Medicasa, società del Gruppo Air Liquide specializzata nella progettazione e nell’erogazione di servizi di assistenza domiciliare, promuove il webinar "Gestione fiscale e tasse per libero professionisti".
L’evento vede anche la collaborazione di Nurse24.it e del portale Salute.live. Relatore dell’incontro è il socio dello studio Giovanni Benaglia. Obiettivo dell’evento, che è in programma lunedì 13 luglio 2020 dalle ore 17:00 alle ore 18:00 sul portale salute.live, è quello di fornire una guida fiscale e previdenziale semplice e completa per l’infermiere libero professionista che vuole tentate l’avventura della libera professione.
Tra i temi che verranno trattati durante l’evento live ci sarà l’apertura della partita iva e la contestuale scelta del regime fiscale, un approfondimento sul funzionamento del regime forfettario e sul regime previdenziale. Si farà, inoltre, un breve cenno anche alla normativa sugli studi associati.
L’iscrizione, gratuita, si può effettuare al seguente link:
https://www.salute.live/evento/gestione-fiscale-e-tasse-per-liberi-professionistiNotizie ImpreseOggi
Medicasa, società del Gruppo Air Liquide specializzata nella progettazione e nell’erogazione di servizi di assistenza domiciliare, promuove il webinar "Gestione fiscale e tasse per libero professionisti".
L’evento vede anche la collaborazione di Nurse24.it e del portale Salute.live. Relatore dell’incontro è il socio dello studio Giovanni Benaglia. Obiettivo dell’evento, che è in programma lunedì 13 luglio 2020 dalle ore 17:00 alle ore 18:00 sul portale salute.live, è quello di fornire una guida fiscale e previdenziale semplice e completa per l’infermiere libero professionista che vuole tentate l’avventura della libera professione.
Tra i temi che verranno trattati durante l’evento live ci sarà l’apertura della partita iva e la contestuale scelta del regime fiscale, un approfondimento sul funzionamento del regime forfettario e sul regime previdenziale. Si farà, inoltre, un breve cenno anche alla normativa sugli studi associati.
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Analisi e commenti ImpreseOggi
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L’evoluzione della tecnologia e la sostanziale scomparsa dei negozi di vicinato (i supermercati, oltre che la cortesia, con la loro asettica organizzazione hanno ucciso pure il sottobosco di consulenza fiscale spicciola sostanzialmente abusiva) hanno cambiato i luoghi dove reperire utili suggerimenti per risparmiare le imposte. E così la prima cosa che fanno una volta seduti sulla poltrona è dire “ho letto su Internet che…”. A questo punto, giusto l’altro giorno, mi sono un po’ arrabbiato e forte dei miei vent’anni di esperienza, mi sono sentito in dovere, per vendicare finalmente tutti i miei silenti e remissivi colleghi, che si piegano alla forza di un algoritmo e all’importo della parcella comunque da staccare a fine mese, di rispondere a tono al mio malcapitato cliente. Anche al prezzo di offenderlo.
C’è da dire che molti di questi, in realtà, approcciano il problema delle tasse nella stessa maniera con cui gli antivaccinisti approcciano il problema della salute pubblica: noi, come i medici, siamo parte di una specie di complotto della finanza mondialista, organizzato da Soros e dalla lobby dei banchieri ebrei, che, nel caso delle cure mediche, li obbligano a consumare medicinali che non gli servono e, nel caso dei commercialisti, li obbligano a pagare più tasse del dovuto. Fortuna che c’è Internet che smaschera questo complotto globale, che vede noi e i medici al soldo di Soros, con l’unico scopo di arricchirlo ai danni del cittadino inerme!
Quindi l’altro giorno, dopo che il poveretto mi ha detto “ho letto su Internet che se faccio una SRL pago meno tasse, non rischio niente e poi chiudo senza pagare nessuno” non mi sono più trattenuto e ho letteralmente esondato. L’ho guardato con un misto di benevolenza, tristezza e forse pure pietà, e gli ho risposto, girando attorno alla scrivania e mettendogli entrambe le mani sulle spalle: “Adesso siediti qui comodo, che ti spiego tutto”. E ho iniziato.
PUNTO PRIMO: NON ESISTE NEL NOSTRO ORDINAMENTO GIURIDICO UN SISTEMA LEGALE PER EVITARE DI PAGARE QUALCUNO.Mi dispiace disilluderti, mio caro cliente, ma nel nostro sistema non esiste nessun metodo legale che ti consente di non pagare i tuoi debiti. Tesi contrarie, ovviamente, sono false e chi le spaccia per vere o ti prende in giro oppure è un ignorante o finanche in malafede. O forse tutte e tre le cose.
La verità è che, come giusto che sia, il nostro ordinamento tutela il creditore e non il debitore. Ciò per l’ovvia ragione che nessun soggetto, dotato di una minima logica, investirebbe tempo e capitali in una impresa sapendo che il proprio cliente potrebbe, con mezzi del tutto legali, non pagare il corrispettivo del bene o servizio ricevuto.
Girano, però, soprattutto sulla rete sedicenti esperti che si vantano di avere la scienza infusa e raccontano di metodi che impediscono a chi deve avere i soldi di conseguire il suo risultato sperato. Questi metodi sono, ad esempio, intestare tutto al coniuge o al figlio, costituire dei Trust, oppure ancora meglio, per quelli più raffinati, creare un G.E.I.E. a cui girare tutti i propri averi. Su quest’ultima soluzione ricordo che tempo fa si presentò da me un tizio che aveva debiti, soprattutto con le Banche, di importo tale da non far dormire sonni sereni né a lui, né alla sua prole né ai suoi eventuali nipoti.
Debiti, sia ben chiaro, contratti non per un comportamento criminoso degli istituti bancari ma bensì per coprire buchi creati da una gestione aziendale che definire surreale era quasi fargli un complimento. Orbene, il tizio, con un atteggiamento di superiorità a suo dire intellettuale, mi spiegò che un consulente (non un commercialista, proprio un consulente in questo “tipo di cose per uno che ha debiti”, come lo definì) gli aveva suggerito di costituire un Geie a cui intestare il suo patrimonio in modo da “fregare le banche e il Fisco”. Si spinse, a testimoniare la genialità della sua idea, a mimare il gesto di arresa che avrebbero fatto i banchieri di fronte alla soluzione adottata. Ci fu qualcosa, forse la mia innata educazione o calma olimpica, che mi trattenne da mettergli le mani addosso e domandargli se fosse diventato improvvisamente deficiente. Mi limitai a osservare, invece, che ciò che mi stava illustrando era un po’ assurdo. Lui, ovviamente, mi disse che non capivo niente di queste cose e mi fece pure parlare con il suo consulente il quale ebbe l’ardire di affermare che “voi commercialisti siete rimasti un po’ indietro e non conoscete questi strumenti innovativi per proteggere il patrimonio”.
Vecchio probabilmente sì, ma truffatore no. Perché, a fare come suggerisce lui, capitano due cose. Se va bene chi deve avere i soldi fa una bella azione revocatoria e tutta la costruzione viene smontata in poco tempo. Risultato: si pagano i debiti, le spese processuali, i danni e pure le consulenze avute da chi proponeva queste strampalate soluzioni. Se ti va male, visto che c’è di mezzo pure il Fisco, si incorre in un bellissimo reato penale chiamato intestazione fittizia di beni, previsto dall’art. 512 bis del nostro codice penale. E’ il reato compiuto dalla persona che intesta fittiziamente ad altri la titolarità dei beni o del denaro, ma continua ad averne l'effettiva disponibilità materiale. Pena prevista: galera da due a sei anni. Ovviamente anche il consulente innovativo viene condannato, quale suggeritore materiale del reato. Ma del suo destino, ovviamente, non me frega niente.
PUNTO DUE: L’AFFERMAZIONE “SE FACCIO UNA SRL NON RISCHIO NIENTE” E’ SOLO PARZIALMENTE VERA.E’ vero che con una SRL non si rischia il proprio patrimonio, ma semplicemente il capitale conferito nella società. Come peraltro è vero che non si fallisce in proprio o meglio, non si subiscono le limitazioni delle libertà personali e patrimoniali previste dalle norme fallimentari. Però dire che “se faccio una srl non rischio niente” è affermare una mezza verità perché ciò accade solo se si partecipa alla società a titolo di socio di capitale, cioè limitandosi a dare dei soldi e a lasciare ad altri la sua conduzione. Se, invece, si partecipa materialmente alla gestione diventandone amministratore, il profilo di responsabilità patrimoniale muta. Infatti, il nostro ordinamento giuridico prevede che per i debiti contratti dalla società a responsabilità limitata risponde questa con il proprio patrimonio ma, in caso di insufficienza quest’ultimo, entra in gioco il patrimonio personale dell’amministratore.
In più l’amministratore della SRL, qualora la sua società fallisse, potrebbe incorrere nei reati fallimentari quali la bancarotta fraudolenta o semplice, oppure il ricorso abusivo al credito. Qui l’obiezione del mio ormai inquieto cliente, tramortito dalla mia sapienza giuridica, è stata: “E quando mai io faccio questi reati, non sono mica un delinquente e mica stupido!”. Sulla stupidità non ho titolo per giudicare, ma sulla probabilità di compiere inconsapevolmente qualche reato, avrei qualcosa da dire. Infatti, vedi mio ignaro cliente, poniamo ad esempio che la tua attività vada un po’ male e che tu sia a corto di soldini. Dopo aver omesso di versare l’IVA, che invece di dare allo Stato hai dato al tuo fornitore altrimenti non ti avrebbe scaricato la merce, su consiglio del tuo esperto in ristrutturazioni aziendali (quello “moderno” del GEIE) vai nella tua Banca e chiedi di allargare un po’ il fido, oppure ti fai concedere un bel mutuo a supporto, “tanto poi arriva l’estate, incasso e pago i miei debiti”. L’estate arriva, passa pure ma non riesci a pagare niente, la società per un motivo o l’altro fallisce e tu ti ritrovi, dopo qualche tempo, condannato senza sapere neanche il perché, per ricorso abusivo al credito cioè per avere chiesto dei prestiti bancari per tamponare delle falle invece di chiudere tutto ed eventualmente chiedere il fallimento. Pena prevista: da sei mesi a tre anni. Quindi, mio caro cliente, con la SRL non rischi niente se l’attività va bene, ma se va malino rischi esattamente come tutte le altre forme giuridiche e di sicuro non chiudi evitando di pagare i tuoi creditori.
PUNTO TRE: CON LA SRL RISPARMI LE TASSE SOLO A DETERMINATE CONDIZIONI.Veniamo al punto che sta a cuore a tutti gli italiani: pagare meno tasse. Quando si dice che con la SRL paghi meno tasse si dice, anche qui, una mezza verità. E’ vero che si risparmiano le tasse, ma solo di fronte a una determinata soglia di utili e, comunque, di fronte alla relativa volontà di destinare quest’ultimi ad investimenti piuttosto che al sollazzo personale.
Prendiamo, come esempio, una parrucchiera che alla fine dell’anno registra un utile di 50.000 euro. Tralasciando la questione IRAP che pesa allo stesso modo a prescindere dalla forma giuridica adottata, vediamo la differenza di imposizione fra una ditta individuale e una SRL. Nel primo caso, la tassazione è progressiva, e il massimo di tasse che si paga sull’importo di euro 50.000,00 è di euro 15.138,24, pari a una aliquota media del 30,28%. Nel caso di una SRL, l’aliquota è del 24% cioè euro 12.000,00. “Ecco, vede dottore che si paga meno” mi obietta il mio cliente. Eh no, mio amico sprovveduto. Si paga meno se i soldi li lasci nella SRL, ma conoscendoti bene non credo che questo sia il tuo obiettivo. Tu vuoi usare quei quattrini per i tuoi vizietti personali, quindi se vuoi raggiungere questo risultato ti ritrovi davanti a due opzioni. La prima è che li fai uscire dalla società sotto forma di distribuzione degli utili. A questo punto ci paghi sopra un altro 26%, e cioè euro 9.880,00, calcolati sulla differenza fra l’utile di euro 50.000 e le tasse pagate dalla SRL. Quindi, complessivamente per goderti quei soldi hai pagato di tasse euro 21.880,00, cioè ben euro 6.741,76 in più delle tasse pagate come ditta individuale. La seconda opzione che hai a disposizione è quella di percepire un compenso come amministratore ma, a questo punto, se ipotizziamo un compenso di euro 50.000,00 azzeriamo il vantaggio fiscale della SRL e paghi sul compenso le stesse tasse della ditta individuale. Quando si risparmia, quindi, utilizzando la forma della SRL? In due casi:
La SRL non va per niente bene agli imprenditori pastrocchioni, che nel caso italiano sfiorano il 94% del totale della categoria. Infatti, tutti noi abbiamo bisogno di utilizzare il reddito che produciamo per fare la spesa o per comprarci il macchinone, necessario a compensare la scarsa autostima rispetto alla nostra virilità. Quindi tendiamo a mettere le mani nel cassetto dell’azienda o a usare il bancomat per pagare spese voluttuose. Questo comportamento, in una ditta individuale o in una snc o sas, non ha conseguenze particolari. Nell’ambito di una SRL, invece, nascono dei problemi proprio perchè vi è una netta separazione fra il patrimonio sociale e quello del socio. Prelevare denaro dalla cassa o dal conto corrente rientrano in quelle operazioni che fanno pensare o a un compenso all’amministratore, oppure a una distribuzione, più o meno occulta, di utili. A questo punto, come visto nel punto precedente, il risparmio fiscale va a farsi benedire con, in più, l’aggravante che occorre realizzare alcuni atti formali (convocare l’assemblea dei soci, ad esempio) per regolarizzare il prelievo del denaro. Ti puoi immaginare, mio ormai distrutto cliente, di dover convocare l’assemblea dei soci tutte le volte che devi fare la spesa con il bancomat della società e poi depositare la delibera all’Agenzia delle Entrate pagandoci sopra pure duecento euro di imposta di registro e le marche da bollo?
Come in ogni favola, alla fine c’è una morale. C’è pure in questa e prevede che, quando si parla di tasse, non esistono soluzioni che vanno bene per tutto, ma che devono essere ritagliate sulle esigenze di ciascun contribuente. Così vedi, mio errante cliente, come devi imparare a diffidare dei santoni in ambito medico, così devi imparare a diffidare pure dei santoni in ambito fiscale. Lui forse sì, ma tu non ne trai nessun beneficio ad ascoltarlo.
Adesso, però, vai pure che ho da fare. Ci vediamo alla prossima volta che leggerai una soluzione su Internet per risolvere i tuoi problemi con il Fisco italiano.
Analisi e commenti Newsletter Grassi Benaglia Moretti, avvocati & commercialisti
L’evoluzione della tecnologia e la sostanziale scomparsa dei negozi di vicinato (i supermercati, oltre che la cortesia, con la loro asettica organizzazione hanno ucciso pure il sottobosco di consulenza fiscale spicciola sostanzialmente abusiva) hanno cambiato i luoghi dove reperire utili suggerimenti per risparmiare le imposte. E così la prima cosa che fanno una volta seduti sulla poltrona è dire “ho letto su Internet che…”. A questo punto, giusto l’altro giorno, mi sono un po’ arrabbiato e forte dei miei vent’anni di esperienza, mi sono sentito in dovere, per vendicare finalmente tutti i miei silenti e remissivi colleghi, che si piegano alla forza di un algoritmo e all’importo della parcella comunque da staccare a fine mese, di rispondere a tono al mio malcapitato cliente. Anche al prezzo di offenderlo.
C’è da dire che molti di questi, in realtà, approcciano il problema delle tasse nella stessa maniera con cui gli antivaccinisti approcciano il problema della salute pubblica: noi, come i medici, siamo parte di una specie di complotto della finanza mondialista, organizzato da Soros e dalla lobby dei banchieri ebrei, che, nel caso delle cure mediche, li obbligano a consumare medicinali che non gli servono e, nel caso dei commercialisti, li obbligano a pagare più tasse del dovuto. Fortuna che c’è Internet che smaschera questo complotto globale, che vede noi e i medici al soldo di Soros, con l’unico scopo di arricchirlo ai danni del cittadino inerme!
Quindi l’altro giorno, dopo che il poveretto mi ha detto “ho letto su Internet che se faccio una SRL pago meno tasse, non rischio niente e poi chiudo senza pagare nessuno” non mi sono più trattenuto e ho letteralmente esondato. L’ho guardato con un misto di benevolenza, tristezza e forse pure pietà, e gli ho risposto, girando attorno alla scrivania e mettendogli entrambe le mani sulle spalle: “Adesso siediti qui comodo, che ti spiego tutto”. E ho iniziato.
PUNTO PRIMO: NON ESISTE NEL NOSTRO ORDINAMENTO GIURIDICO UN SISTEMA LEGALE PER EVITARE DI PAGARE QUALCUNO.Mi dispiace disilluderti, mio caro cliente, ma nel nostro sistema non esiste nessun metodo legale che ti consente di non pagare i tuoi debiti. Tesi contrarie, ovviamente, sono false e chi le spaccia per vere o ti prende in giro oppure è un ignorante o finanche in malafede. O forse tutte e tre le cose.
La verità è che, come giusto che sia, il nostro ordinamento tutela il creditore e non il debitore. Ciò per l’ovvia ragione che nessun soggetto, dotato di una minima logica, investirebbe tempo e capitali in una impresa sapendo che il proprio cliente potrebbe, con mezzi del tutto legali, non pagare il corrispettivo del bene o servizio ricevuto.
Girano, però, soprattutto sulla rete sedicenti esperti che si vantano di avere la scienza infusa e raccontano di metodi che impediscono a chi deve avere i soldi di conseguire il suo risultato sperato. Questi metodi sono, ad esempio, intestare tutto al coniuge o al figlio, costituire dei Trust, oppure ancora meglio, per quelli più raffinati, creare un G.E.I.E. a cui girare tutti i propri averi. Su quest’ultima soluzione ricordo che tempo fa si presentò da me un tizio che aveva debiti, soprattutto con le Banche, di importo tale da non far dormire sonni sereni né a lui, né alla sua prole né ai suoi eventuali nipoti.
Debiti, sia ben chiaro, contratti non per un comportamento criminoso degli istituti bancari ma bensì per coprire buchi creati da una gestione aziendale che definire surreale era quasi fargli un complimento. Orbene, il tizio, con un atteggiamento di superiorità a suo dire intellettuale, mi spiegò che un consulente (non un commercialista, proprio un consulente in questo “tipo di cose per uno che ha debiti”, come lo definì) gli aveva suggerito di costituire un Geie a cui intestare il suo patrimonio in modo da “fregare le banche e il Fisco”. Si spinse, a testimoniare la genialità della sua idea, a mimare il gesto di arresa che avrebbero fatto i banchieri di fronte alla soluzione adottata. Ci fu qualcosa, forse la mia innata educazione o calma olimpica, che mi trattenne da mettergli le mani addosso e domandargli se fosse diventato improvvisamente deficiente. Mi limitai a osservare, invece, che ciò che mi stava illustrando era un po’ assurdo. Lui, ovviamente, mi disse che non capivo niente di queste cose e mi fece pure parlare con il suo consulente il quale ebbe l’ardire di affermare che “voi commercialisti siete rimasti un po’ indietro e non conoscete questi strumenti innovativi per proteggere il patrimonio”.
Vecchio probabilmente sì, ma truffatore no. Perché, a fare come suggerisce lui, capitano due cose. Se va bene chi deve avere i soldi fa una bella azione revocatoria e tutta la costruzione viene smontata in poco tempo. Risultato: si pagano i debiti, le spese processuali, i danni e pure le consulenze avute da chi proponeva queste strampalate soluzioni. Se ti va male, visto che c’è di mezzo pure il Fisco, si incorre in un bellissimo reato penale chiamato intestazione fittizia di beni, previsto dall’art. 512 bis del nostro codice penale. E’ il reato compiuto dalla persona che intesta fittiziamente ad altri la titolarità dei beni o del denaro, ma continua ad averne l'effettiva disponibilità materiale. Pena prevista: galera da due a sei anni. Ovviamente anche il consulente innovativo viene condannato, quale suggeritore materiale del reato. Ma del suo destino, ovviamente, non me frega niente.
PUNTO DUE: L’AFFERMAZIONE “SE FACCIO UNA SRL NON RISCHIO NIENTE” E’ SOLO PARZIALMENTE VERA.E’ vero che con una SRL non si rischia il proprio patrimonio, ma semplicemente il capitale conferito nella società. Come peraltro è vero che non si fallisce in proprio o meglio, non si subiscono le limitazioni delle libertà personali e patrimoniali previste dalle norme fallimentari. Però dire che “se faccio una srl non rischio niente” è affermare una mezza verità perché ciò accade solo se si partecipa alla società a titolo di socio di capitale, cioè limitandosi a dare dei soldi e a lasciare ad altri la sua conduzione. Se, invece, si partecipa materialmente alla gestione diventandone amministratore, il profilo di responsabilità patrimoniale muta. Infatti, il nostro ordinamento giuridico prevede che per i debiti contratti dalla società a responsabilità limitata risponde questa con il proprio patrimonio ma, in caso di insufficienza quest’ultimo, entra in gioco il patrimonio personale dell’amministratore.
In più l’amministratore della SRL, qualora la sua società fallisse, potrebbe incorrere nei reati fallimentari quali la bancarotta fraudolenta o semplice, oppure il ricorso abusivo al credito. Qui l’obiezione del mio ormai inquieto cliente, tramortito dalla mia sapienza giuridica, è stata: “E quando mai io faccio questi reati, non sono mica un delinquente e mica stupido!”. Sulla stupidità non ho titolo per giudicare, ma sulla probabilità di compiere inconsapevolmente qualche reato, avrei qualcosa da dire. Infatti, vedi mio ignaro cliente, poniamo ad esempio che la tua attività vada un po’ male e che tu sia a corto di soldini. Dopo aver omesso di versare l’IVA, che invece di dare allo Stato hai dato al tuo fornitore altrimenti non ti avrebbe scaricato la merce, su consiglio del tuo esperto in ristrutturazioni aziendali (quello “moderno” del GEIE) vai nella tua Banca e chiedi di allargare un po’ il fido, oppure ti fai concedere un bel mutuo a supporto, “tanto poi arriva l’estate, incasso e pago i miei debiti”. L’estate arriva, passa pure ma non riesci a pagare niente, la società per un motivo o l’altro fallisce e tu ti ritrovi, dopo qualche tempo, condannato senza sapere neanche il perché, per ricorso abusivo al credito cioè per avere chiesto dei prestiti bancari per tamponare delle falle invece di chiudere tutto ed eventualmente chiedere il fallimento. Pena prevista: da sei mesi a tre anni. Quindi, mio caro cliente, con la SRL non rischi niente se l’attività va bene, ma se va malino rischi esattamente come tutte le altre forme giuridiche e di sicuro non chiudi evitando di pagare i tuoi creditori.
PUNTO TRE: CON LA SRL RISPARMI LE TASSE SOLO A DETERMINATE CONDIZIONI.Veniamo al punto che sta a cuore a tutti gli italiani: pagare meno tasse. Quando si dice che con la SRL paghi meno tasse si dice, anche qui, una mezza verità. E’ vero che si risparmiano le tasse, ma solo di fronte a una determinata soglia di utili e, comunque, di fronte alla relativa volontà di destinare quest’ultimi ad investimenti piuttosto che al sollazzo personale.
Prendiamo, come esempio, una parrucchiera che alla fine dell’anno registra un utile di 50.000 euro. Tralasciando la questione IRAP che pesa allo stesso modo a prescindere dalla forma giuridica adottata, vediamo la differenza di imposizione fra una ditta individuale e una SRL. Nel primo caso, la tassazione è progressiva, e il massimo di tasse che si paga sull’importo di euro 50.000,00 è di euro 15.138,24, pari a una aliquota media del 30,28%. Nel caso di una SRL, l’aliquota è del 24% cioè euro 12.000,00. “Ecco, vede dottore che si paga meno” mi obietta il mio cliente. Eh no, mio amico sprovveduto. Si paga meno se i soldi li lasci nella SRL, ma conoscendoti bene non credo che questo sia il tuo obiettivo. Tu vuoi usare quei quattrini per i tuoi vizietti personali, quindi se vuoi raggiungere questo risultato ti ritrovi davanti a due opzioni. La prima è che li fai uscire dalla società sotto forma di distribuzione degli utili. A questo punto ci paghi sopra un altro 26%, e cioè euro 9.880,00, calcolati sulla differenza fra l’utile di euro 50.000 e le tasse pagate dalla SRL. Quindi, complessivamente per goderti quei soldi hai pagato di tasse euro 21.880,00, cioè ben euro 6.741,76 in più delle tasse pagate come ditta individuale. La seconda opzione che hai a disposizione è quella di percepire un compenso come amministratore ma, a questo punto, se ipotizziamo un compenso di euro 50.000,00 azzeriamo il vantaggio fiscale della SRL e paghi sul compenso le stesse tasse della ditta individuale. Quando si risparmia, quindi, utilizzando la forma della SRL? In due casi:
La SRL non va per niente bene agli imprenditori pastrocchioni, che nel caso italiano sfiorano il 94% del totale della categoria. Infatti, tutti noi abbiamo bisogno di utilizzare il reddito che produciamo per fare la spesa o per comprarci il macchinone, necessario a compensare la scarsa autostima rispetto alla nostra virilità. Quindi tendiamo a mettere le mani nel cassetto dell’azienda o a usare il bancomat per pagare spese voluttuose. Questo comportamento, in una ditta individuale o in una snc o sas, non ha conseguenze particolari. Nell’ambito di una SRL, invece, nascono dei problemi proprio perchè vi è una netta separazione fra il patrimonio sociale e quello del socio. Prelevare denaro dalla cassa o dal conto corrente rientrano in quelle operazioni che fanno pensare o a un compenso all’amministratore, oppure a una distribuzione, più o meno occulta, di utili. A questo punto, come visto nel punto precedente, il risparmio fiscale va a farsi benedire con, in più, l’aggravante che occorre realizzare alcuni atti formali (convocare l’assemblea dei soci, ad esempio) per regolarizzare il prelievo del denaro. Ti puoi immaginare, mio ormai distrutto cliente, di dover convocare l’assemblea dei soci tutte le volte che devi fare la spesa con il bancomat della società e poi depositare la delibera all’Agenzia delle Entrate pagandoci sopra pure duecento euro di imposta di registro e le marche da bollo?
Come in ogni favola, alla fine c’è una morale. C’è pure in questa e prevede che, quando si parla di tasse, non esistono soluzioni che vanno bene per tutto, ma che devono essere ritagliate sulle esigenze di ciascun contribuente. Così vedi, mio errante cliente, come devi imparare a diffidare dei santoni in ambito medico, così devi imparare a diffidare pure dei santoni in ambito fiscale. Lui forse sì, ma tu non ne trai nessun beneficio ad ascoltarlo.
Adesso, però, vai pure che ho da fare. Ci vediamo alla prossima volta che leggerai una soluzione su Internet per risolvere i tuoi problemi con il Fisco italiano.
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La Regione Emilia Romagna al fianco delle PMI per favorire e aiutare la loro crescita dimensionale attraverso un bando di finanziamento a fondo perduto.
Con Delibera di Giunta regionale n. 1266 del 22 luglio 2019 sono state approvate, infatti, misure di sostegno rivolte alla piccole e medie imprese impegnate in percorsi di innovazione tecnologica e diversificazione dei propri prodotti e/o servizi, con l'obiettivo di accrescere la quota di mercato o di penetrare in nuovi mercati.La Regione Emilia Romagna sostiene progetti basati sull’acquisto dei seguenti servizi:La Regione Emilia Romagna al fianco delle PMI per favorire e aiutare la loro crescita dimensionale attraverso un bando di finanziamento a fondo perduto.
Con Delibera di Giunta regionale n. 1266 del 22 luglio 2019 sono state approvate, infatti, misure di sostegno rivolte alla piccole e medie imprese impegnate in percorsi di innovazione tecnologica e diversificazione dei propri prodotti e/o servizi, con l'obiettivo di accrescere la quota di mercato o di penetrare in nuovi mercati.La Regione Emilia Romagna sostiene progetti basati sull’acquisto dei seguenti servizi:La Regione Emilia Romagna eroga un contributo a fondo perduto per i commercianti al dettaglio e lo fa attraverso la delibera di Giunta regionale n. 586 del 15 aprile 2019 Obiettivo dichiarato è quello di agevolare un nuovo posizionamento delle attività di vendita al dettaglio, promuovendo un cambiamento strutturale finalizzato all’accrescimento della competitività delle imprese del settore. In particolare la volontà della Regione Emilia Romagna è quella di supportare le imprese commerciali, e in particolare i piccoli esercizi di vicinato, nei processi di cambiamento e innovazione, soprattutto nell’ambito digitale e tecnologico, che sono necessari per affrontare la trasformazione dei mercati nonché per intercettare le nuove tendenze nei comportamenti dei consumatori.
BENEFICIARII beneficiari dell’iniziativa sono le micro, le piccole e le medie imprese che esercitano attività commerciale al dettaglio in sede fissa e che hanno i requisiti di esercizio di vicinato ai sensi della vigente normativa (art. 4, comma 1, lettera d del D. Lgs. 114/1998 e smi). Più in particolare tutte le attività che rientrano nella sezione G47 dei settori di attività economica Ateco 2007, con esclusione dei seguenti gruppi e sottogruppi:
47.11.1 “Ipermercati”; 47.11.2 “Supermercati”; 47.3 “Commercio al dettaglio di carburante per autotrazione”; 47.8 “Commercio al dettaglio ambulante”; 47.9 “Commercio al dettaglio al di fuori di negozi, banchi e mercati”)
L’agevolazione consiste nell’erogazione di un contributo a fondo perduto nella misura del 40% della spesa ammessa che potrà essere aumentato con le seguenti premialità:
I progetti finanziabili con il bando devono essere realizzati all’interno di unità locali situate in Emilia Romagna e devono prevedere la realizzazione di interventi finalizzati all’innovazione gestionale, alla creazione di nuovi sistemi di vendita e di servizio che prevedano l’impiego delle moderne moderne tecnologie digitali. In particolare:
I progetti dovranno prevedere un investimento non inferiore ad € 10.000 esclusa IVA
SPESE AMMISSIBILILe spese ammissibili sono le seguenti:
Le domande possono essere presentate dalle ore 10.00 del giorno 20/05/2019 alle ore 13.00 del giorno 11/07/2019.
I progetti dovranno essere avviati dalla data della domanda e fino al giorno 31.12.2019.
Altre informazioni sul bando potranno essere richieste allo Studio.
Notizie Newsletter Grassi Benaglia Moretti, avvocati & commercialistiLe Istituzioni culturali di dimensione regionale devono:
L’agevolazione prevista nell’avviso consiste in un contributo nella misura massima del 50% dei costi ammissibili e potrà risultare anche inferiore a quanto richiesto.
MISURA DEL CONTRIBUTO PER L’AVVISO PER LE ATTIVITA’ DI PROMOZIONE CULTURALE. Organizzazioni e Associazioni culturali. Ai fini dell'accesso al contributo, l’ammontare complessivo minimo delle spese ammissibili, presentato in forma singola o associata da associazioni od organizzazioni, è di 15.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non potrà superare i 150.000,00 euro.Nel caso di progetto di rete, il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare fino al 50% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 20.000,00 e 70.000,00 Euro e fino al 40% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 70.001,00 e 150.000,00 Euro.
Unioni di Comuni Ai fini dell’accesso al contributo per i progetti presentati da Unioni di Comuni, esclusivamente in forma singola, l’ammontare complessivo minimo delle spese ammissibili del progetto è di 20.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non potrà superare i 150.000,00 Euro. Il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare fino al 40% delle spese ritenute ammissibili. Comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti. Ai fini dell’accesso al contributo per i progetti presentati da Comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, esclusivamente in forma associata, ai fini dell'accesso al contributo, il costo complessivo minimo delle spese ammissibili del progetto è di 20.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili di ogni progetto non potrà superare i 150.000,00 Euro. Il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare:Nelle forme di sostegno tramite Convenzione triennale rivolte a associazioni e organizzazioni culturali regionali, le istituzioni culturali regionali e le Unioni di Comuni, i soggetti interessati e che hanno i requisiti previsti, dovranno presentare la domanda di contributo su apposita modulistica tramite PEC al seguente indirizzo: servcult@postacert.regione.emilia-romagna.it entro e non oltre il 21 marzo 2019.
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Contratti di locazione a canone concordato “non assistiti” stipulati ex D.M. 16.01.2017 e obbligo di attestazione per avere le relative agevolazioni fiscali: ormai è chiaro che lo Stato italiano considera tutti i suoi cittadini come una massa enorme di evasori. Anche si vi fosse stato un dubbio, è svanito dopo è stato introdotto l’obbligo per i contratti di locazione a canone concordato, nel caso si voglia usufruire delle agevolazioni fiscali, di farsi rilasciare l’attestazione di congruenza del canone con gli Accordi Territoriali vigenti nei singoli Comuni.
E’ la definitiva presa di coscienza, da parte dei nostri legislatori, della propria totale incapacità a svolgere il ruolo di controllore. Come sempre, ormai, per ovviare a questo si realizza una produzione bulimica di adempimenti che, solo in teoria, dovrebbe evitare abusi da parte dei contribuenti italiani ma che, nella pratica, si concretizza per quest’ultimi unicamente in un aumento spropositato di costi.
Tutto parte con l’articolo 1, comma 8 del decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, emanato di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, del giorno 16 Gennaio 2017.
Il citato articolo prevede che “le parti contrattuali, nella definizione del canone effettivo, possono essere assistite, a loro richiesta, dalle rispettive organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori. Gli accordi definiscono, per i contratti non assistiti, le modalità di attestazione, da eseguirsi, sulla base degli elementi oggettivi dichiarati dalle parti contrattuali a cura e con assunzione di responsabilità, da parte di almeno una organizzazione firmataria dell’accordo, della rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all'accordo stesso, anche con riguardo alle agevolazioni fiscali”. In buona sostanza la norma prevede che per i contratti di locazione a canone concordato ‘non assistiti’, cioè quelli non fatti passando per un sindacato degli inquilini o dei proprietari, vi sia la necessità di farsi rilasciare l’attestazione da parte delle organizzazioni sindacali che hanno firmato l’accordo territoriale. Questa “certificazione” ha lo scopo di attestare la rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto di locazione sia conforme a quanto previsto dall’accordo locale stipulato tra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative.
Questa attestazione non è necessaria nel caso in cui il contratto di locazione sia stato materialmente fatto con l’intervento delle organizzazioni della proprietà edilizia e di quella dei conduttori.
Fin qui, pur comunque evidenziando una certa assurdità della norma in ambito civilistico, grosse problematiche non dovrebbero sorgere: è interesse comunque delle parti concludere un contratto che rispetti la legge. Il quadro si complica, come si può intuire, se si guarda la disposizione in commento sotto l’aspetto fiscale.
LA NORMA FISCALEL’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 31 del 20 aprile 2018, ha stabilito che “per i contratti a canone concordato ‘non assistiti’, l’acquisizione dell’attestazione costituisce elemento necessario ai fini del riconoscimento delle agevolazioni”.
Il concetto espresso dal Fisco è che se si vogliono utilizzare le agevolazioni fiscali che discendono dai contratti concordati occorre che il contratto di locazione sia certificato da una delle organizzazioni sindacali che ha firmato l’Accordo Territoriale vigente per il Comune dove è ubicato l’immobile oggetto di locazione.
Si ricordano, qui a titolo di informazioni, le agevolazioni fiscali previste: applicazione dell’aliquota ridotta nella misura del 10 %, prevista ai fini della ‘cedolare secca’, riduzione dell’imposta di registro dal 2% al 1,4%, riduzione, in caso di non utilizzo della cedolare secca, dell’imponibile ordinario per l’Irpef.
Ovviamente si può immaginare che il rilascio di tali certificazioni, come giusto che sia, non sarà certamente gratuito. In buona sostanza, siccome l’Agenzia delle Entrate non è in grado di verificare la correttezza dei singoli contratti, demanda tale onere al cittadino che dovrà sobbarcarsi pure l’onere, in denaro e in tempo, di farsi certificare la regolarità del proprio comportamento.
Per onor del vero, la posizione dell’Agenzia non nasce dal nulla. Era già stata espressa dal Ministero delle Infrastrutture - Direzione Generale per la Condizione Abitativa - che, con la nota del 6 febbraio 2018, n. 1380, aveva affermato che “per quanto concerne i profili fiscali va considerato che l’obbligatorietà dell’attestazione fonda i suoi presupposti sulla necessità di documentare alla pubblica amministrazione, sia a livello centrale che comunale, la sussistenza di tutti gli elementi utili ad accertare sia i contenuti dell’accordo locale che i presupposti per accedere alle agevolazioni fiscali, sia statali che comunali. Ne consegue l’obbligo per i contraenti, di acquisire l’attestazione in argomento anche per poter dimostrare all’Agenzia in caso di verifica fiscale la correttezza delle deduzioni utilizzate”.
L’attestazione di rispondenza non risulta, invece, necessaria, ai fini del riconoscimento delle agevolazioni fiscali in due casi:
L’Agenzia delle Entrate ci aggiunge pure una complicazione in più. Il decreto in esame non definisce un obbligo in capo alle parti contrattuali di procedere all’allegazione dell’attestazione e, soprattutto, tale obbligo non emerge neppure dalle previsioni dettate dal Testo unico dell’imposta di registro, approvato con il DPR 26 aprile 1986, n. 131 (TUR).
L’Agenzia delle Entrate, nella citata circolare, sostanzialmente dice che è pur vero che non esiste un obbligo di allegazione, però tale assenza “non esclude, tuttavia, che le parti possano, comunque, procedere a detta allegazione, in sede di registrazione del contratto di locazione”. Non è obbligatorio, ma se viene fatto è meglio. Tant’è che poi aggiunge che “l’allegazione dell’attestazione in sede di registrazione appare, peraltro, opportuna al fine di documentare la sussistenza dei requisiti, laddove il contribuente chieda di fruire dell’agevolazione prevista dall’articolo 8 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, ai fini dell’imposta di registro”.
L’agevolazione in parola stabilisce che per la determinazione della base imponibile per l’applicazione dell’imposta proporzionale di registro, il corrispettivo annuo venga assunto nella misura del 70 per cento.
Potrebbe sorgere il dubbio che l’allegazione di un atto aggiuntivo a un contratto di locazione faccia scaturire l’obbligo di applicazione dell’imposta di registro. Ma l’Agenzia delle Entrate, con una botta di inusuale magnanimità, dice che “l’attestazione in argomento concretizza un atto per il quale non vige l’obbligo della registrazione, in quanto la stessa non appare riconducibile nell’ambito delle previsioni recate dalla tariffa, parte prima e parte seconda, allegata al TUR. In sede di registrazione del contratto di locazione, pertanto, l’ufficio dell’Agenzia provvederà alla registrazione anche dell’attestato senza autonoma applicazione dell’imposta di registro”.
Ma non solo. Ormai lanciata nella scia della benevolenza nei confronti del contribuente, esenta l’allegazione dell’attestazione anche dall’imposta di bollo. Infatti nella risoluzione n. 31 del 20 aprile 2018 vi è chiaramente scritto che “tenuto conto che l’attestazione in argomento, si rende necessaria, cosi come previsto dal citato decreto, al fine di certificare la rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all’accordo stesso, anche con riguardo al riconoscimento delle agevolazioni fiscali, deve ritenersi che per il rilascio della predetta attestazione non debba essere applicata l’imposta di bollo, ai sensi del citato articolo 5 della Tabella allegata al DPR 26 ottobre 1972, n. 642”.
Analisi e commenti ImpreseOggi
Rifornimento di carburante e tracciabilità del pagamento: il dubbio aperto riguarda soprattutto i quei contribuenti che effettuano i rifornimenti nei distributori stradali senza provvedere, immediatamente, al pagamento ma posticipandolo solo a una scadenza successiva, ad esempio alla fine del mese.
Ipotesi, questa, non così rara, in quanto molti impianti stradali permettono ai clienti abituali di pagare il rifornimento non al momento della sua effettuazione ma in un momento successivo, come ad esempio solo alla fine del mese: si pensi alle prassi che coinvolgono gli agenti e rappresentanti, gli autotrasportatori, i procacciatori d’affari, gli artigiani.
Da più parti si dice che tale comportamento non sia ammissibile, in quanto ogni volta che si effettua il rifornimento quest’ultimo deve essere regolato tramite strumenti tracciabili, pena l’inammissibilità del costo e della detrazione IVA.
In realtà, invece, a parere dello scrivente tale affermazione non appare condivisibile. Vediamo il perché.
Il rinvio dell’obbligo di emissione della fattura elettronica per le cessioni di carburante destinato all’autotrazione fatte presso i distributori stradali, non incide sulla disciplina riguardante il pagamento tracciabile del relativo prezzo. Ciò significa che, al di là dell’emissione o meno della fattura elettronica, il pagamento del rifornimento di carburante, per essere detraibile, deve sempre essere effettuato tramite strumenti tracciabili.
Tale principio lo si desume dalla lettura del combinato disposto fra quanto previsto dalla legge finanziaria 2018 e il testo del decreto legge n. 79 del 28 giugno 2018 che ha materialmente disposto il rinvio del termine per l’emissione della fattura elettronica per le cessioni di carburante destinato all’autotrazione dall’originario 01 luglio 2018 all’attuale 01 gennaio 2019.
Il comma 922 della finanziaria stabilisce che “le spese per carburante per autotrazione sono deducibili […], se effettuate esclusivamente mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all'obbligo di comunicazione previsto dall'articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605”.
Il successivo comma 923, in materia di detraibilità ai fini IVA, a sua volta stabilisce che “L'avvenuta effettuazione dell'operazione deve essere provata dal pagamento mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all'obbligo di comunicazione previsto dall'articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, o da altro mezzo ritenuto parimenti idoneo individuato con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate “
E’ curioso notare, tra l’altro, che la diversa formulazione normativa rispetto ai mezzi di pagamenti ammessi, ha ingenerato una confusione: infatti per il costo è consentita la deducibilità solo se i pagamenti sono effettuati con carte di credito, debito o prepagate, mentre per quanto riguarda la detraibilità IVA è consentito il pagamento anche con altri mezzi pagamento. Per sanare questa oggettiva discrepanza, è intervenuta la circolare 8/e del 30.04.2018 la quale ha stabilito che “in assenza di specifiche indicazioni contrarie presenti nella norma o nella relazione illustrativa, impone che tali strumenti (cioè quelli individuati dal Direttore dell’Ade) vadano considerati idonei anche ai fini della deducibilità dei costi sostenuti”.
Gli altri mezzi di pagamento individuati dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate sono:
Appare quindi, del tutto evidente, che se il contribuente fa il pieno di benzina al distributore e la paga solo successivamente con una fattura riepilogativa, è sufficiente che tracci il pagamento con i mezzi ammessi per farlo, cioè, ad esempio, con bonifico bancario. Non c’è nessun disposto normativo che lo obblighi a pagare tutte le volte che fa il rifornimento. E’ sufficiente che, quando provvederà materialmente al pagamento, questo avvenga con gli strumenti tracciabili previsti dal Legislatore.
Non è nemmeno necessario, inoltre, che il corrispettivo sia certificato da una fattura elettronica: se il soggetto passivo fa benzina solo ed esclusivamente per uso di autotrazione stradale l’obbligo di emissione della fattura elettronica è rinviato al 01 gennaio 2019.
Tale affermazione è supportata dal tenore del decreto normativo di proroga: il decreto legge 28 giugno 2018 n. 79 stabilisce che “al comma 917, lettera a), dopo le parole: «per motori» sono aggiunte le seguenti: «, ad eccezione delle cessioni di carburante per autotrazione presso gli impianti stradali di distribuzione, per le quali il comma 920 si applica dal 1°gennaio 2019». Il comma 920 recita che “Gli acquisti di carburante per autotrazione effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti passivi dell'imposta sul valore aggiunto devono essere documentati con la fattura elettronica”.
Per cui, per ritornare al caso oggetto di indagine iniziale, è sufficiente che il soggetto passivo paghi la fattura cartacea dei carburanti con un bonifico bancario alle scadenze indicate.
Di contro, se paga la benzina tutte le volte che fa il rifornimento, è abbastanza chiaro che deve tracciare il pagamento con i mezzi previsti. L’eventuale fattura successiva conterrà al suo interno gli estremi dei singoli pagamenti e, di conseguenza, sarà pari a zero.
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Rifornimento di carburante e tracciabilità del pagamento: il dubbio aperto riguarda soprattutto i quei contribuenti che effettuano i rifornimenti nei distributori stradali senza provvedere, immediatamente, al pagamento ma posticipandolo solo a una scadenza successiva, ad esempio alla fine del mese.
Ipotesi, questa, non così rara, in quanto molti impianti stradali permettono ai clienti abituali di pagare il rifornimento non al momento della sua effettuazione ma in un momento successivo, come ad esempio solo alla fine del mese: si pensi alle prassi che coinvolgono gli agenti e rappresentanti, gli autotrasportatori, i procacciatori d’affari, gli artigiani.
Da più parti si dice che tale comportamento non sia ammissibile, in quanto ogni volta che si effettua il rifornimento quest’ultimo deve essere regolato tramite strumenti tracciabili, pena l’inammissibilità del costo e della detrazione IVA.
In realtà, invece, a parere dello scrivente tale affermazione non appare condivisibile. Vediamo il perché.
Il rinvio dell’obbligo di emissione della fattura elettronica per le cessioni di carburante destinato all’autotrazione fatte presso i distributori stradali, non incide sulla disciplina riguardante il pagamento tracciabile del relativo prezzo. Ciò significa che, al di là dell’emissione o meno della fattura elettronica, il pagamento del rifornimento di carburante, per essere detraibile, deve sempre essere effettuato tramite strumenti tracciabili.
Tale principio lo si desume dalla lettura del combinato disposto fra quanto previsto dalla legge finanziaria 2018 e il testo del decreto legge n. 79 del 28 giugno 2018 che ha materialmente disposto il rinvio del termine per l’emissione della fattura elettronica per le cessioni di carburante destinato all’autotrazione dall’originario 01 luglio 2018 all’attuale 01 gennaio 2019.
Il comma 922 della finanziaria stabilisce che “le spese per carburante per autotrazione sono deducibili […], se effettuate esclusivamente mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all'obbligo di comunicazione previsto dall'articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605”.
Il successivo comma 923, in materia di detraibilità ai fini IVA, a sua volta stabilisce che “L'avvenuta effettuazione dell'operazione deve essere provata dal pagamento mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all'obbligo di comunicazione previsto dall'articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, o da altro mezzo ritenuto parimenti idoneo individuato con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate “
E’ curioso notare, tra l’altro, che la diversa formulazione normativa rispetto ai mezzi di pagamenti ammessi, ha ingenerato una confusione: infatti per il costo è consentita la deducibilità solo se i pagamenti sono effettuati con carte di credito, debito o prepagate, mentre per quanto riguarda la detraibilità IVA è consentito il pagamento anche con altri mezzi pagamento. Per sanare questa oggettiva discrepanza, è intervenuta la circolare 8/e del 30.04.2018 la quale ha stabilito che “in assenza di specifiche indicazioni contrarie presenti nella norma o nella relazione illustrativa, impone che tali strumenti (cioè quelli individuati dal Direttore dell’Ade) vadano considerati idonei anche ai fini della deducibilità dei costi sostenuti”.
Gli altri mezzi di pagamento individuati dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate sono:
Appare quindi, del tutto evidente, che se il contribuente fa il pieno di benzina al distributore e la paga solo successivamente con una fattura riepilogativa, è sufficiente che tracci il pagamento con i mezzi ammessi per farlo, cioè, ad esempio, con bonifico bancario. Non c’è nessun disposto normativo che lo obblighi a pagare tutte le volte che fa il rifornimento. E’ sufficiente che, quando provvederà materialmente al pagamento, questo avvenga con gli strumenti tracciabili previsti dal Legislatore.
Non è nemmeno necessario, inoltre, che il corrispettivo sia certificato da una fattura elettronica: se il soggetto passivo fa benzina solo ed esclusivamente per uso di autotrazione stradale l’obbligo di emissione della fattura elettronica è rinviato al 01 gennaio 2019.
Tale affermazione è supportata dal tenore del decreto normativo di proroga: il decreto legge 28 giugno 2018 n. 79 stabilisce che “al comma 917, lettera a), dopo le parole: «per motori» sono aggiunte le seguenti: «, ad eccezione delle cessioni di carburante per autotrazione presso gli impianti stradali di distribuzione, per le quali il comma 920 si applica dal 1°gennaio 2019». Il comma 920 recita che “Gli acquisti di carburante per autotrazione effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti passivi dell'imposta sul valore aggiunto devono essere documentati con la fattura elettronica”.
Per cui, per ritornare al caso oggetto di indagine iniziale, è sufficiente che il soggetto passivo paghi la fattura cartacea dei carburanti con un bonifico bancario alle scadenze indicate.
Di contro, se paga la benzina tutte le volte che fa il rifornimento, è abbastanza chiaro che deve tracciare il pagamento con i mezzi previsti. L’eventuale fattura successiva conterrà al suo interno gli estremi dei singoli pagamenti e, di conseguenza, sarà pari a zero.
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Fattura elettronica, consorzio e subappalto: nessun obbligo. Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 13/e del 02.07.2018 che finalmente fa un po' di luce sulla complessa tematica della fatturazione elettronica e stabilisce chiaramente che al consorzio aggiudicatario di un appalto di una Pubblica Amministrazione, o che si inserisce nella filiera dei contratti di subappalto, non si applica la disciplina riguardante l’obbligatorietà della fattura elettronica.
Infatti è prassi ormai consolidata che alle prestazioni rese dai consorziati al consorzio si applica la stessa disciplina delle prestazioni rese dal consorzio ai terzi, in analogia a quanto previsto dall’articolo 3, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, con riferimento al mandato senza rappresentanza.
Da ciò ne consegue che le modalità di fatturazione nei confronti dei terzi si trasferiscono anche ai rapporti interni fra consorzio e consorziati. Sul punto si può trovare riscontro anche nelle circolari n. 14/E del 27 marzo 2015 e 20/E del 18 maggio 2016.
Da una lettura superficiale, quindi, la specifica natura del rapporto Consorzio – consorziato, potrebbe far ritenere sussistente l’obbligo di procedere all’emissione della fattura elettronica anche nel rapporto tra consorzio e consorziato.
In realtà, però, se si passa ad una lettura più approfondita, si evidenzia che, ad esempio, la risoluzione 242/e del 27 agosto 2009 evidenzia che, «come affermato in numerosi documenti di prassi, l’equiparazione delle prestazioni rese o ricevute dal mandatario senza rappresentanza con quelle che intervengono nei rapporti tra mandante e mandatario, contenuta nell’articolo 3, terzo comma, ultimo periodo, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, opera, ai fini dell’IVA, in relazione alla qualificazione oggettiva delle prestazioni, ma non anche in relazione all’aspetto soggettivo (cfr. risoluzioni 23 maggio 2000, n. 67/E, 15 maggio 2002, n. 145/E e 14 novembre 2002, n. 355/E)». In buona sostanza, l’obbligo della fatturazione elettronica in capo al consorzio discende da un elemento soggettivo che lo lega alla Pubblica Amministrazione: va emessa la fattura elettronica perché il ricevente è una pubblica amministrazione. La norma richiamata dell’Iva, però, stabilisce chiaramente che il rapporto che lega il mandante e il mandatario (e per analogia consorzio-consorziato) è puramente oggettivo, cioè attiene alla natura della prestazione, e pertanto, tale rapporto trascina con sé solo la natura delle operazioni e non anche i rapporti soggettivi degli stessi. In sostanza, l’obbligo di fatturazione elettronica in capo al consorzio, che è legato alla qualificazione soggettiva del committente della Pubblica Amministrazione non si estenderà ai rapporti consorzio-consorziate.
Inoltre, la circolare richiamata all’inizio, sottolinea che è “da escludersi che l’obbligo di fatturazione elettronica sorga nei rapporti interni laddove il consorzio non sia il diretto referente della PA, ma si inserisca nella filiera dei subappalti”.
Tale affermazione si rifà a quanto già detto nella circolare n. 8/E del 2018 dove si è chiarito che quanto previsto dall’articolo 1, comma 917, lettera b), della legge n. 205 del 2017, troverà applicazione per i soli rapporti (appalti e/o altri contratti) “diretti” tra il soggetto titolare del contratto e la Pubblica Amministrazione, nonché tra il primo e coloro di cui egli si avvale (in ipotesi il consorzio X), con esclusione degli ulteriori passaggi successivi (ossia, in tutti i casi, i rapporti interni tra X e i singoli consorziati, che, in linea generale, non configurano comunque subappalti o ipotesi affini [cfr. il punto 5 della circolare n. 37/E del 29 dicembre 2006]).
Infatti secondo la prassi dell’Agenzia delle Entrate i rapporti posti in essere all'interno dei consorzi e delle altre strutture associative analoghe non configurino subappalti o ipotesi affini.
Su questo punto giova ricordare che l’art. 1655 del codice civile stabilisce chiaramente che l’appalto è “un contratto con cui una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo di denaro”. Di contro, per sua natura, il rapporto tra consorzio e consorziato non può ricondursi a un subappalto perché il primo è semplicemente un soggetto che tratta per i singoli consorziati. Infatti, il consorzio con attività esterna è un contratto, a mente dell’art. 2602, con il quale “più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”. Per giurisprudenza costate il rapporto che lega consorzio e consorziato è quello del mandato.
Pertanto, se il Consorzio riveste il ruolo di appaltatore o di sub-appaltatore con la pubblica amministrazione, dovrà necessariamente, sulla base della normativa sopra riportata, provvedere all’emissione della fattura elettronica.
Di conseguenza, per quanto fino a qui detto, essendo il rapporto tra consorzio e consorzio un rapporto diverso da quello di subappalto, viene meno il requisito previsto dalle norme e, pertanto, non è necessario procedere all’emissione della fattura elettronica.
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Fattura elettronica, consorzio e subappalto: nessun obbligo. Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 13/e del 02.07.2018 che finalmente fa un po' di luce sulla complessa tematica della fatturazione elettronica e stabilisce chiaramente che al consorzio aggiudicatario di un appalto di una Pubblica Amministrazione, o che si inserisce nella filiera dei contratti di subappalto, non si applica la disciplina riguardante l’obbligatorietà della fattura elettronica.
Infatti è prassi ormai consolidata che alle prestazioni rese dai consorziati al consorzio si applica la stessa disciplina delle prestazioni rese dal consorzio ai terzi, in analogia a quanto previsto dall’articolo 3, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, con riferimento al mandato senza rappresentanza.
Da ciò ne consegue che le modalità di fatturazione nei confronti dei terzi si trasferiscono anche ai rapporti interni fra consorzio e consorziati. Sul punto si può trovare riscontro anche nelle circolari n. 14/E del 27 marzo 2015 e 20/E del 18 maggio 2016.
Da una lettura superficiale, quindi, la specifica natura del rapporto Consorzio – consorziato, potrebbe far ritenere sussistente l’obbligo di procedere all’emissione della fattura elettronica anche nel rapporto tra consorzio e consorziato.
In realtà, però, se si passa ad una lettura più approfondita, si evidenzia che, ad esempio, la risoluzione 242/e del 27 agosto 2009 evidenzia che, «come affermato in numerosi documenti di prassi, l’equiparazione delle prestazioni rese o ricevute dal mandatario senza rappresentanza con quelle che intervengono nei rapporti tra mandante e mandatario, contenuta nell’articolo 3, terzo comma, ultimo periodo, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, opera, ai fini dell’IVA, in relazione alla qualificazione oggettiva delle prestazioni, ma non anche in relazione all’aspetto soggettivo (cfr. risoluzioni 23 maggio 2000, n. 67/E, 15 maggio 2002, n. 145/E e 14 novembre 2002, n. 355/E)». In buona sostanza, l’obbligo della fatturazione elettronica in capo al consorzio discende da un elemento soggettivo che lo lega alla Pubblica Amministrazione: va emessa la fattura elettronica perché il ricevente è una pubblica amministrazione. La norma richiamata dell’Iva, però, stabilisce chiaramente che il rapporto che lega il mandante e il mandatario (e per analogia consorzio-consorziato) è puramente oggettivo, cioè attiene alla natura della prestazione, e pertanto, tale rapporto trascina con sé solo la natura delle operazioni e non anche i rapporti soggettivi degli stessi. In sostanza, l’obbligo di fatturazione elettronica in capo al consorzio, che è legato alla qualificazione soggettiva del committente della Pubblica Amministrazione non si estenderà ai rapporti consorzio-consorziate.
Inoltre, la circolare richiamata all’inizio, sottolinea che è “da escludersi che l’obbligo di fatturazione elettronica sorga nei rapporti interni laddove il consorzio non sia il diretto referente della PA, ma si inserisca nella filiera dei subappalti”.
Tale affermazione si rifà a quanto già detto nella circolare n. 8/E del 2018 dove si è chiarito che quanto previsto dall’articolo 1, comma 917, lettera b), della legge n. 205 del 2017, troverà applicazione per i soli rapporti (appalti e/o altri contratti) “diretti” tra il soggetto titolare del contratto e la Pubblica Amministrazione, nonché tra il primo e coloro di cui egli si avvale (in ipotesi il consorzio X), con esclusione degli ulteriori passaggi successivi (ossia, in tutti i casi, i rapporti interni tra X e i singoli consorziati, che, in linea generale, non configurano comunque subappalti o ipotesi affini [cfr. il punto 5 della circolare n. 37/E del 29 dicembre 2006]).
Infatti secondo la prassi dell’Agenzia delle Entrate i rapporti posti in essere all'interno dei consorzi e delle altre strutture associative analoghe non configurino subappalti o ipotesi affini.
Su questo punto giova ricordare che l’art. 1655 del codice civile stabilisce chiaramente che l’appalto è “un contratto con cui una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo di denaro”. Di contro, per sua natura, il rapporto tra consorzio e consorziato non può ricondursi a un subappalto perché il primo è semplicemente un soggetto che tratta per i singoli consorziati. Infatti, il consorzio con attività esterna è un contratto, a mente dell’art. 2602, con il quale “più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”. Per giurisprudenza costate il rapporto che lega consorzio e consorziato è quello del mandato.
Pertanto, se il Consorzio riveste il ruolo di appaltatore o di sub-appaltatore con la pubblica amministrazione, dovrà necessariamente, sulla base della normativa sopra riportata, provvedere all’emissione della fattura elettronica.
Di conseguenza, per quanto fino a qui detto, essendo il rapporto tra consorzio e consorzio un rapporto diverso da quello di subappalto, viene meno il requisito previsto dalle norme e, pertanto, non è necessario procedere all’emissione della fattura elettronica.
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