Un giorno la nebbia era tanta che non si vedeva da qui a là, cioè una decina di metri, forse anche meno. Ero imbarcato su un peschereccio vecchio, con la prua a picco che sembrava un bragozzo e la poppa allungata che sembrava la coda ritta di un tacchino, con un comandante che definire alcoolista era un eufemismo: una cassa di vino bianco gli durava un giorno in mare. Stavamo tornando in porto e per un po' abbiamo viaggiato a radar, ma vicino all'imboccatura non bastava più: toccava seguire il nautofono e guardare. Il radar, all’epoca, non era molto preciso sulle corte distanze e il GPS era sconosciuto su quel legno.
Io ero a prua e il capitano aveva ficcato la testa nella finestrella per sentire meglio le mie indicazioni, ripetendo ansiosamente «Vedi niente?» Cercavo gli scogli intorno al faro rosso all'imboccatura. Niente: il suono del nautofono era sempre più forte, ma di scogli nessun contorno. Mi ero quasi convinto di averli superati quando mi sorpresi a gridare «dai indietro, dai indietro...» a quel vecchio ubriacone. Mi spaventai parecchio. Però imboccammo il porto, seguendo il profilo della palata e l'ombra del Rockisland.
Tolta questa esperienza, datata 30 anni fa, con le attrezzature che ci sono ora su qualunque barca, il nautofono non ha senso. E’ un vezzo retrò per pochi nostalgici, che magari vivono lontano dal suono e non fanno a tempo ad esasperarsi al cupo brontolio intermittente, ormai superato dal tempo. E che, forse, come talvolta accade, del mare conoscono giusto «la roiga blu» orizzontale e quella verticale dei tanga.
(Foto del Corriere Romagna tratta dall'articolo https://www.corriereromagna.it/news-rimini-33396-suoni-solidi-fatti-nebb...)
Argomenti: BloggingSpazi: RockislandLe storie di mare di Lampedusa, le tragedie e le speranze che hanno costellato quello specchio enorme di Mediterraneo che lambisce l’estrema propaggine dell’Italia, raccontate da Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa che insieme a concittadini e volontari hanno assistito e assistono quotidianamente a lutti, sofferenze e insieme speranze dei migranti.
Il mare di Lampedusa, questo il titolo dell’incontro pubblico di venerdì 15 novembre alle ore 20,30 al cinema Tiberio (via San Giuliano 16) di Rimini, che vedrà Pietro Bartolo dipanare il racconto durante un’intervista condotta da Vera Bessone, giornalista caposervizio Cultura del Corriere Romagna. Una narrazione di Storie migranti fatta di dialoghi ma anche immagini e video per sensibilizzare sul tema dei migranti e della loro accoglienza.
L’incontro è organizzato dalla Cooperativa Sociale Cento Fiori in collaborazione con il Sistema Accoglienza Integrazione (Sai) dell’Unione dei Comuni della Valmarecchia ed è a ingresso libero.
Biografia di Pietro BartoloMedico chirurgo, laureato all’Università di Catania, è specializzato in ginecologia. Sposato e padre di tre figli. Dal 1991 ufficiale sanitario delle isole Pelagie, nel 1993 diviene responsabile del presidio sanitario e del poliambulatorio di Lampedusa, occupandosi anche delle prime visite a tutti i migranti che sbarcano a Lampedusa e di coloro che soggiornano nel centro di accoglienza.
Nonostante qualche settimana prima fosse stato colpito da un’ischemia cerebrale, è stato in prima fila nei soccorsi ai sopravvissuti del Naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 di un peschereccio carico di oltre 500 migranti, in cui persero la vita 368 persone.
Prende parte nel 2015 al film documentario Fuocoammare di Gianfranco Rosi, che nel febbraio 2016 ha vinto l’Orso d’oro al 66º festival di Berlino e ha ottenuto una candidatura nella categoria miglior documentario agli Oscar 2017.
Dal suo libro Lacrime di Sale (2016) è liberamente tratto il film Nour (regia di Maurizio Zaccaro), per il quale ha contribuito all’ideazione del soggetto. Il film, in cui a vestire i panni del medico di Lampedusa è l’attore Sergio Castellitto, è stato presentato alla 37ª edizione del Torino Film Festival del 2019. È autore anche del testo “Le Stelle di Lampedusa” (2018).
Dal 2019 al 2024 è europarlamentare, con l’incarico di vicepresidente della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo (LIBE).
È sempre stato un sostenitore dell’istituzione di corridoi umanitari contro la tratta degli esseri umani.
L'articolo Il mare di Lampedusa: le storie Migranti di Pietro Bartolo, intervistato da Vera Bessone, al Cinema Teatro Tiberio di Rimini proviene da Cento Fiori, Rimini.
E’ recentemente stato pubblicato il nuovo libro di Stefano Bonifazi dal titolo Buongiorno dottore, come sto questa mattina?, nel quale l’autore riflette sull’esperienza professionale svolta all’interno del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di Jesi (AN).
(cliccare sull’immagine per aprire la copertina del libro)
Pubblichiamo qui la prefazione al testo scritta da Leonardo Montecchi.
Il Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura e l’arte del possibile (Esperienze nel Diagnosi e Cura di Jesi)
Questo lavoro di Stefano Bonifazi condensa anni di pratica clinica nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. Si tratta di una riflessione che cerca di estrarre i concetti che hanno guidato l’esperienza e quelli che ne sono derivati.
In particolare, Bonifazi si riferisce ad un acrostico, ECRO, che sta a significare Esquema, Conceptual, Referencial y Operativo, cioè Schema Concettuale Referenziale e Operativo. Si tratta del nucleo della Concezione Operativa di Gruppo che Enrique Pichon-Riviére ha inaugurato a partire dalla sua esperienza nell’Ospedale Psichiatrico di Buenos Aires di cui era direttore.
Infatti, a metà degli anni quaranta, Pichon-Riviére si trovò in una situazione di emergenza: gli infermieri erano entrati in sciopero ed era necessario gestire tutto l’ospedale.
Dice Pichon:
“Alrededor de 1945, circunstancias particulares crearon la necesidad de transformar a los pacientes de mi servicio en operadores, por haber quedado cesante todo el personal de enfermería. Es decir que ante una situación concreta hubo que cubrir en pocos días el hecho de no tener enfermeros, el carecer de toda ayuda institucional.”
“All’incirca nel 1945, circostanze particolari crearono la necessità di trasformare i pazienti del mio servizio in operatori, perchè tutto il personale della infermeria aveva abbandonato il lavoro. Cioè, di fronte ad una situazione concreta si è dovuto risolvere in pochi giorni il fatto che non ci fossero infermieri e la mancanza di qualsiasi aiuto istituzionale.”
(“Historia de la técnica de los grupos operativos”, in Enrique Pichon-Riviere, Obra Completa, Buenos Aires, Paidós, 2023)
Da questa necessità nasce l’idea di organizzare dei gruppi, che poi vennero chiamati operativi, attorno al compito di gestire, in questo caso autogestire, l’ospedale. In quella esperienza Pichon-Riviére si accorse di una serie di ostacoli che definì “resistenze al cambiamento”.
Le resistenze istituzionali sono sempre presenti in ogni tentativo di cambiamento. Nell’esperienza italiana, la chiusura nei manicomi sancita dalla legge 180 si è accompagnata a forti resistenze sia nella mentalità delle comunità attraversate dagli stereotipi sulla follia sanciti dalla precedente legge del 1905, che favoriva l’identificazione fra folle e pericoloso a sé e agli altri, con la conseguente necessità di reclusione nel “manicomio” dove il folle doveva essere reso incapace di nuocere a sé e agli altri. Ma la resistenza non era data solo da questa paura, alimentata da certi media ma anche da resistenze istituzionali. Infatti, gli ospedali psichiatrici si erano istituzionalizzati e cioè avevano subito un’eterogenesi dei fini. Il loro compito non era più la cura dei malati ma l’automantenimento dell’istituzione stessa: posti di lavoro, commmesse di ditte che fornivano biancheria, alimentari ecc., ossia tutte le necessità per le “città dei matti”.
Il collegamento fra l’esperienza ed il pensiero di Pichon-Riviére e la trasformazione istituzionale attuata da Franco Basaglia è costituito da Armando Bauleo. Bauleo fu allievo e collaboratore di Pichon-Riviére, poi fu costretto all’esilio nel 1975. Conosceva e stimava Franco Basaglia ed in Italia cominciò ad intervenire sia nella formazione che nella supervisione istituzionale dei nuovi servizi di salute mentale che erano nati dalla riforma del 1978.
Così cominciò a circolare il concetto di ECRO, che caratterizza anche l’esperienza di Stefano Bonifazi che si richiama direttamente a Bauleo di cui è stato allievo.
Lo schema di riferimento che troverete in queste pagine riguarda l’idea di fondo che la malattia non si identifica con il malato e che il paziente, con le sue problematiche è l’emergente di un gruppo famigliare. Questo schema, come si può notare, non sostiene che i sintomi siano da riferirsi esclusivamente ad una qualche alterazione della biochimica o immunologia ma che, per comprenderli, bisogna fare riferimento anche ai vincoli ed al tipo di comunicazione del paziente e del suo gruppo famigliare. Inoltre, è necessario considerare l’ambito istituzionale, che spesso complica ulteriormente il quadro, e quello comunitario, con la carica di stereotipi e con la conseguente produzione di uno stigma che marchia il paziente e il suo gruppo famigliare.
Lo schema di riferimento che viene applicato soprattutto negli SPDC italiani e non, nonostante la legge 180 e tutte le esperienze e le teorie che lo contraddicono, è uno schema che sovrappone la sofferenza mentale a quello di una malattia o sindrome della clinica biologica. In questo schema il riferimento, non potendo riferirsi all’anatomia patologica, si rivolge alla variazione della neurotrasmissione sinaptica, quasi sempre dedotta in base a sillogismi del tipo:
Premessa maggiore: In tutte le depressioni notiamo un calo di serotonina.
Premessa minore: Tizio è depresso
Conclusione: Tizio ha poca serotonina.
Questo sillogismo porta a somministrare un farmaco inibitore della ricaptazione della serotonina ed a pensare che il sintomo sia da riferirsi ad un deficit biologico.
Questi sillogismi sono divenuti algoritmi e caratterizzano la clinica neo-krepeliniana dominante nella psichiatria contemporanea.
Per questo schema, la psicoterapia, i gruppi terapeutici, le terapie famigliari, gli interventi educativi e sociali e tutte le forme di terapia sociale e comunitaria sono, se va bene, coadiuvanti della via regia della cura che è rappresentata dal trattamento farmacologico. Non è possibile nessun riferimento al vincolo pazienti/equipe curante se non come organizzazione del flusso lavorativo scomposto in protocolli per ottenere un risultato standard, azzerando le differenze soggettive, anzi oggettivizzando tutto, per così dire, in modo che si possa intravvedere la sostituzione dell’equipe curante con forme di intelligenza artificiale. Ciò farebbe scomparire gli effetti emotivi (quelli che, da almeno cento anni, si chiamano transfert e controtransfert) visti come bias dannosi alla corretta terapia.
Come si intuisce, lo Schema di Riferimento del lavoro di Stefano Bonifazi non è questo. Naturalmente, non si nega l’aspetto biologico e la cura farmacologica, ma la si riporta alla funzione che deve avere in un quadro più vasto. Che è rappresentato da un’istituzione caratterizzata dal vincolo fra l’equipe curante, i gruppi terapeutici dei pazienti e il gruppo multifamigliare.
In particolare, mi voglio soffermare sull’esperienza del gruppo terapeutico che è stata oggetto di analisi e discussione in un gruppo di ricerca della scuola “Josè Bleger”.
Per quanto riguarda il gruppo terapeutico, la ricerca è partita da quel “fatto sorprendente” che Massimo Bonfantini, nei nostri seminari sulla metodologia della ricerca, riferendosi a Charles S. Peirce, ci aveva indicato come il necessario punto di partenza.
La ricerca riguardava gli effetti di un gruppo operativo in un’istituzione totale come un Servizio Psichiatrico Di Diagnosi e Cura (SPDC).
Dopo una ricognizione negli SPDC delle Marche e della Romagna, ci siamo resi conto che erano pochi i servizi in cui si teneva strutturalmente una qualche forma di gruppo e, là dove si teneva, era considerato, come si è detto, come un coadiuvante della terapia farmacologica.
Ma l’esperienza di Bonifazi nel Servizio di Jesi ci ha sorpreso in primo luogo perchè aveva notato degli atteggiamenti tipici. La sorpresa è stata che nonostante la prossimità, le interazioni fra i degenti erano scarse. Così Bonifazi descrive queste forme stereotipate:
– Le abbiamo chiamate scherzosamente: le solitarie pecore del presepe, il gioco ai quattro cantoni, i pesci nell’acquario, il gioco del silenzio.
– Il fenomeno delle “pecore solitarie” perché così è la loro disposizione nei presepi dove, spesso, ognuna sta per conto suo (nei pascoli formano greggi); allo stesso modo, i pazienti se ne andavano sempre da soli quando uscivano, uno ad uno, per recarsi al bar o a prendere una boccata d’aria fuori.
– Il gioco ai “quattro cantoni” descriveva la prossemica in sala fumo, uno per angolo, come a stabilire la maggior distanza possibile tra loro, quando di posacenere da pavimento ve ne era uno soltanto.
– I “pesci nell’acquario” perché, nei momenti inattivi delle attività pomeridiane, i degenti passavano il tempo guardando a lungo gli infermieri nella guardiola, come fossero pesci da ammirare, senza comunicare né interagire, senza parlare tra loro; per non confrontarsi né conoscersi, occupavano il tempo ammirando i pesci che si lasciavano osservare indifferenti, infastiditi quando qualcuno bussava sul vetro con una scusa o un’altra. Questo è accaduto per anni e tende a ricorrere oggi, dopo la sospensione delle attività gruppali che ha prodotto l’implosione della socialità tra i ricoverati.
Queste stereotipie erano colte come forme del gruppo dei ricoverati, non come un atteggiamento del singolo. Se non si ha uno schema di riferimento gruppale, non si vedono: si vede il singolo che sta per conto suo e non “le pecore del presepe”; si vede un solitario in un angolo, non “Il gioco dei quattro cantoni”; e, naturalmente, il singolo che guarda il pesce, non “i pesci nell’acquario”, che già denota l’aspetto che assume il transfert istituzionale in un SPDC.
L’introduzione del gruppo terapeutico sotto varie forme, compresa la realizzazione di un gruppo multifamigliare con i degenti e i loro famigliari, supervisionato dal professor Alfredo Canevaro, ha prodotto la rottura di questi stereotipi, in primo luogo ha favorito e legittimato una comunicazione orizzontale fra i degenti che prima del gruppo si rivolgevano molto agli operatori con vario tipo di richieste e molto poco fra loro. Il gruppo, anche se praticato per pochi incontri, dato che la degenza media è breve, meno di 15 giorni, favorisce l’identificazione reciproca e diminuisce l’ansia; inoltre, ha reso possibile anche la realizzazione di “gruppi autogestiti” che, come sempre, valorizzano la partecipazione soggettiva al cambiamento. Complessivamente, il compito che è emerso come fondante questo gruppo nel SPDC riguarda un primo terntativo di elaborare il motivo della crisi, il cercare un senso al ricovero fra i degenti e con i loro famigliari. Insomma, come dice bene in questo lavoro Bonifazi, un tentativo di passare dal processo primario ad un processo secondario, un provare a dare un significato a ciò che è successo e a farlo uscire dalla dimensione di evacuazione emozionale o di agiti senza un apparente senso.
Insomm,a si tratterebbe di considerare il SPDC come un dispositivo costituito da vari setting che possa essere percepito come un contenitore, un apparato formato da vincoli multipli fra degenti, operatori, famigliari e mondo esterno che riduca l’angoscia, il senso di persecuzione, la paura dell’abbandono e della dissoluzione nel nulla, e permetta di intravedere una via di uscita da questo labirinto.
Bonifazi ci mostra tutta la difficoltà e le resistenze nel condurre questa importante ricerca-azione che non è ancora conclusa e di cui questo testo non è solo una testimonianza, ma un manuale per la disseminazione in altri luoghi ed in altri tempi di esperienze simili. Le resistenze riguardano i ruoli, sulla differenza fra coordinatore e conduttore, differenza molto discussa nel gruppo di ricerca della scuola “José Bleger”. Il mio punto di vista è che all’interno di un’istituzione, e soprattutto un’istituzione totale come il SPDC, si è sempre implicati con l’istituzione stessa; si può cercare di ridurre l’implicazione, ma disimplicarsi totalmente significa abbandonare l’istituzione stessa e negare il proprio ruolo. Io sono convinto che si debba avviare una dinamica fra un aspetto istituito, le leggi, i regolamenti, le consuetudini, la mentalità ed il senso comune, comprese le routine quotidiane, e un aspetto istituente: l’esigenza di cambiamento, diversi schemi di riferimento, l’importanza dei vincoli e del mondo fuori dell’istituito, la capacità di lasciarsi attraversare da problematiche non strettamente pertinenti il campo di lavoro.
L’istituzione è il risultato della dinamica fra questi aspetti, è un processo in continuo divenire. Solo quando l’istituito pone se stesso come l’ISTITUZIONE e schiaccia ogni pensiero e pratica differente da quella ordinaria marchiandola come antiscientifica, non basata sull’evidenza, sentimentale o retrograda, e sclerotizza le proprie pratiche trasformandole in procedure tecniche, allora diventa evidente come il processo istituzionale si sia fermato, e il compito sia mutato dalla cura dei pazienti al mantenimento dell’istituito stesso. In questo caso, non c’è più cura, perchè non c’è più l’altro, ma l’oggetto di varie procedure che mirano tutte all’automantenimento dell’istituito. Siamo, in questo caso, nell’istituzionalizzazione che bisogna distruggere se si vuole ripristinare il processo istituzionale che è stato soppresso.
Questo è quello che è stato fatto in in Italia con la distruzione dei manicomi e la ripresa della dinamica istituzionale nel campo della salute mentale.
Tuttavia, l’istituzionalizzazione della psichiatria è sempre all’orizzonte, è dunque necessario tenere aperta la dinamica istituzionale anche in questo campo tenendo come orizzonte la salute mentale globale.
Il lavoro di Stefano Bonifazi, che sono contento ed onorato di presentare, va in questa direzione. Che possa servire per molteplici esperienze di ricerca e azione.
Leonardo Montecchi
Notizie ImpreseOggi
Il primo di una serie di incontri a cadenza annuale dedicati alle utopie della realtà è dedicato a Franco Basaglia. Molti hanno prodotto teorie riguardanti la follia, altri hanno operato nella pratica, ma nessuno, come Franco Basaglia, è riuscito a connettere i due livelli in un modo così radicale. Franco Basaglia ha agito dinamicamente nella scienza, nella politica, nel diritto, nella cultura, nella nostra società e nelle sue istituzioni. Ha aperto la possibilità di un cambiamento epistemologico radicale nelle scienze e di nuovi esercizi di cittadinanza, come ha evidenziato il seminario su “L’eredità di Basaglia”, svoltosi a Oxford nel 2018 e che ha riunito i rappresentanti di 15 paesi dell’Europa e dell’America Latina, oltre i leader della Organizzazione Mondiale della Sanità.
Franca Ongaro presentando la raccolta degli scritti del marito diceva: “Questa raccolta di scritti è la storia di una vita, di un’impresa, di un pensiero” e poi precisava: “Non credo si possa parlare di un “pensiero” di Franco disgiunto da una pratica che non produca un pensiero o che non sia soggetto e oggetto di un pensiero”.
Ci si potrebbe chiedere, tuttavia, quale senso abbia riportarci a un passato, che sembra così lontano dallo attuale presente, non tanto per il numero di anni trascorsi, quanto per l’ampiezza dei cambiamenti sociali e politici intervenuti. Nulla sembra sottrarsi, ormai, all’erosione di “un già detto” e la velocità che ci governa non consente di approfondire non solo il senso degli eventi passati, ma, spesso, nemmeno di quelli presenti. La “modernità” sembrerebbe imporci l’esigenza di accantonare ogni mitologia riferita a quella stagione del passato a cui appartiene Franco Basaglia, per l’inattualità delle prospettive, delle problematiche, dei linguaggi. Ma siamo sicuri che sia proprio così?
Noi riteniamo, al contrario, che leggendo gli scritti di Franco, riflettendo sulla sua impresa possiamo verificare la consistenza dei progressi teorici e pratici realizzati a partire da quelle riflessioni e, nello stesso tempo, percepire quanto cammino dobbiamo ancora percorrere per corrispondere proprio a quelle sollecitazioni.
L’attualità del pensiero di Basaglia risiede semplicemente nella sua inattualità! Inattualità rispetto al potere prevaricante e, oggi, rispetto a un mondo dominato dall’ascensione di governi antidemocratici e negazionisti, dall’espandersi di una cultura dell’odio e del discredito, in cui prevale la logica della guerra e appaiono inevitabili la catastrofe ecologica, la disuguaglianza, l’ingiustizia. Inattuale, perché il pensiero di Franco e dei tanti altri, che hanno lottato contro le istituzioni della violenza e della manipolazione, risiede nell’utopia – “l’Utopia della realtà”1 – che si contrappone al “realismo” senza speranza e al sentimento di impotenza che ci assale di fronte al potere totalizzante di un sistema politico e sociale sprovvisto di etica e di giustizia. Ci riferiamo, naturalmente, a una utopia che non è il sogno ingenuo, illusorio e confortante di un mondo migliore. Intendiamo l’utopia come l’esplorazione di nuove possibilità e volontà, attraverso l’opposizione della immaginazione alla necessità dell’esistente, solo perché esiste; opposizione e lotta in nome del diritto a una vita radicalmente migliore, che tutti meritiamo. In questa prospettiva l’utopia riguarda il presente più che il futuro. Esprime l’attenzione lucida e la volontà determinata di conseguire ciò che oggi non esiste e che invece potrebbe essere, o meglio che è già presente come contro parte di quanto esiste, ma che rimane silenzioso, invisibile.
Per riflettere su questa impresa ci è sembrato opportuno/ necessario promuovere queste giornate seminariali. Lo facciamo cercando di evitare ogni retorica, ogni mitizzazione o monumentalizzazione del personaggio. Parlare di Franco Basaglia può aiutare a riflettere su di noi e cercare/ chiarire la direzione su cui orientare la nostra pratica, la nostra dimensione esistenziale
Ci sembra, tuttavia, altrettanto importante allargare in futuro la riflessione sul tema della utopia – o meglio sull’Utopia della realtà – non solo sul tema della salute e della salute mentale, ma anche rispetto ad altri ambiti – l’arte, la letteratura, la politica, l’educazione, i diritti. Cercheremo di farlo con spirito basagliano: evitando il rischio, sempre presente, di creare nuove ideologie, allargando la nostra riflessione sulla dialettica del cambiamento, sempre possibile e necessario, che è contemporaneamente negazione/ creazione/ invenzione di realtà in una costante transizione.
Ernesto Venturini
Il programma5 OTTOBRE 2024
Cineteca, Rimini
Ore 9.30
Saluti istituzionali
Chiara Bellini, vicesindaca del Comune di Rimini
Cristian Tamagnini, presidente Cooperativa Sociale Cento Fiori.
Leonardo Montecchi, Direttore Scuola di prevenzione “Josè Bléger”
Ernesto Venturini, coordinatore CIAO – Centro Studi Italo-Brasiliano “Franco e Franca Basaglia”
SeminarioLa libertà è terapeutica- Storia e attualità del percorso di deistituzionalizzazione
Intervengono:
Ernesto Venturini (già Direttore OP Imola e collaboratore di Basaglia a Gorizia e Trieste)
Stella Goulart (Professoressa di psicologia – Università Federale del Minas Gerais)
Leonardo Montecchi (già Psichiatra Ser.T e Scuola di prevenzione Josè Bléger – Rimini) Luca Negrogno (Coordinatore di progetti formativi Istituto Minguzzi di Bologna),
Maria Augusta Nicoli (Coordinatrice Rede Unida)
Modera:
Bruna Zani (Professoressa di Psicologia sociale e di comunità – UniBo, Presidente Istituzione Gianfranco Minguzzi, Bologna)
Discussione assembleare
12.30 Pausa pranzo
Ore 14.00
Tavola rotonda
Rimini e la Salute Mentale a 100 anni dalla nascita di Franco Basaglia
Intervengono:
Francesco Sartini (Direttore del DSM-DP di Rimini)
Teo Vignoli (Direttore del SerD di Rimini)
Riccardo Sabatelli (Direttore del CSM di Rimini)
Roberta Rosetti (Direttore della NPIA Rimini)
Cristian Gianfreda (Assessore Servizi Sociali Comune di Rimini)
Vittorio Betti (Fondazione Sergio Zavatta EnAIP)
Max Freschi (Cooperativa la Ginestra)
Bruna Tenenti (Comitato Utenti Familiari Operatori)
Debora Santini (Psicologa Modulo Doppia Diagnosi Coop. Cento Fiori)
Modera:
Simona Di Marco (Psichiatra CSM di Rimini)
Discussione assembleare
Dalle ore 16.30
Presentazione di libri
Mario Colucci e Pierangelo di Vittorio_”Franco Basaglia” (Feltrinelli 2024) e Marica Setaro (a cura di)_“Fare l’impossibile: ragionando di psichiatria e potere” di Franco Basaglia. Modera: Ernesto Venturini (ex Direttore OP Imola e collaboratore di Basaglia a Gorizia e Trieste)
A seguire
Ernesto Venturini_“Mi raccomando non sia troppo basagliano” (Armando, 2020) e Maria Stella Brandao Goulart_ “Rehabilitar: una perspectiva basagliana” (Rede Unida, 2024). Modera: Mauro Bertani (storico del pensiero filosofico e psichiatrico, consulente Einaudi)
ore 21.00
Proiezione di film
E tu slegalo (2024) di Maurizio Sciarra (67′) alla presenza del regista.
Presentano e dialogano con il regista: Marco Bertozzi (professore di Cinema, fotografia e televisione, Università IUAV) ed Ernesto Venturini
6 Ottobre 2024
Cineteca, Rimini
ore 10.30
Proiezione di film
San Clemente (1982) di Raymond Depardon (98 m)
Presenta Davide Montecchi (regista e produttore cinematografico)
Dalle ore 15.00
“Costruire Reti”
in dialogo con Anna Poma (psicoterapeuta e organizzatrice del Festival dei Matti di Venezia) e Cristina Zani (psicologa, membro Flai, Forum Lacaniano Italia).
Presentazione di libri
Karen Venturini_ “Melanconia con stupore” di (Raffaelli, 2016).
Presenta: Gabriella Maggioli (psicoterapeuta e vicepresidente Coop. Soc. Cento Fiori)
A seguire:
Leonardo Montecchi_”L’ombra dell’angelo” (Sensibili alle foglie, 2021) e Paolo Francesco Peloso_”Franco Basaglia, un profilo. Dalla critica dell’istituzione psichiatrica alla critica della società” (Carocci editore, 2023).
Modera: Mauro Bertani (storico del pensiero filosofico e psichiatrico, consulente Einaudi)
ore 18.30
Letture teatrali
dal laboratorio teatrale di Pietro Conversano con gli ospiti della Comunità Terapeutica di Vallecchio – Coop. Soc. Cento Fiori
Ore 21.00
Proiezione di film
Sull’Adamant – Dove l’impossibile diventa possibile (2023) di Nicolas Philibert (109 min)
Presenta: Annamaria Gradara (giornalista e autrice).
L'articolo Utopie della realtà _ 1 / La libertà è terapeutica / Cento anni di Franco Basaglia proviene da Cento Fiori, Rimini.
Notizie ImpreseOggi
Notizie ImpreseOggi
L’U.O.C. Dipendenze Patologiche di Rimini Ausl Romagna diretta dal Dott. Teo Vignoli, insieme ai Comuni dei Distretti di Rimini e Riccione, nell’ambito del progetto Circolando con la Cooperativa Sociale Cento Fiori, unitamente alla collaborazione della rete GAP di Rimini e Riccione, darà avvio dal prossimo 5 luglio un servizio innovativo tramite una unità mobile che si sposterà tra i principali luoghi di gioco d’azzardo – con a bordo operatori specializzati – per fornire supporto ai giocatori, offrendo un confronto specializzato per aiutarli a gestire il tempo di gioco e la quantità di denaro speso.
Nello specifico, l’iniziativa si inserisce nell’ambito delle azioni volte a prevenire e ridurre situazioni croniche di dipendenza da gioco, attraverso l’utilizzo di postazioni mobili e di un avvicinamento ai luoghi di gioco, che forniscano ai giocatori occasioni di riflessione critica rispetto ai propri comportamenti di gioco, favorendo una richiesta d’aiuto, limitando il danno e contenendo i rischi di sviluppare un gioco d’azzardo patologico.
Le prime uscite si terranno venerdì 5/07 e mercoledì 10/7 orario 17-20 presso la Sala Giochi Smeraldo, a Miramare, grazie ad una proficua collaborazione con i gestori della sala, che hanno dato la massima disponibilità a collaborare con l’iniziativa. Nel corso delle uscite operatori esperti saranno a disposizione per fornire consigli e strumenti pratici, promuovendo un approccio al gioco più consapevole e responsabile, offrendo anche informazioni sui servizi disponibili.
Per ulteriori informazioni sui servizi in tema di gioco d’azzardo è possibile rivolgersi agli sportelli di consulenza psicologica e legale: Distretto di Riccione Sportello Match via Mantova, 6 Riccione cell. 351 50 39 709 sportellomatchriccione@gmail.com, Distretto di Rimini Sportello via Bramante, 10 I° piano – Rimini cell. 324 80 36 662 sportellofuorigioco.rn@gmail.com.
L'articolo “Il tempo è denaro”: al via il progetto innovativo di prossimità itinerante dell’unità di strada per giocatori d’azzardo proviene da Cento Fiori, Rimini.