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Le grandi lezioni de Il Padrino: scegliere quando tocca andare «ai materassi»

Sollozzo e Vito Corleone, da Il Padrino

Le mie non più giovani sinapsi si trovano da tempo a mettere in contatto tre elementi che si rincorrono nella calotta cranica: il lavoro, il professionismo, Il Padrino. Quest'ultimo inteso come film, ovvero grande metafora dell'approccio zen al business e “Libro dei Ching” riconosciuto sul tema. Non è facile creare la giusta sinapsi, a pensarci bene. Se parliamo di lavorare con un'impresa, beh, la giusta prospettiva riesci a definirla. Mi chiedi di comunicare bene le tue salsicce, se non sono vegano non è un problema accettare la commessa. Ma con la politica?

Il Pio Manzù secondo me: grazie Gerardo Filiberto Dasi

Gerardo Filiberto Dasi e Diana Spencer

E' stato un appuntamento per me foriero sempre di qualche novità, alcune incredibili, altre piacevoli. Se fai il cronista di campagna, per giunta saltuariamente come me, molti dei personaggi del Pio Manzù non solo faticheresti a incontrarli, ma non ne avresti nemmeno il sentore dell'esistenza. E Gerardo Filiberto Dasi di occasioni ne ha date. E qualcuna, grazie a Letizia Magnani, a chi l'ha preceduta nel ruolo e alle varie testate con cui collaboravo, prima Il Ponte, poi l'Unità, è diventata un fortunato pezzo che conservo nel cuore. Le giornate di studio del Pio Manzù erano occasione di pubbliche relazioni ad alti livelli, bel al di là dei personaggi di richiamo che Dasi faceva intervenire, Lady Di compresa.

Non dite a mia madre che lavoro nella comunicazione...

Gene Wilder e Marty Feldman in una scena di Young Frankenstein

Jacques Séguéla diceva: «non dite a mia madre che lavoro nella pubblicità, lei mi crede pianista in un bordello». Non a caso Séguéla è un “genio”: in un simpatico aforisma ha tratteggiato tutta la difficoltà di far capire a un non addetto ai lavori cosa significhi lavorare nella comunicazione. Dici idraulico e ti immagini cosa voglia dire: tutti hanno un rubinetto che perde. O una moglie a casa. Dici direttore commerciale e tutti i portafogli hanno dovuto combattere per non essere alleggeriti da un agente di commercio e i suoi budget da rispettare, fissati dal di lui direttore.

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Steso sul lettino sto e osservo un social network che troppo coglierò (scusa Guido Gozzano)

Woody Allen in Manhattan

Ieri un gruppo di persone che condividono un progetto di social network, tra le quali io, hanno dato corpo alle loro identità digitali: chi con una birra, chi con uno spritz, chi con un bicchiere di vino. Dal flusso di byte più o meno abituale si è passati a un inusuale (per chi non si è mai conosciuto al di fuori degli universini Facebook o Instagram) flusso di informazioni reali: nomi, cognomi, professioni, desideri, aspettative, puntualizzazioni, anche contrasti. Un embrione di setting - per paragonarla alla psicoanalisi di gruppo - intorno agli hastag che dovrebbero catalizzare le narrazioni sui social media su un soggetto comune. Temo che detta così sia di un'astrusità inusitata.

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