturale ecc. ecc, che le file all'ingresso erano diminuite, ha liquidato il divorzio come una necessità: “il commissariamento...”. Il resto (visitatori, diverso approccio con la proposta turistica) non conta. Quanto al dover guardare anche con gli occhi dell'Amministratore, oltre che dell'Esteta, l'ha liquidato con un "Noi abbiamo Massimo"  (Pulini), sottintendendo che qualcosa si inventerà. Perché, dei due, l'Amministratore è Massimo. E accanto alla mia fiducia in Massimo (Pulini) ci metto pure gli auguri di cuore. E ce ne vogliono di auguri, con le casse pubbliche di 'sti tempi. Auguri che questo filone espositivo non si spezzi, ma che si rafforzi con proposte che incontrano sì la massaia, ma la fanno crescere. Perché di vernissage pieni e sale vuote l'indomani, francamente, ne abbiamo piene le culture. E vuota l'arte.

Argomenti: Persone: Opere: Luoghi:

Maree augurali

Mar, 10/07/2012 - 18:47

C'è che ieri mica mi aspettavo una cosa così. Per il compleanno, dico. Uno dice che si sente in uno stato di pienezza, però poi non dice nemmeno la pienezza di cosa è, perché non lo sa spiegare nemmeno a sé stesso. Però pienezza, ecco. E non è solo per gli sms che arrivano e le paste che mangi con i compagni - sì COMPAGNI - di lavoro. E' che poi magari metti a puntino una roba che ti stava a cuore, e 'sta pienezza si volta a essere pure adrenalinica. E poi continua la rumba di auguri sulla bacheca e poi passi dalla zia a prendere le tagliatelle e questa, quando stai per andare via, sparisce in camera e torna con una manciata di euro, perché avrai anche 48 anni, ma lei ti regala la mancetta di quando eri ragazzino e non se ne rende nemmeno conto di che regalone ti fa. E allora 'sta pienezza qui sale, sale di augurio in augurio, di ora in ora, e diventa una marea di emozioni lievi, come quando il mare è calmo ma la marea è salita, e sciaborda sull'orlo delle ciglia. E adesso l'ho capito perché si dice Cento di questi giorni.

Argomenti: Ricorrenze:

Essere e avere. Tema elementare prima dei 48 anni

Dom, 08/07/2012 - 21:26

Sono nato da Paltrinieri. Sono stato ritto sul palmo di una mano. Sono evaso dal giardino di casa su una macchinina a pedali e mi hanno fermato alla latteria, prima della chiesa di San Giuliano. Poi la macchinina è sparita. Sono stato su una biciclettina blu con un joker. Sono andato da Paltrinieri con il nonno, a vedere il fratellino e dal ponte guardavo le barche con le coperte sopra. Sono stato in aereo con la mamma e Roberto. Sono stato in Sud Africa, in una roulotte e mangiavo le canne da zucchero che spuntavano ovunque. Sono stato all'asilo in Sud Africa, dormivo in una brandina e parlavo l'inglese, ma non lo sapevo. Per il mio compleanno ho avuto una capanna zulù tutta dolce, con un albero di marshmallow. Sono stato all'asilo da suor Maria e mi piaceva tanto che un giorno ho insistito per andarci. Mi ci hanno portato ma non c'era nessuno: era sabato. Come era brutto il cortile vuoto. Sono stato alle scuole Ferrari in prima, dalla mia finestra guardavo sempre i rombi colorati sul tetto dell'hotel Napoleon e una ragazza nuda sull'insegna del night club di fronte. Sono stato con la nonna, il nonno, la zia Rita e lo zio Utto. Sono stato al cinema con il nonno a vedere Luis De Funes al Metropol. Sono scappato intorno al tavolo dal nonno, perché era arrabbiato. Sono stato a scuola a San Giuliano, con Gegio e Giuseppe. Sono stato in giardino a imparare a memoria le poesie, poi non mi entravano in testa e la zia Rita mi diceva di dormirci su. E la mattina dopo le sapevo. Sono stato malato, con lo zio Utto che mi faceva prendere le supposte. Un giorno l'ho presa da solo ma lui non ci ha creduto. E l'ho presa due volte. La mamma è tornata dall'Iran con Robertino, e sono stato nella casa in città ma non mi hanno cambiato scuola. Sono stato sul 2, sul 4 e sull'8, tutte le mattine all'andata e al ritorno. Sono salito su un aereo con l'hostess e i miei soldatini medievali a Rimini e papà mi è venuto a prendere a Roma. Sono stato a Gaeta. Ho fatto la terza a Gaeta, e il maestro Cosimo ci faceva cantare l'inno nazionale. Sono stato in elicottero. Sono stato a una festa sul Castoro II e sono scivolato e ho fatto cadere il babbo. Ho giocato a baseball con la mazza, la palla e il guantone che mi ha regalato papà. Ho giocato con un sacco di ragazzi a baseball, in un cortile vicino a casa. Poi la palla ha rotto un vetro e sono scappati tutti. Una notte sono partito per Rimini perché il nonno stava male. Ho visto la gola del Furlo e l'acqua del fiume quella mattina e ho chiesto cosa aveva il nonno e il babbo mi ha detto che era morto. Sono tornato a Gaeta. Con una 500 blu, la mamma e Robi e tanti pacchi sono tornato da Gaeta. Sono andato alle scuole Tonini, di là del parco, ma non c'era posto. Sono andato alle scuole De Amicis e il posto c'era con la maestra Giovanna Chicchi. Ho scritto bei temi – diceva la maestra - e ho scritto in un quaderno con la storia di Rimini, dell'arco d'Augusto e del ponte di Tiberio. Ho ballato con l'Angela Tarani Crocodile Rock di Elton John nella sua cucina. Un sacco di pomeriggi e un sacco di volte. Ho fatto a botte con Marco Mazza. E le ho sempre prese. Ho fatto due gol nel cortile della scuola, uno di culo su calcio del terzino, uno con i piedi. E basta. Ho fatto i giochi della Gioventù e volevo ritirarmi al primo giro del campo di baseball. Poi mi hanno fatto ripartire e sono arrivato decimo. Su undici. Ma c'era la medaglia lo stesso. Ho firmato la lettera di auguri alla maestra Chicchi che stava male, anche se non volevo perché dicevo che eravamo noi che l'avevamo fatta stare male. Ho finito le scuole elementari.

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Dopo la manifestazione delle femministe – Passato, presente e chissà, Loriano Macchiavelli

Mar, 12/06/2012 - 00:02

- Si può sapere com'è successo? Sta' calmo che non è grave.

- Come puoi dire che non è grave? Guarda quanto sangue sto perdendo. Morirò dissanguato. E' grave, gravissimo.

- Ma come è successo?

- Che ne so. Me ne stavo a guardare tutti quei culi che salivano le scale quando qualcuno mi ha colpito con l'asta di un cartello. Proprio sulla fronte. Dio, che botta.

- E tu te ne volevi scopare un paio, pensa un po'. La scopata l'hai presa tu questa volta: sulla fronte.

- Se mi capita tra le mani.... Se mi capita tra le mani...

- Allora hai visto chi ti ha colpito?

- Ho visto sì. Che botta.

- La conosciamo? E' una delle solite?

- E' stata una... Se mi capita tra le mani, quella maledetta....

- Sapresti riconoscerla?

- Credo di sì.

- Allora è fatta: quelle matte sono tutte schedate. Andiamo in archivio e la troviamo di sicuro. Sporgiamo una bella denuncia contro di lei per lesioni, resistenza e per...

- Per niente. Meglio di no.

- Meglio di no cosa?

- E' una questione privata. La risolvo io.

Sarti Antonio, sergente, crede di aver capito il senso della situazione. E anche io.

- Maledetto stronzo! Le hai toccato il culo e quella si è rivoltata. Maledetto stronzo! Ti sta come un vestito nuovo. T'immagini la denuncia che dovresti fare? «Mentre toccavo il culo dell'imputata, questa, con scarso spirito di collaborazione, mi colpiva in fronte...» Ci sarà da ridere.

- E chi sporge denuncia?

Felice Cantoni, agente, lascia perdere il discorso e riprende il lamento funebre. Continua pure a tenersi il capo tra le mani: - Che botta. Sto per svenire: sento che sto per svenire. Ma quando si arriva a questo ospedale?

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Facebook, ovvero la televisione-fai-da-te?

Mer, 06/06/2012 - 13:45

Ho accumulato 1179 amicizie su Facebook. Diverse di queste sono persone che non conosco. Ma la netiquette prescrive di dire sì a tutti, e quindi... A qualcuno, per curiosità, ho chiesto come è arrivato a me: poche volte ho ricevuto risposta, e perlopiù evasiva. Se erano donne, si sganciavano alla svelta pensando al solito polipone che intorta. Altri sono attività commerciali che non visiterò, spesso gestite da persone pagate per farlo. E che non si curano di essere invasive. La cancellazione diventa ineludibile, quindi. Altri ancora mi propinano massime sulla vita che nemmeno Fabio Volo scriverebbe. Il che, è tutto dire. Altri ancora rilanciano bufale e immagini tarocche senza nemmeno degnarsi di fare una ricerca su google: neanche la fatica di fare un click in più per verificare: sostengono e basta. Quelli che creano immagini tarocche e rivolte populiste. Delle persone che mi sono vicine, invece, poche scrivono, pochissime interagiscono. Mi ripeto che in fondo sto anche studiando questo "social network", che anche io lo uso talvolta per lavoro e quindi è giusto esserci. E' giusto stare in questo magma che riflette il comune sentire. Ma se il comune sentire si basa sulla collezione di amicizie, su massime sulla vita che nemmeno Fabio Volo ecc ecc, su contatti commerciali e su immagini false o demagogiche, beh, qual è la differenza con la televisione? Il fai-da-te?

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Un nuovo vuoto

Ven, 25/05/2012 - 00:47

Il vuoto dell'appartamento fa rimbombare ogni piccolo spostamento, mentre l'odore della tempera colma ogni distanza dal passato. Niente più macchia di vino abbandonata nel Suo vagolare alcoolico, niente più segni di mobilia, né tessiture d'insetto né infinite orme di mani a cercare la luce. Non più tracce del tempo trascorso, né di chi si è avvicendato a coprire lo spazio. Casa, ormai, non è più casa.

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Francis Turner, Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters

Mar, 15/05/2012 - 21:52

Da ragazzo
non potevo correre né giocare.
Da uomo potei solo sorseggiare dalla coppa,
non bere -
perché dopo la scarlattina m'era rimasto il cuore malato.
Eppure riposo qui
consolato da un segreto che solo Mary ocnosce:
c'è un giardino di acacie,
di catalpe e di pergole dolci di viti -
là, quel pomeriggio di giugno
a fianco di Mary -
mentre la baciavo con l'anima sulle labbra
l'anima d'un tratto mi volò via.

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Tanto in mezzo c'è la celere: delle strategie per darsi un po' di visibilità

Sab, 12/05/2012 - 23:07

Io ho capito cosa lega i fascisti di Rimini ai gruppetti di militanti che li “affrontano“: sono complici. Nella sopravvivenza. Se non ci fossero gli uni, gli altri avrebbero ben poco da fare. Se non ci fossero gli altri, gli uni avrebbero ben poco da dire. Perché diciamolo, gli uni sono solo 4 gatti neri spelacchiati usciti da un tosatoio, per giunta in stato di semiclandestinità. Più o meno come Rolf – il mio cane, buonanima – che quando lo tosavo scappava a nascondersi per qualche ora per la vergogna. E i giornali se li filano poco poco entrambi. Anche perché ne hanno le caselle e-mail piene.

All'inizio avevo un bel dire a chi davo - gratuitamente - consulenze di lasciarli perdere. «Guardate – dicevo – che ogni volta che scriviamo di 'sti gatti neri gli diamo pubblicità». Ma questi: niente. Giù un comunicato. E se il capo tentennava, qualcuno da sinistra lo scavalcava. Per cui smetteva di tentennare e giù un altro comunicato. Questi altri – i quattro gatti neri spelacchiati – devono aver mangiato la foglia. Hanno capito che A) con le molotov li legano. B) con quattro volantini non vanno da nessuna parte. C) c'è sempre qualcuno che non ha niente da fare che invece li sbircia sui social network. D) c'è sempre qualcuno che, a corto di idee in politica, stila un documento ben farcito di prosopopea che non serve a niente per avere un po' di visibilità. E tricchete tracchete ecco saldata l'alleanza che garantisce, oltre alle bandierine sventolate e gli striscioni srotolati, un minimo sindacale di politica e medagliette: un trafiletto ieri, un corteo oggi – tanto in mezzo c'è la celere: mica si menano sul serio – una pagina domani. E tutti insieme su Facebook a leggersi. Tra di loro. Posto, ergo sum.

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Galleggiando nell'acqua

Mer, 02/05/2012 - 22:37

Dopo due anni 8 mesi e spiccioli, ho rimesso mano ai miei siti. Modificandoli completamente. Ci starebbe bene un echissenefrega, ma in realtà è stato un passo importante, per la Casa di Kikko, il sito e tutta la piccola galassia politico – informativa che, da poche ore, è visitabile sul nuovo server fornitomi da Servededicati.it. Sì perché non ci mettevo mano, a parte l'ordinaria amministrazione – un testo oggi, un testo ieri... - dall'agosto 2009, quando uno spartiacque si è frapposto tra me e il mio lavoro. Rimettere mano ad un territorio largamente inesplorato quale la gestione in proprio di un server o lo sviluppo di un sito in un'ottica professionale è stato, in qualche modo un ricominciare. Da capo.

Negli ultimi due mesi mi sono sbattuto per scrollarmi di dosso la ruggine accumulata in questi anni. Non ho scritto una riga, a parte le cazzate su Fb – perché davvero sta diventando un ricettacolo di cazzate, più che di cazzeggi – e il testo per mio fratello, unico rigurgito di scrittura al quale la contingenza mi ha vincolato. Senno, non avrei scritto neppure quello. Lo stesso per il web. Ed è cambiato al punto che mi sono trovato per le mani non un o strumento familiare – come era il mio Drupal – ma uno strumento nuovo, la cui curva di apprendimento, già prima abbastanza alta, in questi ultimi due mesi è diventata quasi una salita di Sisifo.

Non credo di aver perso tempo, nel frattempo. Non molto, almeno. Oppure occasioni. Niente che non si possa recuperare con qualche ora di studio extra. Non ho danneggiato nessuno, in fondo. Chi contava su di me ha continuato a farlo, ignaro di quel che succedeva, facevo o non facevo. I risultati credo siano più che dignitosi. Del resto, il lavoro è lavoro, siamo tutti intercambiabili, più o meno. Ma questi territori, dal giorno dell'infarto, non erano più i miei. A Leonardo Montecchi, un caro amico, ho raccontato un sogno strano: galleggiavo sulle acque adriatiche, al largo di Cervia o di Ravenna. Un mare calmo, forse al tramonto. Sapevo di essere lì ma le piattaforme non c'erano più. Giusto i pali riconoscevo, che affioravano per pochi centimetri. Il sogno di un sopravvissuto l'ha definito, un immagine che riaffiora quando guardo la scena finale del Moby Dick di John Huston, mentre Ismaele galleggia aspettando la Rachel.

In questi due anni ho esplorato altri territori: mi sono misurato, di nuovo, con il lavoro dipendente, in una cooperativa sociale. Un sano stacco che mi ha permesso di riprendere possesso (?!) del mio corpo, e ri – conoscere un ambiente diverso, meno raffinato forse, più sincero ma sopratutto reale. Probabilmente, però, è tornato il momento di riprendere qualche vecchia abitudine.

 

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Festa del lavoro, un pensiero da Conrad

Mar, 01/05/2012 - 23:44

No, non mi piace il lavoro. Preferirei poltrire pensando a tutte le cose belle che si possono fare. Non mi piace il lavoro - a nessuno piace - ma mi piace quel che c'è nel lavoro - l'occasione di scoprire se stessi. La propria realtà - per sé, non per gli altri - ciò che nessun altro uomo potrà mai sapere. Gli altri possono soltanto vedere l'apparenza, senza poter mai sapere che cosa significhi veramente.

Joseph Conrad (da Cuore di Tenebra)

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