Una Rimini singolare, coacervo di contraddizioni e paradossi, fortemente individualista e con uno scarso spirito di campanile. Si sono confrontati su questo “territorio” il giornalista e poeta Sergio Zavoli, lo scrittore Piero Meldini, il semiologo Paolo Fabbri e il presidente della provincia Ferdinando Fabbri assieme alla complicità di un pubblico indigeno decisamente coinvolto ritrovato ieri per la serata conclusiva della Festa dell’Unità. I quattro esponenti della politica e della cultura hanno tentato di delineare la fisionomia complessa e sfuggente della città, indagandone le caratteristiche costitutive e cercando di determinare quegli elementi che convergono attorno ad uno stesso polo per stabilirne un’identità precisa e definibile. Una corpus cittadino talmente complesso che, come afferma Paolo Fabbri “merita e demerita verbi e aggettivi, tanto da parlare di “riminesco”e di “riminesizzazione”, neologismi che nascondono i tratti salienti di una città spuria e ibrida, in continua tensione tra differenti livelli di stile di vita, tra il provinciale e il cosmopolita, divisa tra presente e futuro. Pragmatica, ma priva di una tendenza ideologica fondante.
Tutti componenti dai quali dipende l’orgoglio municipale di una città conosciuta nel mondo perché esportatrice, nel bene e nel male, di un modello universale largamente riconosciuto. “Una città empirica – come la definisce Zavoli – che ha bisogno ogni volta di capire quale linea seguire per rinascere e proporsi. Un miracolo economico-turistico nato col contributo di una popolazione apparentemente disinteressata e distante”. Proprio nell’assenza di riferimenti precisi, sia estetici che ideologici, si annida ciò che della città fa croce e delizia, eterno territorio di frontiera fin dalla romanità che qui aveva segnato con le tre strade consolari il luogo di passaggio più importante. Ma Rimini è insofferente anche nei confronti della storia.
Colpita da una sorta di allergia verso il passato, come precisa Meldini, utilizza la devastazione per riproporsi sotto nuova veste, perennemente affascinata dalla modernità. “La distruzione è pura iniezione di esuberanza” afferma, elemento che permette di guardare l’orizzonte, seguendo -anche metaforicamente- la linea infinita della costa. Una città moderna anche secondo Paolo Fabbri che scorge nell’instabilità di definizione un’identità mobile e fruttuosa. “Una città che non ha i piedi piantati nella terra e nel sangue – precisa- che manca di staticità e al passato pensa poco. Un’ identità evolutiva che le permette di reiventarsi tra stili di vita e tensioni differenti.” Ammaestrata all’idea che il presente è la proiezione del futuro, Rimini si sente così protesa a vivere la stagione del momento, ammalata di velocità, quasi fosse sempre in ritardo con se stessa. Sergio Zavoli rintraccia nella natura internazionale e nel confronto col futuro ciò che la differenzia dalle colleghe romagnole, anche in relazione alla scarsa importanza che il referendum secessionista trova nel contesto cittadino.
I quattro concordano nel delineare una città dall’identità rarefatta e schizofrenica, un po’ folle ma assolutamente pratica e propositiva. Come ricorda Ferdinado Fabbri “i Riminesi sono uniti prima di tutto dalla voglia di fare, dall’esigenza di muoversi e realizzare. Il silenzio del mare in inverno produce molti pensieri, innesca quella fantasia capace di rimetter tutto in moto”. Se dunque, come diceva il Fellini, “E’ l’immaginazione il modo più alto di pensare” è proprio in questo fellinismo che risiede un segno tangibile della diversità cittadina. Come ammonisce Zavoli, caro amico del Maestro, “è necessario raccogliere quel tanto di pragmatico che permetta di capire giorno per giorno cosa fare unendo a un corpo grasso anche un’anima grande”.
P.S. Nell'organizzare questa iniziativa mi è stata di notevole aiuto Viola Carando.