Può un paese essere ammalato di nostalgia? Sì, se quel paese si chiama Predappio. Ma non è il "desiderio struggente di un ritorno" che ci raccontano i dizionari: sono le macchiette che inchiodano la città ad una data, una nascita, un mito artificiale alimentato dalla macchina propagandistica del ventennio, diventate grottesco merchandising nei tre - negozi - tre di souvenir fascisti, il primo dei quali da il benvenuto entrati in paese. Un legame che nega a Predappio qualcosa di più dell'essere la città natale di Benito Mussolini. O anche di meno: magari solo un tranquillo, piccolo borgo appenninico. Ci stanno provando, i predappiesi, ad essere "Città del Novecento". Di TUTTO il novecento. Ma «siamo legati indissolubilmente al nome di Mussolini, negarlo non si può - dice il sindaco Giorgio Frassineti - cosa dobbiamo fare, nasconderci?»
Non si può. «Quando andiamo in Sicilia e diciamo di dove siamo ci guardano con due occhi così», racconta Frassineti, con una veemenza e un'ironia che lo fa assomigliare all'assessore Cangini di Paolo Cevoli. Per non parlare del maestro di sci altoatesino: «saputo da dove venivo si è arrabbiato ed è andato via senza neanche salutare! Ma sarà colpa nostra se Mussolini è nato qui?!» Non va meglio con quelli «che si appuntano la medaglietta di antifascisti al petto. In 250 mi hanno attaccato alla Casa Artusi, quando hanno organizzato "A cena col Duce". Anche questi sono nemici di Predappio, sono l'ignoranza, i pregiudizi, padre Tam: sono quelli che vengono qui a prendere e basta. Predappio è sfruttata, anche dai negozi. Cosa c'entriamo noi con i tanga "boia chi molla"? E' questo che ci rappresenta? Io penso a Predappio invece come alle città sottili di Italo Calvino: "è inutile stabilire se sia da classificare tra le città felici o infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare forma ai loro desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare le città o ne sono cancellati". Predappio è come Zenobia».
Non si potranno contrastare i 100mila nostalgici che affollano la città sopratutto nelle tre date "mussoliniane": nascita 29 luglio, morte 28 aprile, e ascesa al potere 28 ottobre. Toccherà convivere con le teste... rasate che gironzolano in maglietta, jeans, bretelle e Dr Martens vintage 1914, gli anfibi "must-have" di ogni skin head. Ma si può tentare di ristabilire che a Predappio c'era un prima e ci sarà un dopo. Nasce così «Predappio città del Novecento», mostra iconografica che parte «dalla casa di Alessandro Mussolini, fabbro socialista e internazionalista», prima che casa natale di Benito. E da Dovìa, nome del borgo dove sorge, quando Predappio non esisteva, creata ex novo dopo una frana (e l'ascesa al potere del suo infausto figliolo) come Carbonia, Littoria (ora Latina) e le altre città celebrative: «doveva propagandare il mito della nascita dell'uomo nuovo» ricorda Frassineti.
Ogni sabato e domenica e festivi, fino al 29 gennaio (ingresso 5 euro, ridotti 3), fotografie di predappiesi, materiali dall'Archivio Storico dell'Istituto Luce, girati o fotografati durante il ventennio, compreso il documentario censurato di Luciano Emmer del 1941, "La sua terra". E poi foto scattate dalle truppe di liberazione custodite dall'Imperial War Museum, in un percorso che si snoda su due piani, curato da Elisa Giovannetti e Raffaella Biscioni, i testi supervisionati dallo storico Vittorio Emiliani. Il tutto sostenuto da un nutrito comitato scientifico con, tra gli altri, i docenti Roberto Balzani e Maurizio Ridolfi, che i lettori de L'Unità ricorderanno come promotori della petizione per salvaguardare la memoria del 25 aprile e delle feste civili, l'estate scorsa, dal "taglio" del governo Berlusconi.
La mostra segue le tappe della creazione dei due miti del ventennio intorno a Predappio: la città e la casa natale del Duce. Con il re e imperatore che ne sale le scale o le persone in posa per la foto ricordo. Una povera casa, scrostata, agghindata con tricolore e nastri di alloro. Lasciata «inalterata nel suo ambiente - scrivono gli architetti della creazione di Predappio - a ricordo di una nobiltà di origine, a monito di una vita radicata nel suolo italiano». La creazione di un mito, atto che può non avere tempo se si colgono, assorti nella lettura, frammenti di dialogo di una visitatrice: «... ora non c'è più. Ha fatto degli errori, però ha fatto anche tante belle cose. E' stato un grande statista...». E nella distrazione un dubbio si affaccia: ma di quale "statista" parla, quello appena dimesso o quello del passato?!
Ci sono anche alcuni reperti del passato: un paio di comodini, un letto di metallo e il busto di Alessandro, donato nel 1927 dal comune di Vibo Valentia. Apriti cielo, altre polemiche. Maurizio Viroli, docente di teoria politica all'Università di Princeton, ha detto a un quotidiano locale che «i neofascisti non hanno bisogno di altri luoghi per radunarsi e per esprimere le loro idee che offendono la costituzione e la coscienza degli uomini liberi». Frassineti le ha liquidate con un «chi si spaventa da due arredi deve farsi guardare da un buon dottore». Due arredi che possono riservare però anche una piccola soddisfazione. La testa rasata che ha visitato la mostra ha trovato il busto di un Mussolini, sì, ma Alessandro: fabbro, socialista e internazionalista.
Pubblicato su l'Unità - Culture, pag 43