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La noia di provincia: «E al clochard gli abbiamo buttato addosso la benzina». Fermati i responsabili del rogo: incensurati.

“Ma te l'immagini dare fuoco al barbone?!”. Una chiacchiera al bar, una frase di scherno: è stata questa che ha perso i 4 autori del rogo che ha avvolto Andrea Severi, il senzatetto di Rimini nella notte del 10 novembre. L'ultimo atto di una serie di molestie che Alessandro Bruschi, barista, e Fabio Volanti, ancora studente per un paio di bocciature, entrambi di 20 anni, Enrico Giovanardi, perito chimico e tirocinante in un laboratorio di analisi, e Matteo Pagliarani, elettricista, di 19 anni, hanno rivolto a un “clochard”. Un'escalation per questi bravi ragazzi, incensurati, cominciata con qualche sasso, poi con un petardo lanciato dall'auto. Un gesto che contribuirà a perderli. Poi, il passo più grave, che da ieri mattina è diventata un'accusa di tentato omicidio e incendio: “Gli ho buttato tutta la benzina che avevo, è cascato dritto e poi si è rialzato con le fiamme addosso”.

E' Alessandro Bruschi a raccontarlo, in macchina, alla fidanzata. Non sa che gli inquirenti gli hanno piazzato una cimice in auto, messi sulle sue tracce da quella frase buttata alla “Cantinetta dì' Padul”, la cantinetta dei Padulli, bar del quartiere alla periferia di Rimini, dove ogni tanto andava per incontrare il suo amico Fabio Volanti. Non sa che è stata riferita agli inquirenti, la squadra Mobile di Rimini, coordinata dal sostituto procuratore Davide Ercolani. Non sa delle intercettazione al cellulare già 48 ore dopo il rogo. E attraverso le quali sono risaliti agli altri due, hanno ricostruito i ruoli, hanno trovato le conferme per una vicenda che, per ora, ha solo il risvolto della noia. Quella di quattro ragazzi “assolutamente normali”, che hanno ingannato il tempo di una notte dando fuoco a un uomo. E che, dopo, sono tornati alla panchina, con un'altra auto, a guardare l'ambulanza e i poliziotti.

Ieri mattina alle 6 li hanno portati in Questura. Quando hanno suonato i poliziotti, le loro famiglie – “gente che lavora, brave persone” - hanno scoperto di abitare con un figlio sconosciuto, capace di appiccare il fuoco a un uomo o aspettare in macchina che tutto si compisse. Una madre, raccontano gli inquirenti, è addirittura svenuta tra le loro braccia. Ma gli inquirenti sono andati a colpo sicuro, hanno tentato l'epilogo della confessione, sulla base delle prove ormai evidenti. L'ultimo conferma era venuta pochi giorni fa: un testimone ha visto l'auto dei petardi, ha riconosciuto la lettera G della Ford Focus. Fanno controlli: cellulari, identità, auto, i dati si incrociano. Danno la notizia ai giornali e si mettono in ascolto delle loro comunicazioni: “non usciamo più con quell'auto”, si dicono i ragazzi. La trappola è scattata, ha funzionato, ora manca solo la confessione.

Arriverà. Ieri mattina, verso le 10. I primi due a cedere sono Matteo Pagliarani e Fabio Volanti. Poi cede Enrico Giovanardi. Tutti e tre dicono di essere stati in macchina, di aver aspettato Alessandro Bruschi mentre andava da Andrea Severi, versava addosso e intorno la benzina, comprata in un distributore senza le telecamere, e dava fuoco. “ A questo punto dico tutto” ha detto Alessandro ai poliziotti che lo interrogavano, tra i quali c'è Luciano Baglioni, l'ispettore che ha messo le mani sulla banda della Uno bianca. In Questura aspettano, ci sono i genitori, arrivano anche gli avvocati che li consigliano e i ragazzi confermano, davanti a loro, la confessione. Anche Alessandro, quel ragazzo “disponibile, bravo, sempre allegro”, come dice il gestore del Caffé Pascucci di Marina centro, Marco Alcalori, dove lavorava. E che “non ha mai parlato di politica”.

Pubblicato su L'Unità , pag. 16

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