Un gesto eclatante, nato da un momento di rabbia per una causa con una compagnia di assicurazioni che si trascina da 20 anni, quando un incidente chiude la carriera pugilistica di Loris Stecca: un auto in retromarcia lo investe sulle strisce e le fratture sigillano per sempre la parola ex davanti a "Campione del mondo". E Loris Stecca, ieri mattina, per quella causa ha minacciato il suicidio, restando in bilico su una galleria dell'autostrada A 14 per un'ora e mezza.
Tutto nasce da un giro in macchina in compagnia di un amico, Nando Dolci, "per fare una chiacchierata e sbollire la rabbia", racconta lo stesso boxeur. Ma all'altezza di Scacciano, Misano, fa fermare l'auto, scende e raggiunge il parapetto della galleria, minacciando di gettasti nel vuoto. "Vedevo solo i teloni grigi dei camion che passavano, non capivo niente - racconta poi di quei momenti drammatici - non ho pensato a nulla, né a mia moglie né ai miei figli. Vedevo tutto scuro". Attorno a lui, tenuti a distanza - "se si avvicina qualcuno lo tiro giù con me" - poliziotti della stradale e un vigile del fuoco che tentano di dissuaderlo. Sotto non scorre più il traffico, deviato fuori dall'autostrada. C'è solo il gonfiabile steso sull'asfalto, spostato seguendo i gesti dell'ex campione.
Ma, alla fine, è lo stesso amico che l'ha accompagnato a far calare il sipario. La scusa è allungargli una sigaretta, ma lo agguanta per la colottola. E' un attimo: in quattro lo immobilizzano, mettendo fine a un colpo di testa che ha tenuto col fiato sospeso famiglia e amici. Mentre è in bilico gli telefona Adrien Ricchiuti, il capitano del Rimini: gli chiede - come se non sapesse nulla di quanto sta accadendo - se nel pomeriggio sarebbe andato alla partita. Finisce così il gesto eclatante di un ex campione alle prese con una "normale" causa di risarcimento, che forse finirà nel 2009.
Non sembra certo un disperato Loris Stecca, poche ore dopo, tra le mura di casa. Né una famiglia con il cuore sospeso sull'orlo di una galleria. La moglie Fiammetta fa accomodare gli ospiti, gentile padrona di casa che assiste il marito rispondendo al cellulare. Enea, il piccolo, gioca con un camioncino, forse incuriosito dal viavai di persone. Una casa normale: mobili in stile antico, la foto della comunione di Rachele, la figlia più grande, e le videocassette dei cartoni animati accanto alla tv. Sono chiuse dietro una vetrina che sa di passato la teoria di coppe e medaglie, quasi nascoste. E, incorniciata al muro, la fascia di campione del mondo dei pesi super Welther Wba, strappata a Milano a Leo Cruz il 22 febbraio del 1984: il simbolo nemmeno ostentato di "Quando eravamo re" della sua categoria. Sopra, le altre fasce che hanno segnato il cammino verso l'iride: il Tricolore pesi Piuma del 1981, quella blu dell'Europeo conquistata nel 1983.
"Non sono un morto di fame. Un lavoro ce l'ho, alla Darsena di Rimini, ho un posto fisso, i miei figli vanno a una scuola privata - spiega Loris Stecca - ma quel che mio è mio e lo voglio. E voglio giustizia". Ma non sembra nemmeno un aspirante suicida. Arrabbiato sì, eccome, si accalora a ripercorrere le tappe di quello che, nell'ultimo mese - dice la moglie Fiammetta - "non lo fa più dormire": una lettera della Fondiaria, ormai spiegazzata, che chiude ogni trattativa rimandando all'esito della causa la conclusione del contenzioso. E che ha preso a testa bassa, come se fosse sul ring.
Non può combattere più, Stecca. Ha 48 anni, la federazione italiana gli ha negato il nulla osta, lo stesso la federazione sammarinese. Per tornare sul quadrato dovrebbe affiliarsi ad altre federazioni estere. "Tornerei per guadagnare quel che non mi volete accordare, gli ho scritto alla compagnia assicurativa. Io ho perso la mia carriera in quell'incidente. E dovrei stare tranquillo? Sono deluso. Io che ho subito il danno, costretto ad elemosinare la chiusura di questo calvario".
Pubblicato su L'UnItà, pagina dello Sport