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Grassi Benaglia Moretti avvocati e commercialisti

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Aggiornato: 6 ore 32 min fa

Consulta: illegittima la sospensione dell'esecuzione della pena non superiore a 3 anni anziché 4

Ven, 02/03/2018 - 16:38

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 656, comma 5, del codice di procedura penale, nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni.

(Corte Costituzionale n. 41/2018)

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RINVIO PER LA PUBBLICAZIONE ON LINE DEGLI INCARICHI PUBBLICI

Gio, 01/03/2018 - 21:12

Alla fine il rinvio c’è stato. Anche se non in forma esplicita, la proroga è desumibile da una serie di quesiti che il Ministero dello Sviluppo Economico ha sottoposto al Consiglio di Stato circa la corretta interpretazione dell’art. 1, commi da 125 a 129 della Legge 4 agosto 2017 n. 124.

Lo stesso MISE rileva, come peraltro già sottolineato nel nostro precedente articolo, che la norma contiene elementi di incongruenza che necessita di alcune precisazioni.

In particolare si sofferma sulla corretta individuazione dei soggetti competenti a vigilare sul corretto rispetto della norma, la decorrenza dei nuovi obblighi informativi, e su quali soggetti applicare le sanzioni previsti.

La richiesta di chiarimenti è stata fatta a ridosso della scadenza e, quindi, non otterrà di certo la risposta in tempo utile” commenta Giovanni Benaglia, il socio dello studio che si occupa del mondo del No Profit. “E’ lecito, quindi, a questo punto supporre che possa essere considerata superata la necessità di provvedere alla pubblicazione entro il 28 febbraio 2018”. Una proroga di fatto, quindi, che può essere supportata anche dalla nota del ministero del Lavoro del 23.02.2018, prot. n. 34/2540, nella quale si legge che la diversa interpretazone secondo la quale la norma dovrebbe riferirsi agli importi ricevuti nel 2017, da pubblicarsi entro il 28 febbraio 2018, avrebbe effetti retroattivi sull’obbligo di pubblicità, in contrasto con il principio generale di irretroattività della legge.

E’ interessante notare come anche il Mise sposi questa linea interpretativa” prosegue Benaglia “e arriva alla medesima conclusione del Ministero del Lavoro: applicare al 2017 la norma è, di fatto, una violazione non solo del principio generale dell’irretroattività della norma ma è anche una violazione del buon andamento della Pubblica Amministrazione. E’ pur vero che la norma è in vigore da Agosto 2017, ma è altrettanto vero che gli operatori si ritroverebbero a raccogliere dati per un periodo in cui la norma non era in vigore”.

Curioso, infine, il fatto che è lo stesso Ministero ad ammettere che non sa quali sono i soggetti destinatari della sanzione. Per come è scritta la norma, infatti, pare che siano solo le imprese che non pubblicano i dati nella nota integrativa. Tale considerazione scaturisce dal fatto che il terzo periodo del comma 125, che irroga la sanzione, è collocato dopo il periodo che impone l’obbligo pubblicitario a carico delle imprese e, nel determinare la data di decorrenza dei tre mesi per restituzione, fa riferimento alla “data di cui al periodo precedente”.

La chiarezza delle norme e dei termini non appartiene alla Pubblica Amministrazione” conclude Giovanni Benaglia.

Notizie Newsletter Grassi Benaglia Moretti, avvocati & commercialisti Allegati:  Nota del ministero del Lavoro del 23.02.2018, prot. n. 34/2540
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RINVIO PER LA PUBBLICAZIONE ON LINE DEGLI INCARICHI PUBBLICI

Gio, 01/03/2018 - 21:12

Alla fine il rinvio c’è stato. Anche se non in forma esplicita, la proroga è desumibile da una serie di quesiti che il Ministero dello Sviluppo Economico ha sottoposto al Consiglio di Stato circa la corretta interpretazione dell’art. 1, commi da 125 a 129 della Legge 4 agosto 2017 n. 124.

Lo stesso MISE rileva, come peraltro già sottolineato nel nostro precedente articolo, che la norma contiene elementi di incongruenza che necessita di alcune precisazioni.

In particolare si sofferma sulla corretta individuazione dei soggetti competenti a vigilare sul corretto rispetto della norma, la decorrenza dei nuovi obblighi informativi, e su quali soggetti applicare le sanzioni previsti.

La richiesta di chiarimenti è stata fatta a ridosso della scadenza e, quindi, non otterrà di certo la risposta in tempo utile” commenta Giovanni Benaglia, il socio dello studio che si occupa del mondo del No Profit. “E’ lecito, quindi, a questo punto supporre che possa essere considerata superata la necessità di provvedere alla pubblicazione entro il 28 febbraio 2018”. Una proroga di fatto, quindi, che può essere supportata anche dalla nota del ministero del Lavoro del 23.02.2018, prot. n. 34/2540, nella quale si legge che la diversa interpretazone secondo la quale la norma dovrebbe riferirsi agli importi ricevuti nel 2017, da pubblicarsi entro il 28 febbraio 2018, avrebbe effetti retroattivi sull’obbligo di pubblicità, in contrasto con il principio generale di irretroattività della legge.

E’ interessante notare come anche il Mise sposi questa linea interpretativa” prosegue Benaglia “e arriva alla medesima conclusione del Ministero del Lavoro: applicare al 2017 la norma è, di fatto, una violazione non solo del principio generale dell’irretroattività della norma ma è anche una violazione del buon andamento della Pubblica Amministrazione. E’ pur vero che la norma è in vigore da Agosto 2017, ma è altrettanto vero che gli operatori si ritroverebbero a raccogliere dati per un periodo in cui la norma non era in vigore”.

Curioso, infine, il fatto che è lo stesso Ministero ad ammettere che non sa quali sono i soggetti destinatari della sanzione. Per come è scritta la norma, infatti, pare che siano solo le imprese che non pubblicano i dati nella nota integrativa. Tale considerazione scaturisce dal fatto che il terzo periodo del comma 125, che irroga la sanzione, è collocato dopo il periodo che impone l’obbligo pubblicitario a carico delle imprese e, nel determinare la data di decorrenza dei tre mesi per restituzione, fa riferimento alla “data di cui al periodo precedente”.

La chiarezza delle norme e dei termini non appartiene alla Pubblica Amministrazione” conclude Giovanni Benaglia.

Notizie Newsletter Grassi Benaglia Moretti, avvocati & commercialisti Allegati:  Nota del ministero del Lavoro del 23.02.2018, prot. n. 34/2540
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RUSH FINALE PER LA PUBBLICAZIONE ON LINE DEGLI INCARICHI PUBBLICI

Mar, 27/02/2018 - 21:01

Ancora poche ore a disposizione degli Enti, delle Cooperative sociali e delle Onlus in genere per adempiere all’obbligo imposto con la Legge 04/08/2017, n. 124.

L’art. 1 comma 125 prevede, infatti, che “entro il 28 febbraio di ogni anno, nei propri siti o portali digitali, le informazioni relative a sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e comunque a vantaggi economici di qualunque genere ricevuti” dalle pubbliche amministrazioni largamente intese (cioè tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunita' montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni) nonché le controllate di diritto o di fatto direttamente o indirettamente da pubbliche amministrazioni, ivi comprese quelle che emettono azioni quotate in mercati regolamentati e le società da loro partecipate, e le società in partecipazione pubblica, ivi comprese quelle che emettono azioni quotate in mercati regolamentati e le società da loro partecipate) nell’anno precedente.

L'onere della pubblicazione non riguarda solo gli Enti associativi e le Onlus. Infatti, tutte le imprese che usufruiscono di finanziamenti di carattere pubblico come sopra indicati, saranno obbligati a riportare i medesimi dati “nella nota integrativa del bilancio di esercizio e nella nota integrativa dell'eventuale bilancio consolidato”.

L'obbligo non scatta qualora l'importo dei finanziamenti sia inferiore ai 10.000 euro. La sanzione per l'omessa indicazione, nel sito internet e nei documenti di bilancio, è salatissima: “l'inosservanza di tale obbligo comporta una sanzione pari alle somme erogate” (comma 126).

La norma ha degli evidenti caratteri di criticità”, afferma il dott. Giovanni Benaglia che per conto dello studio segue il mondo delle Onlus e del No profit. “Innanzitutto non si comprende da quando decorre. Nel disposto normativo si fa riferimento, infatti, a una generica affermazione del tipo “a decorrere da”, facendo presupporre che l'obbligo scatti dal 2018 e quindi la pubblicazione deve avvenire a febbraio 2019. Noi consigliamo, stante le sanzioni comunque elevate, di adottare un comportamento cautelativo e adempiere già all'obbligo a partire da quest'anno. La seconda criticità”, continua Benaglia, “riguarda il fatto di quali importi debbano essere indicati, se solo i contributi per l'attività sociale oppure anche quelli derivanti da appalti pubblici. Anche qui consigliamo un comportamento prudente: la norma parla “di sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e comunque vantaggi economici di qualunque genere” lasciando intendere che va indicato tutto, compreso, quindi, anche ciò che deriva da appalti o servizi svolti per conto dei soggetti pubblici”.

Infine consiglio prudenza anche a quelle società che non rientrano nel novero del No Profit: anche la normale Srl, magari unipersonale, deve adempiere all'obbligo indicando gli importi nella nota integrativa: la dimenticanza, come abbiamo visto, può costare cara”.

 

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Mar, 27/02/2018 - 21:01

Ancora poche ore a disposizione degli Enti, delle Cooperative sociali e delle Onlus in genere per adempiere all’obbligo imposto con la Legge 04/08/2017, n. 124.

L’art. 1 comma 125 prevede, infatti, che “entro il 28 febbraio di ogni anno, nei propri siti o portali digitali, le informazioni relative a sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e comunque a vantaggi economici di qualunque genere ricevuti” dalle pubbliche amministrazioni largamente intese (cioè tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunita' montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni) nonché le controllate di diritto o di fatto direttamente o indirettamente da pubbliche amministrazioni, ivi comprese quelle che emettono azioni quotate in mercati regolamentati e le società da loro partecipate, e le società in partecipazione pubblica, ivi comprese quelle che emettono azioni quotate in mercati regolamentati e le società da loro partecipate) nell’anno precedente.

L'onere della pubblicazione non riguarda solo gli Enti associativi e le Onlus. Infatti, tutte le imprese che usufruiscono di finanziamenti di carattere pubblico come sopra indicati, saranno obbligati a riportare i medesimi dati “nella nota integrativa del bilancio di esercizio e nella nota integrativa dell'eventuale bilancio consolidato”.

L'obbligo non scatta qualora l'importo dei finanziamenti sia inferiore ai 10.000 euro. La sanzione per l'omessa indicazione, nel sito internet e nei documenti di bilancio, è salatissima: “l'inosservanza di tale obbligo comporta una sanzione pari alle somme erogate” (comma 126).

La norma ha degli evidenti caratteri di criticità”, afferma il dott. Giovanni Benaglia che per conto dello studio segue il mondo delle Onlus e del No profit. “Innanzitutto non si comprende da quando decorre. Nel disposto normativo si fa riferimento, infatti, a una generica affermazione del tipo “a decorrere da”, facendo presupporre che l'obbligo scatti dal 2018 e quindi la pubblicazione deve avvenire a febbraio 2019. Noi consigliamo, stante le sanzioni comunque elevate, di adottare un comportamento cautelativo e adempiere già all'obbligo a partire da quest'anno. La seconda criticità”, continua Benaglia, “riguarda il fatto di quali importi debbano essere indicati, se solo i contributi per l'attività sociale oppure anche quelli derivanti da appalti pubblici. Anche qui consigliamo un comportamento prudente: la norma parla “di sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e comunque vantaggi economici di qualunque genere” lasciando intendere che va indicato tutto, compreso, quindi, anche ciò che deriva da appalti o servizi svolti per conto dei soggetti pubblici”.

Infine consiglio prudenza anche a quelle società che non rientrano nel novero del No Profit: anche la normale Srl, magari unipersonale, deve adempiere all'obbligo indicando gli importi nella nota integrativa: la dimenticanza, come abbiamo visto, può costare cara”.

 

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MAE: l'autorità deve salvaguardare il rispetto dei diritti umani fondamentali

Lun, 26/02/2018 - 17:59

Nella procedura d'esecuzione del mandato d'arresto europeo (MAE) l'accertamento del rischio connesso a trattamenti inumani impone di privilegiare i diritti umani fondamentali rispetto al principio di collaborazione.

Se lo Stato membro di esecuzione è tenuto ad accertare concretamente in relazione alla persona richiesta in consegna l'esistenza di un rischio collegato al divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti, va al contempo salvaguardata la possibilità della realizzazione della consegna stessa, consentendo entro un tempo ragionevole allo Stato membro di emissione di rimuovere le condizioni ostative connesse a tale rischio. Qualora sulla base delle informazioni fornite non venga escluso tale rischio, l'esecuzione del mandato deve essere rinviata ma non può essere abbandonata e ne va informato Eurojus (cfr sent. Lanigan, C-237/15 PPU, 16 luglio 2015). Se l'esistenza del rischio non potrà essere esclusa in un tempo ragionevole, l'autorità potrà allora decidere se porre fino alla procedura di consegna, dovendosi in tal caso privilegiare, rispetto al principio di collaborazione, il rispetto dei diritti umani fondamentali.

(Cass. penale, II sezione, n. 8277/2018)

Avv. Patrick Francesco Wild

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MAE: l'autorità deve salvaguardare il rispetto dei diritti umani fondamentali

Lun, 26/02/2018 - 17:59

Nella procedura d'esecuzione del mandato d'arresto europeo (MAE) l'accertamento del rischio connesso a trattamenti inumani impone di privilegiare i diritti umani fondamentali rispetto al principio di collaborazione.

Se lo Stato membro di esecuzione è tenuto ad accertare concretamente in relazione alla persona richiesta in consegna l'esistenza di un rischio collegato al divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti, va al contempo salvaguardata la possibilità della realizzazione della consegna stessa, consentendo entro un tempo ragionevole allo Stato membro di emissione di rimuovere le condizioni ostative connesse a tale rischio. Qualora sulla base delle informazioni fornite non venga escluso tale rischio, l'esecuzione del mandato deve essere rinviata ma non può essere abbandonata e ne va informato Eurojus (cfr sent. Lanigan, C-237/15 PPU, 16 luglio 2015). Se l'esistenza del rischio non potrà essere esclusa in un tempo ragionevole, l'autorità potrà allora decidere se porre fino alla procedura di consegna, dovendosi in tal caso privilegiare, rispetto al principio di collaborazione, il rispetto dei diritti umani fondamentali.

(Cass. penale, II sezione, n. 8277/2018)

Avv. Patrick Francesco Wild

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Usura, a Torino un caso per Sos Impresa

Gio, 23/11/2017 - 16:35

Massimiliano, ristoratore di Torino, l'anno scorso ha trovato il coraggio di denunciare il proprio strozzino. Era diventato vittima di un usuraio, il quale gli prestava denaro applicando tassi di interesse mensili del 15%. La situazione era precipatata in pochi mesi: in tre anni, per i 25mila euro che Massimiliano aveva richiesto, era stato poi costretto a riconsegnarne indietro 150mila. La vittima si è quindi rivolta a Confesercenti e da qui è entrata in contatto con lo sportello legale di Sos Impresa, che si occupa di tutelare e assistere le vittime di usura ed estorsione. La difesa è stata affidata all'Avv. Davide Grassi di Rimini, da anni legale di Sos Impresa in processi di usura e criminalità organizzata nel nord e centro Italia. L'avvocato dell'imputato ha presentato istanza di patteggiamento concordata con il Pubblico Ministero (4 anni e 4 mesi), ma al contempo c'è stata l'offerta di risarcimento a favore della vittima, pari a 50mila euro. 

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Gio, 23/11/2017 - 16:35

Massimiliano, ristoratore di Torino, l'anno scorso ha trovato il coraggio di denunciare il proprio strozzino. Era diventato vittima di un usuraio, il quale gli prestava denaro applicando tassi di interesse mensili del 15%. La situazione era precipatata in pochi mesi: in tre anni, per i 25mila euro che Massimiliano aveva richiesto, era stato poi costretto a riconsegnarne indietro 150mila. La vittima si è quindi rivolta a Confesercenti e da qui è entrata in contatto con lo sportello legale di Sos Impresa, che si occupa di tutelare e assistere le vittime di usura ed estorsione. La difesa è stata affidata all'Avv. Davide Grassi di Rimini, da anni legale di Sos Impresa in processi di usura e criminalità organizzata nel nord e centro Italia. L'avvocato dell'imputato ha presentato istanza di patteggiamento concordata con il Pubblico Ministero (4 anni e 4 mesi), ma al contempo c'è stata l'offerta di risarcimento a favore della vittima, pari a 50mila euro. 

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"La Cooperazione è un valore centrale nella nostra democrazia"

Ven, 10/11/2017 - 12:24

Sull'ultimo numero della newsletter del Consorzio Sociale Romagnolo è apparsa l'intervista al dott. Giovanni Benaglia, nominato consigliere di amministrazione nel maggio scorso dopo aver ricoperto per oltre 10 anni il ruolo di sindaco revisore. Il Consorzio Sociale Romagnolo è una realtà che raggruppa più di 40 cooperative sociali che svolgono attività di reinserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Tra i temi trattati nell'intervista quello relativo al fatto che la cooperazione sociale è una opportunità per la collettività e non certo assistenzialismo.

"Da dieci anni a questa parte mi si è aperto un mondo, che è quello del reinserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati", afferma il dott. Benaglia. "La vera ricchezza che si produce in questo mondo non sono gli utili a fine anno di un proprietario d’impresa, ma la crescita delle persone, soprattutto svantaggiate, che ci lavorano dentro. Persone che, se non avessero questa opportunità, sarebbero consegnate all’emarginazione e alla ghettizzazione"

 

 

 

 

 

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"La Cooperazione è un valore centrale nella nostra democrazia"

Ven, 10/11/2017 - 12:24

Sull'ultimo numero della newsletter del Consorzio Sociale Romagnolo è apparsa l'intervista al dott. Giovanni Benaglia, nominato consigliere di amministrazione nel maggio scorso dopo aver ricoperto per oltre 10 anni il ruolo di sindaco revisore. Il Consorzio Sociale Romagnolo è una realtà che raggruppa più di 40 cooperative sociali che svolgono attività di reinserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Tra i temi trattati nell'intervista quello relativo al fatto che la cooperazione sociale è una opportunità per la collettività e non certo assistenzialismo.

"Da dieci anni a questa parte mi si è aperto un mondo, che è quello del reinserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati", afferma il dott. Benaglia. "La vera ricchezza che si produce in questo mondo non sono gli utili a fine anno di un proprietario d’impresa, ma la crescita delle persone, soprattutto svantaggiate, che ci lavorano dentro. Persone che, se non avessero questa opportunità, sarebbero consegnate all’emarginazione e alla ghettizzazione"

 

 

 

 

 

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La nozione di privata dimora nel furto in abitazione

Mar, 05/09/2017 - 11:58

Con sentenza n. 31345/17 (deposito del 22 giugno 2017) le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione affrontano la questione controversa del concetto di “privata dimora”, in particolare nel reato di furto in abitazione 624-bis c.p., affermando che ai fini della configurabilità del predetto reato “rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare.”

La vicenda traeva origine da un ricorso per Cassazione avverso la condanna in appello nei confronti di un soggetto condannato con rito abbreviato per i reati di cui agli artt. 624-bis e 625 primo comma n. 2 c.p. in quanto si era introdotto all’interno di un esercizio commerciale, asportando denaro e una macchina fotografica. L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, denunciando l’erronea applicazione del più grave delitto di furto in applicazione in luogo di quello “semplice”.

Ravvisata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in materia, la questione è passata alle Sezioni Unite. Accanto ad un primo orientamento che intende la privata dimora come luogo dove vengano svolti atti della vita privata (quindi anche attività lavorative, culturali, professionali politiche), vi è un secondo orientamento che ritiene esulino dal concetto di privata dimora quei luoghi che consentano l’accesso al pubblico. Esistono poi ulteriori orientamenti “intermedi” che valorizzano altri criteri (l’occasionalità della presenza del proprietario in quei luoghi, l’orario di apertura, etc.).

Dopo aver preso atto di questa pluralità di orientamenti, le SS.UU. dichiarano immediatamente che l’ampliamento della nozione propugnato dal primo orientamento, sia eccessivo e contrasti sia col dato letterale della norma che con ogni interpretazione sistematica.

La nozione di “privata dimora” è certamente più ampia di quella di abitazione, specificano però i Giudici. Il riferimento deve essere inteso a quello di luogo adibito a svolgimento di atti della vita privata, non limitati soltanto a quelli della vita familiare o intima (propri dell’abitazione). Chi giudica – aggiunge la Corte – non deve rinunciare ad compiere ulteriori approfondimenti sulla natura e sull’utilizzo di tali luoghi.

Certamente errato è invece far dipendere l’applicazione della norma e di un trattamento sanzionatorio più grave (l’art. 624-bis. c.p.) da elementi “vaghi, incerti e occasionali” (come ritengono gli orientamenti intermedi) come la presenza o meno di persone durante il fatto o la circostanza che esso sia avvenuto nell’orario di apertura e chiusura, accettando così una sorta di “tutela ad intermittenza” (Cass. sez. V, n. 428/2015).

Le Sezioni Unite riportano al centro della discussione la ratio della norma, nel momento in cui fu pensata ed introdotta dal legislatore: la tutela dell’individuo anche nel caso in cui compia atti della sua vita privata al di fuori dell’abitazione. Luoghi che abbiano dunque le stesse caratteristiche dell’abitazione in termini di riservatezza e non accessibilità da parte di terzi senza il consenso del proprietario.

Facendo leva sull’interpretazione che offre la giurisprudenza costituzionale (in riferimento all’art. 14 della Carta) e al concetto di “domicilio”, le Sezioni Unite delineano così la nozione di privata dimora sulla base di alcuni indefettibili elementi: a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, attività professionale e lavoro in genere); durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo da parte di terzi senza consenso.

Quando, dunque, poter applicare la nozione di “privata dimora” contenuta nell’art. 624-bis in relazione ai luoghi di lavoro? E’ indiscutibile – premettono le Sezioni Unite – che che nei luoghi di lavoro il soggetto compia atti della vita privata. Ma ciò non è sufficiente. I luoghi di lavoro, infatti, sono accessibili ad una pluralità di persone anche senza l’autorizzazione del titolare. Sono pertanto esposti all’intrusione altrui e ciò significa che è fuori luogo parlare di riservatezza e tutela della sfera privata. Di conseguenza, potrà esser riconosciuta la funzione di privata dimora solo in quei luoghi (o parte di essi) dove il soggetto compie atti della vita privata in modo riservato e precludendo accesso a terzi: retrobottega, bagni privati, spogliatoi, area riservata di uno studio professionale, etc.

Nel caso di specie, non risultava che gli oggetti sottratti si trovassero in un’area riservata (il denaro nella cassa e la macchina fotografica sul tavolo). Pertanto, la Corte di Cassazione ha correttamente riqualificato il fatto in furto semplice (ancorché aggravato dall’aver usato violenza sulle cose, in quanto vi era stata un’effrazione), annullando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’Appello per rideterminare la pena.

Avv. Patrick Francesco Wild

 

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La nozione di privata dimora nel furto in abitazione

Mar, 05/09/2017 - 11:58

Con sentenza n. 31345/17 (deposito del 22 giugno 2017) le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione affrontano la questione controversa del concetto di “privata dimora”, in particolare nel reato di furto in abitazione 624-bis c.p., affermando che ai fini della configurabilità del predetto reato “rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare.”

La vicenda traeva origine da un ricorso per Cassazione avverso la condanna in appello nei confronti di un soggetto condannato con rito abbreviato per i reati di cui agli artt. 624-bis e 625 primo comma n. 2 c.p. in quanto si era introdotto all’interno di un esercizio commerciale, asportando denaro e una macchina fotografica. L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, denunciando l’erronea applicazione del più grave delitto di furto in applicazione in luogo di quello “semplice”.

Ravvisata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in materia, la questione è passata alle Sezioni Unite. Accanto ad un primo orientamento che intende la privata dimora come luogo dove vengano svolti atti della vita privata (quindi anche attività lavorative, culturali, professionali politiche), vi è un secondo orientamento che ritiene esulino dal concetto di privata dimora quei luoghi che consentano l’accesso al pubblico. Esistono poi ulteriori orientamenti “intermedi” che valorizzano altri criteri (l’occasionalità della presenza del proprietario in quei luoghi, l’orario di apertura, etc.).

Dopo aver preso atto di questa pluralità di orientamenti, le SS.UU. dichiarano immediatamente che l’ampliamento della nozione propugnato dal primo orientamento, sia eccessivo e contrasti sia col dato letterale della norma che con ogni interpretazione sistematica.

La nozione di “privata dimora” è certamente più ampia di quella di abitazione, specificano però i Giudici. Il riferimento deve essere inteso a quello di luogo adibito a svolgimento di atti della vita privata, non limitati soltanto a quelli della vita familiare o intima (propri dell’abitazione). Chi giudica – aggiunge la Corte – non deve rinunciare ad compiere ulteriori approfondimenti sulla natura e sull’utilizzo di tali luoghi.

Certamente errato è invece far dipendere l’applicazione della norma e di un trattamento sanzionatorio più grave (l’art. 624-bis. c.p.) da elementi “vaghi, incerti e occasionali” (come ritengono gli orientamenti intermedi) come la presenza o meno di persone durante il fatto o la circostanza che esso sia avvenuto nell’orario di apertura e chiusura, accettando così una sorta di “tutela ad intermittenza” (Cass. sez. V, n. 428/2015).

Le Sezioni Unite riportano al centro della discussione la ratio della norma, nel momento in cui fu pensata ed introdotta dal legislatore: la tutela dell’individuo anche nel caso in cui compia atti della sua vita privata al di fuori dell’abitazione. Luoghi che abbiano dunque le stesse caratteristiche dell’abitazione in termini di riservatezza e non accessibilità da parte di terzi senza il consenso del proprietario.

Facendo leva sull’interpretazione che offre la giurisprudenza costituzionale (in riferimento all’art. 14 della Carta) e al concetto di “domicilio”, le Sezioni Unite delineano così la nozione di privata dimora sulla base di alcuni indefettibili elementi: a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, attività professionale e lavoro in genere); durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo da parte di terzi senza consenso.

Quando, dunque, poter applicare la nozione di “privata dimora” contenuta nell’art. 624-bis in relazione ai luoghi di lavoro? E’ indiscutibile – premettono le Sezioni Unite – che che nei luoghi di lavoro il soggetto compia atti della vita privata. Ma ciò non è sufficiente. I luoghi di lavoro, infatti, sono accessibili ad una pluralità di persone anche senza l’autorizzazione del titolare. Sono pertanto esposti all’intrusione altrui e ciò significa che è fuori luogo parlare di riservatezza e tutela della sfera privata. Di conseguenza, potrà esser riconosciuta la funzione di privata dimora solo in quei luoghi (o parte di essi) dove il soggetto compie atti della vita privata in modo riservato e precludendo accesso a terzi: retrobottega, bagni privati, spogliatoi, area riservata di uno studio professionale, etc.

Nel caso di specie, non risultava che gli oggetti sottratti si trovassero in un’area riservata (il denaro nella cassa e la macchina fotografica sul tavolo). Pertanto, la Corte di Cassazione ha correttamente riqualificato il fatto in furto semplice (ancorché aggravato dall’aver usato violenza sulle cose, in quanto vi era stata un’effrazione), annullando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’Appello per rideterminare la pena.

Avv. Patrick Francesco Wild

 

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L'AGENZIA DELLE ENTRATE PAGA LE SPESE SE PROVOCA IL PROCESSO E POI SI RITIRA

Lun, 17/07/2017 - 12:54

Si potrebbe riassumere con il proverbiale “chi rompe paga” la sentenza che ha visto condannare l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese legali a favore di un contribuente difeso dal dott. Giovanni Benaglia.

Seguiamo da anni il contenzioso tributario, con esiti sempre positivi” esordisce il socio dello studio. “Nello specifico il caso trae origine da un appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro una sentenza di primo grado che dichiarava illegittimo un avviso di accertamento che contestava l’omissione di una plusvalenza realizzata a seguito di una cessione di terreno edificabile”.

In primo grado il cliente, sempre difeso dallo studio, aveva ottenuto ragione e aveva respinto l’esosa richiesta avanzata dall’Agenzia delle Entrate. In secondo grado l’Ufficio, dopo aver fatto ricorso e costretto il contribuente nuovamente a difendersi, ha ritenuto di annullare l’avviso di accertamento pretendendo, però, di compensare le spese di giudizio.

Di fronte a questa palese ingiustizia ci siamo opposti e i Giudici di Secondo grado ci hanno dato ragione: come da noi sostenuto l’annullamento di un avviso di accertamento in pendenza di giudizio rientra nell’ipotesi di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere per motivi diversi rispetto a quelli previsti per legge. Quindi, l’Agenzia delle Entrate deve pagare le spese di giudizio del contribuente”.

Su questo tema, tra l’altro, il dott. Benaglia ha incentrato il commento apparso sul numero 25/2017 della rivista IL FISCO, prestigioso settimanale di approfondimento per professionisti e imprese con il quale il dottor Benaglia collabora già da diversi anni. Nel commento viene approfondito anche l’annosa questione del pagamento delle spese di lite le quali, prima della recente introduzione della riforma del 2015, venivano sovente compensate tra le parti sulla base di una supposta, ma mai provata, “complessità del caso trattato”.

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L'AGENZIA DELLE ENTRATE PAGA LE SPESE SE PROVOCA IL PROCESSO E POI SI RITIRA

Lun, 17/07/2017 - 12:54

Si potrebbe riassumere con il proverbiale “chi rompe paga” la sentenza che ha visto condannare l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese legali a favore di un contribuente difeso dal dott. Giovanni Benaglia.

Seguiamo da anni il contenzioso tributario, con esiti sempre positivi” esordisce il socio dello studio. “Nello specifico il caso trae origine da un appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro una sentenza di primo grado che dichiarava illegittimo un avviso di accertamento che contestava l’omissione di una plusvalenza realizzata a seguito di una cessione di terreno edificabile”.

In primo grado il cliente, sempre difeso dallo studio, aveva ottenuto ragione e aveva respinto l’esosa richiesta avanzata dall’Agenzia delle Entrate. In secondo grado l’Ufficio, dopo aver fatto ricorso e costretto il contribuente nuovamente a difendersi, ha ritenuto di annullare l’avviso di accertamento pretendendo, però, di compensare le spese di giudizio.

Di fronte a questa palese ingiustizia ci siamo opposti e i Giudici di Secondo grado ci hanno dato ragione: come da noi sostenuto l’annullamento di un avviso di accertamento in pendenza di giudizio rientra nell’ipotesi di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere per motivi diversi rispetto a quelli previsti per legge. Quindi, l’Agenzia delle Entrate deve pagare le spese di giudizio del contribuente”.

Su questo tema, tra l’altro, il dott. Benaglia ha incentrato il commento apparso sul numero 25/2017 della rivista IL FISCO, prestigioso settimanale di approfondimento per professionisti e imprese con il quale il dottor Benaglia collabora già da diversi anni. Nel commento viene approfondito anche l’annosa questione del pagamento delle spese di lite le quali, prima della recente introduzione della riforma del 2015, venivano sovente compensate tra le parti sulla base di una supposta, ma mai provata, “complessità del caso trattato”.

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LO STUDIO GRASSI BENAGLIA MORETTI INVESTE NELLA CULTURA E NELLA MEMORIA

Sab, 08/07/2017 - 10:36

La memoria e il ricordo sono il motore del presente e la linfa vitale del futuro. Per questo non abbiamo avuto dubbi nell’aiutare a realizzare il libro che ricorda l’anniversario la nascita di Viserbella”. Giovanni Benaglia, socio dello studio, motiva così la scelta dello Studio di sponsorizzare la pubblicazione del libro che commemora i 110 anni dalla fondazione di Viserbella, frazione a nord del Comune di Rimini.

La pubblicazione è stata promossa dal Museo della Marineria e delle Conchiglie E’ Scaion, con il patrocini dell’IBC Istituto Beni Culturali della Regione Emilia Romagna e del Comune di Rimini, e con la collaborazione dell’associazione L’Ippocampo Viserba, che ha messo a disposizione il proprio archivio fotografico e la propria esperienza maturata nel corso degli anni quale laboratorio urbano della memoria.

Il libro è una raccolta fotografica, proveniente da archivi privati, che racconta l’epopea della piccola frazione a nord di Rimini che, da paese povero formato da ortolani e pescatori diventa, con gli anni, parte di quell’immenso sviluppo economico che ha permesso alla costa romagnola di essere ricordata come capitale italiana del turismo. “Viserbella è la storia di Rimini e delle sue persone. I suoi abitanti, oltre un secolo fa, si sono rimboccati le maniche e si sono messi in gioco per migliorare le proprie condizioni di vita”, ricorda Giovanni Benaglia che di Viserbella è originario. “Senz’altro l’elemento emozionale ha giocato un ruolo importante nella scelta di aiutare la realizzazione di questo libro.  Io a Viserbella ci sono nato e cresciuto e a lei mi legano i ricordi della mia infanzia, delle estati e dei turisti, dell’odore del mare dopo una burrasca. Ritrovare le proprie origini è importante, perché ci consente, in questo mondo che sta cambiando velocemente, di avere sempre un punto fermo e di ritrovare, soprattutto nei momenti di difficoltà, un sicuro approdo per ricominciare il viaggio”.

Infine Benaglia ricorda che “il nostro Studio vuole continuare a investire in cultura. Perché è un modo per far conoscere la parte migliore della nostra terra e della nostra gente. Con la cultura noi raccontiamo ciò che siamo”.

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LO STUDIO GRASSI BENAGLIA MORETTI INVESTE NELLA CULTURA E NELLA MEMORIA

Sab, 08/07/2017 - 10:36

La memoria e il ricordo sono il motore del presente e la linfa vitale del futuro. Per questo non abbiamo avuto dubbi nell’aiutare a realizzare il libro che ricorda l’anniversario la nascita di Viserbella”. Giovanni Benaglia, socio dello studio, motiva così la scelta dello Studio di sponsorizzare la pubblicazione del libro che commemora i 110 anni dalla fondazione di Viserbella, frazione a nord del Comune di Rimini.

La pubblicazione è stata promossa dal Museo della Marineria e delle Conchiglie E’ Scaion, con il patrocini dell’IBC Istituto Beni Culturali della Regione Emilia Romagna e del Comune di Rimini, e con la collaborazione dell’associazione L’Ippocampo Viserba, che ha messo a disposizione il proprio archivio fotografico e la propria esperienza maturata nel corso degli anni quale laboratorio urbano della memoria.

Il libro è una raccolta fotografica, proveniente da archivi privati, che racconta l’epopea della piccola frazione a nord di Rimini che, da paese povero formato da ortolani e pescatori diventa, con gli anni, parte di quell’immenso sviluppo economico che ha permesso alla costa romagnola di essere ricordata come capitale italiana del turismo. “Viserbella è la storia di Rimini e delle sue persone. I suoi abitanti, oltre un secolo fa, si sono rimboccati le maniche e si sono messi in gioco per migliorare le proprie condizioni di vita”, ricorda Giovanni Benaglia che di Viserbella è originario. “Senz’altro l’elemento emozionale ha giocato un ruolo importante nella scelta di aiutare la realizzazione di questo libro.  Io a Viserbella ci sono nato e cresciuto e a lei mi legano i ricordi della mia infanzia, delle estati e dei turisti, dell’odore del mare dopo una burrasca. Ritrovare le proprie origini è importante, perché ci consente, in questo mondo che sta cambiando velocemente, di avere sempre un punto fermo e di ritrovare, soprattutto nei momenti di difficoltà, un sicuro approdo per ricominciare il viaggio”.

Infine Benaglia ricorda che “il nostro Studio vuole continuare a investire in cultura. Perché è un modo per far conoscere la parte migliore della nostra terra e della nostra gente. Con la cultura noi raccontiamo ciò che siamo”.

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Gli avvocati Capanni e Wild tra i nuovi iscritti di Rimini con i voti più alti

Sab, 15/04/2017 - 18:10

Siamo lieti di comunicare che gli avvocati Filippo Capanni e Patrick Wild, entrambi santarcangiolesi nonché co-gestori della sede clementina dello Studio Grassi Benaglia Moretti, sono stati selezionati - assieme ad altri tre neo-avvocati dell'Ordine di Rimini - per partecipare ad un corso promosso da Cassa Forense

Ai cinque nuovi iscritti all'Ordine degli Avvocati con il punteggio più elevato nel corso delle ultime sessioni dell'esame di abilitazione all'esercizio della professione forense (ndr esame d'avvocato) è stata infatti data l'opportunità di partecipare ad una serie di incontri formativi promossi da Cassa Forense, in co-branding con Il Sole 24 ore, che si terrà a Roma nei mesi di aprile, maggio e giugno. Gli approfondimenti riguarderanno in particolare le tematiche della privacy, del diritto ambientale e della normativa anti-riciclaggio.

I due avvocati, che hanno recentemente inaugurato assieme agli altri fondatori e soci (tra cui proprio l'Avvocato Davide Grassi e l'Avvocato Gaia Galeazzi) la sede di Santarcangelo di Romagna, sono peraltro cresciuti professionalmente proprio all'interno dello Studio Legale e Tributario Grassi Benaglia Moretti.

FONTE 

 

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Sabato 18 marzo inauguriamo la sede di Santarcangelo di Romagna

Gio, 16/03/2017 - 10:48

 

Anticipando l'arrivo della primavera, siamo lieti di annunciare ed invitarvi all'inaugurazione della nuova sede dello Studio Legale e Tributario, a Santarcangelo di Romagna, sabato 18 marzo.

Nata dall'iniziativa degli Avvocati Filippo Capanni e Patrick Wild, entrambi santarcangiolesi e "cresciuti" professionalmente all'interno dello Studio Grassi, Benaglia & Moretti, questa nuova esperienza coinvolge e interessa direttamente anche il socio fondatore, l'Avv. Davide Grassi, e il socio Avvocato Gaia Galeazzi

Grazie alle competenze acquisite dai professionisti dello Studio, al pari della sede principale di Rimini, anche la sede santarcangiolese tratterà e si occuperà dunque della tutela personale in ogni area del diritto (penale, civile, lavoro, infortunistica, immigrazione).

Quando uno Studio professionale è prima di tutto una grande famiglia, una nuova "nascita" va salutata con un brindisi! Vi aspettiamo quindi sabato 18 marzo, in via Dante di Nanni n. 18/F, alle ore 18.00, per festeggiare assieme a noi!

 

 

N.B. La sede può essere già contattata ai seguenti recapiti:

Tel +39.0541.623954 - Fax +39 0541.1791846.

 

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Nasce “LAPTOP”, il GEIE finalizzato a proporre all’Unione Europea progetti innovativi nell’ambito turistico e agricolo.

Lun, 06/02/2017 - 12:05

E’ nato la settimana scorsa "LAPTOP", il Gruppo di Interesse Economico Europeo che vede la partecipazione, tra i membri fondatori, tra gli altri di ISCOM FORMAZIONE Cesena e Ri-Genera Impresa srl.

Scopo del neo costituito GEIE è quello di promuovere, sviluppare e realizzare la gestione di progetti in campo turistico e agri-turistico, implementare azioni di marketing (quali la partecipazione congiunta a fiere ed eventi) verso i bacini europei e quelli emergenti a livello internazionale, lo sviluppo di standard e marchi di qualità il tutto con un occhio di riguardo all’integrazione del turismo con settori affini quali quello eno-gastronomico, del wellness e dell’arte.

Promotore dell’iniziativa è la Confcommercio del Comprensorio Cesenate assieme al suo ente di formazione ISCOM FORMAZIONE. Le due realtà si sono avvalse, per la realizzazione, della consulenza dello studio Grassi Benaglia Moretti nella persona del socio Giovanni Benaglia, per quanto riguarda la parte giuridica e normativa, e della società FIN PROJECT SRL, società riminese specializzata nella progettazione, gestione e rendicontazione di progetti finanziati a livello regionale, nazionale e comunitario.

Il GEIE”, spiega il dott. Benaglia “è uno strumento giuridico creato nell’ordinamento europeo con il regolamento n. 2137 del 1985 e successivamente recepito nella normativa italiana con il decreto legislativo n. 240/1991. Ha lo scopo di unire, tramite un contratto, le conoscenze e le risorse dei soggetti economici di almeno due Paesi appartenenti all’Unione Europea. L’idea di fondo è quella di creare una massa critica di piccole e e medie imprese, associazioni o altri enti affinchè possano partecipare a progetti più grandi rispetto a quelli che le loro dimensioni permetterebbero”.

“L’approccio messo in campo da Confcommercio di Cesena e Iscom Formazione è decisamente innovativo”, prosegue il dott. Benaglia “Con questo strumento i membri fondatori di Laptop non si limitano ad aspettare l’arrivo di finanziamenti europei a pioggia sul proprio territorio per aiutare micro progetti, slegati fra loro, di singoli operatori.  Al contrario, ribaltano il paradigma e, attraverso lo strumento del GEIE, sono gli stessi operatori che mettono insieme le proprie qualità, fanno sistema con altre realtà europee omogenee, e chiedono all’UE di finanziare dei progetti che senza ombra di dubbio avranno ricadute non solo sui soggetti promotori ma su tutto il territorio”. 

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