Sessantatre giornalisti e 5 assistenti uccisi, oltre 800 arrestati, 1308 hanno subito attacchi o percosse, mentre sono 124 quelli che, insieme a 70 “cyber dissidenti”, sono ancora rinchiusi nelle prigioni di tutto il mondo. Il bilancio di Reporters sans Frontières 2005 di in appena 7 pagine, riporta quanto la libertà di stampa e di parola costi in termini di vite umane e sofferenza, ancora in ogni parte del globo.
“L'anno più mortale del decennio” registra che l'Iraq è il paese più pericoloso per i media, con 24 giornalisti e 5 “media assistant” uccisi: nei tre anni di guerra sono stati 76 i lutti, più che in 20 anni di guerra nel Viet Nam. Morti per attacchi terroristici e di guerriglia nella maggior parte dei casi, ma anche sotto i colpi delle truppe Usa, in tre occasioni. Dopo nord Africa e vicino Oriente, è l'Asia il continente più sanguinoso, con 17 morti tra i giornalisti, 7 dei quali caduti nelle Filippine per mano di gruppi armati al soldo di politici, affaristi o trafficanti di droga. Altri 7 giornalisti uccisi nelle Americhe, altrettanti in Europa e nei paesi dell'ex blocco sovietico, 5 in Africa, un saldo di sangue superiore di 10 unità rispetto al 2004.
Se nel 2005 diminuiscono di un centinaio i casi di arresto, salgono a 1308 gli attacchi fisici e i maltrattamenti (erano 1146 nel 2004), così come salgono le censure, oltre mille casi rispetto ai 662 dell'anno precedente. Nella triste classifica delle libertà soffocate resta in testa la Cina, 32 giornalisti detenuti, seguita a ruota dalla ben più piccola Cuba con 24, e poi Etiopia (17), Eritrea (13) e Birmania, con 5, mentre il ritmo degli arresti, secondo RSF, è di 2 giornalisti ogni giorno.
La pressione della Censura cresce, anche attraverso la tecnologia. Il saldo negativo delle notizie censurate è dovuto al Nepal, che dichiarando lo stato di emergenza ha messo al bando radio Fm e siti web.
In Cina, le apparecchiature elettroniche del “broadcasting Great Wall” bloccano le trasmissioni di Voice of Tibet, Bbc, Sound of hope e Radio Free Asia. Come la tecnologia apre nuove possibilità alla diffusione delle informazioni, altrettante ne offre al loro blocco.
E' sempre la Cina in testa al primato, con 62 “cyberdissidenti” in prigione, 3 nel VietNam, 1 in Iran e in Siria, paesi che compaiono nella lista dei 15 “Nemici di Internet” stilata da Reporters Sans Frontières, insieme a Bielorussia, Birmania, Cina, Libia, le Maldive, Nepal, Corea del Nord, Arabia Saudita, Tunisia, Turkmenistan e Uzbekistan.
In Tunisia è la famiglia del presidente a controllare gli accessi nazionali ad Internet, mettendo in atto un sistema di blocco centralizzato, un “site jamming” come accade in Iran, dove centinaia di migliaia di web sites diventano inaccessibili e i maggiori bloggers, vengono arrestati.