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Grassi Benaglia Moretti avvocati e commercialisti

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Aggiornato: 2 giorni 9 ore fa

La nozione di privata dimora nel furto in abitazione

Mar, 05/09/2017 - 11:58

Con sentenza n. 31345/17 (deposito del 22 giugno 2017) le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione affrontano la questione controversa del concetto di “privata dimora”, in particolare nel reato di furto in abitazione 624-bis c.p., affermando che ai fini della configurabilità del predetto reato “rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare.”

La vicenda traeva origine da un ricorso per Cassazione avverso la condanna in appello nei confronti di un soggetto condannato con rito abbreviato per i reati di cui agli artt. 624-bis e 625 primo comma n. 2 c.p. in quanto si era introdotto all’interno di un esercizio commerciale, asportando denaro e una macchina fotografica. L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, denunciando l’erronea applicazione del più grave delitto di furto in applicazione in luogo di quello “semplice”.

Ravvisata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in materia, la questione è passata alle Sezioni Unite. Accanto ad un primo orientamento che intende la privata dimora come luogo dove vengano svolti atti della vita privata (quindi anche attività lavorative, culturali, professionali politiche), vi è un secondo orientamento che ritiene esulino dal concetto di privata dimora quei luoghi che consentano l’accesso al pubblico. Esistono poi ulteriori orientamenti “intermedi” che valorizzano altri criteri (l’occasionalità della presenza del proprietario in quei luoghi, l’orario di apertura, etc.).

Dopo aver preso atto di questa pluralità di orientamenti, le SS.UU. dichiarano immediatamente che l’ampliamento della nozione propugnato dal primo orientamento, sia eccessivo e contrasti sia col dato letterale della norma che con ogni interpretazione sistematica.

La nozione di “privata dimora” è certamente più ampia di quella di abitazione, specificano però i Giudici. Il riferimento deve essere inteso a quello di luogo adibito a svolgimento di atti della vita privata, non limitati soltanto a quelli della vita familiare o intima (propri dell’abitazione). Chi giudica – aggiunge la Corte – non deve rinunciare ad compiere ulteriori approfondimenti sulla natura e sull’utilizzo di tali luoghi.

Certamente errato è invece far dipendere l’applicazione della norma e di un trattamento sanzionatorio più grave (l’art. 624-bis. c.p.) da elementi “vaghi, incerti e occasionali” (come ritengono gli orientamenti intermedi) come la presenza o meno di persone durante il fatto o la circostanza che esso sia avvenuto nell’orario di apertura e chiusura, accettando così una sorta di “tutela ad intermittenza” (Cass. sez. V, n. 428/2015).

Le Sezioni Unite riportano al centro della discussione la ratio della norma, nel momento in cui fu pensata ed introdotta dal legislatore: la tutela dell’individuo anche nel caso in cui compia atti della sua vita privata al di fuori dell’abitazione. Luoghi che abbiano dunque le stesse caratteristiche dell’abitazione in termini di riservatezza e non accessibilità da parte di terzi senza il consenso del proprietario.

Facendo leva sull’interpretazione che offre la giurisprudenza costituzionale (in riferimento all’art. 14 della Carta) e al concetto di “domicilio”, le Sezioni Unite delineano così la nozione di privata dimora sulla base di alcuni indefettibili elementi: a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, attività professionale e lavoro in genere); durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo da parte di terzi senza consenso.

Quando, dunque, poter applicare la nozione di “privata dimora” contenuta nell’art. 624-bis in relazione ai luoghi di lavoro? E’ indiscutibile – premettono le Sezioni Unite – che che nei luoghi di lavoro il soggetto compia atti della vita privata. Ma ciò non è sufficiente. I luoghi di lavoro, infatti, sono accessibili ad una pluralità di persone anche senza l’autorizzazione del titolare. Sono pertanto esposti all’intrusione altrui e ciò significa che è fuori luogo parlare di riservatezza e tutela della sfera privata. Di conseguenza, potrà esser riconosciuta la funzione di privata dimora solo in quei luoghi (o parte di essi) dove il soggetto compie atti della vita privata in modo riservato e precludendo accesso a terzi: retrobottega, bagni privati, spogliatoi, area riservata di uno studio professionale, etc.

Nel caso di specie, non risultava che gli oggetti sottratti si trovassero in un’area riservata (il denaro nella cassa e la macchina fotografica sul tavolo). Pertanto, la Corte di Cassazione ha correttamente riqualificato il fatto in furto semplice (ancorché aggravato dall’aver usato violenza sulle cose, in quanto vi era stata un’effrazione), annullando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’Appello per rideterminare la pena.

Avv. Patrick Francesco Wild

 

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La nozione di privata dimora nel furto in abitazione

Mar, 05/09/2017 - 11:58

Con sentenza n. 31345/17 (deposito del 22 giugno 2017) le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione affrontano la questione controversa del concetto di “privata dimora”, in particolare nel reato di furto in abitazione 624-bis c.p., affermando che ai fini della configurabilità del predetto reato “rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare.”

La vicenda traeva origine da un ricorso per Cassazione avverso la condanna in appello nei confronti di un soggetto condannato con rito abbreviato per i reati di cui agli artt. 624-bis e 625 primo comma n. 2 c.p. in quanto si era introdotto all’interno di un esercizio commerciale, asportando denaro e una macchina fotografica. L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, denunciando l’erronea applicazione del più grave delitto di furto in applicazione in luogo di quello “semplice”.

Ravvisata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in materia, la questione è passata alle Sezioni Unite. Accanto ad un primo orientamento che intende la privata dimora come luogo dove vengano svolti atti della vita privata (quindi anche attività lavorative, culturali, professionali politiche), vi è un secondo orientamento che ritiene esulino dal concetto di privata dimora quei luoghi che consentano l’accesso al pubblico. Esistono poi ulteriori orientamenti “intermedi” che valorizzano altri criteri (l’occasionalità della presenza del proprietario in quei luoghi, l’orario di apertura, etc.).

Dopo aver preso atto di questa pluralità di orientamenti, le SS.UU. dichiarano immediatamente che l’ampliamento della nozione propugnato dal primo orientamento, sia eccessivo e contrasti sia col dato letterale della norma che con ogni interpretazione sistematica.

La nozione di “privata dimora” è certamente più ampia di quella di abitazione, specificano però i Giudici. Il riferimento deve essere inteso a quello di luogo adibito a svolgimento di atti della vita privata, non limitati soltanto a quelli della vita familiare o intima (propri dell’abitazione). Chi giudica – aggiunge la Corte – non deve rinunciare ad compiere ulteriori approfondimenti sulla natura e sull’utilizzo di tali luoghi.

Certamente errato è invece far dipendere l’applicazione della norma e di un trattamento sanzionatorio più grave (l’art. 624-bis. c.p.) da elementi “vaghi, incerti e occasionali” (come ritengono gli orientamenti intermedi) come la presenza o meno di persone durante il fatto o la circostanza che esso sia avvenuto nell’orario di apertura e chiusura, accettando così una sorta di “tutela ad intermittenza” (Cass. sez. V, n. 428/2015).

Le Sezioni Unite riportano al centro della discussione la ratio della norma, nel momento in cui fu pensata ed introdotta dal legislatore: la tutela dell’individuo anche nel caso in cui compia atti della sua vita privata al di fuori dell’abitazione. Luoghi che abbiano dunque le stesse caratteristiche dell’abitazione in termini di riservatezza e non accessibilità da parte di terzi senza il consenso del proprietario.

Facendo leva sull’interpretazione che offre la giurisprudenza costituzionale (in riferimento all’art. 14 della Carta) e al concetto di “domicilio”, le Sezioni Unite delineano così la nozione di privata dimora sulla base di alcuni indefettibili elementi: a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, attività professionale e lavoro in genere); durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo da parte di terzi senza consenso.

Quando, dunque, poter applicare la nozione di “privata dimora” contenuta nell’art. 624-bis in relazione ai luoghi di lavoro? E’ indiscutibile – premettono le Sezioni Unite – che che nei luoghi di lavoro il soggetto compia atti della vita privata. Ma ciò non è sufficiente. I luoghi di lavoro, infatti, sono accessibili ad una pluralità di persone anche senza l’autorizzazione del titolare. Sono pertanto esposti all’intrusione altrui e ciò significa che è fuori luogo parlare di riservatezza e tutela della sfera privata. Di conseguenza, potrà esser riconosciuta la funzione di privata dimora solo in quei luoghi (o parte di essi) dove il soggetto compie atti della vita privata in modo riservato e precludendo accesso a terzi: retrobottega, bagni privati, spogliatoi, area riservata di uno studio professionale, etc.

Nel caso di specie, non risultava che gli oggetti sottratti si trovassero in un’area riservata (il denaro nella cassa e la macchina fotografica sul tavolo). Pertanto, la Corte di Cassazione ha correttamente riqualificato il fatto in furto semplice (ancorché aggravato dall’aver usato violenza sulle cose, in quanto vi era stata un’effrazione), annullando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’Appello per rideterminare la pena.

Avv. Patrick Francesco Wild

 

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L'AGENZIA DELLE ENTRATE PAGA LE SPESE SE PROVOCA IL PROCESSO E POI SI RITIRA

Lun, 17/07/2017 - 12:54

Si potrebbe riassumere con il proverbiale “chi rompe paga” la sentenza che ha visto condannare l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese legali a favore di un contribuente difeso dal dott. Giovanni Benaglia.

Seguiamo da anni il contenzioso tributario, con esiti sempre positivi” esordisce il socio dello studio. “Nello specifico il caso trae origine da un appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro una sentenza di primo grado che dichiarava illegittimo un avviso di accertamento che contestava l’omissione di una plusvalenza realizzata a seguito di una cessione di terreno edificabile”.

In primo grado il cliente, sempre difeso dallo studio, aveva ottenuto ragione e aveva respinto l’esosa richiesta avanzata dall’Agenzia delle Entrate. In secondo grado l’Ufficio, dopo aver fatto ricorso e costretto il contribuente nuovamente a difendersi, ha ritenuto di annullare l’avviso di accertamento pretendendo, però, di compensare le spese di giudizio.

Di fronte a questa palese ingiustizia ci siamo opposti e i Giudici di Secondo grado ci hanno dato ragione: come da noi sostenuto l’annullamento di un avviso di accertamento in pendenza di giudizio rientra nell’ipotesi di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere per motivi diversi rispetto a quelli previsti per legge. Quindi, l’Agenzia delle Entrate deve pagare le spese di giudizio del contribuente”.

Su questo tema, tra l’altro, il dott. Benaglia ha incentrato il commento apparso sul numero 25/2017 della rivista IL FISCO, prestigioso settimanale di approfondimento per professionisti e imprese con il quale il dottor Benaglia collabora già da diversi anni. Nel commento viene approfondito anche l’annosa questione del pagamento delle spese di lite le quali, prima della recente introduzione della riforma del 2015, venivano sovente compensate tra le parti sulla base di una supposta, ma mai provata, “complessità del caso trattato”.

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L'AGENZIA DELLE ENTRATE PAGA LE SPESE SE PROVOCA IL PROCESSO E POI SI RITIRA

Lun, 17/07/2017 - 12:54

Si potrebbe riassumere con il proverbiale “chi rompe paga” la sentenza che ha visto condannare l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese legali a favore di un contribuente difeso dal dott. Giovanni Benaglia.

Seguiamo da anni il contenzioso tributario, con esiti sempre positivi” esordisce il socio dello studio. “Nello specifico il caso trae origine da un appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro una sentenza di primo grado che dichiarava illegittimo un avviso di accertamento che contestava l’omissione di una plusvalenza realizzata a seguito di una cessione di terreno edificabile”.

In primo grado il cliente, sempre difeso dallo studio, aveva ottenuto ragione e aveva respinto l’esosa richiesta avanzata dall’Agenzia delle Entrate. In secondo grado l’Ufficio, dopo aver fatto ricorso e costretto il contribuente nuovamente a difendersi, ha ritenuto di annullare l’avviso di accertamento pretendendo, però, di compensare le spese di giudizio.

Di fronte a questa palese ingiustizia ci siamo opposti e i Giudici di Secondo grado ci hanno dato ragione: come da noi sostenuto l’annullamento di un avviso di accertamento in pendenza di giudizio rientra nell’ipotesi di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere per motivi diversi rispetto a quelli previsti per legge. Quindi, l’Agenzia delle Entrate deve pagare le spese di giudizio del contribuente”.

Su questo tema, tra l’altro, il dott. Benaglia ha incentrato il commento apparso sul numero 25/2017 della rivista IL FISCO, prestigioso settimanale di approfondimento per professionisti e imprese con il quale il dottor Benaglia collabora già da diversi anni. Nel commento viene approfondito anche l’annosa questione del pagamento delle spese di lite le quali, prima della recente introduzione della riforma del 2015, venivano sovente compensate tra le parti sulla base di una supposta, ma mai provata, “complessità del caso trattato”.

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LO STUDIO GRASSI BENAGLIA MORETTI INVESTE NELLA CULTURA E NELLA MEMORIA

Sab, 08/07/2017 - 10:36

La memoria e il ricordo sono il motore del presente e la linfa vitale del futuro. Per questo non abbiamo avuto dubbi nell’aiutare a realizzare il libro che ricorda l’anniversario la nascita di Viserbella”. Giovanni Benaglia, socio dello studio, motiva così la scelta dello Studio di sponsorizzare la pubblicazione del libro che commemora i 110 anni dalla fondazione di Viserbella, frazione a nord del Comune di Rimini.

La pubblicazione è stata promossa dal Museo della Marineria e delle Conchiglie E’ Scaion, con il patrocini dell’IBC Istituto Beni Culturali della Regione Emilia Romagna e del Comune di Rimini, e con la collaborazione dell’associazione L’Ippocampo Viserba, che ha messo a disposizione il proprio archivio fotografico e la propria esperienza maturata nel corso degli anni quale laboratorio urbano della memoria.

Il libro è una raccolta fotografica, proveniente da archivi privati, che racconta l’epopea della piccola frazione a nord di Rimini che, da paese povero formato da ortolani e pescatori diventa, con gli anni, parte di quell’immenso sviluppo economico che ha permesso alla costa romagnola di essere ricordata come capitale italiana del turismo. “Viserbella è la storia di Rimini e delle sue persone. I suoi abitanti, oltre un secolo fa, si sono rimboccati le maniche e si sono messi in gioco per migliorare le proprie condizioni di vita”, ricorda Giovanni Benaglia che di Viserbella è originario. “Senz’altro l’elemento emozionale ha giocato un ruolo importante nella scelta di aiutare la realizzazione di questo libro.  Io a Viserbella ci sono nato e cresciuto e a lei mi legano i ricordi della mia infanzia, delle estati e dei turisti, dell’odore del mare dopo una burrasca. Ritrovare le proprie origini è importante, perché ci consente, in questo mondo che sta cambiando velocemente, di avere sempre un punto fermo e di ritrovare, soprattutto nei momenti di difficoltà, un sicuro approdo per ricominciare il viaggio”.

Infine Benaglia ricorda che “il nostro Studio vuole continuare a investire in cultura. Perché è un modo per far conoscere la parte migliore della nostra terra e della nostra gente. Con la cultura noi raccontiamo ciò che siamo”.

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LO STUDIO GRASSI BENAGLIA MORETTI INVESTE NELLA CULTURA E NELLA MEMORIA

Sab, 08/07/2017 - 10:36

La memoria e il ricordo sono il motore del presente e la linfa vitale del futuro. Per questo non abbiamo avuto dubbi nell’aiutare a realizzare il libro che ricorda l’anniversario la nascita di Viserbella”. Giovanni Benaglia, socio dello studio, motiva così la scelta dello Studio di sponsorizzare la pubblicazione del libro che commemora i 110 anni dalla fondazione di Viserbella, frazione a nord del Comune di Rimini.

La pubblicazione è stata promossa dal Museo della Marineria e delle Conchiglie E’ Scaion, con il patrocini dell’IBC Istituto Beni Culturali della Regione Emilia Romagna e del Comune di Rimini, e con la collaborazione dell’associazione L’Ippocampo Viserba, che ha messo a disposizione il proprio archivio fotografico e la propria esperienza maturata nel corso degli anni quale laboratorio urbano della memoria.

Il libro è una raccolta fotografica, proveniente da archivi privati, che racconta l’epopea della piccola frazione a nord di Rimini che, da paese povero formato da ortolani e pescatori diventa, con gli anni, parte di quell’immenso sviluppo economico che ha permesso alla costa romagnola di essere ricordata come capitale italiana del turismo. “Viserbella è la storia di Rimini e delle sue persone. I suoi abitanti, oltre un secolo fa, si sono rimboccati le maniche e si sono messi in gioco per migliorare le proprie condizioni di vita”, ricorda Giovanni Benaglia che di Viserbella è originario. “Senz’altro l’elemento emozionale ha giocato un ruolo importante nella scelta di aiutare la realizzazione di questo libro.  Io a Viserbella ci sono nato e cresciuto e a lei mi legano i ricordi della mia infanzia, delle estati e dei turisti, dell’odore del mare dopo una burrasca. Ritrovare le proprie origini è importante, perché ci consente, in questo mondo che sta cambiando velocemente, di avere sempre un punto fermo e di ritrovare, soprattutto nei momenti di difficoltà, un sicuro approdo per ricominciare il viaggio”.

Infine Benaglia ricorda che “il nostro Studio vuole continuare a investire in cultura. Perché è un modo per far conoscere la parte migliore della nostra terra e della nostra gente. Con la cultura noi raccontiamo ciò che siamo”.

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Gli avvocati Capanni e Wild tra i nuovi iscritti di Rimini con i voti più alti

Sab, 15/04/2017 - 18:10

Siamo lieti di comunicare che gli avvocati Filippo Capanni e Patrick Wild, entrambi santarcangiolesi nonché co-gestori della sede clementina dello Studio Grassi Benaglia Moretti, sono stati selezionati - assieme ad altri tre neo-avvocati dell'Ordine di Rimini - per partecipare ad un corso promosso da Cassa Forense

Ai cinque nuovi iscritti all'Ordine degli Avvocati con il punteggio più elevato nel corso delle ultime sessioni dell'esame di abilitazione all'esercizio della professione forense (ndr esame d'avvocato) è stata infatti data l'opportunità di partecipare ad una serie di incontri formativi promossi da Cassa Forense, in co-branding con Il Sole 24 ore, che si terrà a Roma nei mesi di aprile, maggio e giugno. Gli approfondimenti riguarderanno in particolare le tematiche della privacy, del diritto ambientale e della normativa anti-riciclaggio.

I due avvocati, che hanno recentemente inaugurato assieme agli altri fondatori e soci (tra cui proprio l'Avvocato Davide Grassi e l'Avvocato Gaia Galeazzi) la sede di Santarcangelo di Romagna, sono peraltro cresciuti professionalmente proprio all'interno dello Studio Legale e Tributario Grassi Benaglia Moretti.

FONTE 

 

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Sabato 18 marzo inauguriamo la sede di Santarcangelo di Romagna

Gio, 16/03/2017 - 10:48

 

Anticipando l'arrivo della primavera, siamo lieti di annunciare ed invitarvi all'inaugurazione della nuova sede dello Studio Legale e Tributario, a Santarcangelo di Romagna, sabato 18 marzo.

Nata dall'iniziativa degli Avvocati Filippo Capanni e Patrick Wild, entrambi santarcangiolesi e "cresciuti" professionalmente all'interno dello Studio Grassi, Benaglia & Moretti, questa nuova esperienza coinvolge e interessa direttamente anche il socio fondatore, l'Avv. Davide Grassi, e il socio Avvocato Gaia Galeazzi

Grazie alle competenze acquisite dai professionisti dello Studio, al pari della sede principale di Rimini, anche la sede santarcangiolese tratterà e si occuperà dunque della tutela personale in ogni area del diritto (penale, civile, lavoro, infortunistica, immigrazione).

Quando uno Studio professionale è prima di tutto una grande famiglia, una nuova "nascita" va salutata con un brindisi! Vi aspettiamo quindi sabato 18 marzo, in via Dante di Nanni n. 18/F, alle ore 18.00, per festeggiare assieme a noi!

 

 

N.B. La sede può essere già contattata ai seguenti recapiti:

Tel +39.0541.623954 - Fax +39 0541.1791846.

 

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Nasce “LAPTOP”, il GEIE finalizzato a proporre all’Unione Europea progetti innovativi nell’ambito turistico e agricolo.

Lun, 06/02/2017 - 12:05

E’ nato la settimana scorsa "LAPTOP", il Gruppo di Interesse Economico Europeo che vede la partecipazione, tra i membri fondatori, tra gli altri di ISCOM FORMAZIONE Cesena e Ri-Genera Impresa srl.

Scopo del neo costituito GEIE è quello di promuovere, sviluppare e realizzare la gestione di progetti in campo turistico e agri-turistico, implementare azioni di marketing (quali la partecipazione congiunta a fiere ed eventi) verso i bacini europei e quelli emergenti a livello internazionale, lo sviluppo di standard e marchi di qualità il tutto con un occhio di riguardo all’integrazione del turismo con settori affini quali quello eno-gastronomico, del wellness e dell’arte.

Promotore dell’iniziativa è la Confcommercio del Comprensorio Cesenate assieme al suo ente di formazione ISCOM FORMAZIONE. Le due realtà si sono avvalse, per la realizzazione, della consulenza dello studio Grassi Benaglia Moretti nella persona del socio Giovanni Benaglia, per quanto riguarda la parte giuridica e normativa, e della società FIN PROJECT SRL, società riminese specializzata nella progettazione, gestione e rendicontazione di progetti finanziati a livello regionale, nazionale e comunitario.

Il GEIE”, spiega il dott. Benaglia “è uno strumento giuridico creato nell’ordinamento europeo con il regolamento n. 2137 del 1985 e successivamente recepito nella normativa italiana con il decreto legislativo n. 240/1991. Ha lo scopo di unire, tramite un contratto, le conoscenze e le risorse dei soggetti economici di almeno due Paesi appartenenti all’Unione Europea. L’idea di fondo è quella di creare una massa critica di piccole e e medie imprese, associazioni o altri enti affinchè possano partecipare a progetti più grandi rispetto a quelli che le loro dimensioni permetterebbero”.

“L’approccio messo in campo da Confcommercio di Cesena e Iscom Formazione è decisamente innovativo”, prosegue il dott. Benaglia “Con questo strumento i membri fondatori di Laptop non si limitano ad aspettare l’arrivo di finanziamenti europei a pioggia sul proprio territorio per aiutare micro progetti, slegati fra loro, di singoli operatori.  Al contrario, ribaltano il paradigma e, attraverso lo strumento del GEIE, sono gli stessi operatori che mettono insieme le proprie qualità, fanno sistema con altre realtà europee omogenee, e chiedono all’UE di finanziare dei progetti che senza ombra di dubbio avranno ricadute non solo sui soggetti promotori ma su tutto il territorio”. 

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La Rinascita al centro degli auguri per il nuovo anno

Gio, 02/02/2017 - 21:32

Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito […].In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”.

Con queste parole, tratte dal Vangelo di Matteo il dott. Benaglia, socio dello studio GRASSI BENAGLIA MORETTI, ha iniziato il tradizionale augurio rivolto ai suoi clienti per le festività natalizia.

Il messaggio, quest’anno, è improntato sul tema della rinascita e della ricostruzione della città di Rimini, martoriata e straziata dalle bombe durante la Seconda Guerra Mondiale. L’occasione è il 70° anniversario della nascita della Repubblica.

Il tradizionale augurio è accompagnato con un dono, anch’esso rivolto ai clienti: una pubblicazione dal titolo “PIU’ GRANDE, PIU’ BELLA PIU’ PROSPERA – Rimini: la rinascita civile e umana (01 dicembre 1945 –- 01 novembre 1946) che riproduce, al suo interno, la copia della comunicazione originale del Sindaco che annuncia la fine della guerra, la relazione tenuta dal Sindaco durante l’insediamento della Consulta Comunale e, infine, la copia del discorso tenuto, sempre dal Sindaco, al ricostituito Consiglio Comunale. La pubblicazione è introdotta da un testo del Prof. Bagnaresi Davide, che racconta la difficile ricostruzione di una Città martoriata dalla guerra.

Scrive Benaglia, nella sua lettera: “Un esercizio di memoria storica che non vuole solo ricordare ma che vuole anche essere monito per non ripetere gli errori. Non dobbiamo mai scordarci, infatti, che la tragedia che abbiamo vissuto 70 anni fa è accaduta perché a un certo punto, invece di costruire ponti, abbiamo iniziato a costruire dei muri tra le persone. La stessa cosa che stiamo facendo oggi con le migliaia di donne e uomini che vengono a bussare, quotidianamente, alle nostre porte perché la vita nei loro Paesi non è più sostenibile. I nostri nonni e i nostri genitori hanno avuto la fortuna di poter rivivere la loro rinascita sulla propria terra. Le persone che sbarcano o muoiono sulle rive del nostro mare hanno l’occasione di rinascere solo lontano dalla propria casa. Alla tragedia della miseria si aggiunge quella dell’abbandono dei propri affetti. Nonostante questo, ogni giorno attraversano il mare cercando una vita migliore”.

Il dott. Benaglia si augura che il 2017 sia l’anno in cui “ciascuno di noi incominci, nel proprio piccolo, a buttare giù i muri, a dare un’occasione di rinascita anche alle nostre sorelle e fratelli più lontani e di impegnarci a combattere qualsiasi discriminazione di razza, di religione, di idee politiche, perché alla fine tutti noi apparteniamo a un unico genere che è quello umano”.

 

Chi volesse ricevere copia della pubblicazione può inoltrare la propria richiesta all’indirizzo mail g.benaglia@gbmassociati.it.

 

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Accusato di tentato omicidio, condannato per lesioni

Lun, 30/01/2017 - 11:54

Un giovane sammaurese, a processo per aver accoltellato due ragazzi, è stato condannato a 5 anni per lesioni. La Procura aveva chiesto 10 anni e mezzo per tentato omicidio.

Il ragazzo - difeso dagli avvocati Davide Grassi e Gaia Galeazzi - era stato inizialmente arrestato a fine dicembre 2015 e finito a processo davanti al Tribunale di Ravenna con l'accusa di tentato omicidio. Secondo il Pubblico Ministero, la notte di Santo Stefano del 2015 avrebbe ferito due ragazzi nei pressi di locali da ballo della zona. Il 24 gennaio, al termine dell'istruttoria, il Collegio del Tribunale Penale di Ravenna ha tuttavia parzialmente accolto le richieste degli avvocati difensori, derubricando il reato a lesioni aggravate e condannando l'imputato alla pena di 5 anni e 6 mesi.

Il 27enne, dopo un periodo di custodia cautelare in carcere, è stato scarcerato e si trova ora agli arresti domiciliari.

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Analisi, prevenzione e contrasto della corruzione: un seminario a cura dell'Avv. Wild

Lun, 12/12/2016 - 16:53

Lunedì 19 dicembre (dalle 15 alle 18), l'Avv. Patrick Wild, collaboratore dello Studio Grassi Benaglia Moretti, sarà a Bellaria Igea Marina (RN) per curare un incontro di formazione gratuito, rivolto principalmente ad amministratori e dipendenti pubblici, sul fenomeno della corruzione, la l. 190/2012, il whistleblowing, il ruolo di A.N.A.C., la redazione del Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione, etc.

Sarà un'occasione per fare il punto in tema di anticorruzione e di adempimenti obbligatori in capo ad amministrazioni e Responsabile Anticorruzione, a pochi giorni dalla Giornata Internazionale contro la Corruzione e la pubblicazione dell'ultimo rapporto del GRECO sull'Italia.

L'evento è sostenuto dalla Regione Emilia Romagna e promosso dall'Osservatorio provinciale sulla criminalità organizzata, il FISU (Forum Italiano Sicurezza Urbana) e il Comune di Bellaria Igea Marina

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Il Controllo a distanza dei lavoratori a seguito del Jobs Act

Ven, 09/12/2016 - 16:12

Chi installa videocamere o dispositivi per controllare i dipendenti, senza previo accordo con i sindacati, commette un reato. Anche a seguito dei decreti attuativi del Jobs Act.

Lo ha stabilito la terza sezione della Corte di Cassazione penale (sentenza n. 51897 ud. 08/09/2016 - deposito del 06/12/2016), relativamente al caso di una donna che presso il proprio distributore di benzina aveva fatto installare, senza però darne avviso, delle telecamere per controllare i propri dipendenti. Gli agenti accertatori avevano contestato il reato previsto dagli articoli 4 e 38 dello Statuto dei Lavoratori ed il Tribunale, in primo grado, aveva condannato la rappresentante legale dell'azienda. Veniva dunque proposto ricorso per Cassazione, rigettato tuttavia dalla Suprema Corte. 

La terza Sezione ha ricordato come il decreto 23/2015, attuativo di alcune deleghe contenute nel Jobs Act, abbia modificato la L. 300/70, "rimodulando la fattispecie che prevede il divieto dei controlli a distanza, nella consapevolezza di dover tener conto, nell’attuale contesto produttivo, oltre degli impianti audiovisivi, anche degli altri strumenti dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori e di quelli utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa" e che dunque sussiste continuità di illecito, anche a seguito delle modifiche normative.

Gli Ermellini hanno specificato che tale condotta non costituiva un legittimo esercizio di chi intende tutelare il patrimonio aziendale, giudicando al contrario lesive "le manifestazioni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro lesive della dignità e della riservatezza del lavoratore".

Leggi la sentenza integrale

 

Avv. Patrick Francesco Wild

 

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Imprenditore vittima di estorsione: imputati condannati, risarcimento alle parti civili

Ven, 09/12/2016 - 12:36

Il Tribunale di Milano ha condannato un'intera famiglia, accusata di tentata estorsione ai danni di un imprenditore. Risarcimento alle parti civili, tra cui SOS IMPRESA.

Le indagini prima e il processo poi hanno permesso di accertare come un'intera famiglia - tra cui il padre, soggetto già coinvolto in attività criminali di storici boss insediati a Quarto Oggiaro - avesse posto in atto un'attività estorsiva (riconosciuta dai giudici nella forma del tentativo) nei confronti di un imprenditore attivo in Lombardia nel settore delle pulizie. Le minacce erano finalizzate ad acquisire quote della società della vittima, per poi sostituirsi del tutto al legittimo proprietario. A quest'ultimo venivano imposta inoltre l'assunzione di diversi operai, tutti pregiudicati. L'imprenditore (difeso dall'Avvocato riminese Davide Grassi), tuttavia, ha trovato il coraggio di denunciare quanto stava subendo, anche grazie all'appoggio dello sportello di SOS IMPRESA, associazione a tutela della libera impresa che si è poi costituita parte civile nel processo, con l'Avv. Gaia Galeazzi del Foro di Rimini. 

Il 23 novembre scorso, il Tribunale del Milano, accogliendo le richieste del Pubblico Ministero Silvia Perrucci, ha così condannato tutti gli imputati: otto anni al capofamiglia e due anni alla moglie e alla figlia. Riconosciuto il danno patito dalle parti civili, i Giudici hanno poi disposto il risarcimento a favore dell'imprenditore e di Sos Impresa, alla quale è stato liquidato un danno di 10.000 euro.

Come riporta l'articolo di cronaca del giorno successivo, nell'ambito del processo si è assistito anche alla trasmissione degli atti in Procura per falsa testimonianza da parte di uno dei testi della difesa.

"Questa è solo una delle tante tristi vicende che emergono al Nord - commenta il presidente di SOS IMPRESA di Milano Ferruccio Patti - gli imprenditori non sempre hanno il coraggio di ribellarsi ai loro aguzzini".

(l'articolo è tratto da Repubblica del 24 settembre 2014, a firma di Sandro De Riccardis)

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Offese su Facebook all'ex datore di lavoro: logiche da social, niente diffamazione

Mer, 16/11/2016 - 18:08

Rimini - Quelle parole su Facebook non erano degli insulti, ma un giudizio critico sulle qualità del suo ex datore di lavoro. 

Sono le motivazioni con le quali il giudice Vinicio Cantarini ha definitivamente archiviato l'accusa di diffamazione nei confronti di un utente riminese del social network, difeso dall'Avvocato Davide Grassi, che aveva lasciato un commento a corredo di un post nel quale si lodavano le iniziative dell'altro, titolare di uno stabilimento balneare a Marina Centro. L'accusato, "indignato e rancoroso per il trattamento illegittimo subito nel corso del rapporto di lavoro avuto in passato" (a suo dire pagato cinquecento euro al mese in nero e senza giorno di pausa) aveva accompagnato la descrizione del presunto torto subito a un giudizio negativo ("Ecco chi è il noto filantropo"). Secondo il GIP, inoltre, la successiva espressione ("bella merda"), era da riferirsi alle condizioni di lavoro e non al bagnino. Per il giudice, la libera scelta di pubblicizzare la propria attività  su Facebook comporta anche un'accettazione al sistema di comunicazione dei social e quindi pure alle eventuali critiche. Nell'interpretazione del GIP, in questo caso, l'indagato spinto ad agire in uno stato di provocazione, non avrebbe superato il limite della continenza.

(dal Corriere di Romagna, edizione del 15 novembre 2016)

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La pronuncia del Giudice per le Indagini Preliminari di Rimini definisce il caso in questione, tornando nuovamente su uno dei temi più attuali e scottanti del momento, vale a dire le condotte degli utenti sui (numerosi) social network - nella specie Facebook -, sconfinato terreno all'interno del quale possono verificarsi situazioni che determinano quotidianamente l'instaurarsi di procedimenti penali a carico degli stessi. Nella vicenda in esame, il GIP riminese ha accolto la tesi prospettata dalla difesa dell'indagato e dal Pubblico Ministero che ne aveva richiesto a sua volta l'archiviazione, evidenziando che l'accettazione delle logiche dei social da parte di un utente non pone quest'ultimo al riparo dalle eventuali critiche, sempre che queste non contengano notizie o fatti falsi o attacchi gratuiti alla persona, contumelie o espressioni dileggianti. L'indagato, in altre parole, non ha superato i limiti della continenza poiché "...Sono in definitiva gli interessi in gioco che segnano la misura delle espressioni consentite. D'altronde, come ricorda la giurisprudenza CEDU, il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni non concerne unicamente le idee favorevoli o inoffensive o indifferenti, alla cui manifestazione nessuno mai s'opporrebbe, ma è al contrario principalmente rivolta a garantire la libertà proprio delle opinioni che urtano, scuotono o inquietano (Cass. n. 36045/2014).

 

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Truffe online: sussiste l'aggravante della minorata difesa

Mar, 15/11/2016 - 09:48

La Corte di Cassazione ha affermato che in relazione al reato di truffa commesso attraverso vendite “on line”, è configurabile la circostanza aggravante della c.d. minorata difesa, prevista dall’art. 61 n. 5 cod. pen., richiamata dall’art. 640, comma 2, n. 2 bis, cod. pen. [Sentenza n. 43705 ud. 29/09/2016]

La Corte ha osservato che nell'ambito delle vendite online, il venditore, in virtù della distanza fisica e del versamento anticipato del prezzo da parte dell'acquirente, si pone su un piano di maggior favore rispetto alla vittima. Vantaggio di cui non godrebbe qualora la vendita avvenisse "de visu".

Avv. Patrick Francesco Wild

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REVI.COOP: una cooperativa al servizio di imprese e privati

Ven, 14/10/2016 - 12:23

L'esperienza decennale che contraddistingue i componenti dello Studio GRASSI BENAGLIA MORETTI ha permesso di far nascere REVI.COOP, cooperativa che ha come obiettivo quello di fornire servizi nell’ambito della consulenza fiscale e contabile, dell’auditing e della consulenza strategica. Nell'ambito romagnolo è una novità che una pluralità di professionisti decide di organizzarsi sottoforma di cooperativa. 

Ne parliamo con il dott. Giovanni Benaglia, che della nuova realtà è l’amministratore unico.

Innanzitutto, perché una cooperativa?

Principalmente perché questa forma societaria ribalta la concezione dei rapporti fra le persone che ci lavorano dentro. Vede, nelle imprese capitalistiche l’obiettivo è il profitto, fatto anche a discapito dei lavoratori e dei collaboratori. Nelle cooperative, invece, le persone si uniscono volontariamente per soddisfare i propri bisogni economici, sociali e culturali attraverso la creazione di una società di proprietà comune e controllata in maniera democratica.

Quali vantaggi dovrebbero esserci per i vostri Clienti?

Se si lavora meglio, il servizio offerto ai Clienti è migliore.

A questo punto non ci resta da chiedere quali servizi offrite.

Consulenza fiscale, contabile e amministrativa sia ai privati che alle famiglie. Consulenza in ambito societario e strategico. Il fatto poi, che la Cooperativa sia formata principalmente da Revisori contabili, ci permette di svolgere una preventiva attività di controllo della società e dei suoi conti. Inoltre, il fatto che i suoi soci abbiano già una esperienza pluriennale nel settore, permette a REVI COOP di fornire consulenza su tutto ciò che ruota intorno all’imprenditore.

Ci può fare qualche esempio?

Assisterlo nella creazione di società, aiutarlo a separare i rischi personali da quelli dell’impresa. Ma non solo. Siamo in grado di fornire consulenza nelle operazioni straordinarie, quali acquisizioni, trasformazioni e fusioni d’azienda. Nell’ambito societario, invece, i professionisti di REVI COOP sono in grado di fornire consulenza e assistenza nella nascita di nuove iniziative societarie, predisporre patti parasociali per definire i rapporti tra i soci. Infine, un altro ambito di operatività della cooperativa, è quello dei contratti di impresa legati, soprattutto, ad operazioni di finanza straordinaria. Mi lasci, infine, dire una cosa.

Prego.

REVI COOP si rivolge anche a quegli imprenditori in erba che pensano di essere spaventati di fronte ai costi di consulenti che li aiutino a dare corpo alle proprie idee. REVI COOP sarà partner del progetto “IO IMPRENDO” che lo Studio Grassi Benaglia Moretti lancerà a breve a sostengo proprio dei giovani imprenditori. Ma di questo, credo, avremo modo di parlarne più avanti. 

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Tecnologia e innovazione nei sistemi di controllo di gestione

Dom, 09/10/2016 - 17:37

In occasione del Convegno Nazionale sull'Internazionalizzazione dell'UNGDCEC (Unione Nazionale dei Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili) del 6-7 ottobre 2016 è stato presentato questo volume.dal contenuto innovativo, di cui Marco Moretti è co-autore in qualità di componente della commissione nazionale "Cultura d'impresa, controllo di gestione e imprenditorialità" dell'UNGDCEC. Presto sarà disponibile come E-book.

Partendo dall'analisi del ruolo del commercialista nell'attuale contesto economico, il testo cerca di approfondire le criticità della professione in relazione alle mutate esigenze del mercato, cercando di cogliere le opportunità insite nel cambiamento in corso. L'evoluzione tecnologica e scientifica offre sempre maggiori strumenti per la gestione e il controllo delle imprese, sia dal punto di vista economico che finanziario. In questo ambito, il compito del commercialista sarà sempre più centrale nell'affiancamento degli imprenditori, in modo da guidare il loro intuito nella gestione della crisi e verso un miglioramento continuo.

Questo libro, oltre ad offire in modo chiaro e sintetico preziose nozioni sulle principali tecniche di controllo di gestione e sui sistemi di reportistica, mette a disposizione anche strumenti pratici di analisi, dandone piena e approfondita spiegazione. Conclude con tre "case history" e con i nuovi schemi del rendiconto finanziario, obbligatorio a partire dall'esercizio 2016 per tutte le imprese che non potranno adottare lo schema di bilancio abbreviato ex art. 2435-bis o quello per le micro-imprese, previsto dal nuovo art 2435-ter del codice civile.

 

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Quando il lavoratore è vittima di straining

Gio, 11/08/2016 - 11:31

▶ Cos'è? Quali le differenze con il "Mobbing"? A differenza del mobbing, il quale presuppone una pluralità di atti persecutori ravvicinati nel tempo e di gravità crescente, lo straining - letteralmente "sforzare" - consiste nell'inflizione al lavoratore di uno "stress forzato" a mezzo di pochi atti distanziati nel tempo o anche di un atto singolo, compiuto appositamente e deliberatamente e che continua a far sentire per lungo tempo e in modo costante i propri effetti negativi sulla posizione lavorativa del dipendente.

▶ Cosa può ottenere il lavoratore vittima di straining? Il lavoratore colpito può agire per il risarcimento del danno biologico (comprensivo sia della compromissione psicofisica subita che della sofferenza morale a essa connessa) ed eventualmente del danno patrimoniale per lesione della professionalità (per esempio qualora vi sia ipotesi di demansionamento). Nel 2013, una pronuncia della sezione penale della Corte di Cassazione, nell'ambito di un procedimento per maltrattamenti (ex 572 c.p.) ai danni di un dipendente di banca, ha riconosciuto il suo diritto al risarcimento in quanto era stato costretto a lavorare in un "vero e proprio sgabuzzino, spoglio e sporco, con mansioni dequalificanti, meramente esecutive e ripetitive”. Tale condotta aveva cagionato al lavoratore in questione una lesione che si era concretizzata nella “causazione di un’incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per un periodo di tempo superiore a 40 giorni”. Importante: la pretesa risarcitoria può essere esercitata entro dieci (10) anni, trattandosi di responsabilità contrattuale ai sensi dell'art. 2087 c.c. Il consiglio è comunque di attivarsi tempestivamente presso uno studio legale e contestualmente rivolgersi a medici-psicologici specializzati per certificare eventuali lesioni psico-fisiche.

▶ Può esserci straining anche in assenza di mobbing? Sì, la Cassazione ha stabilito che il giudice, "pur se accerti l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di "mobbing", è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti - per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto - possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell'esistenza di questo più tenue danno" (Cassazione civile sez. lav. 19 febbraio 2016 n. 3291). 

In definitiva, per la giurisprudenza lo straining si configura quale forma attenuata del mobbing, dal quale si differenzia potendo verificarsi anche solo tramite poche sporadiche condotte, ma al quale rimane accomunato dagli effetti - negativi - sullo stato psico-fisico del lavoratore che ne è colpito.

 

 

Avv. Patrick Francesco Wild

 

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Quando il lavoratore è vittima di straining

Gio, 11/08/2016 - 11:31

▶ Cos'è? Quali le differenze con il "Mobbing"? A differenza del mobbing, il quale presuppone una pluralità di atti persecutori ravvicinati nel tempo e di gravità crescente, lo straining - letteralmente "sforzare" - consiste nell'inflizione al lavoratore di uno "stress forzato" a mezzo di pochi atti distanziati nel tempo o anche di un atto singolo, compiuto appositamente e deliberatamente e che continua a far sentire per lungo tempo e in modo costante i propri effetti negativi sulla posizione lavorativa del dipendente.

▶ Cosa può ottenere il lavoratore vittima di straining? Il lavoratore colpito può agire per il risarcimento del danno biologico (comprensivo sia della compromissione psicofisica subita che della sofferenza morale a essa connessa) ed eventualmente del danno patrimoniale per lesione della professionalità (per esempio qualora vi sia ipotesi di demansionamento). Nel 2013, una pronuncia della sezione penale della Corte di Cassazione, nell'ambito di un procedimento per maltrattamenti (ex 572 c.p.) ai danni di un dipendente di banca, ha riconosciuto il suo diritto al risarcimento in quanto era stato costretto a lavorare in un "vero e proprio sgabuzzino, spoglio e sporco, con mansioni dequalificanti, meramente esecutive e ripetitive”. Tale condotta aveva cagionato al lavoratore in questione una lesione che si era concretizzata nella “causazione di un’incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per un periodo di tempo superiore a 40 giorni”. Importante: la pretesa risarcitoria può essere esercitata entro dieci (10) anni, trattandosi di responsabilità contrattuale ai sensi dell'art. 2087 c.c. Il consiglio è comunque di attivarsi tempestivamente presso uno studio legale e contestualmente rivolgersi a medici-psicologici specializzati per certificare eventuali lesioni psico-fisiche.

▶ Può esserci straining anche in assenza di mobbing? Sì, la Cassazione ha stabilito che il giudice, "pur se accerti l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di "mobbing", è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti - per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto - possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell'esistenza di questo più tenue danno" (Cassazione civile sez. lav. 19 febbraio 2016 n. 3291). 

In definitiva, per la giurisprudenza lo straining si configura quale forma attenuata del mobbing, dal quale si differenzia potendo verificarsi anche solo tramite poche sporadiche condotte, ma al quale rimane accomunato dagli effetti - negativi - sullo stato psico-fisico del lavoratore che ne è colpito.

 

 

Avv. Patrick Francesco Wild

 

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