Avevo tre anni. La sera prima mi diedero una razione in più di riso. Non sapevo perché» Alla platea del centro Pio Manzù di Rimini l'ex modella Waris Dirie racconta. Racconta che è nata nel deserto pietroso della Somalia, che vi ha vissuto per 10 anni fino a quando è scappata quando il padre voleva farla sposare. Racconta degli umili lavori a Mogadiscio e a Londra, diventando modella per caso, dell'intervista a Vogue e la domanda sul giorno che le ha cambiato la vita, pensando - la giornalista - a quando Cenerentola è diventata la principessa dei rotocalchi. Per Wadis Dirie il giorno che la vita è cambiata è quando una donna, con una lametta, le ha mutilato i genitali. Infibulata. Come 150 milioni di donne nel mondo, 500 mila in Europa.
Si parla di futuro alle giornate internazionali del Pio Manzù e - quindi - le donne sono in scena: sul palco, in platea, dietro le quinte a far funzionare la macchina scientifica e mediatica. Storie di manager bancarie, di dirigenti dell'Onu, di deputate nel sultanato dell'Oman, alle prese con un cambio di assetto nell'inclusione sociale. Waris Dirie lascia la parola alle immagini di Desert flower, il film su di lei del 2009. Scorrono i momenti dolorosi che le hanno cambiato la vita, immagini agghiaccianti anche se ricostruiti, perché da qualche parte tra il nord e il centro Africa, tra Atlantico e mar Rosso, una bambina veramente sta gridando il suo dolore. Che lei combatte da anni, con la Desert flower Foundation e come ambasciatrice dell'Onu.
«Trent'anni fa il pericolo numero uno per la carriera di una donna era imparare a battere a macchina. Adesso il pericolo più grave è cadere nella trappola dell'assistente personale: tu fai il lavoro sporco e il capo si prende tutti i meriti». E' Alice Hecht già capo di missioni di pace dell'Onu. Al Palazzo di Vetro la ricordano anche perché, eletto Kofi Annan, si complimentò con lui sul giornale dell'organismo, ma scrisse anche che "Sei arrivato a questo posto perché sei un uomo e perché ti sono state date delle opportunità che a una donna non sarebbero mai state date". «Ho provocato scalpore: come ho osato dire una cosa che era davanti agli occhi di tutti»? Poi racconta del suo lavoro e dell'esser donna: «Una missione sul campo nelle Nazioni Unite costituisce un covo di pettegolezzi: reputazione e carriera possono volare giù dalla finestra per nulla. Imparai quindi a non andare a cena più volte con gli stessi colleghi, dovevo essere sempre la prima ad arrivare in ufficio e sempre tra gli ultimi a lasciarlo. Quando sei in una posizione di leadership è facile cadere nella trappola del tappeto rosso». In un'Onu dove «dei 192 ambasciatori accreditati solo 19 sono donne. Sulle donne ambasciatrici adesso e in passato i grandi assenti sono Francia, Regno Unito, Germania, Italia, Paesi Bassi».
Alessandra Perazzelli, ceo Impresa San Paolo Eurodesk dice che la presenza femminile in Italia è «del 20 % circa inferiore rispetto alla media europea: una mancata crescita del 10% e un'arretratezza di circa 7-8 anni». Eppure «le aziende con maggiore stabilità in questo periodo di crisi hanno una maggiore presenza femminile nelle posizioni apicali» Nonostante ciò, resistono i blocchi culturali: «poco apprezzamento nel mondo del lavoro crea maggiore apprezzamento nella società: una profezia da cui le donne italiane devono imparare a distaccarsi. Il fantasma della cattiva madre, cioè che lascia i figli all'asilo o non li segue 24 ore al giorno, è ancora un tema. Non si parla mai del cattivo padre, perché in qualche modo lui "deve" lavorare».
Oggi su L'Unità - Culture, pag 37