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Daniele Maggioli, un cantautore semiserio per una Rimini cantata con “ironia pagliaccia”

Gavetta: mentre si strimpella o si attoricchia in attesa della svolta, si può anche papereggiare tra i tavoli di un'osteria riminese. E poi, con ancora la parananza addosso, servire con chitarra e voce alle orecchie degli avventori la stessa Rimini che questi vivono, facendo finta o senza accorgersi di essere in quelle strofe. Come "l'attrice in erba carina e scontata, acida come un avanzo di yogurt, si veste un po' zingara e un poco firmata, e beve tisane all'ortica". E' ciò che fa Daniele Maggioli, ogni giorno all'Harissa, anche lui come più o meno tutti i riminese dal dna lavorativo tra i tavoli, ma che di quelle immagini raccolte tra tavoli e lungomare, le ha poi racchiuse in "canzoni semiserie di mare, di neve, d'afa", realizzando il suo primo album, "Pro loco", la secondo fatica discografica della nostrana Interno 4 records, arricchita oltre che dal cd da un libretto. Immagini che lancia con voce un po' metallica, un po' ragazzina, un po' roca, un po' De André, un po' buffone e un po' e ancora un po' fino ad essere originalmente lui.

Un concept album sbarazzino, da ascoltare con un occhio alle immagini della città di Chico De Luigi, guardata, come per Daniele, con un occhio distaccato e implacabile, che fissa le nostre contraddizioni e la fauna che l'agita in estate, lungo il fuoco della rena che tutto e tutti accoglie. Niente di didascalico, nel lavoro dei due, il cantante e il fotografo. Semmai assonanze, uno a fissarli con le strofe, l'altro con l'obbiettivo, scatti e note in bianco e nero, che guardano la Teutonen grill, le improbabili miss Tette, tamarri impasticcati, commesse, padri come bisonti che fanno slalom tra le carrozzine, poppanti persi con canotte rosse sporche di frittate. Insomma, il curioso universo che viene rilasciato quando le cateratte delle città padane si aprono, inondando la "leggiadra estate adriatica, un'invasato sipario di seta sul vuoto".

Maggioli canta la Rimini sotto la patina che serviamo agli avventori estivi. Quella reale, guardata "con buonumore, con le mani in tasca, e l'aria trasognata, l'afa sulla faccia e un'ironia pagliaccia". Una lunga parata di quotidiane storie padane, non certo quella sfigata che svolazza dentro l'occhio della R, sciarpa al vento, con sullo sfondo una spiaggia che scimmiotta il 1929, che non esiste né più né ora. E che di certo non riesce nemmeno ad avvicinarsi all'illusione di una Rimini più bella di quanto lo faccia la "filastrocca sguaiata" nella traccia sei, ovvero "L'estate d'inverno", ballata degli abitanti nella bruma invernale, in attesa dei turisti che "guardiamo ad occhi divisi, uno per il denaro e i sorrisi, l'altro che vorrebbe dirvi che c'è un'altra faccia della costa, che è più difficile, piena di gabbiani e di nuvole, monocromatica e normale". Per poi ripartire a ridipingere le cabine, cancellando i "Sara ti amo" dell'inverno.

E' la Rimini vista dietro le quinte, compreso il puttan tour contemporaneo, di un uomo solo che tira su "la russa pelo rosso", strimpellata furiosamente per quanta furia ci può essere in un'auto gonfia di solitudine, che si spera di stemperare in 4 botte scomode in un'umida caverna, al massimo sorridente.

C'è molto in questo album. Di sicuro c'è di che riconoscersi e ridere di noi stessi, con allegria, allegria di naufraghi, che ti accompagna alla nostra ri-scoperta, disincantanti, consci di essere un po' finti, ma consapevoli che, del resto, la vacanza è vendere un'illusione, fatta di "milioni di ombrelloni, paradisi artificiali, al vento caldo che ti scardina tutti i pensieri".

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