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L’Agenzia delle Entrate esclude le agevolazioni sulla scissione basandosi su norme non più attuali

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 225/2025 pubblicata il giorno 21 agosto 2025 esclude la possibilità di utilizzare le agevolazioni fiscali di cui all’art. 173 comma 15-ter del Tuir in caso di scissione con scorporo a favore di beneficiaria pre-esistente, in quanto l’operazione non è contemplata dall’articolo 2506.1 del Codice Civile. Peccato, però, che l’articolo del Codice Civile a fondamento del proprio convincimento è stato modificato dal D. Lgs. 88/2025, con decorrenza dal giorno 8 luglio 2025, inserendo al suo interno la possibilità di realizzare operazioni di scissione con scorporo a favore anche di beneficiarie pre-esistenti. Il caso. L’art. 51 del Decreto Legislativo 19/2023, in adempimento alla Direttiva UE 2019/2121, ha introdotto nel nostro sistema giuridico l’articolo 2506.1 che norma la scissione mediante scorporo. Con questa operazione la società scissa assegna una parte del proprio patrimonio a favore di un’altra società e le azioni o le quote vengono assegnate alla società scissa stessa e non ai soci di quest’ultima, come avviene abitualmente nella scissione normale già ampiamente normata dal nostro Codice Civile. A seguito di questa innovazione normativa è stata introdotta anche la relativa disciplina fiscale, attraverso l’inserimento nell’articolo 173 del Tuir del comma 15 ter, il quale contiene una serie di limitazioni alla fruizione del beneficio della neutralità della scissione con scorporo, rispetto a quella più ampia prevista per la scissione ordinaria. L’errore compiuto dall’Agenzia delle Entrate non è nella lettura della normativa in sé, ma piuttosto nel lasso temporale in cui questa lettura è avvenuta. La formulazione originaria dell’articolo 2506.1 del C.c., in effetti, prevedeva che la scissione mediante scorporo potesse avvenire solo a favore di nuove società e non a favore di beneficiarie pre-esistenti. Tuttavia, come è già stato detto, il D. Lgs. 88/2025, ha aperto la possibilità, a far data dal giorno 8 luglio 2025, di realizzare scissioni con scorporo anche a favore di società pre esistenti.   Nell’ambito primigenio, dunque, si colloca la risposta in commento fornita dall’Agenzia delle Entrate la quale esclude qualsiasi agevolazione fiscale alla scissione con scorporo a favore di società pre esistenti per il semplice fatto che la norma civilistica, per l’appunto, non contiene la previsione di realizzare tali operazioni. Il peccato commesso, dunque, potrebbe attenere a quello della svista, avendo pubblicato la risposta successivamente alla modifica normativa, non verificandone l'attualità. Conclusione. Sulla base delle modifiche intervenute, smentendo la risposta n. 225/2025, si può dunque affermare che le agevolazioni contenute nell’art. 173 comma 15-ter del Tuir si possono applicare anche alle scissioni con scorporo nelle quali la beneficiaria è una società pre esistente,  in considerazione del fatto che l’art. 2506.1 del Codice Civile ammette la realizzazione anche di tale tipo di scissione.       Notizie ImpreseOggi
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Le sponsorizzazioni sportive sono sempre deducibili dal reddito di impresa

Le sponsorizzazioni sportive sono assistite da una presunzione legale assoluta di inerenza e l’Agenzia delle Entrate non può effettuare una valutazione sulla congruenza e sulla coerenza delle stesse. Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza numero 17778 del 18 giugno 2025 e pubblicata il 01 luglio 2025. Il caso. I Giudici della Cassazione sono stati chiamati a decidere su un ricorso proposto da un contribuente il quale, per l’annualità 2014 e 2015, si è visto disconoscere dall’Agenzia delle Entrate, i costi relativi a una sponsorizzazione effettuata a favore di una associazione sportiva, per un importo annuale di euro 30.000.  Impugnato l’atto, si è visto riconoscere le proprie ragioni in primo grado. Tuttavia l’Appello ha ribaltato la sentenza, ritenendo i giudici le spese pubblicitarie sostenute non congrue rispetto al fatturato, in quanto pari al 60% dello stesso, e con un bacino di possibili interessati pari al 7% dei clienti della società. La decisione. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso del contribuente e ribalta la decisione dei giudici d’Appello. L’articolo 90 della Legge 289/2002, ora sostituito dall’art. 12 c.3 del D. Lgs 28.02.2021 n. 36, prevede che le spese di sponsorizzazione fatte a favore di associazioni sportive dilettantistiche possiedono una presunzione legale assoluta di inerenza purchè abbiano queste caratteristiche:
  • Il soggetto beneficiario deve essere, alternativamente, una associazione sportiva dilettantistica, una fondazione costituita da istituzioni scolastiche, o associazioni e gruppi sportivi scolastici che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuti dalle Federazioni Sportive Nazionali o da Enti di Promozione Sportiva;
  • Le spese non superino l’importo di 200.000 euro annui;
  • Le spese siano mirate a promuovere l’immagine e i prodotti di chi le sostiene;
  • Il beneficiario, cioè l’associazione sportiva, abbia effettivamente realizzato una attività promozionale a favore di chi ha pagato le sponsorizzazioni.
Se le sponsorizzazioni possiedono le caratteristiche appena enunciate, come nel caso di specie, secondo gli Ermellini allora possono ritenersi interamente deducibili. A tal proposito, richiamandosi alla sentenza della Cassazione n. 8981/2017, osservano che “la presunzione legale di inerenza/deducibilità delle spese di sponsorizzazione di società sportive dilettantistiche, sancita dall’art. 90 comma 8, della L. n. 289 del 2002, opera in virtuù della sola ricorrenza dei presupposti previsti dalla norma, senza che rilevino, pertanto, requisiti ulteriori”. Concetto ulteriormente ribadito anche nella più recente sentenza della Cassazione n. 4612/2023 nella quale, a riguardo delle spese di sponsorizzazione, la norma “fissa una presunzione assoluta di inerenza e congruità”, al punto da ritenere “integralmente deducibili tali spese dal reddito del soggetto sponsor”. Gli Ermellini, nella sentenza in commento, chiudono osservando che l’Agenzia delle Entrate, proprio per il carattere assoluto della presunzione legale in tema di sponsorizzazione sportiva, non può effettuare alcuna valutazione in merito alla congruenza o alla coerenza delle stesse, essendo un’attività che esula dal dettato normativo in materia Notizie ImpreseOggi
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E’ impugnabile dal contribuente l’avviso per l’imposta di registro notificato solo al notaio.

E’ legittima la notifica solo al notaio e non anche ai contribuenti obbligati in solido, di un avviso di liquidazione riguardante l’imposta di registro. Così come è legittimo, in questo caso, che il contribuente a cui non è stato notificato l’avviso di liquidazione possa comunque proporre il ricorso. Così si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 21454/2025 pubblicata il 25 luglio 2025. Il caso. In sede di assegnazione a una cooperativa edilizia di un terreno destinato ad edilizia economica popolare si è provveduto a registrare il relativo atto applicando l’imposta di registro in misura fissa in luogo, secondo l’Agenzia delle Entrate, dell’imposta proporzionale ai sensi dell’art. 1 della tariffa allegata al Dpr 131/1986. Il conseguente avviso di liquidazione è stato notificato solo al notaio rogante e non anche alle parti che hanno partecipato all’atto di assegnazione. La cooperativa, venuta a conoscenza della rettifica operata dall’Agenzia delle Entrate, ha impugnato l’avviso di liquidazione vedendosi riconosciute le proprie ragioni dalla Commissione Tributaria Regionale. L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la decisione di secondo grado lamentando, tra le altre cose, anche il difetto di legittimazione della cooperativa in quanto non destinataria dell’originaria notifica dell’avviso di liquidazione. La decisione. La Corte di Cassazione ritiene che l’avviso di liquidazione notificato solo al notaio possa essere comunque impugnato anche dai contribuenti che hanno partecipato all’atto oggetto di rettifica. La previsione dell’invio anche al notaio degli avvisi di liquidazione ai fini dell’imposta di registra vale per costituirlo responsabile del pagamento dell’imposta ai sensi dell’art. 13 del D. Lgs. 472/1997 ma non ha alcun effetto sul principio, previsto dall’art. 57 del D.p.r. 131/86, per il quale gli obbligati al pagamento dell’imposta di registro rimangono i soggetti che hanno partecipato all’atto contestato. Trattandosi, poi, di una obbligazione solidale fra i contraenti e il notaio, la Corte di Cassazione osserva che il pagamento dell’avviso di liquidazione da parte del notaio ha come conseguenza l’estinzione dell’obbligazione anche nei confronti degli altri obbligati. Secondo gli Ermellini, quindi, l’Agenzia delle Entrate può chiedere il dovuto a chi vuole; il notaio, che nel caso di specie è il debitore che ha pagato per tutti, potrà richiedere indietro agli altri coobbligati quanto da loro dovuto e sarà in questa sede che le altre controparti potranno proporre eventuali eccezioni al pagamento di quanto richiesto. Notizie ImpreseOggi
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Le nuove ricette per prodotti in scatola possono fruire del credito ricerca e sviluppo

La valutazione in merito alla possibilità per le ricette per nuovi prodotti in scatola di godere dell’agevolazione per la Ricerca e Sviluppo deve essere fatta da un esperto del settore e non solamente dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate, perché non hanno le competenze necessarie per giudicare l’innovazione tecnica nei settori produttivi. Questo è il principio espresso dalla sentenza n. 166/2024 emessa dalla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Rimini in data 09 settembre 2024 e pubblicata il giorno 02 ottobre 2024. Il caso. L’Agenzia delle Entrate ha provveduto a emettere degli avvisi di recupero nei confronti di una cooperativa agricola che oltre a trasformare i prodotti agroalimentari, si adopera anche a trovare nuove produzioni, nuove ricette per prodotti confezionati, nuove produzioni agricole, il tutto da destinare poi a una futura commercializzazione. Nello specifico l’attività che ha beneficiato del credito di imposta per la ricerca e sviluppo ha riguardato l’elaborazione di nuove ricette, basate anche sulla ricerca di nuove materie prime, un nuovo packaging e un nuovo marchio. Secondo l’Ufficio la ricerca svolta non ha permesso di superare un ostacolo scientifico ma semplicemente ha prodotto una modifica del gusto e dell’aspetto estetico dei prodotti già commercializzati dalla cooperativa stessa. Inoltre i costi utilizzati per calcolare il credito di imposta hanno riguardato unicamente quelli del personale, senza peraltro identificare in maniera certa che questi si riferissero alla supposta attività di ricerca e sviluppo. Secondo l’Ufficio, sulla base anche dei parametri espressi dal Manuale di Frascati, il contribuente non ha diritto al credito in materia di R&S in quanto la sua attività difetta del carattere innovativo. La decisione. I Giudici di Primo Grado, nell’accogliere il ricorso del contribuente, partono con l’osservare che per valutare correttamente se un’attività svolta sia da considerare effettivamente come ricerca e sviluppo e non una mera attività ordinaria si necessita di competenze tecniche che l’Agenzia delle Entrate oggettivamente non possiede. A tal proposito la norma agevolativa, all’art. 3 del D.L. 145/2013, prevede che venga attivato il Ministero dello Sviluppo Economico quale consulente per fornire pareri sulla effettività attività di ricerca e sviluppo svolta dal contribuente. Consulenza che nel caso di specie l’Ufficio non ha richiesto, svolgendo una verifica esclusivamente documentale della questione. Sul punto i Giudici osservano che nel nostro ordinamento è compito del contribuente provare che possiede i requisiti per avere diritto ad agevolazioni, specie quelli nell’ambito dei crediti di imposta. Se nell’ambito dell’accertamento, come nel caso in esame, il contribuente produce elementi tecnici specifici quali perizie, brevetti riconosciuti dagli organi competenti, convenzioni di ricerca con Università, l’Agenzia delle Entrate può ritenerli non congrui solo se è in possesso di una valutazione espressa da un organo competente, quale può essere il Ministero dello Sviluppo Economico. Diversamente, in sede di eventuale giudizio, sarà compito del Giudice valutare se quanto prodotto dal contribuente a supporto della sua tesi è fondato: non avendo una prova diversa perché l’Ufficio non l’ha prodotta, non può che ritenere convincente, come nel caso di specie, quanto presente agli atti, a maggior ragione se la cooperativa ha ottenuto dei riconoscimenti sul carattere innovativo dell’attività di ricerca e sviluppo oggetto di contestazione. Scrivono i giudici riminese, a riguardo anche della questione delle ricette dei nuovi prodotti: “stabilire se c’è stata una valutazione delle sementi e dei terreni in cui è stata effettuata la raccolta dei prodotti base, se si tratta di prodotti più resistenti ai parassiti, ovvero se sono semplicemente più longevi, così come stabilire se siamo di fronte ad un semplice mix di prodotti già esistenti con la conseguente riformulazione del gusto e dell’aspetto estetico, ovvero un mix di erbe o ortaggi innovativo, implica una valutazione effettuata proprio da specialisti del settore”. Sulla questione, poi, dell’indicazione del solo costo del personale quale elemento formante il credito di imposta, per la Corte di Giustizia la norma non esclude che tutto il personale possa essere impiegato nell’attività di ricerca e sviluppo. E’ una scelta imprenditoriale, che tra l’altro può trovare riscontro nella necessità di adeguarsi più velocemente ai mutamenti del mercato. Infine ce n’è anche per il Manuale di Frascati, il quale indubbiamente può essere un valido aiuto per valutare i progetti di R&S, ma non può diventare l’unico supporto interpretativo vincolante. Così come il Manuale di Oslo, questi sono da considerare “strumenti tecnici, cui fare riferimento per acquisire informazioni utili per supportare le proprie basi concettuali e metodologiche, privi tuttavia di valore vincolante”. Notizie ImpreseOggi
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Incostituzionale l’esenzione ICI prima casa solo se si convive con i propri familiari

E’ incostituzionale la norma che, ai fini ICI, limita l’esenzione per la prima casa solo all’immobile dove il contribuente dimora abitualmente con i propri familiari, escludendo, quindi, il caso in cui i due coniugi abbiano residenze diverse. Così si è espressa la Corte Costituzionale con sentenza n. 112/2025 del 24.06.2025 e depositata il 18.07.2025, sulla legittimità costituzionale dell’art. 8 comma 2 del D. Lgs. 30/12/1992 n. 504, il quale prevede una esenzione parziale dal pagamento dell’imposta sull’abitazione principale definita come quella “nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente”. Il caso. L’oggetto del rinvio alla Corte Costituzionale per valutarne la legittimità riguarda la parte della norma in cui si lega l’agevolazione prima casa non solo alla dimora abituale del contribuente ma anche a quella dei propri familiari. Il caso richiama in pieno quello già affrontato dai giudici della Consulta in materia di Imu, e per il quale sono già intervenuti con la sentenza n. 209 del 2022 che ha dichiarato l’incostituzionalità della norma IMU proprio nella parte in cui si lega l’agevolazione prima casa alla residenza anagrafica non solo del contribuente proprietario (o usufruttuario) ma anche a quello dei propri familiari. Il problema si ripropone ai fini ICI, in quanto la sentenza n. 209/2022 ha disposto solo sulla questione riguardante l’IMU e, come correttamente osservato dalla Corte di Cassazione che ha promosso il nuovo giudizio costituzionale, per ormai consolidata prassi giurisprudenziale non è possibile estendere per analogia una norma di agevolazione tributaria. Perciò si è reso necessaria una separata disamina costituzionale su una materia, quella della definizione di prima casa, che di fatto è analoga sia ai fini IMU che ai fini ICI. Il giudizio costituzionale. La Corte Costituzionale, nel prendere la propria decisione, ha semplicemente ripreso le considerazioni espresse nella sentenza del 2022, adeguandole al caso riguardante l’ICI. Pertanto, anche in questo caso, la Consulta ha osservato che la disposizione che lega l’agevolazione alla coabitazione dei coniugi non tiene conto del fatto che, comunque, i coniugi possono stabilire legittimamente delle residenze diverse. Rinviano a quanto già scritto nella sentenza 209 del 2022, dove affermano che “in un contesto come quello attuale […] caratterizzato dall’aumento della mobilità del mercato del lavoro […] è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio […] concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale”. Il sospetto del Fisco, ovviamente, è sempre quello che per avvantaggiarsi di una doppia esenzione, i coniugi decidano di stabilire fittiziamente due residenze diverse ma, in realtà, vivere d’amore e d’accordo sotto un unico tetto. Su questo tema interviene la Corte Costituzionale, così come già fatto nel 2022, osservando che la norma così come è strutturata crea una situazione di disparità fra chi è sposato e chi, invece, è semplicemente convivente. Questi ultimi, infatti, possono liberamente stabilire la residenza anagrafica dove vogliono e godere delle relative agevolazioni, senza dover chiamare in causa familiari conviventi, non avendoli perché non sposati. Conclusioni. Sulla base, dunque, di quanto già sancito con la sentenza n. 209 del 2022 in materia di Imu, e delle considerazioni svolte per il caso specifico, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 comma 2 del D.Lgs. 504/92 nella parte in cui lega l’agevolazione prima casa ai fini ICI alla residenza non solo del proprietario o usufruttuario ma anche a quella dei propri familiari. Notizie ImpreseOggi
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Al via i contributi a fondo perduto per gli alloggi destinati ai lavoratori del turismo

Con l’art 14 del Decreto Legge 30 giugno 2025 n. 95 è stato introdotto uno specifico contributo a fondo perduto a favore delle imprese che gestiscono alloggi destinati ad ospitare i lavoratori del settore turistico e di quello della ristorazione. La misura introdotta, poi, prevede ulteriori contributi a favore dei lavoratori stessi di questi specifici settori, per sostenere le spese relative agli affitti. Le risorse a bando per le imprese e i lavoratori ammontano ad euro 44 milioni nel 2025 e 38 milioni per ciascun anno 2026 e 2027. Per l’entrata in vigore della misura di finanziamento a fondo perduto occorre attendere un decreto attuativo, da pubblicarsi entro trenta giorni dalla entrata in vigore della legge che ne prevede l’istituzione. BENEFICIARI DEL CONTRIBUTO. I beneficiari del contributo sono le imprese che hanno la piena ed esclusiva disponibilità degli immobili e che gestiscono in forma imprenditoriale:
  • alloggi o residenze destinati ai lavoratori del comparto turistico ricettivo;
  • strutture turistico ricettive: rientrano, dunque, nella casistica anche chi gestisce alberghi destinati esclusivamente ai lavoratori del comparto turistico ricettivo;
MISURA E CARATTERISTICHE DEL CONTRIBUTO. Come già illustrato, con un successivo decreto del Ministro del Turismo si stabiliranno meglio sia le caratteristiche dei soggetti beneficiari, sia i costi ammessi al contributo. Sempre con il citato decreto attuativo sarà prevista la percentuale del contributo a fondo perduto nonché le varie cause di revoca dello stesso. Al di là degli aspetti più tecnici e formali, il contributo concesso dovrà in ogni caso garantire ai lavoratori del comparto turistico ricettivo un contratto di affitto di almeno cinque anni e una riduzione dell’affitto almeno pari al 30% del valore medio di mercato. Tale riduzione potrà essere anche superiore, in proporzione al contributo che l’impresa richiedente riceverà. MAGGIORI INFORMAZIONI. In caso si fosse interessati al contributo qui descritto, per rimanere aggiornati anche sull’introduzione del relativo decreto attuativo, ci si può iscrivere alla newsletter dello studio. Notizie ImpreseOggi
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Le Regioni non possono prevedere indennizzi o criteri preferenziali per l’assegnazione delle concessioni demaniali marittime.

Se i Comuni volessero fare le gare per le concessioni balneari le potrebbero fare liberamente, senza dover attendere nessuna ulteriore legge nazionale o regionale che ne stabilisca i criteri e le modalità. Si potrebbe sintetizzare così la sentenza della Corte Costituzionale n. 89 del 09.04.2025 (pubblicata in G.u. il 02.07.2025) con la quale viene dichiarata l’illegittimità costituzionale parziale della legge della Regione Toscana n. 30/2024, che norma i criteri per l’espletamento sul territorio della Regione stessa delle gare per l’assegnazione delle concessioni demaniali marittime. La sentenza della Corte Costituzionale non è innovativa di per sé, ma rappresenta un utile compendio di pronunce passate, dimostrando come il dibattito sui criteri premiali, indennizzi, coinvolgimento delle Regioni e dei Comuni sia di fatto del tutto incostituzionale. Il caso. Il Presidente del Consiglio ha impugnato di fronte alla Corte Costituzionale la legge della Regione Toscana n. 30 del 29 luglio 2024 chiedendo la declaratoria parziale di incostituzionalità sui seguenti punti:
  • Facoltà per le Regioni di introdurre criteri o modalità di affidamento delle concessioni demaniali marittime diversi da quelli stabiliti dalle norme europee e o dalle leggi dello Stato. Secondo il Governo questa materia, per costante giurisprudenza costituzionale, è di sua esclusiva competenza e non può essere modificata dalle Regioni;
  • Introduzione di un criterio di premialità nel rilascio della concessione demaniale a favore di micro, piccole o medio impresa che operano nell’ambito turistico ricreativo;
  • Introduzione di un indennizzo in favore del concessionario uscente, a carico di quello subentrante, calcolato non solo considerando il valore residuo degli investimenti realizzati ma anche considerando il “valore reddituale” della concessione scaduta. Valore che non è altro che il più noto “avviamento”, escluso da qualsiasi normativa europea.
Nel suo ricorso il Presidente del Consiglio osserva, tra le altre cose, che introdurre un elemento di premialità dei concorrenti e un indennizzo calcolato anche sul valore dell’avviamento, è attività legislativa in netto contrasto con il D.L. 131/2024, che rappresenta il punto di equilibrio che lo Stato italiano ha raggiunto con la Commissione Europea rispetto alla procedura di infrazione sul tema della corretta applicazione della direttiva Bolkestein. La pronuncia della Corte Costituzionale. Il primo punto che i Giudici della Corte trattano riguarda la possibilità, per le Regioni, di introdurre nuovi criteri e nuove modalità non previsti dalla legislazione nazionale o europea. La Corte Costituzionale ritiene che tale possibilità non sia nei poteri delle Regioni. Richiama, in tal senso, le proprie sentenze n.  161/2020, n. 86/2019, n. 221, n.118 e n. 109/2018. Scrive la Corte: “i criteri e le modalità di affidamento di tali concessioni debbono essere stabiliti nell’osservanza dei principi della libera concorrenza recati dalla normativa statale e dell’Unione Europea, con conseguente loro attrazione nella competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e) Cost., che rappresenta sotto questo profilo un limite insuperabile alle pur concorrenti competenze regionali”. Resta salva, per la Corte, la possibilità per le Regioni di intervenire sulla materia riguardante le concessioni demaniali purchè tale non influisca “sulle modalità di scelta del contraente e non incida sull’assetto concorrenziale dei mercati in termini tali da restringere il libero esplicarsi delle iniziative imprenditoriali”, in quanto la potestà legislativa in tale ambito è di esclusiva prerogativa dello Stato. Sull’introduzione di una premialità a favore delle imprese turistico balneari e sulla determinazione dell’indennizzo, per la Corte costituzionale non vi è dubbio: la competenza su questo punto è dello Stato e non delle Regioni. A tal proposito scrive: “la disciplina regionale interferisce evidentemente con l’assetto concorrenziale del mercato delle concessioni balneari, restringendo il libero esplicarsi delle iniziative imprenditoriali […] in violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza”. E’ a questo punto che la Corte Costituzionale osserva che se i Comuni volessero le gare le potrebbero già fare oggi senza attendere l’introduzione di ulteriori leggi attuative. La Corte scrive: “Erano infatti già enucleabili dall’ordinamento, sia europeo che nazionale, principi e altri indicatori normativi utili in base ai quali indire le relative gare, valorizzati dalla stessa giurisprudenza amministrativa, pure richiamata dalla Regione Toscana”. Conclusioni. La Corte Costituzionale non fa altro, con la sentenza in commento, che riassumere la propria copiosa giurisprudenza in merito al tema delle concessioni demaniali marittime. La sua lettura , dunque, oltre che a rinfrescare la memoria pone davanti a sé il fatto che qualsiasi legge regionale che violi tali principi, sia da dichiarare incostituzionale e le gare già svolte siano da annullare. Con una chiosa finale che chiama in causa la differenza fra le parole e i fatti: la legge regionale della Toscana è stata impugnata dalla Presidenza del Consiglio in quanto incostituzionale sul tema dei criteri preferenziali e indennizzi a favore dei concessionari uscenti che sono il cavallo di battaglia dello stesso Governo, che non perde giorno per rassicurare quest’ultimi sul fatto che si sta impegnando per la loro tutela.  Notizie ImpreseOggi
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Pubblicati gli importi del contributo di revisione biennale 2025 - 2026 dovuto dalle cooperative

Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 maggio 2025 n. 124 il Decreto del Ministero delle Imprese e del Made in Italy con il quale si stabilisce l’importo del contributo biennale di revisione dovuto dalle cooperative per il biennio 2025 - 2026. Il decreto prevede le seguenti misure del contributo:   Fasce e importo Parametri Numero soci Capitale sottoscritto Fatturato a) € 330,00 fino a 100 fino a € 5.160,00 fino a € 75.000,00 b) € 790,00 da 101 a 500 da € 5.160,01 a € 40.000,00 da € 75.000,01 a € 300.000,00 c) € 1.560,00 superiore a 500 superiore a € 40.000,00 da € 300.000,01 a € 1.000.000,00 d) € 1.990,00 superiore a 500 superiore a € 40.000,00 da € 1.000.000,01 a € 2.000.000,00 e) € 2.740,00 superiore a 500 superiore a € 40.000,00 superiore a € 2.000.000,00   Per fatturato si intende il “valore della produzione” indicato nella lettera A dell’art. 2425 del Codice Civile. Per quanto riguarda le cooperative edilizie, il fatturato da utilizzare per determinare il contributo è da intendersi come il maggior valore tra l’eventuale incremento di valore degli immobili (sia essi indicati nelle immobilizzazioni materiali che nelle rimanenze) e il Valore della Produzione, di cui alla già citata lettera dell’art. 2425 del codice civile. Il contributo biennale deve essere aumentato:
  • del 50% per le società cooperative che hanno la revisione annuale. Tale previsione riguarda le cooperative che hanno un fatturato superiore  a Euro 15.493.706,97 oppure che detengono partecipazioni di controllo in srl e le cooperative edilizie di abitazione e i loro consorzi iscritti al relativo Albo nazionale, purchè abbiano già iniziato un programma edilizio;
  • del 30% per le cooperative sociali;
  • del 10% nel caso di cooperative edilizie di abitazione e loro consorzi, compresi quelli aventi sede nelle Regione a Statuto Speciale. Si ricorda che, nel caso ricorrano le condizioni di cui ai due punti precedenti, il contributo anche se già maggiorato va ulteriormente maggiorato del 10%
Contributo di revisione biennale 2025 per le Banche di Credito Cooperativo. Il contributo biennale dovuto, invece, per le Banche di Credito Cooperativo è così determinato:   Fasce e importo Parametri   Numero soci Totale attivo (migliaia di euro) a) € 2.780,00 fino a 980 fino a 124.000 b) € 4.310,00 da 981 a 1680 da 124.001 a 290.000 c) € 7.660.00 oltre 1680 oltre 290.000 Contributo di revisione biennale 2025 per le Società di Mutuo Soccorso. Il contributo biennale di revisione dovuto, invece, per le Società di Mutuo Soccorso è così determinato:   Fasce e Importo (in euro) Numero soci Contributi mutualistici (in euro) a € 330,00 fino a 1.000 fino a 100.000 b € 650,00 da 1.001 a 10.000 da 100.001 a 500.000 c € 970,00 oltre 10.000 oltre 500.000   Modalità di calcolo del contributo biennale di revisione 2025. La collocazione in una delle fasce previste nelle precedenti tabelle richiede il possesso di tutti i parametri previsti.  In caso contrario, la fascia di competenza sarà quella nella quale è presente il parametro più alto. Nel caso, ad esempio, di una cooperativa che ha 10 soci ma un fatturato di 150.000,00 la fascia di competenza non sarà quella che prevede il versamento del contributo pari ad euro 330,00, ma bensì quella che prevede il versamento di euro 790,00. I parametri da utilizzare alla base del calcolo sono quelli del bilancio al 31.12.2024 o, nel caso di esercizio non coincidente con l’anno solare, con il bilancio approvato nel corso del 2024.  Esoneri e limitazioni nel pagamento del contributo biennale di revisione.   Le cooperative che determinano lo scioglimento prima della scadenza del termine di pagamento del contributo biennale di revisione, sono tenute al pagamento dell’importo minimo di euro 330,00, fatte salve le maggiorazioni previste per la tipologia di cooperativa di riferimento.  Per le cooperative di nuova costituzione il termine di pagamento è fissato entro 90 giorni dalla data di iscrizione nel Registro delle Imprese. La fascia di riferimento per il calcolo di contributo è quella rilevabile unicamente dai parametri presenti al momento dell’iscrizione nel registro delle imprese.  Non è dovuto alcun contributo nel caso di iscrizione dopo il 31 dicembre 2024.  Modalità di versamento. Il contributo viene versato utilizzando il modello F24. I codici tributo da riportare sono i seguenti:  Codice Descrizione 3010 contributo biennale
maggiorazioni del contributo (ad esclusione del 10% dovuta dalle cooperative edilizie) interessi per ritardato pagamento 3011 maggiorazione del 10% dovuta dalle cooperative edilizie interessi per ritardato pagamento 3014 sanzioni Termine per il versamento del contributo biennale di revisione.  Il termine per il versamento del contributo biennale di revisione è fissato in novanta giorni a decorre dalla data di pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale e, cioè, quindi entro il giorno 28 agosto 2025. Notizie ImpreseOggi
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Enti terzo settore: contributi a fondo perduto per prevenzione dipendenze da sostanze

Il Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze ha pubblicato sul proprio sito un avviso pubblico rivolto agli Enti pubblici e agli Enti del Terzo settore per la realizzazione di servizi o comunità educative rivolte ai giovani con l’obiettivo di prevenire le dipendenze patologiche sia da sostanze stupefacenti che dal sempre più presente problema della dipendenza da digitale. Le risorse, in totale dieci milioni di euro, sono state reperite sulle quote residue non assegnate dell’otto per mille a diretta gestione statale per l’annualità 2023 e riguardanti i progetti per il “Recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche”. Soggetti beneficiari. Possono presentare la domanda di contributo a fondo perduto:
  • gli enti pubblici;
  • gli enti del Terzo Settore regolarmente iscritti al Runts;
  • le associazioni sportive dilettantistiche iscritte al RAS;
  • le Onlus iscritte nell’anagrafe delle Onlus di cui all’articolo 10 del D. Lgs. 460/1997.
I progetti possono essere presentati anche da un’associazione temporanea di più enti privati e anche da un parternariato-pubblico privato. Spese ammissibili. Possono essere ammesse al finanziamento a fondo perduto le seguenti spese dirette:
  • spese per personale interno impiegato direttamente nel progetto;
  • spese per personale esterno impiegato direttamente nel progetto;
  • acquisto di beni e servizi;
  • spese per trasferte del personale nella misura massima del 15% del totale dei costi diretti.
Sono ammissibili anche le spese generali considerate come costi indiretti ma nella misura massima del 5% del costo totale del progetto. Le spese per essere ammesse a rendicontazione del progetto devono essere effettive, pagate con strumenti tracciabili e riferite al periodo di realizzazione del progetto stesso. Non sono ammesse, dunque, spese sostenute prima dell’inizio o dopo la fine del progetto oggetto di finanziamento a fondo perduto. Importo del contributo a fondo perduto e durata del progetto. Il finanziamento richiesto, che copre l’intero progetto presentato, non potrà essere superiore ad euro 200.000. Il progetto dovrà avere una durata complessiva pari a ventiquattro mesi, prorogabile una sola volta di ulteriori sei mesi. Modalità di assegnazione del contributo. La concessione del contributo avverrà a sulla base di una graduatoria a punteggio, sulla base dei seguenti parametri:
  • Qualità della proposta progettuale, basata sulla chiara esposizione degli obiettivi generali e sulla coerenza della proposta progettuale rispetto alle finalità dell’Avviso;
  • Caratteristiche del soggetto proponente, considerando l’esperienza maturata in ambito sociale;
  • Elementi finanziari e cronoprogramma, valutando la coerenza sia delle attività descritte con il piano finanziario che la coerenza della tempistica indicata rispetto alle attività proposte.
Scadenza dell’avviso. Le domande di ammissione al contributo a fondo perduto dovranno essere presentate tramite Pec entro e non oltre le ore 23.59 del giorno 25 luglio 2025.   Informazioni e supporto alla presentazione della domanda. Per avere maggiori informazioni sul bando e richiedere il supporto per la presentazione delle domande si può contattare lo studio al numero 0541.708252

 

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Salpata per la Croazia la crociera terapeutica Cento Fiori, con due nuovi capitani per un progetto che cresce

Cooperativa sociale Cento Fiori - Lun, 16/06/2025 - 17:12
Una settimana, due traversate dell’Adriatico, 5 utenti del Centro Osservazione e Diagnosi e 4 operatori per un viaggio che è una lunga, entusiasmante e impegnativa seduta di terapia per lottare contro la dipendenza.

Rimini – Poche ore al tramonto, le operazioni di stivaggio della cambusa, l’incontro con il fondatore delle crociere terapeutiche, capitan Werther Mussoni e poco dopo: via gli ormeggi. Cinque utenti del Centro di Osservazione e Diagnosi di Vallecchio stanno navigando nelle acque croate in quella che può dare l’idea di una settimana di svago. Ma non è così: con i cinque pazienti sono partiti Gabriella Maggioli, psicoterapeuta, vicepresidente della cooperativa sociale Cento Fiori, responsabile delle strutture terapeutiche di Vallecchio (e in questa occasione cambusiera), Chiara Gentili, educatrice veterana di questa tipologia di terapia oggi chiamata Outdoor education, Michele Maurizio D’Alessio, psicologo e Lorenzo Rizzo, al secolo responsabile dell’Ufficio Personale Cento Fiori ma da quest’anno a piano titolo capitano, al pari di D’Alessio.

Eh sì, la crociera di quest’anno segna un altro punto di svolta, non meno importante dei precedenti. Dopo le crociere effettuate in collaborazione con l’Università di Bologna e il Cefeo (Centro di Ricerca sull’Educazione e la Formazione Esperienziale e Outdoor) e la presentazione di anni di sperimentazione al 9th International Adventure Therapy Conference in Norvegia, il Progetto Ulisse cresce con due nuovi comandanti: Michele Maurizio D’Alessio e Lorenzo Rizzo hanno ricevuto le cerate di capitano dalle mani dei loro due predecessori, Andrea Ambrosani e dal fondatore delle crociere, Werther Mussoni. I due, Michele e Lorenzo, hanno fatto un passaggio in più: dopo la patente per la navigazione con cabinati fino a 12 miglia, hanno superato l’esame per navigare oltre le 12 miglia, prendendosi la responsabilità di navigare fino in Croazia, la tradizionale destinazione per gli utenti imbarcati sugli scafi a vela del progetto Ulisse.

La barca del Progetto Ulisse, le crociere terapeutiche della Cooperativa Sociale Cento Fiori, mentre naviga verso la Croazia.

Michele Maurizio D’Alessio è un veterano delle terapie di bordo Cento Fiori, che pratica da oltre 20 anni. Ma è anche un esperto velista che ha affinato passione e competenza sugli scafi a deriva mobile, in particolare sulle barche della classe olimpica 470. Barche molto tecniche e veloci dove le capacità di timonare e di regolare le vele fanno il paio con l’affiatamento tra timoniere e prodiere. Più variegata ma non meno passionale l’esperienza di Lorenzo Rizzo, che dal gozzo familiare, uno scafo in legno a motore della tradizione del cabotaggio ligure, è presto passato alla deriva mobile a vela per divertimento con gli amici, alla vela nei cabinati, diventando armatore di un 8 metri. Per entrambi, infine, il suggello delle loro passioni e competenze, con la doppia patente che ha consentito loro di effettuare la traversata dell’Adriatico in questi giorni.

Parlare di crociera può far pensare a una vacanza se solo immaginiamo le cartoline dai porti i delle isole dalmate. In realtà sono un tassello importante nel progetto terapeutico della Cooperativa Sociale Cento Fiori per la loro forte valenza psicoterapica. Nate dalla felice intuizione di Werther Mussoni, all’epoca presidente della cooperativa, oltre che appassionato velista, l’embrione di quello che oggi viene chiamato Progetto Ulisse era la ben nota Goletta Verde, un due alberi che gli utenti e gli educatori della Cento Fiori avevano restaurato da un vecchio peschereccio. Nelle prime crociere terapeutiche, navigate lungo tutto lo stivale, si imbarcò l’associazione ambientalista Legambiente, portando attraverso gli equipaggi di Vallecchio le sue iniziative nei porti e le spiagge italiane. Ora si naviga sui cabinati 12 metri forniti dall’agenzia nautica Albatross di Rimini, ma il senso dell’esperienza immersiva è rimasto.

“Poche esperienze come la convivenza in una barca, la condivisione di spazi ristretti, il misurarsi con la natura mutevole e ammaliatrice del mare, portano a incontrare se stessi, a scoprire che si possono vivere fortissime emozioni anche senza utilizzare le sostanze”, ha detto Werther Mussoni in quello che lui chiama scherzosamente “il pistolotto” di saluto agli utenti. Un rito ormai che riporta alla realtà i ragazzi che hanno scelto prima di liberarsi dalle dipendenze, poi di affrontare la nuova avventura terapeutica. Per molti è la prima esperienza in barca e il carico di emozioni, un misto di entusiasmo, eccitazione ma anche incognite su cosa accadrà nei prossimi giorni, è un nodo che si scioglie nel dialogo con Werther Mussoni.

Si dividono i compiti e la terapia inizia, mollando gli ormeggi. “Si può dire tranquillamente – dice D’Alessio – che la crociera è un gruppo terapeutico lungo una settimana, dove i ragazzi si confrontano in modo forte e si rivelano, a se stessi e agli altri, nel quale le avventure marine diventano il diversivo al lavoro profondo che stanno facendo sui loro problemi, nella loro ricerca fuori dalla dipendenza”. E con i ragazzi, lavorano i colleghi della Cento Fiori, osservando i pazienti, conducendo i dialoghi singoli e in gruppo e condividendo gli impegni di gestione degli utenti e della barca. “In questo viaggio avere Lorenzo come capitano significa per me dedicare in modo più sereno il mio tempo ai ragazzi, alleggerendo le responsabilità della barca”, dice D’Alessio. E per Gabriella Maggioli, le responsabilità del gruppo trovano nella cucina di bordo un diversivo e una gratificazione, merito di un piccolo tonno pescato nella notte e trasformato in un gustoso sugo ai pomodorini freschi.

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Contributi a fondo perduto per le piccole e medie imprese della Valmarecchia.

Ampliare e riqualificare le piccole e medie imprese extra agricole della Valmarecchia per favorire lo sviluppo dell’occupazione, il potenziamento dell’offerta turistica e l’erogazione di nuovi servizi alle persone che vivono in quella zona: questi gli obiettivi dell’iniziativa proposta dal Gal Valli Marecchia e Conca, tramite il proprio "Avviso Pubblico denominato “Ampliamento e riqualificazione delle micro/piccole/medie imprese (PMI) extra agricole in zone rurali”. Misura del contributo a fondo perduto.  L’iniziativa prevede la concessione di un contributo a fondo perduto nella misura dal 40% al 60% a seconda del Comune della Valmarecchia dove è ubicato l’investimento proposto. Possono richiedere l’agevolazione le piccole e medie imprese, così come definite dall’allegato I del Reg.to UE 2472/2022, che svolgono attività extra agricole e che sono già costituite al momento della presentazione della domanda. Possono partecipare all’iniziativa anche i liberi professionisti. Beneficiari. I requisiti che i partecipanti devono possedere sono i seguenti:
  • essere iscritti al Registro Imprese della Camera di Commercio al momento della presentazione della domanda di contributo a fondo perduto;
  • rispettare i contratti collettivi nazionali e territoriali per il personale dipendente;
  • essere in regola con il Durc;
  • non trovarsi in stato di fallimento o liquidazione coatta amministrativa;
Interventi ammissibili. Gli interventi ammissibili, di almeno 20.000 euro di spesa minima e 90.000 euro di spesa massima, devono essere avviati solo dopo la presentazione della richiesta di contributo a fondo perduto. Le spese che danno diritto alla agevolazione sono le seguenti:
  • opere murarie e impiantistiche necessarie all’adeguamento, ampliamento, o al miglioramento degli immobili dove si esercità l’attività. Rientrano in questa categoria anche gli interventi finalizzati al contenimento dei consumi energetici, come il fotovoltaico;
  • macchinari, attrezzature, impianti di lavorazione o trasformazione;
  • mobili o arredi da destinare agli immobili oggetto di intervento;
  • sistemazione, adeguamento e miglioramento delle aree esterne degli immobili oggetto di intervento, nel limite massimo del 15% delle spese ammissibili;
  • software e attrezzature informatiche;
  • veicoli industriali con portata superiore ai 35 quintali con relativi allestimenti interni;
  • veicoli non industriali solo se strettamente funzionali alle attività di impresa oggetto dell’intervento, nel limite di spesa di euro 30.000 e con esclusione delle autovetture fino a cinque posti anche se immatricolate come autocarri;
  • spese di promozione nel limite del 10% delle spese ammissibili;
  • spese generali, nei limiti indicati dettagliatamente dal bando.
Termine per le domande.  Le domande devono essere presentate entro e non oltre le ore 13.00 del giorno 10.10.2025. Il contributo sarà erogato sulla base di una graduatoria formata utilizzando i criteri definiti all’interno dello stesso bando di agevolazione. Notizie ImpreseOggi
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CNCA e Cento Fiori: “decreto Sicurezza, grave passo indietro per la nostra democrazia”

Cooperativa sociale Cento Fiori - Gio, 05/06/2025 - 13:48
Demonizza il dissenso, elemento strutturale e vitale della vita democratica, e colpisce categorie di persone additate ingiustamente come una grave minaccia per la collettività.

Il CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti) esprime profonda preoccupazione per l’approvazione del cosiddetto decreto Sicurezza. Azzerando il dibattito parlamentare, governo e maggioranza elevano a legge dello stato una posizione fortemente autoritaria non compatibile con la democrazia liberale e si accaniscono contro soggetti additati ingiustamente come una grave minaccia per la collettività, puniti oltretutto con pene abnormi e ingiustificabili: i ragazzi che protestano per l’incapacità della politica di affrontare un’emergenza climatica che segnerà la storia dell’umanità, le donne rom incinte o con figli piccolissimi, gli occupanti di case inutilizzate da anni, spinti dalla necessità di trovare un alloggio in un mercato immobiliare dai costi fuori controllo anche per chi ha un lavoro regolare a tempo pieno e che fanno felici solo i percettori di rendite – in questo caso non per l’incapacità della politica, ma con la sua collusione –, i carcerati e le persone migranti rinchiuse nei Cpr che vivono in condizioni disumane in strutture sovraffollate e amministrate con grande fatica. A tutti costoro il governo promette una robusta dose di repressione, senza curarsi dei problemi e delle esigenze enormi di cui queste persone sono portatrici. Una furia ideologica e un populismo penale che sono, essi sì, una minaccia per la nostra democrazia, come hanno evidenziato numerosi organismi internazionali e molti costituzionalisti. Un approccio che demonizza l’espressione del dissenso, che è invece un elemento strutturale e vitale della vita democratica.

Il CNCA ha provato a contrastare questa deriva autoritaria e illiberale con un’iniziativa di resistenza civile promossa insieme a A Buon Diritto, Acli, Antigone, Arci, Cgil, Forum Droghe, L’Altro Diritto, La Società della Ragione, Ristretti Orizzonti, Forum Disuguaglianze e Diversità, Sbilanciamoci!. Un digiuno a staffetta che ha coinvolto oltre 500 persone. Abbiamo organizzato due conferenze stampa, alla Camera dei deputati e al Senato, in corrispondenza del passaggio del provvedimento presso le due Camere, per sensibilizzare l’opinione pubblica e chiedere ai parlamentari di non convertire in legge delle norme che riducono le libertà fondamentali e perseguitano vecchi e nuovi capri espiatori.

“Lo scorso sabato”, dichiara Caterina Pozzi, presidente del CNCA, “abbiamo manifestato a Roma anche noi, insieme a molte altre e altri, contro il decreto e per dire no alla repressione del dissenso. Moltissimi i giovani che hanno sfilato per rivendicare il loro diritto di protesta, il loro diritto a pretendere un futuro migliore. Il decreto è diventato legge, ma non ci fermeremo nel nostro dissenso, pacifico e ostinato, contro un provvedimento che promette sicurezza sapendo bene che solo attraverso la garanzia dei diritti, la cura reciproca, la tutela dell’ambiente e la diminuzione drastica delle diseguaglianze si costruiscono i presupposti per una buona convivenza. Mi viene in mente Don Milani, che invitava a disobbedire a leggi ingiuste, a battersi perché siano cambiate. Quando è l’ora, non c’è scuola più grande che pagare di persona per un’obiezione di coscienza, violare la legge che si ritiene ingiusta e accettare la pena che essa prevede. Non possiamo stare zitte e zitti dinanzi alla repressione di chi vuole partecipare alla vita democratica, non possiamo – soprattutto – restare inerti.”

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Come si calcolano le tasse per le Cooperative sociali.

Le cooperative sociali di produzione e lavoro, ai sensi dell’art. 11 del Dpr 601/1973, hanno diritto all’esenzione dell’Ires nel caso in cui l’ammontare delle retribuzioni corrisposte ai soci lavoratori non sia inferiore al 50% degli altri costi con esclusione delle materie prime e sussidiarie. Nel caso in cui, invece, l’ammontare delle retribuzioni corrisposte ai soci lavoratori sta in un intervallo fra il 50% e il 25% l’imposta IRES è ridotta della metà. Le condizioni, quindi, per poter godere dell’esenzione dell’imposta Ires sono le seguenti:
  • La cooperativa deve essere una cooperativa sociale;
  • La cooperativa sociale deve essere di produzione e lavoro;
  • L’ammontare delle retribuzioni corrisposte ai soci deve essere non inferiore al 50% di tutti gli altri costi della cooperativa con esclusione degli acquisti di materie prime.
Definizione di cooperativa sociale. La definizione di cooperativa sociale la si rintraccia nell’art. 1 della Legge 381/91. In particolare le cooperative sociali si dividono in due tipologie, a seconda delle finalità che intendono raggiungere:
  • Cooperativa sociale di tipo A: rientrano in questa tipologia le cooperative sociali che hanno come finalità la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi. Sono, dunque, cooperative sociali quelle che erogano prestazioni sanitarie, socio sanitarie, dell’educazione, dell’istruzione e formazione professionale. Per intenderci, sono quelle cooperative che gestiscono case di cura, comunità terapeutiche, asili, scuole parificate.
  • Cooperativa sociale di tipo B: rientrano in questa tipologia le cooperative sociali che svolgono attività diverse rispetto a quelle di tipo A e che rientrano nel settore agricolo, industriale, commerciale o dei servizi. Queste attività devono essere finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. La condizione si verifica, ai sensi dell’art. 4 c. 2 della Legge 381/91, nel caso in cui le persone svantaggiate effettivamente impiegate siano almeno pari al  30% dei lavoratori della cooperativa.
Definizione di cooperativa di produzione e lavoro. Ai sensi dell’art. 1 della Legge 142/2001 le cooperative di produzione e lavoro sono quelle cooperative nelle quali il rapporto di scambio mutualistico ha per oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio della cooperativa stessa, che deve essere erogata sulla base di un regolamento che definisce l'organizzazione del lavoro dei soci. Calcolo delle imposte nella cooperativa sociale. Per le cooperative a mutualità prevalente (e la cooperativa sociale lo è per espressa previsione normativa contenuta nell’art. 111-septies delle norme di attuazione transitorie del codice civile) vige una parziale esenzione nel versamento dell’Ires. La disciplina per il calcolo delle imposte per le cooperative a mutualità prevalente è contenuta nell’art. 2 c. 36 bis e 36 ter del D.L. 138/2011, il quale stabilisce che debba essere comunque tassato:
  • una quota di utili complessivi annuali, in una percentuale che varia a seconda della tipologia di cooperativa. Nel caso di cooperativa sociale, la percentuale è 0%;
  • una quota pari al 10% degli utili accantonati a riserva obbligatoria. Siccome la riserva obbligatoria, ai sensi dell’art. 2545 quater del C.c. è sempre pari al 30% dell’utile, la quota degli utili da tassare è pari al 3%.
Di conseguenza, usando un esempio numerico, la base imponibile Ires sarà la seguente:


Ricavi   357.800 € Costi   298.573 € Utile coop   59.227 € Riserva obbligatoria 30% 17.768 € Quota riserva tassabile 10% 1.777 € Quota utile tassabile 0% 0 €       Base imponibile IRES   1.777 €

 A questo punto, per stabilire se la cooperativa sociale debba versare o meno l’imposta Ires, occorre procedere a verificare la presenza della prevalenza delle retribuzioni corrisposte ai soci rispetto a tutti gli altri costi della cooperativa sociale:



A. Costo del lavoro dei soci   Salari e stipendi soci 80.727,22 € Ristorno ai soci 0,00 € Oneri previdenziali 20.181,81 € Tfr lavoratori soci 2.350,00 € Altre indennità lavorative dei soci 980,00 € Totale A - Costo del lavoro dei soci 104.239,03 €     B. Materie prime e sussidiarie   Materie prime e sussidiarie   Acquisti di materie prime 18.773,39 € Acquisti di materie sussidiarie 2.250,00 € Variazione delle rimanenze di merci o prodotti -1.560,00 € Totale B - Materie prime e sussidiarie 19.463,39 €     C. Altri costi   Salari e stipendi non soci 22.081,63 € Oneri previdenziali non soci 5.520,41 € TFR non soci 1.300,00 € Costi per servizi (voce B7 - Bilancio Cee) 79.080,91 € Ammortamenti 10.614,67 € Costi per godimento beni di terzi (voce B8 - Bilancio Cee) 17.553,29 € Oneri diversi di gestione (voce B14 - Bilancio Cee) 38.540,00 € Interessi e altri oneri finanziari (voce C17 - Bilancio Cee) 180,14 € Totale C - Altri costi 174.871,05 € Rapporto dimostrante l'incidenza dell'apporto dell'opera personale dei soci rispetto agli altri fattori produttivi escluse le materie prime e sussidiarie:   Totale A - Costo del lavoro dei soci/Totale c - Altri costi 59,61%   Come si evince dalla tabella, il costo delle retribuzioni corrisposte ai soci rispetto a tutti gli altri costi della cooperativa è superiore al 50%. Per cui la cooperativa sociale non dovrà pagare alcuna imposta IrES. Viceversa se il valore fosse stato, per ipotesi, pari al 45% la cooperativa sociale avrebbe avuto uno sgravio Ires pari al 50%. Usando i dati del caso appena illustrato l’importo sarebbe stato così calcolato: euro 1.777,00 x 24% = euro 426,48 euro 426,48 x 50% = euro 213,24 IRES DA VERSARE. Analisi e commenti ImpreseOggi
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Come si calcolano le tasse per le Cooperative sociali.

Le cooperative sociali di produzione e lavoro, ai sensi dell’art. 11 del Dpr 601/1973, hanno diritto all’esenzione dell’Ires nel caso in cui l’ammontare delle retribuzioni corrisposte ai soci lavoratori non sia inferiore al 50% degli altri costi con esclusione delle materie prime e sussidiarie. Nel caso in cui, invece, l’ammontare delle retribuzioni corrisposte ai soci lavoratori sta in un intervallo fra il 50% e il 25% l’imposta IRES è ridotta della metà. Le condizioni, quindi, per poter godere dell’esenzione dell’imposta Ires sono le seguenti:
  • La cooperativa deve essere una cooperativa sociale;
  • La cooperativa sociale deve essere di produzione e lavoro;
  • L’ammontare delle retribuzioni corrisposte ai soci deve essere non inferiore al 50% di tutti gli altri costi della cooperativa con esclusione degli acquisti di materie prime.
Definizione di cooperativa sociale. La definizione di cooperativa sociale la si rintraccia nell’art. 1 della Legge 381/91. In particolare le cooperative sociali si dividono in due tipologie, a seconda delle finalità che intendono raggiungere:
  • Cooperativa sociale di tipo A: rientrano in questa tipologia le cooperative sociali che hanno come finalità la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi. Sono, dunque, cooperative sociali quelle che erogano prestazioni sanitarie, socio sanitarie, dell’educazione, dell’istruzione e formazione professionale. Per intenderci, sono quelle cooperative che gestiscono case di cura, comunità terapeutiche, asili, scuole parificate.
  • Cooperativa sociale di tipo B: rientrano in questa tipologia le cooperative sociali che svolgono attività diverse rispetto a quelle di tipo A e che rientrano nel settore agricolo, industriale, commerciale o dei servizi. Queste attività devono essere finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. La condizione si verifica, ai sensi dell’art. 4 c. 2 della Legge 381/91, nel caso in cui le persone svantaggiate effettivamente impiegate siano almeno pari al  30% dei lavoratori della cooperativa.
Definizione di cooperativa di produzione e lavoro. Ai sensi dell’art. 1 della Legge 142/2001 le cooperative di produzione e lavoro sono quelle cooperative nelle quali il rapporto di scambio mutualistico ha per oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio della cooperativa stessa, che deve essere erogata sulla base di un regolamento che definisce l'organizzazione del lavoro dei soci. Calcolo delle imposte nella cooperativa sociale. Per le cooperative a mutualità prevalente (e la cooperativa sociale lo è per espressa previsione normativa contenuta nell’art. 111-septies delle norme di attuazione transitorie del codice civile) vige una parziale esenzione nel versamento dell’Ires. La disciplina per il calcolo delle imposte per le cooperative a mutualità prevalente è contenuta nell’art. 2 c. 36 bis e 36 ter del D.L. 138/2011, il quale stabilisce che debba essere comunque tassato:
  • una quota di utili complessivi annuali, in una percentuale che varia a seconda della tipologia di cooperativa. Nel caso di cooperativa sociale, la percentuale è 0%;
  • una quota pari al 10% degli utili accantonati a riserva obbligatoria. Siccome la riserva obbligatoria, ai sensi dell’art. 2545 quater del C.c. è sempre pari al 30% dell’utile, la quota degli utili da tassare è pari al 3%.
Di conseguenza, usando un esempio numerico, la base imponibile Ires sarà la seguente:


Ricavi   357.800 € Costi   298.573 € Utile coop   59.227 € Riserva obbligatoria 30% 17.768 € Quota riserva tassabile 10% 1.777 € Quota utile tassabile 0% 0 €       Base imponibile IRES   1.777 €

 A questo punto, per stabilire se la cooperativa sociale debba versare o meno l’imposta Ires, occorre procedere a verificare la presenza della prevalenza delle retribuzioni corrisposte ai soci rispetto a tutti gli altri costi della cooperativa sociale:



A. Costo del lavoro dei soci   Salari e stipendi soci 80.727,22 € Ristorno ai soci 0,00 € Oneri previdenziali 20.181,81 € Tfr lavoratori soci 2.350,00 € Altre indennità lavorative dei soci 980,00 € Totale A - Costo del lavoro dei soci 104.239,03 €     B. Materie prime e sussidiarie   Materie prime e sussidiarie   Acquisti di materie prime 18.773,39 € Acquisti di materie sussidiarie 2.250,00 € Variazione delle rimanenze di merci o prodotti -1.560,00 € Totale B - Materie prime e sussidiarie 19.463,39 €     C. Altri costi   Salari e stipendi non soci 22.081,63 € Oneri previdenziali non soci 5.520,41 € TFR non soci 1.300,00 € Costi per servizi (voce B7 - Bilancio Cee) 79.080,91 € Ammortamenti 10.614,67 € Costi per godimento beni di terzi (voce B8 - Bilancio Cee) 17.553,29 € Oneri diversi di gestione (voce B14 - Bilancio Cee) 38.540,00 € Interessi e altri oneri finanziari (voce C17 - Bilancio Cee) 180,14 € Totale C - Altri costi 174.871,05 € Rapporto dimostrante l'incidenza dell'apporto dell'opera personale dei soci rispetto agli altri fattori produttivi escluse le materie prime e sussidiarie:   Totale A - Costo del lavoro dei soci/Totale c - Altri costi 59,61%   Come si evince dalla tabella, il costo delle retribuzioni corrisposte ai soci rispetto a tutti gli altri costi della cooperativa è superiore al 50%. Per cui la cooperativa sociale non dovrà pagare alcuna imposta IrES. Viceversa se il valore fosse stato, per ipotesi, pari al 45% la cooperativa sociale avrebbe avuto uno sgravio Ires pari al 50%. Usando i dati del caso appena illustrato l’importo sarebbe stato così calcolato: euro 1.777,00 x 24% = euro 426,48 euro 426,48 x 50% = euro 213,24 IRES DA VERSARE. Analisi e commenti ImpreseOggi
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Fa tappa a Rimini il viaggio ciclistico benefico “Pedala con RESQ: da Ancona a Trieste per narrare le rotte dei migranti”. L’iniziativa in collaborazione con Cento Fiori e Comune di Rimini.

Cooperativa sociale Cento Fiori - Gio, 29/05/2025 - 14:57

Gli incontri del 1° giugno inaugurano le iniziative 2025 della Giornata del Rifugiato: alle 18 l’accoglienza dei ciclisti di RESQ in piazza Cavour, alle 21 in cineteca i racconti degli sforzi della ONG in Mediterraneo e sulla rotta balcanica.

Da Ancona a Trieste per raccontare le rotte dei migranti, ma anche 537 km per sostenere gli sforzi di RESQ e della sua nave per salvare vite nel Mediterraneo. E in questo lungo viaggio a pedali c’è la tappa riminese, domenica 1 giugno, dove alle ore 18 i volontari della ONG verranno accolti in piazza Cavour da Francesca Mattei, assessore alla Cooperazione internazionale e Politiche per la pace Comune di Rimini, e da Cristian Tamagnini, presidente della cooperativa Cento Fiori.

Poche ore dopo, alla Cineteca Comunale di via Gambalunga 27, la serata “Sulle rotte dei migranti”, un incontro di sensibilizzazione e narrazione introdotto e condotto da Francesca Mattei, che vedrà sul palco Alberto Guarisio, membro del Direttivo RESQ che racconta l’esperienza della ONG nel Mediterraneo e sulla rotta balcanica, Alessandro Sergi, medico anestesista, narra la sua esperienza durante il primo soccorso in mare della nave RESQ – PEOPLE, e Monica Ciavatta, responsabile Area Migrazione Cooperativa Cento Fiori illustra gli interventi effettuati a favore dei migranti.

RESQ è una ONG che fa parte della “flotta civile” e, assieme ad altre associazioni, opera sia nel mediterraneo centrale per operazioni di salvataggio di migranti in condizione di pericolo, sia a Trieste, con attività di accoglienza.

Nel momento in cui molti di noi si preparano, durante le vacanze estive, a lunghi spostamenti per divertimento, per cultura, per sport non vogliamo dimenticare che per molti la mobilità è imposta dalla necessità di fuggire dai pericoli o di ricercare un futuro dignitoso.

Vogliamo pertanto collegare con le nostre biciclette luoghi significativi di queste storie di “viaggiatori involontari”: Ancona “porto sicuro” assegnato talvolta dal Governo alle navi di salvataggio imponendo inutilmente la lunga risalita dell’adriatico; e Trieste, storico punto di collegamento tra culture diverse e oggi punto di approdo o passaggio per i migranti che percorrono la rotta balcanica.

Lo facciamo in bicicletta, facendoci carico, se pure in piccolissima parte, della stessa fatica che grava su quanti si spostano alla ricerca di protezione, ma anche con la stessa allegria che leggiamo sui volti di quanti ce l’hanno fatto e vedono aprirsi la possibilità di un futuro migliore.

Durante il percorso sono previste iniziative assieme ad associazioni locali per parlare di migrazioni e di soccorso.

L’iniziativa serve anche a raccogliere fondi a sostegno di RESQ. Per questo lanciamo l’appello:

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per info 3929299786

L'articolo Fa tappa a Rimini il viaggio ciclistico benefico “Pedala con RESQ: da Ancona a Trieste per narrare le rotte dei migranti”. L’iniziativa in collaborazione con Cento Fiori e Comune di Rimini. proviene da Cento Fiori, Rimini.

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Cooperative sociali: reperibilità in struttura è orario di lavoro

L’obbligo per il lavoratore di una cooperativa sociale di svolgere dei turni di pernottamento presso la struttura in cui opera, anche se non effettua in quel momento degli interventi di assistenza, deve essere considerato come orario di lavoro. Come tale va adeguatamente remunerato, anche se non deve essere trattato come lavoro straordinario. Questo interessante, e per certi versi dirompente, principio è contenuto nella sentenza della Cassazione Civile, sezione Lavoro, numero 10653 del 05 febbraio 2025 e pubblicata il 23 aprile 2025. Il caso che gli Ermellini sono stati chiamati a giudicare riguarda un lavoratore di una cooperativa sociale che ha svolto un servizio di reperibilità notturna per tre notti alla settimana immediatamente al termine del turno di lavoro serale e al quale non è stato riconosciuta l’indennità come lavoro straordinario. CCNL Cooperative sociali e reperibilità in struttura. L’art. 57 del Contratto collettivo nazionale delle cooperative sociali prevede che nelle strutture residenziali continuative (case di cura, ospizi, comunità terapeutiche) al lavoratore al quale viene richiesta una reperibilità con obbligo di presenza nella struttura viene riconosciuta una indennità fissa mensile lorda di euro 77,47. Nel caso in cui, poi, la reperibilità si tramuti in intervento lavorativo vero e proprio, per le ore effettivamente lavorate gli viene riconosciuto lo stipendio ordinariamente previsto per la sua mansione al quale va aggiunta la maggiorazione notturna prevista dal Contratto nazionale.  La sentenza della Cassazione sulla reperibilità in struttura.  Nel giudicare la controversia la Corte di Cassazione si richiama ai principi espressi dalla Corte di Giustizia Europea con le sentenze C-303/98 e C-151/02 nelle quali si afferma che i periodi di reperibilità, anche senza obbligo di presenza sul luogo di lavoro, sono qualificati come “orario di lavoro”. A maggior ragione, dunque, osservano i Giudici, vanno trattati come tali i casi in cui alla reperibilità si accompagna pure l’obbligo per il lavoratore della permanenza obbligatoria sul luogo di lavoro stesso.  Gli Ermellini osservano, inoltre, che la definizione di “orario di lavoro”, secondo costante giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, è in antitesi con il concetto di “riposo” e le due nozioni si escludono a vicenda. Se poi alla reperibilità si aggiunge anche un obbligo di presenza al di fuori della propria dimora, conclude la Cassazione, inevitabilmente viene compressa per il lavoratore la gestione del proprio tempo, che non può essere più considerato come “tempo libero”. Il tutto, però, con una importante osservazione di fondo: il fatto di considerare la reperibilità notturna in struttura come “orario di lavoro” non implica che questo debba essere necessariamente retribuito come lavoro straordinario notturno. Di contro però non si può nemmeno considerarlo come tempo libero del lavoratore e, di conseguenza, pagarlo in maniera forfettaria su base mensile e con importi non certo congrui al tempo sacrificato dal lavoratore stesso.  Conclusione. La Cassazione, però, ritiene che la quantificazione della corretta remunerazione per la reperibilità in struttura non sia compito suo, ma che competa al Giudice di merito. Al quale, nel rinviare la decisione, impone la prescrizione di tenere in considerazione il principio espresso dall’art. 36 della Costituzione, quello che prevede che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro prestato.  Notizie ImpreseOggi
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Cooperative sociali: reperibilità in struttura è orario di lavoro

L’obbligo per il lavoratore di una cooperativa sociale di svolgere dei turni di pernottamento presso la struttura in cui opera, anche se non effettua in quel momento degli interventi di assistenza, deve essere considerato come orario di lavoro. Come tale va adeguatamente remunerato, anche se non deve essere trattato come lavoro straordinario. Questo interessante, e per certi versi dirompente, principio è contenuto nella sentenza della Cassazione Civile, sezione Lavoro, numero 10653 del 05 febbraio 2025 e pubblicata il 23 aprile 2025. Il caso che gli Ermellini sono stati chiamati a giudicare riguarda un lavoratore di una cooperativa sociale che ha svolto un servizio di reperibilità notturna per tre notti alla settimana immediatamente al termine del turno di lavoro serale e per il quale non gli è stato riconosciuto l’indennità come lavoro straordinario. CCNL Cooperative sociali e reperibilità in struttura. L’art. 57 del Contratto collettivo nazionale delle cooperative sociali prevede che nelle strutture residenziali continuative (case di cura, ospizi, comunità terapeutiche) al lavoratore al quale viene richiesta una reperibilità con obbligo di presenza nella struttura viene riconosciuta una indennità fissa mensile lorda di euro 77,47. Nel caso in cui, poi, la reperibilità si tramuti in intervento lavorativo vero e proprio, per le ore effettivamente lavorate gli viene riconosciuto lo stipendio ordinariamente previsto per la sua mansione al quale va aggiunta la maggiorazione notturna prevista dal Contratto nazionale.  La sentenza della Cassazione sulla reperibilità in struttura.  Nel giudicare la controversia la Corte di Cassazione si richiama ai principi espressi dalla Corte di Giustizia Europea con le sentenze C-303/98 e C-151/02 nelle quali si afferma che i periodi di reperibilità, anche senza obbligo di presenza sul luogo di lavoro, sono qualificati come “orario di lavoro”. A maggior ragione, dunque, osservano i Giudici, vanno trattati come tali i casi in cui alla reperibilità si accompagna pure l’obbligo per il lavoratore della permanenza obbligatoria sul luogo di lavoro stesso.  Gli Ermellini osservano, inoltre, che la definizione di “orario di lavoro”, secondo costante giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, è in antitesi con il concetto di “riposo” e le due nozioni si escludono a vicenda. Se poi alla reperibilità si aggiunge anche un obbligo di presenza al di fuori della propria dimora, conclude la Cassazione, inevitabilmente viene compressa per il lavoratore la gestione del proprio tempo, che non può essere più considerato come “tempo libero”. Il tutto, però, con una importante osservazione di fondo: il fatto di considerare la reperibilità notturna in struttura come “orario di lavoro” non implica che questo debba essere necessariamente retribuito come lavoro straordinario notturno. Di contro però non si può nemmeno considerarlo come tempo libero del lavoratore e, di conseguenza, pagarlo in maniera forfettaria su base mensile e con importi non certo congrui al tempo sacrificato dal lavoratore stesso.  Conclusione. La Cassazione, però, ritiene che la quantificazione della corretta remunerazione per la reperibilità in struttura non sia compito suo, ma che competa al Giudice di merito. Al quale, nel rinviare la decisione, impone la prescrizione di tenere in considerazione il principio espresso dall’art. 36 della Costituzione, quello che prevede che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro prestato.  Notizie ImpreseOggi
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Cassazione: cedolare secca ammessa anche per immobili locati ad imprese.

La Corte di Cassazione, con le sentenze 12076 e 12079, entrambe del 23 gennaio 2025 e pubblicate il 07 maggio 2025, interviene sull’annosa questione dell’utilizzo della cedolare secca da parte di un locatore che ha affittato il proprio immobile a un soggetto che esercita l’attività di impresa e che ha destinato lo stesso a finalità abitative dei propri dipendenti o amministratori. La normativa sulla cedolare secca. Il contenzioso con il Fisco nasce in seguito alla corretta interpretazione dell’art. 3 del D. Lgs 23/2011 che ha introdotto, nel nostro ordinamento, l’agevolazione della c.d. “cedolare secca”. La norma indica chiaramente che questa agevolazione può essere utilizzata esclusivamente da locatori che assoggettano i propri redditi all’Irpef, i quali concedono in locazione immobili catastalmente abitativi a favore di soggetti che li destinano a tali finalità. Il nocciolo della questione sorta negli ultimi anni sta nella qualificazione soggettiva del conduttore. Deve intendersi strettamente un conduttore che non opera in regime di impresa, oppure può operare in regime di impresa e destinare l’immobile comunque a finalità abitative? Secondo l’Agenzia delle Entrate, nel silenzio della norma, il conduttore deve essere un privato, che non agisce nell’esercizio di impresa. La ferma posizione la si può rintracciare nella circolare 26/e del 2011: “tenuto conto che la norma consente l’applicazione della cedolare secca solo per gli immobili abitativi locati con finalità abitative, escludendo quelle effettuate nell’esercizio di un’attività di impresa, o di arti e professioni, occorre porre rilievo, al fine di valutare i requisiti di accesso al regime, anche all’attività esercitata dal locatario ed all’utilizzo dell’immobile locato”. Interrogazione parlamentare sulla cedolare secca. Il contenzioso che nel corso degli anni è scaturito sul tema, ha prodotto la sentenza della Cassazione n. 12395 del 07 maggio 2024. Gli Ermellini, con questa sentenza, hanno aperto alla possibilità di utilizzare l’agevolazione della cedolare secca anche nel caso di conduttore che esercita attività di impresa e che destina l’immobile locato a finalità abitative per i propri dipendenti o collaboratori. La pronuncia della Cassazione ha fatto da spunto all’interrogazione parlamentare numero 5-03773 del 26 marzo 2025, con la quale si è chiesto quale sia il comportamento che l’Agenzia delle Entrate vuole tenere sulla questione. La risposta del sottosegretario del Mef è assai disarmante: partendo dal fatto che la decisione della Cassazione “rimane al momento isolata”, l’Agenzia delle Entrate ritiene “opportuno attendere la formazione di un consolidato indirizzo interpretativo, anche a tutela delle esigenze di gettito erariali”. Le sentenze della Cassazione n. 12076/2025 e 12079/2025. L’attesa degli sviluppi in materia per l’Agenzia delle Entrate pare essere durata poco. Neanche un mese e mezzo dopo la risposta parlamentare, la Cassazione con due sentenze analoghe ha ribadito il concetto che l’agevolazione della cedolare secca può essere utilizzata anche in presenza di un conduttore che esercita attività di impresa e che destina l’immobile locato a finalità abitative proprie. Nella sentenza n. 12076 il conduttore è una Fondazione, che esercita attività di impresa e che ha stipulato il contratto di locazione per destinare l’immobile ad abitazione del presidente della Fondazione stessa. Nella sentenza n. 12079 il conduttore è, invece, una S.r.l. che ha stipulato il contratto per le esigenze abitative del proprio amministratore delegato: il classico caso dell’uso foresteria. In entrambi i casi la Cassazione ha ribadito il principio già espresso con la citata sentenza n. 12395/2024: “in tema di redditi da locazione, il locatore può optare per il regime della c.d. cedolare secca anche nell’ipotesi in cui il conduttore concluda il contratto di locazione ad uso abitativo nell’esercizio della sua attività professionale, ed in particolare per le esigenze abitative dei suoi dipendenti”. Il principio si fonda sul fatto che l’art. 3 comma 6 del D. Lgs. 23/2011 si riferisce solo ed esclusivamente alle locazioni di immobili ad uso abitativo nei quali è il locatore che esercita l’attività di impresa. Problemi operativi. Attualmente, in sede di registrazione, l’Agenzia delle Entrate non permette di richiedere l’agevolazione della cedolare secca in presenza di un conduttore in possesso di una partita iva. Per ovviare a tale impedimento lo Studio consiglia di può procedere in questo modo:
  • Registrare il contratto di locazione applicando l’imposta di registro proporzionale. Successivamente presentare una istanza di rimborso, che sarà ovviamente rigettata. A quel punto si può impugnare il diniego davanti a una Corte di Giustizia Tributaria.
  • dichiarare il reddito da fabbricato conseguente alla locazione a un conduttore imprenditore applicando l’imposta prevista per la cedolare secca. A questo punto l’Agenzia dell’Entrate provvederà a emettere un avviso di recupero ex art. 36ter DPR 600/73, dal quale scaturirà una cartella di pagamento che potrà essere oggetto di impugnazione davanti a una Corte di Giustizia Tributaria.
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Cassazione: cedolare secca ammessa anche per immobili locati ad imprese.

La Corte di Cassazione, con le sentenze 12076 e 12079, entrambe del 23 gennaio 2025 e pubblicate il 07 maggio 2025, interviene sull’annosa questione dell’utilizzo della cedolare secca da parte di un locatore che ha affittato il proprio immobile a un soggetto che esercita l’attività di impresa e che ha destinato lo stesso a finalità abitative dei propri dipendenti o amministratori. La normativa sulla cedolare secca. Il contenzioso con il Fisco nasce in seguito alla corretta interpretazione dell’art. 3 del D. Lgs 23/2011 che ha introdotto, nel nostro ordinamento, l’agevolazione della c.d. “cedolare secca”. La norma indica chiaramente che questa agevolazione può essere utilizzata esclusivamente da locatori che assoggettano i propri redditi all’Irpef, i quali concedono in locazione immobili catastalmente abitativi a favore di soggetti che li destinano a tali finalità. Il nocciolo della questione sorta negli ultimi anni sta nella qualificazione soggettiva del conduttore. Deve intendersi strettamente un conduttore che non opera in regime di impresa, oppure può operare in regime di impresa e destinare l’immobile comunque a finalità abitative? Secondo l’Agenzia delle Entrate, nel silenzio della norma, il conduttore deve essere un privato, che non agisce nell’esercizio di impresa. La ferma posizione la si può rintracciare nella circolare 26/e del 2011: “tenuto conto che la norma consente l’applicazione della cedolare secca solo per gli immobili abitativi locati con finalità abitative, escludendo quelle effettuate nell’esercizio di un’attività di impresa, o di arti e professioni, occorre porre rilievo, al fine di valutare i requisiti di accesso al regime, anche all’attività esercitata dal locatario ed all’utilizzo dell’immobile locato”. Interrogazione parlamentare sulla cedolare secca. Il contenzioso che nel corso degli anni è scaturito sul tema, ha prodotto la sentenza della Cassazione n. 12395 del 07 maggio 2024. Gli Ermellini, con questa sentenza, hanno aperto alla possibilità di utilizzare l’agevolazione della cedolare secca anche nel caso di conduttore che esercita attività di impresa e che destina l’immobile locato a finalità abitative per i propri dipendenti o collaboratori. La pronuncia della Cassazione ha fatto da spunto all’interrogazione parlamentare numero 5-03773 del 26 marzo 2025, con la quale si è chiesto quale sia il comportamento che l’Agenzia delle Entrate vuole tenere sulla questione. La risposta del sottosegretario del Mef è assai disarmante: partendo dal fatto che la decisione della Cassazione “rimane al momento isolata”, l’Agenzia delle Entrate ritiene “opportuno attendere la formazione di un consolidato indirizzo interpretativo, anche a tutela delle esigenze di gettito erariali”. Le sentenze della Cassazione n. 12076/2025 e 12079/2025. L’attesa degli sviluppi in materia per l’Agenzia delle Entrate pare essere durata poco. Neanche un mese e mezzo dopo la risposta parlamentare, la Cassazione con due sentenze analoghe ha ribadito il concetto che l’agevolazione della cedolare secca può essere utilizzata anche in presenza di un conduttore che esercita attività di impresa e che destina l’immobile locato a finalità abitative proprie. Nella sentenza n. 12076 il conduttore è una Fondazione, che esercita attività di impresa e che ha stipulato il contratto di locazione per destinare l’immobile ad abitazione del presidente della Fondazione stessa. Nella sentenza n. 12079 il conduttore è, invece, una S.r.l. che ha stipulato il contratto per le esigenze abitative del proprio amministratore delegato: il classico caso dell’uso foresteria. In entrambi i casi la Cassazione ha ribadito il principio già espresso con la citata sentenza n. 12395/2024: “in tema di redditi da locazione, il locatore può optare per il regime della c.d. cedolare secca anche nell’ipotesi in cui il conduttore concluda il contratto di locazione ad uso abitativo nell’esercizio della sua attività professionale, ed in particolare per le esigenze abitative dei suoi dipendenti”. Il principio si fonda sul fatto che l’art. 3 comma 6 del D. Lgs. 23/2011 si riferisce solo ed esclusivamente alle locazioni di immobili ad uso abitativo nei quali è il locatore che esercita l’attività di impresa. Problemi operativi. Attualmente, in sede di registrazione, l’Agenzia delle Entrate non permette di richiedere l’agevolazione della cedolare secca in presenza di un conduttore in possesso di una partita iva. Per ovviare a tale impedimento lo Studio consiglia di può procedere in questo modo:
  • Registrare il contratto di locazione applicando l’imposta di registro proporzionale. Successivamente presentare una istanza di rimborso, che sarà ovviamente rigettata. A quel punto si può impugnare il diniego davanti a una Corte di Giustizia Tributaria.
  • dichiarare il reddito da fabbricato conseguente alla locazione a un conduttore imprenditore applicando l’imposta prevista per la cedolare secca. A questo punto l’Agenzia dell’Entrate provvederà a emettere un avviso di recupero ex art. 36ter DPR 600/73, dal quale scaturirà una cartella di pagamento che potrà essere oggetto di impugnazione davanti a una Corte di Giustizia Tributaria.
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Cedolare secca per affitti a Cooperative sociali o Enti del Terzo settore.

Nel complesso mondo della corretta applicazione della agevolazione conosciuta come “cedolare secca”, diviso tra chi ritiene che sia possibile richiederla anche nel caso di un conduttore che svolge attività di impresa (la Cassazione, a più riprese) e chi, invece, la rende spettante solo nel caso di un conduttore non imprenditore (l’Agenzia delle Entrate), spicca l’apertura del Fisco al suo utilizzo nel caso in cui un locatore persona fisica conceda in affitto a una cooperativa sociale o a un generico ente del terzo settore. La normativa sulla cedolare secca. Introdotta dall’art. 3 del D. Lgs. 23/2011, l’agevolazione relativa alla cedolare secca può essere chiesta solo dai locatori che versano le imposte su redditi delle persone fisiche. Gli immobili agevolati sono quelli con destinazione catastale abitativa e che vengono locati con tale finalità. In assenza di un chiarimento normativo, l’Agenzia delle Entrate ha sempre sostenuto che la cedolare secca trova applicazione solo ed esclusivamente nel caso in cui il conduttore dell’immobile sia un privato o che non agisca nell’ambito dell’esercizio di impresa. Scrive, a tal proposito, il Fisco nella circolare 26/e del 2011: “tenuto conto che la norma consente l’applicazione della cedolare secca solo per gli immobili abitativi locati con finalità abitative, escludendo quelle effettuate nell’esercizio di un’attività di impresa, o di arti e professioni, occorre porre rilievo, al fine di valutare i requisiti di accesso al regime, anche all’attività esercitata dal locatario ed all’utilizzo dell’immobile locato”. Sulla base di questa valutazione, quindi, non rientrano nel campo dell’agevolazione della cedolare secca, i contratti nei quali il conduttore agisce nell’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo, a prescindere dal fatto che poi l’immobile preso in locazione sia destinato a essere utilizzato, con finalità abitative, da dipendenti o altri soggetti riferibili al conduttore principale. E’ il caso, tanto per intenderci, degli immobili ad uso foresteria, cioè contrattualizzati da imprese che poi li utilizzano come alloggi per i propri dipendenti. Cedolare secca e cooperative sociali. Sempre nella circolare 26/e del 2011 (pag. 7, par. 1.2), l’Agenzia delle Entrate osserva che si può chiedere l’agevolazione della cedolare secca in presenza di contratti di locazione che sono conclusi con soggetti che non agiscono in qualità di imprenditori. Rientrano in tale casistica i contratti nei quali il conduttore è un ente pubblico o privato non commerciale, a condizione che nel contratto di locazione sia evidente che il contratto di locazione è destinato ad usi abitativi. E’ il caso, seguito dal nostro studio, di una Cooperativa sociale che ha preso in locazione un immobile da destinare a un progetto di accoglienza migranti: il proprietario persona fisica dell’immobile ha optato legittimamente per l’utilizzo della cedolare secca sul canone percepito.   Per la definizione di enti privato non commerciale si può far riferimento all’art. 4 del Codice del Terzo settore e cioè:
  • le organizzazioni di volontariato;
  • le associazioni di promozione sociale;
  • gli enti filantropici;  
  • le imprese sociali tra cui rientrano le cooperative sociali;
  • le reti associative;
  • le società di mutuo soccorso;
  • le associazioni sia quelle riconosciute che quelle non riconosciute;
  • le fondazioni;
  • gli altri enti di carattere privato diversi dalle società che perseguono, senza scopo di lucro, finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.
Conclusione. A conferma della possibilità di poter utilizzare da parte di un proprietario di immobili la cedolare secca nel caso in cui sottoscriva un affitto con una cooperativa sociale (o un qualsiasi altro ente del terzo settore) vi sono anche due risposte che l’Agenzia delle Entrate ha dato sul suo sito FiscoOggi il giorno 14 novembre 2016 e il giorno 19 aprile 2019. In entrambe, l’estensore dell’articolo scrive che “[…] l’opzione per il regime della cedolare secca può essere esercitata anche in relazione a contratti di locazione conclusi con enti pubblici o privati non commerciali (tra cui rientrano le cooperative sociali, Onlus di diritto in base alla legge 381/1991)”. Notizie ImpreseOggi
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