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Rimini, il tonfo del furbetto fa tremare il Grand Hotel

La porta girevole schiude una hall deserta e ovattata, pochi clienti sul divanetto, il famiglio in attesa dei bagagli, coi suoi alamari d’oro, i segretari ora seri ora sorridenti. E’ il Grand Hotel di Rimini, immobile nel suo mito, che aspetta i clienti e lo svolgersi degli eventi, dopo che il nuovo proprietario, Danilo Coppola è stato arrestato. L’albergo appare tranquillamente operoso, come la ragazza, intenta alle sue solite mansioni: “non sono preoccupata - scrolla un po’ le spalle - cosa possiamo fare? Nulla, i problemi li hanno quelli più in alto. Noi possiamo solo aspettare”. “Dobbiamo gestire questa vicenda, certo, importante - gli fa eco Gabriele Galieni, da un anno direttore del cinque stelle che da quasi un secolo è il simbolo di Rimini. E che, da Fellini in poi, è immaginario collettivo. “Ma siamo sufficientemente sereni perché a noi compete la gestione, l’aspetto operativo, far fede ai clienti, agli obbiettivi e ai compiti, consolidare i goal”.

Ottanta dipendenti, che nella stagionalità estiva diventano il doppio, 168 tra camere e suite, divise tra l’edificio principale dal liberty un po’ barocco e la residenza poco distante, la palazzina Milano, insieme alla gemella Roma testimonianza di un turismo elitario d’altro secolo. “L’ho detto a tutti i ragazzi, questa mattina, non possiamo far finta di niente, ma dobbiamo continuare - prosegue Galieni - Oggi abbiamo due convegni, il centro congressi è pieno, avremo una cena di gala. Il 2006 l’ha dimostrato, siamo in crescita”. Lo dice con calma, come tutto appare, ma il subbuglio, forse non tra quegli stucchi, c’è. Ne parlano i sindacati, che raccontano dell’agitazione dei dipendenti. Anche per le poche informazioni sull’esito del passaggio tra la vecchia proprietà e la nuova: è perfezionato, non è avvenuto?

Da Coppola ci si attendeva un nuovo smalto per questo albergo d’altri tempi, che per la città è la bandiera di un turismo sempre in cerca di evoluzione. “Il Grand Hotel resterà un gioiello”, aveva dichiarato Danilo Coppola solo pochi mesi fa, quando a Rimini era apparso l’annuncio dell’imminente acquisto. Era conscio, diceva, di avere acquistato non un altro albergo per una catena, “ma un monumento nazionale, al quale ci avvicineremo con tutto il rispetto che merita”. Allora, c’era la paura che si potesse trasformare in qualcos’altro, quel tempio ospitale per re Faruk, per i convegni amorosi di Mussolini e Claretta Petacci, per la principessa Diana, invitata alle giornate di studio del Centro Pio Manzù. Per settimane il sindaco di Rimini, Alberto Ravaioli, ha aspettato Coppola per “un confronto sui progetti e le iniziative in grado di consolidare la magia di un simbolo”. Ora ha la preoccupazione che cada “in labirinti che rischierebbero di comprometterne il futuro e dunque la valenza per l’intera città”. Ora, dice Sergio Zavoli, “la notizia che il Grand Hotel è caduto nelle mani del più spregiudicato affarismo mi riempie di malinconia: penso a quel filo d’amore che lo legava a Fellini, il cui bandolo è rimasto tra le dita della nostra rassegnata imprevidenza”.

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