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Grassi Benaglia Moretti avvocati e commercialisti

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FONDO PERDUTO ED EVENTI CALAMITOSI: L'ORDINE DEI COMMERCIALISTI NON DEVE ESSERE UNA SUCCURSALE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE

Mar, 11/08/2020 - 10:18
Di seguito riporto la lettera che ho inviato al Presidente del coordinamento degli Ordini dei Dottori Commercialisti dell'Emilia Romagna, dopo che quest'ultimo ha avanzato una sorta di interpello all'Agenzia delle Entrate, per farsi dire quali sono le modalità corrette di applicazione della disciplina relativa al Fondo Perduto, erogato in seguito alla perdita di fatturato.    Egregio Presidente, ho preso conoscenza della richiesta di chiarimento alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate, avanzata come coordinamento degli Ordini dei Dottori Commercialisti dell’Emilia Romagna, circa la “corretta” modalità di applicazione della disciplina del c.d. “fondo perduto”, nei comuni oggetto di eventi calamitosi. Mi sia consentito, da iscritto, di esprimere, su questa vostra richiesta, qualche perplessità fondata sia sul fatto che la norma, a mio parere, non necessita di alcun chiarimento essendo già chiara così com’è, sia sul fatto che nel nostro ordinamento non è l’Agenzia delle Entrate il soggetto deputato a fornire l’interpretazione autentica delle norme vigenti. Semmai è una commissione tributaria o, ancora meglio, la Cassazione a doverlo fare. Vi è da aggiungere poi qualche cautela anche sulla validità delle interpretazioni rese dal Fisco. Basti pensare, su questo punto, la costante interpretazione data circa la impossibilità, per le immobiliari di costruzione, di avvalersi della disciplina sull’ecobonus. Interpretazione basata su motivazioni abbastanza surreali, smontate da una serie costante di sentenze della Cassazione, le quali hanno costretto la stessa Agenzia delle Entrate a dover correggere recentemente l’errore. Con il quesito che abbiamo avanzato si è innescato un meccanismo che ci può sfuggire di mano: se la Direzione Regionale delle Entrate dà una interpretazione restrittiva della norma, noi ci adeguiamo a tale intendimento, quando l’evidenza giuridica dice esattamente il contrario? Scegliamo la via conservativa di accettare la loro idea, per non avere problemi? Così facendo, però, diventiamo una succursale degli uffici fiscali, meri esecutori di convincimenti altrui, che sono basati non sulla ricerca della giustizia fiscale, ma sulla massimizzazione dell’incasso delle somme dai contribuenti. Se così fosse diventiamo inutili come categoria professionale, senza alcun valore aggiunto per i nostri clienti e per i cittadini. Io avrei proposto di fare diversamente e fornire noi il chiarimento necessario, facendo valere il peso della nostra professionalità, della nostra cultura e della nostra esperienza. Il messaggio doveva essere chiaro e preciso: “poche storie ci sono da fare, il contributo a fondo perduto spetta, anche in assenza dei requisiti di calo del fatturato, ai soggetti che, a far data dall'insorgenza dell'evento calamitoso, hanno il domicilio fiscale o la sede operativa nel territorio di comuni colpiti dai predetti eventi i cui stati di emergenza erano ancora in atto alla data di dichiarazione dello stato di emergenza Covid-19, cioè 31 gennaio 2020. Se volete sapere quali sono questi comuni basta guardare questo link qui: http://www.protezionecivile.gov.it/servizio-nazionale/attivita/emergenza/stati-di-emergenza”. Questo avrei scritto io, certamente in termini meno perentori e più istituzionali. Abbiamo scelto un’altra strada, quella dell’insicurezza e della ricerca di certezze su altrui pensiero. Me ne dispiaccio, e di questo mi sono sentito in dovere di farglielo sapere come iscritto e come professionista.   Analisi e commenti ImpreseOggi
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INFERMIERI LIBERI PROFESSIONISTI E FISCO: UN WEBINAR PER DISTRICARSI NELLA GIUNGLA DELLE TASSE.

Mer, 08/07/2020 - 11:50

Medicasa, società del Gruppo Air Liquide specializzata nella progettazione e nell’erogazione di servizi di assistenza domiciliare, promuove il webinar "Gestione fiscale e tasse per  libero professionisti".

L’evento vede anche la collaborazione di Nurse24.it e del portale Salute.live. Relatore dell’incontro è il socio dello studio Giovanni Benaglia. Obiettivo dell’evento, che è in programma lunedì 13 luglio 2020 dalle ore 17:00 alle ore 18:00 sul portale salute.live, è quello di fornire una guida fiscale e previdenziale semplice e completa per l’infermiere libero professionista che vuole tentate l’avventura della libera professione.

Tra i temi che verranno trattati durante l’evento live ci sarà l’apertura della partita iva e la contestuale scelta del regime fiscale, un approfondimento sul funzionamento del regime forfettario e sul regime previdenziale. Si farà, inoltre, un breve cenno anche alla normativa sugli studi associati.

L’iscrizione, gratuita, si può effettuare al seguente link:

https://www.salute.live/evento/gestione-fiscale-e-tasse-per-liberi-professionisti

 

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INFERMIERI LIBERI PROFESSIONISTI E FISCO: UN WEBINAR PER DISTRICARSI NELLA GIUNGLA DELLE TASSE.

Mer, 08/07/2020 - 11:50

Medicasa, società del Gruppo Air Liquide specializzata nella progettazione e nell’erogazione di servizi di assistenza domiciliare, promuove il webinar "Gestione fiscale e tasse per  libero professionisti".

L’evento vede anche la collaborazione di Nurse24.it e del portale Salute.live. Relatore dell’incontro è il socio dello studio Giovanni Benaglia. Obiettivo dell’evento, che è in programma lunedì 13 luglio 2020 dalle ore 17:00 alle ore 18:00 sul portale salute.live, è quello di fornire una guida fiscale e previdenziale semplice e completa per l’infermiere libero professionista che vuole tentate l’avventura della libera professione.

Tra i temi che verranno trattati durante l’evento live ci sarà l’apertura della partita iva e la contestuale scelta del regime fiscale, un approfondimento sul funzionamento del regime forfettario e sul regime previdenziale. Si farà, inoltre, un breve cenno anche alla normativa sugli studi associati.

L’iscrizione, gratuita, si può effettuare al seguente link:

https://www.salute.live/evento/gestione-fiscale-e-tasse-per-liberi-professionisti

 

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DECRETO CURA ITALIA E CREDITO DI IMPOSTA SULL'AFFITTO: L’AGENZIA DELLE ENTRATE SI INVENTA PURE LE NORME SULLA SUA APPLICAZIONE.

Lun, 06/04/2020 - 21:24
Con la circolare 8/e del 03 aprile 2020 apprendiamo che i documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate assumono carattere di Fonte primaria del diritto, al pari delle leggi del Parlamento. La svolta sul piano giuridico la si ha con l’interpretazione sul credito di imposta per le locazioni previste dall’art. 65 del Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18, il cosidetto "Decreto Cura Italia". FONTI PRIMARIE DEL DIRITTO Andiamo con ordine, però, e rinfreschiamo la memoria su quali sono le Fonti del diritto, nozione che si apprende durante la prima lezione di diritto del primo anno dell’Istituto Tecnico Commerciale. Le fonti sono quattro: Fonti Costituzionali, Fonti Primarie, Fonti Secondarie e Fonti terziarie. Le Fonti Costituzionali, come dice il nome stesso, sono costituite dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali, e dagli statuti regionali delle Regione a Statuto Speciale. Le fonti primarie sono quelle emanate dagli organi costituzionali che hanno funzione legislativa: leggi del Parlamento, leggi regionali, decreti legge e legislativi. Le Fonti secondarie sono le sentenze degli organi giurisdizionali, tipo quelle della Cassazione. Infine le Fonti terziarie sono gli usi e le consuetudini locali. Hanno un ordine gerarchico, cioè quella che sta sotto non può annullare quella che sta sopra. Quindi, una sentenza della Cassazione, per quanto autorevole, non può modificare il senso di una Legge emanata dal Parlamento. Quest’ultima non può modificare la Costituzione italiana o essere in contrasto con questa. E così via via per tutte le altre.  Le circolari dell’Agenzia delle Entrate, a questo punto, dove stanno? Senza essere fini giuristi, sulla base di quanto detto, dovrebbero essere considerate fonti terziarie, cioè al pari degli usi e delle consuetudini. Vero è che se dessimo retta ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate le loro circolari sono almeno da considerare quali Fonti Primarie, al pari della Leggi del Parlamento, ma sospetto che in alcuni casi qualcuno le ritenga pure Fonti di rango costituzionale, soprattutto quando si prendono la briga di modificare il principio di presunzione di innocenza, vedi gli accertamenti sulla ristretta base sociale. Altra storia, però, che esula da quanto stiamo dicendo.   CREDITO DI IMPOSTA SUGLI AFFITTI DI BOTTEGHE E NEGOZI Fatto questo breve ripasso, riprendiamo da dove siamo partiti e cioè l’art. 65 del Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18 il quale dice, testualmente, che “al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all'emergenza epidemiologica da  COVID-19,  ai soggetti esercenti attività d'impresa è riconosciuto, per l'anno 2020, un credito d'imposta nella misura del 60 per cento dell'ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1”. Francamente devo ammettere che, in tutti questi anni di frequentazione delle norme tributarie, e non solo di quelle, quello appena citato mi pare un testo abbastanza chiaro. Ma nel mio campo c’è sempre qualcuno che, anche di fronte alle cose chiare, pratica l’arte del dubbio, come novello San Tommaso, senza prenderle per come sono scritte e incomincia a fare domande inutili. Tipo: “ma posso avere il credito di imposta anche nel caso di affitto di un capannone?”. No, non si può, perché c’è scritto “immobile rientrante nella categoria catastale C/1”, altrimenti ci sarebbe stata una dicitura più ampia, come ad esempio “immobili commerciali”. Oppure anche: “ho diritto al credito di imposta anche in caso di affitto d’azienda?”. Anche qui, ovviamente no, perché si parla di canone di locazione di immobili. Però la più bella di tutte è questa: “se io non ho pagato l’affitto di marzo ho diritto ad avere lo stesso il credito di imposta?”. Queste domande sono riportate anche sulla stampa qualificata, la quale sollecita le risposte con la solenne affermazione “è necessario attendersi chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate”. Quindi, se un chiarimento lo sollecitiamo poi qualcuno si sente in diritto di darlo e non è detto che sia a favore del contribuente, anzi spesso succede il contrario. Ciò è avvenuto anche per la questione del credito di imposta per i canoni di locazione di cui si diceva all’inizio. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il credito di imposta spetta solo per i negozi (categoria catastale C/1) e che questo credito non spetta se non è stato pagato il canone di affitto. La risposta alla domanda che non era da fare è questa: “Ancorché la disposizione si riferisca, genericamente, al 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, la stessa ha la finalità di ristorare il soggetto dal costo sostenuto costituito dal predetto canone, sicché in coerenza con tale finalità il predetto credito maturerà a seguito dell’avvenuto pagamento del canone medesimo”. Quindi la stessa Agenzia ammette che la disposizione è generica e si riferisce al 60% del canone di locazione, però secondo il suo autorevole parere, avendo questa agevolazione la finalità di ristorare il conduttore dal costo sostenuto del canone, il credito spetta se il canone è stato pagato. Peccato che la legge non dice nulla in merito al pagamento e, quindi, se non dice nulla vuol dire proprio questo: non vi è alcun limite rispetto al suo percepimento. Altrimenti lo avrebbe esplicitato chiaramente. Se poi il Fisco vuole dare un’altra interpretazione, lo può fare ma pur sempre di interpretazione si tratta e, per la gerarchia delle Fonti vista prima, non essendo di derivazione nè giurisprudenziale e nemmeno normativa, lascia il tempo che trova. LA CORTE DI CASSAZIONE E L'INTERPRETAZIONE DELLE NORME.  Tra l’altro, questa mania di fornire chiarimenti a leggi che non lo richiedono, ha trovato pure il biasimo della Corte di Cassazione la quale, con sentenza n. 29162 del 12/11/2019, tira le orecchie all’Agenzia delle Entrate dicendo che “nell’ipotesi in cui l’interpretazione letterale di una norma di legge o di una norma secondaria sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro e univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercè l’esame complessivo del testo, della “mens legis”, specie se, attraverso siffatto procedimento possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma si come inequivocabilmente espressa dal legislatore. Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l’elemento letterale e l’intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquista un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, sicchè il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all’equivocità del teso da interpretare”. Cari miei funzionari del Fisco, sembrano dire i Giudici della Cassazione, le norme si interpretano quando non sono chiare perché, altrimenti, si può arrivare a conclusioni che non sono nella volontà del legislatore. IL CREDITO DI IMPOSTA SPETTA ANCHE SE NON SI E' PAGATO IL CANONE.  In conclusione, siccome non c’è scritto da nessuna parte il contrario, il credito di imposta per gli affitti previsti dal Decreto Cura Italia si può avere anche se il canone non è stato pagato. Finito lì. Come dovrebbero finire lì anche molti miei colleghi, anche autorevoli, che fanno domande che non servono o quelle, peggio, che troverebbero risposta facendo ricorso a quel minimo di conoscenza del diritto che anche noi ragionieri di provincia dovremmo teoricamente avere.  

 

 

 

 

 

 

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DECRETO CURA ITALIA E CREDITO DI IMPOSTA SULL'AFFITTO: L’AGENZIA DELLE ENTRATE SI INVENTA PURE LE NORME SULLA SUA APPLICAZIONE.

Lun, 06/04/2020 - 21:24
Con la circolare 8/e del 03 aprile 2020 apprendiamo che i documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate assumono carattere di Fonte primaria del diritto, al pari delle leggi del Parlamento. La svolta sul piano giuridico la si ha con l’interpretazione sul credito di imposta per le locazioni previste dall’art. 65 del Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18, il cosidetto "Decreto Cura Italia". FONTI PRIMARIE DEL DIRITTO Andiamo con ordine, però, e rinfreschiamo la memoria su quali sono le Fonti del diritto, nozione che si apprende durante la prima lezione di diritto del primo anno dell’Istituto Tecnico Commerciale. Le fonti sono quattro: Fonti Costituzionali, Fonti Primarie, Fonti Secondarie e Fonti terziarie. Le Fonti Costituzionali, come dice il nome stesso, sono costituite dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali, e dagli statuti regionali delle Regione a Statuto Speciale. Le fonti primarie sono quelle emanate dagli organi costituzionali che hanno funzione legislativa: leggi del Parlamento, leggi regionali, decreti legge e legislativi. Le Fonti secondarie sono le sentenze degli organi giurisdizionali, tipo quelle della Cassazione. Infine le Fonti terziarie sono gli usi e le consuetudini locali. Hanno un ordine gerarchico, cioè quella che sta sotto non può annullare quella che sta sopra. Quindi, una sentenza della Cassazione, per quanto autorevole, non può modificare il senso di una Legge emanata dal Parlamento. Quest’ultima non può modificare la Costituzione italiana o essere in contrasto con questa. E così via via per tutte le altre.  Le circolari dell’Agenzia delle Entrate, a questo punto, dove stanno? Senza essere fini giuristi, sulla base di quanto detto, dovrebbero essere considerate fonti terziarie, cioè al pari degli usi e delle consuetudini. Vero è che se dessimo retta ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate le loro circolari sono almeno da considerare quali Fonti Primarie, al pari della Leggi del Parlamento, ma sospetto che in alcuni casi qualcuno le ritenga pure Fonti di rango costituzionale, soprattutto quando si prendono la briga di modificare il principio di presunzione di innocenza, vedi gli accertamenti sulla ristretta base sociale. Altra storia, però, che esula da quanto stiamo dicendo.   CREDITO DI IMPOSTA SUGLI AFFITTI DI BOTTEGHE E NEGOZI Fatto questo breve ripasso, riprendiamo da dove siamo partiti e cioè l’art. 65 del Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18 il quale dice, testualmente, che “al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all'emergenza epidemiologica da  COVID-19,  ai soggetti esercenti attività d'impresa è riconosciuto, per l'anno 2020, un credito d'imposta nella misura del 60 per cento dell'ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1”. Francamente devo ammettere che, in tutti questi anni di frequentazione delle norme tributarie, e non solo di quelle, quello appena citato mi pare un testo abbastanza chiaro. Ma nel mio campo c’è sempre qualcuno che, anche di fronte alle cose chiare, pratica l’arte del dubbio, come novello San Tommaso, senza prenderle per come sono scritte e incomincia a fare domande inutili. Tipo: “ma posso avere il credito di imposta anche nel caso di affitto di un capannone?”. No, non si può, perché c’è scritto “immobile rientrante nella categoria catastale C/1”, altrimenti ci sarebbe stata una dicitura più ampia, come ad esempio “immobili commerciali”. Oppure anche: “ho diritto al credito di imposta anche in caso di affitto d’azienda?”. Anche qui, ovviamente no, perché si parla di canone di locazione di immobili. Però la più bella di tutte è questa: “se io non ho pagato l’affitto di marzo ho diritto ad avere lo stesso il credito di imposta?”. Queste domande sono riportate anche sulla stampa qualificata, la quale sollecita le risposte con la solenne affermazione “è necessario attendersi chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate”. Quindi, se un chiarimento lo sollecitiamo poi qualcuno si sente in diritto di darlo e non è detto che sia a favore del contribuente, anzi spesso succede il contrario. Ciò è avvenuto anche per la questione del credito di imposta per i canoni di locazione di cui si diceva all’inizio. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il credito di imposta spetta solo per i negozi (categoria catastale C/1) e che questo credito non spetta se non è stato pagato il canone di affitto. La risposta alla domanda che non era da fare è questa: “Ancorché la disposizione si riferisca, genericamente, al 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, la stessa ha la finalità di ristorare il soggetto dal costo sostenuto costituito dal predetto canone, sicché in coerenza con tale finalità il predetto credito maturerà a seguito dell’avvenuto pagamento del canone medesimo”. Quindi la stessa Agenzia ammette che la disposizione è generica e si riferisce al 60% del canone di locazione, però secondo il suo autorevole parere, avendo questa agevolazione la finalità di ristorare il conduttore dal costo sostenuto del canone, il credito spetta se il canone è stato pagato. Peccato che la legge non dice nulla in merito al pagamento e, quindi, se non dice nulla vuol dire proprio questo: non vi è alcun limite rispetto al suo percepimento. Altrimenti lo avrebbe esplicitato chiaramente. Se poi il Fisco vuole dare un’altra interpretazione, lo può fare ma pur sempre di interpretazione si tratta e, per la gerarchia delle Fonti vista prima, non essendo di derivazione nè giurisprudenziale e nemmeno normativa, lascia il tempo che trova. LA CORTE DI CASSAZIONE E L'INTERPRETAZIONE DELLE NORME.  Tra l’altro, questa mania di fornire chiarimenti a leggi che non lo richiedono, ha trovato pure il biasimo della Corte di Cassazione la quale, con sentenza n. 29162 del 12/11/2019, tira le orecchie all’Agenzia delle Entrate dicendo che “nell’ipotesi in cui l’interpretazione letterale di una norma di legge o di una norma secondaria sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro e univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercè l’esame complessivo del testo, della “mens legis”, specie se, attraverso siffatto procedimento possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma si come inequivocabilmente espressa dal legislatore. Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l’elemento letterale e l’intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquista un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, sicchè il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all’equivocità del teso da interpretare”. Cari miei funzionari del Fisco, sembrano dire i Giudici della Cassazione, le norme si interpretano quando non sono chiare perché, altrimenti, si può arrivare a conclusioni che non sono nella volontà del legislatore. IL CREDITO DI IMPOSTA SPETTA ANCHE SE NON SI E' PAGATO IL CANONE.  In conclusione, siccome non c’è scritto da nessuna parte il contrario, il credito di imposta per gli affitti previsti dal Decreto Cura Italia si può avere anche se il canone non è stato pagato. Finito lì. Come dovrebbero finire lì anche molti miei colleghi, anche autorevoli, che fanno domande che non servono o quelle, peggio, che troverebbero risposta facendo ricorso a quel minimo di conoscenza del diritto che anche noi ragionieri di provincia dovremmo teoricamente avere.  

 

 

 

 

 

 

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DISCORSO ATTORNO ALLA S.R.L. E SULLE SOSTANZIALI FALSE NOTIZIE CHE GIRANO SU DI ESSA

Gio, 12/03/2020 - 20:13
Quando ho iniziato a fare questo mestiere, a metà degli anni duemila, i miei concorrenti più temibili erano il lattaio, il fruttivendolo e il macellaio i quali, fra una caciotta e un etto di prosciutto cotto pesato pure abbondante, dispensavano consigli in materia fiscale ai loro attenti clienti. Quest’ultimi, poi, forti delle nozioni acquisite durante la spesa si presentavano davanti alla mia scrivania ed esordivano con “il fornaio mi ha detto che…”, quasi a suggestionarmi per l’autorevolezza della fonte, per concludere suggerendomi come avrei dovuto fare per permettergli di pagare meno tasse.

L’evoluzione della tecnologia e la sostanziale scomparsa dei negozi di vicinato (i supermercati, oltre che la cortesia, con la loro asettica organizzazione hanno ucciso pure il sottobosco di consulenza fiscale spicciola sostanzialmente abusiva) hanno cambiato i luoghi dove reperire utili suggerimenti per risparmiare le imposte. E così la prima cosa che fanno una volta seduti sulla poltrona è dire “ho letto su Internet che…”. A questo punto, giusto l’altro giorno, mi sono un po’ arrabbiato e forte dei miei vent’anni di esperienza, mi sono sentito in dovere, per vendicare finalmente tutti i miei silenti e remissivi colleghi, che si piegano alla forza di un algoritmo e all’importo della parcella comunque da staccare a fine mese, di rispondere a tono al mio malcapitato cliente. Anche al prezzo di offenderlo.

C’è da dire che molti di questi, in realtà, approcciano il problema delle tasse nella stessa maniera con cui gli antivaccinisti approcciano il problema della salute pubblica: noi, come i medici, siamo parte di una specie di complotto della finanza mondialista, organizzato da Soros e dalla lobby dei banchieri ebrei, che, nel caso delle cure mediche, li obbligano a consumare medicinali che non gli servono e, nel caso dei commercialisti, li obbligano a pagare più tasse del dovuto. Fortuna che c’è Internet che smaschera questo complotto globale, che vede noi e i medici al soldo di Soros, con l’unico scopo di arricchirlo ai danni del cittadino inerme!

Quindi l’altro giorno, dopo che il poveretto mi ha detto “ho letto su Internet che se faccio una SRL pago meno tasse, non rischio niente e poi chiudo senza pagare nessuno” non mi sono più trattenuto e ho letteralmente esondato. L’ho guardato con un misto di benevolenza, tristezza e forse pure pietà, e gli ho risposto, girando attorno alla scrivania e mettendogli entrambe le mani sulle spalle: “Adesso siediti qui comodo, che ti spiego tutto”. E ho iniziato.

PUNTO PRIMO: NON ESISTE NEL NOSTRO ORDINAMENTO GIURIDICO UN SISTEMA LEGALE PER EVITARE DI PAGARE QUALCUNO.

Mi dispiace disilluderti, mio caro cliente, ma nel nostro sistema non esiste nessun metodo legale che ti consente di non pagare i tuoi debiti.  Tesi contrarie, ovviamente, sono false e chi le spaccia per vere o ti prende in giro oppure è un ignorante o finanche in malafede. O forse tutte e tre le cose.

La verità è che, come giusto che sia, il nostro ordinamento tutela il creditore e non il debitore. Ciò per l’ovvia ragione che nessun soggetto, dotato di una minima logica, investirebbe tempo e capitali in una impresa sapendo che il proprio cliente potrebbe, con mezzi del tutto legali, non pagare il corrispettivo del bene o servizio ricevuto.

Girano, però, soprattutto sulla rete sedicenti esperti che si vantano di avere la scienza infusa e raccontano di metodi che impediscono a chi deve avere i soldi di conseguire il suo risultato sperato.  Questi metodi sono, ad esempio, intestare tutto al coniuge o al figlio, costituire dei Trust, oppure ancora meglio, per quelli più raffinati, creare un G.E.I.E. a cui girare tutti i propri averi. Su quest’ultima soluzione ricordo che tempo fa si presentò da me un tizio che aveva debiti, soprattutto con le Banche, di importo tale da non far dormire sonni sereni né a lui, né alla sua prole né ai suoi eventuali nipoti.

Debiti, sia ben chiaro, contratti non per un comportamento criminoso degli istituti bancari ma bensì per coprire buchi creati da una gestione aziendale che definire surreale era quasi fargli un complimento. Orbene, il tizio, con un atteggiamento di superiorità a suo dire intellettuale, mi spiegò che un consulente (non un commercialista, proprio un consulente in questo “tipo di cose per uno che ha debiti”, come lo definì) gli aveva suggerito di costituire un Geie a cui intestare il suo patrimonio in modo da “fregare le banche e il Fisco”. Si spinse, a testimoniare la genialità della sua idea, a mimare il gesto di arresa che avrebbero fatto i banchieri di fronte alla soluzione adottata. Ci fu qualcosa, forse la mia innata educazione o calma olimpica, che mi trattenne da mettergli le mani addosso e domandargli se fosse diventato improvvisamente deficiente. Mi limitai a osservare, invece, che ciò che mi stava illustrando era un po’ assurdo. Lui, ovviamente, mi disse che non capivo niente di queste cose e mi fece pure parlare con il suo consulente il quale ebbe l’ardire di affermare che “voi commercialisti siete rimasti un po’ indietro e non conoscete questi strumenti innovativi per proteggere il patrimonio”.

Vecchio probabilmente sì, ma truffatore no. Perché, a fare come suggerisce lui, capitano due cose. Se va bene chi deve avere i soldi fa una bella azione revocatoria e tutta la costruzione viene smontata in poco tempo. Risultato: si pagano i debiti, le spese processuali, i danni e pure le consulenze avute da chi proponeva queste strampalate soluzioni. Se ti va male, visto che c’è di mezzo pure il Fisco, si incorre in un bellissimo reato penale chiamato intestazione fittizia di beni, previsto dall’art. 512 bis del nostro codice penale. E’ il reato compiuto dalla persona che intesta fittiziamente ad altri la titolarità dei beni o del denaro, ma continua ad averne l'effettiva disponibilità materiale. Pena prevista: galera da due a sei anni. Ovviamente anche il consulente innovativo viene condannato, quale suggeritore materiale del reato. Ma del suo destino, ovviamente, non me frega niente.

PUNTO DUE: L’AFFERMAZIONE “SE FACCIO UNA SRL NON RISCHIO NIENTE” E’ SOLO PARZIALMENTE VERA.

E’ vero che con una SRL non si rischia il proprio patrimonio, ma semplicemente il capitale conferito nella società. Come peraltro è vero che non si fallisce in proprio o meglio, non si subiscono le limitazioni delle libertà personali e patrimoniali previste dalle norme fallimentari. Però dire che “se faccio una srl non rischio niente” è affermare una mezza verità perché ciò accade solo se si partecipa alla società a titolo di socio di capitale, cioè limitandosi a dare dei soldi e a lasciare ad altri la sua conduzione. Se, invece, si partecipa materialmente alla gestione diventandone amministratore, il profilo di responsabilità patrimoniale muta. Infatti, il nostro ordinamento giuridico prevede che per i debiti contratti dalla società a responsabilità limitata risponde questa con il proprio patrimonio ma, in caso di insufficienza quest’ultimo, entra in gioco il patrimonio personale dell’amministratore.  

In più l’amministratore della SRL, qualora la sua società fallisse, potrebbe incorrere nei reati fallimentari quali la bancarotta fraudolenta o semplice, oppure il ricorso abusivo al credito. Qui l’obiezione del mio ormai inquieto cliente, tramortito dalla mia sapienza giuridica, è stata: “E quando mai io faccio questi reati, non sono mica un delinquente e mica stupido!”. Sulla stupidità non ho titolo per giudicare, ma sulla probabilità di compiere inconsapevolmente qualche reato, avrei qualcosa da dire. Infatti, vedi mio ignaro cliente, poniamo ad esempio che la tua attività vada un po’ male e che tu sia a corto di soldini. Dopo aver omesso di versare l’IVA, che invece di dare allo Stato hai dato al tuo fornitore altrimenti non ti avrebbe scaricato la merce, su consiglio del tuo esperto in ristrutturazioni aziendali (quello “moderno” del GEIE) vai nella tua Banca e chiedi di allargare un po’ il fido, oppure ti fai concedere un bel mutuo a supporto, “tanto poi arriva l’estate, incasso e pago i miei debiti”. L’estate arriva, passa pure ma non riesci a pagare niente, la società per un motivo o l’altro fallisce e tu ti ritrovi, dopo qualche tempo, condannato senza sapere neanche il perché, per ricorso abusivo al credito cioè per avere chiesto dei prestiti bancari per tamponare delle falle invece di chiudere tutto ed eventualmente chiedere il fallimento. Pena prevista: da sei mesi a tre anni. Quindi, mio caro cliente, con la SRL non rischi niente se l’attività va bene, ma se va malino rischi esattamente come tutte le altre forme giuridiche e di sicuro non chiudi evitando di pagare i tuoi creditori. 

PUNTO TRE: CON LA SRL RISPARMI LE TASSE SOLO A DETERMINATE CONDIZIONI.

Veniamo al punto che sta a cuore a tutti gli italiani: pagare meno tasse. Quando si dice che con la SRL paghi meno tasse si dice, anche qui, una mezza verità. E’ vero che si risparmiano le tasse, ma solo di fronte a una determinata soglia di utili e, comunque, di fronte alla relativa volontà di destinare quest’ultimi ad investimenti piuttosto che al sollazzo personale.

Prendiamo, come esempio, una parrucchiera che alla fine dell’anno registra un utile di 50.000 euro. Tralasciando la questione IRAP che pesa allo stesso modo a prescindere dalla forma giuridica adottata, vediamo la differenza di imposizione fra una ditta individuale e una SRL. Nel primo caso, la tassazione è progressiva, e il massimo di tasse che si paga sull’importo di euro 50.000,00 è di euro 15.138,24, pari a una aliquota media del 30,28%. Nel caso di una SRL, l’aliquota è del 24% cioè euro 12.000,00. “Ecco, vede dottore che si paga meno” mi obietta il mio cliente. Eh no, mio amico sprovveduto. Si paga meno se i soldi li lasci nella SRL, ma conoscendoti bene non credo che questo sia il tuo obiettivo. Tu vuoi usare quei quattrini per i tuoi vizietti personali, quindi se vuoi raggiungere questo risultato ti ritrovi davanti a due opzioni. La prima è che li fai uscire dalla società sotto forma di distribuzione degli utili. A questo punto ci paghi sopra un altro 26%, e cioè euro 9.880,00, calcolati sulla differenza fra l’utile di euro 50.000 e le tasse pagate dalla SRL. Quindi, complessivamente per goderti quei soldi hai pagato di tasse euro 21.880,00, cioè ben euro 6.741,76 in più delle tasse pagate come ditta individuale.  La seconda opzione che hai a disposizione è quella di percepire un compenso come amministratore ma, a questo punto, se ipotizziamo un compenso di euro 50.000,00 azzeriamo il vantaggio fiscale della SRL e paghi sul compenso le stesse tasse della ditta individuale. Quando si risparmia, quindi, utilizzando la forma della SRL? In due casi:

  • quando si decide di lasciare i soldi dentro la società e non spenderli per i propri piaceri personali. Accade, ad esempio, quando si vogliono fare degli investimenti per incrementare l’attività imprenditoriali. In tutti gli altri casi, difficilmente si ottengono risparmi di imposta rispetto a una ditta individuale o a una società di persone;
  • quando si ha un utile di impresa importante, indicativamente superiore ai duecentomila euro. Anche qui la condizione, però, è di lasciare gran parte di questi all’interno della società, destinando solo una residua all’utilizzo personale.
PUNTO QUATTRO: LA SRL NECESSITA DI UNA GESTIONE ORDINATA.

La SRL non va per niente bene agli imprenditori pastrocchioni, che nel caso italiano sfiorano il 94% del totale della categoria. Infatti, tutti noi abbiamo bisogno di utilizzare il reddito che produciamo per fare la spesa o per comprarci il macchinone, necessario a compensare la scarsa autostima rispetto alla nostra virilità. Quindi tendiamo a mettere le mani nel cassetto dell’azienda o a usare il bancomat per pagare spese voluttuose. Questo comportamento, in una ditta individuale o in una snc o sas, non ha conseguenze particolari.  Nell’ambito di una SRL, invece, nascono dei problemi proprio perchè vi è una netta separazione fra il patrimonio sociale e quello del socio. Prelevare denaro dalla cassa o dal conto corrente rientrano in quelle operazioni che fanno pensare o a un compenso all’amministratore, oppure a una distribuzione, più o meno occulta, di utili. A questo punto, come visto nel punto precedente, il risparmio fiscale va a farsi benedire con, in più, l’aggravante che occorre realizzare alcuni atti formali (convocare l’assemblea dei soci, ad esempio) per regolarizzare il prelievo del denaro. Ti puoi immaginare, mio ormai distrutto cliente, di dover convocare l’assemblea dei soci tutte le volte che devi fare la spesa con il bancomat della società e poi depositare la delibera all’Agenzia delle Entrate pagandoci sopra pure duecento euro di imposta di registro e le marche da bollo?

Come in ogni favola, alla fine c’è una morale. C’è pure in questa e prevede che, quando si parla di tasse, non esistono soluzioni che vanno bene per tutto, ma che devono essere ritagliate sulle esigenze di ciascun contribuente. Così vedi, mio errante cliente, come devi imparare a diffidare dei santoni in ambito medico, così devi imparare a diffidare pure dei santoni in ambito fiscale. Lui forse sì, ma tu non ne trai nessun beneficio ad ascoltarlo.

Adesso, però, vai pure che ho da fare. Ci vediamo alla prossima volta che leggerai una soluzione su Internet per risolvere i tuoi problemi con il Fisco italiano.

 

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DISCORSO ATTORNO ALLA S.R.L. E SULLE SOSTANZIALI FALSE NOTIZIE CHE GIRANO SU DI ESSA

Gio, 12/03/2020 - 20:13
Quando ho iniziato a fare questo mestiere, a metà degli anni duemila, i miei concorrenti più temibili erano il lattaio, il fruttivendolo e il macellaio i quali, fra una caciotta e un etto di prosciutto cotto pesato pure abbondante, dispensavano consigli in materia fiscale ai loro attenti clienti. Quest’ultimi, poi, forti delle nozioni acquisite durante la spesa si presentavano davanti alla mia scrivania ed esordivano con “il fornaio mi ha detto che…”, quasi a suggestionarmi per l’autorevolezza della fonte, per concludere suggerendomi come avrei dovuto fare per permettergli di pagare meno tasse.

L’evoluzione della tecnologia e la sostanziale scomparsa dei negozi di vicinato (i supermercati, oltre che la cortesia, con la loro asettica organizzazione hanno ucciso pure il sottobosco di consulenza fiscale spicciola sostanzialmente abusiva) hanno cambiato i luoghi dove reperire utili suggerimenti per risparmiare le imposte. E così la prima cosa che fanno una volta seduti sulla poltrona è dire “ho letto su Internet che…”. A questo punto, giusto l’altro giorno, mi sono un po’ arrabbiato e forte dei miei vent’anni di esperienza, mi sono sentito in dovere, per vendicare finalmente tutti i miei silenti e remissivi colleghi, che si piegano alla forza di un algoritmo e all’importo della parcella comunque da staccare a fine mese, di rispondere a tono al mio malcapitato cliente. Anche al prezzo di offenderlo.

C’è da dire che molti di questi, in realtà, approcciano il problema delle tasse nella stessa maniera con cui gli antivaccinisti approcciano il problema della salute pubblica: noi, come i medici, siamo parte di una specie di complotto della finanza mondialista, organizzato da Soros e dalla lobby dei banchieri ebrei, che, nel caso delle cure mediche, li obbligano a consumare medicinali che non gli servono e, nel caso dei commercialisti, li obbligano a pagare più tasse del dovuto. Fortuna che c’è Internet che smaschera questo complotto globale, che vede noi e i medici al soldo di Soros, con l’unico scopo di arricchirlo ai danni del cittadino inerme!

Quindi l’altro giorno, dopo che il poveretto mi ha detto “ho letto su Internet che se faccio una SRL pago meno tasse, non rischio niente e poi chiudo senza pagare nessuno” non mi sono più trattenuto e ho letteralmente esondato. L’ho guardato con un misto di benevolenza, tristezza e forse pure pietà, e gli ho risposto, girando attorno alla scrivania e mettendogli entrambe le mani sulle spalle: “Adesso siediti qui comodo, che ti spiego tutto”. E ho iniziato.

PUNTO PRIMO: NON ESISTE NEL NOSTRO ORDINAMENTO GIURIDICO UN SISTEMA LEGALE PER EVITARE DI PAGARE QUALCUNO.

Mi dispiace disilluderti, mio caro cliente, ma nel nostro sistema non esiste nessun metodo legale che ti consente di non pagare i tuoi debiti.  Tesi contrarie, ovviamente, sono false e chi le spaccia per vere o ti prende in giro oppure è un ignorante o finanche in malafede. O forse tutte e tre le cose.

La verità è che, come giusto che sia, il nostro ordinamento tutela il creditore e non il debitore. Ciò per l’ovvia ragione che nessun soggetto, dotato di una minima logica, investirebbe tempo e capitali in una impresa sapendo che il proprio cliente potrebbe, con mezzi del tutto legali, non pagare il corrispettivo del bene o servizio ricevuto.

Girano, però, soprattutto sulla rete sedicenti esperti che si vantano di avere la scienza infusa e raccontano di metodi che impediscono a chi deve avere i soldi di conseguire il suo risultato sperato.  Questi metodi sono, ad esempio, intestare tutto al coniuge o al figlio, costituire dei Trust, oppure ancora meglio, per quelli più raffinati, creare un G.E.I.E. a cui girare tutti i propri averi. Su quest’ultima soluzione ricordo che tempo fa si presentò da me un tizio che aveva debiti, soprattutto con le Banche, di importo tale da non far dormire sonni sereni né a lui, né alla sua prole né ai suoi eventuali nipoti.

Debiti, sia ben chiaro, contratti non per un comportamento criminoso degli istituti bancari ma bensì per coprire buchi creati da una gestione aziendale che definire surreale era quasi fargli un complimento. Orbene, il tizio, con un atteggiamento di superiorità a suo dire intellettuale, mi spiegò che un consulente (non un commercialista, proprio un consulente in questo “tipo di cose per uno che ha debiti”, come lo definì) gli aveva suggerito di costituire un Geie a cui intestare il suo patrimonio in modo da “fregare le banche e il Fisco”. Si spinse, a testimoniare la genialità della sua idea, a mimare il gesto di arresa che avrebbero fatto i banchieri di fronte alla soluzione adottata. Ci fu qualcosa, forse la mia innata educazione o calma olimpica, che mi trattenne da mettergli le mani addosso e domandargli se fosse diventato improvvisamente deficiente. Mi limitai a osservare, invece, che ciò che mi stava illustrando era un po’ assurdo. Lui, ovviamente, mi disse che non capivo niente di queste cose e mi fece pure parlare con il suo consulente il quale ebbe l’ardire di affermare che “voi commercialisti siete rimasti un po’ indietro e non conoscete questi strumenti innovativi per proteggere il patrimonio”.

Vecchio probabilmente sì, ma truffatore no. Perché, a fare come suggerisce lui, capitano due cose. Se va bene chi deve avere i soldi fa una bella azione revocatoria e tutta la costruzione viene smontata in poco tempo. Risultato: si pagano i debiti, le spese processuali, i danni e pure le consulenze avute da chi proponeva queste strampalate soluzioni. Se ti va male, visto che c’è di mezzo pure il Fisco, si incorre in un bellissimo reato penale chiamato intestazione fittizia di beni, previsto dall’art. 512 bis del nostro codice penale. E’ il reato compiuto dalla persona che intesta fittiziamente ad altri la titolarità dei beni o del denaro, ma continua ad averne l'effettiva disponibilità materiale. Pena prevista: galera da due a sei anni. Ovviamente anche il consulente innovativo viene condannato, quale suggeritore materiale del reato. Ma del suo destino, ovviamente, non me frega niente.

PUNTO DUE: L’AFFERMAZIONE “SE FACCIO UNA SRL NON RISCHIO NIENTE” E’ SOLO PARZIALMENTE VERA.

E’ vero che con una SRL non si rischia il proprio patrimonio, ma semplicemente il capitale conferito nella società. Come peraltro è vero che non si fallisce in proprio o meglio, non si subiscono le limitazioni delle libertà personali e patrimoniali previste dalle norme fallimentari. Però dire che “se faccio una srl non rischio niente” è affermare una mezza verità perché ciò accade solo se si partecipa alla società a titolo di socio di capitale, cioè limitandosi a dare dei soldi e a lasciare ad altri la sua conduzione. Se, invece, si partecipa materialmente alla gestione diventandone amministratore, il profilo di responsabilità patrimoniale muta. Infatti, il nostro ordinamento giuridico prevede che per i debiti contratti dalla società a responsabilità limitata risponde questa con il proprio patrimonio ma, in caso di insufficienza quest’ultimo, entra in gioco il patrimonio personale dell’amministratore.  

In più l’amministratore della SRL, qualora la sua società fallisse, potrebbe incorrere nei reati fallimentari quali la bancarotta fraudolenta o semplice, oppure il ricorso abusivo al credito. Qui l’obiezione del mio ormai inquieto cliente, tramortito dalla mia sapienza giuridica, è stata: “E quando mai io faccio questi reati, non sono mica un delinquente e mica stupido!”. Sulla stupidità non ho titolo per giudicare, ma sulla probabilità di compiere inconsapevolmente qualche reato, avrei qualcosa da dire. Infatti, vedi mio ignaro cliente, poniamo ad esempio che la tua attività vada un po’ male e che tu sia a corto di soldini. Dopo aver omesso di versare l’IVA, che invece di dare allo Stato hai dato al tuo fornitore altrimenti non ti avrebbe scaricato la merce, su consiglio del tuo esperto in ristrutturazioni aziendali (quello “moderno” del GEIE) vai nella tua Banca e chiedi di allargare un po’ il fido, oppure ti fai concedere un bel mutuo a supporto, “tanto poi arriva l’estate, incasso e pago i miei debiti”. L’estate arriva, passa pure ma non riesci a pagare niente, la società per un motivo o l’altro fallisce e tu ti ritrovi, dopo qualche tempo, condannato senza sapere neanche il perché, per ricorso abusivo al credito cioè per avere chiesto dei prestiti bancari per tamponare delle falle invece di chiudere tutto ed eventualmente chiedere il fallimento. Pena prevista: da sei mesi a tre anni. Quindi, mio caro cliente, con la SRL non rischi niente se l’attività va bene, ma se va malino rischi esattamente come tutte le altre forme giuridiche e di sicuro non chiudi evitando di pagare i tuoi creditori. 

PUNTO TRE: CON LA SRL RISPARMI LE TASSE SOLO A DETERMINATE CONDIZIONI.

Veniamo al punto che sta a cuore a tutti gli italiani: pagare meno tasse. Quando si dice che con la SRL paghi meno tasse si dice, anche qui, una mezza verità. E’ vero che si risparmiano le tasse, ma solo di fronte a una determinata soglia di utili e, comunque, di fronte alla relativa volontà di destinare quest’ultimi ad investimenti piuttosto che al sollazzo personale.

Prendiamo, come esempio, una parrucchiera che alla fine dell’anno registra un utile di 50.000 euro. Tralasciando la questione IRAP che pesa allo stesso modo a prescindere dalla forma giuridica adottata, vediamo la differenza di imposizione fra una ditta individuale e una SRL. Nel primo caso, la tassazione è progressiva, e il massimo di tasse che si paga sull’importo di euro 50.000,00 è di euro 15.138,24, pari a una aliquota media del 30,28%. Nel caso di una SRL, l’aliquota è del 24% cioè euro 12.000,00. “Ecco, vede dottore che si paga meno” mi obietta il mio cliente. Eh no, mio amico sprovveduto. Si paga meno se i soldi li lasci nella SRL, ma conoscendoti bene non credo che questo sia il tuo obiettivo. Tu vuoi usare quei quattrini per i tuoi vizietti personali, quindi se vuoi raggiungere questo risultato ti ritrovi davanti a due opzioni. La prima è che li fai uscire dalla società sotto forma di distribuzione degli utili. A questo punto ci paghi sopra un altro 26%, e cioè euro 9.880,00, calcolati sulla differenza fra l’utile di euro 50.000 e le tasse pagate dalla SRL. Quindi, complessivamente per goderti quei soldi hai pagato di tasse euro 21.880,00, cioè ben euro 6.741,76 in più delle tasse pagate come ditta individuale.  La seconda opzione che hai a disposizione è quella di percepire un compenso come amministratore ma, a questo punto, se ipotizziamo un compenso di euro 50.000,00 azzeriamo il vantaggio fiscale della SRL e paghi sul compenso le stesse tasse della ditta individuale. Quando si risparmia, quindi, utilizzando la forma della SRL? In due casi:

  • quando si decide di lasciare i soldi dentro la società e non spenderli per i propri piaceri personali. Accade, ad esempio, quando si vogliono fare degli investimenti per incrementare l’attività imprenditoriali. In tutti gli altri casi, difficilmente si ottengono risparmi di imposta rispetto a una ditta individuale o a una società di persone;
  • quando si ha un utile di impresa importante, indicativamente superiore ai duecentomila euro. Anche qui la condizione, però, è di lasciare gran parte di questi all’interno della società, destinando solo una residua all’utilizzo personale.
PUNTO QUATTRO: LA SRL NECESSITA DI UNA GESTIONE ORDINATA.

La SRL non va per niente bene agli imprenditori pastrocchioni, che nel caso italiano sfiorano il 94% del totale della categoria. Infatti, tutti noi abbiamo bisogno di utilizzare il reddito che produciamo per fare la spesa o per comprarci il macchinone, necessario a compensare la scarsa autostima rispetto alla nostra virilità. Quindi tendiamo a mettere le mani nel cassetto dell’azienda o a usare il bancomat per pagare spese voluttuose. Questo comportamento, in una ditta individuale o in una snc o sas, non ha conseguenze particolari.  Nell’ambito di una SRL, invece, nascono dei problemi proprio perchè vi è una netta separazione fra il patrimonio sociale e quello del socio. Prelevare denaro dalla cassa o dal conto corrente rientrano in quelle operazioni che fanno pensare o a un compenso all’amministratore, oppure a una distribuzione, più o meno occulta, di utili. A questo punto, come visto nel punto precedente, il risparmio fiscale va a farsi benedire con, in più, l’aggravante che occorre realizzare alcuni atti formali (convocare l’assemblea dei soci, ad esempio) per regolarizzare il prelievo del denaro. Ti puoi immaginare, mio ormai distrutto cliente, di dover convocare l’assemblea dei soci tutte le volte che devi fare la spesa con il bancomat della società e poi depositare la delibera all’Agenzia delle Entrate pagandoci sopra pure duecento euro di imposta di registro e le marche da bollo?

Come in ogni favola, alla fine c’è una morale. C’è pure in questa e prevede che, quando si parla di tasse, non esistono soluzioni che vanno bene per tutto, ma che devono essere ritagliate sulle esigenze di ciascun contribuente. Così vedi, mio errante cliente, come devi imparare a diffidare dei santoni in ambito medico, così devi imparare a diffidare pure dei santoni in ambito fiscale. Lui forse sì, ma tu non ne trai nessun beneficio ad ascoltarlo.

Adesso, però, vai pure che ho da fare. Ci vediamo alla prossima volta che leggerai una soluzione su Internet per risolvere i tuoi problemi con il Fisco italiano.

 

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Emilia Romagna: la Regione aiuta le P.M.I. a svilupparsi e a crescere

Mer, 16/10/2019 - 15:13

La Regione Emilia Romagna al fianco delle PMI per favorire e aiutare la loro crescita dimensionale attraverso un bando di finanziamento a fondo perduto. 

Con Delibera di Giunta regionale n. 1266 del 22 luglio 2019  sono state approvate, infatti, misure di sostegno rivolte alla piccole e medie imprese impegnate in percorsi di innovazione tecnologica e diversificazione dei propri prodotti e/o servizi, con l'obiettivo di accrescere la quota di mercato o di penetrare in nuovi mercati.La Regione Emilia Romagna sostiene progetti basati sull’acquisto dei seguenti servizi: 
  • consulenze tecnologiche e di ricerca, studi e analisi tecniche; 
  • prove sperimentali, misure, calcolo; 
  • progettazione software, multimediale e componentistica digitale 
  • design di prodotto/servizio e concept design; 
  • stampa 3D di elementi prototipali; 
  • progettazione impianti pilota 
I contratti di fornitura dovranno essere stipulati per almeno il 40% del valore del progetto con soggetti che appartengano alle tre tipologie sottoelencate: 
  • Laboratori di ricerca e centri per l'innovazione accreditati ai sensi della DGR 762/2014 appartenenti alla Rete Regionale dell’Alta Tecnologia; 
  • Università e altre istituzioni di rango universitario, anche del campo artistico, enti pubblici di ricerca, organismi di ricerca così come definiti dalla vigente disciplina comunitaria in materia di aiuti di stato a favore della ricerca e sviluppo e dell'innovazione;
  • Start-up innovative e PMI innovative, registrate alla data di pubblicazione del presente bando negli appositi elenchi speciali del Registro delle imprese della Camera di Commercio.
CARATTERISTICHE DEI PROGETTI Il progetto di innovazione ammissibile dovrà avere un costo minimo di euro 20.000,00 e massimo di euro 80.000,00.
I progetti di innovazione e diversificazione devono riguardare la realizzazione di progetti che comportino almeno una delle seguenti azioni:
  • l’ampliamento della gamma dei prodotti e/o servizi; 
  • la loro significativa ridefinizione tecnologica e funzionale in senso innovativo; 
  • l’introduzione di contenuti e processi digitali e di innovazione di servizio in grado di modificare in modo sostanziale il rapporto con clienti e stakeholders;
  • la ricaratterizzazione dei prodotti e dei servizi verso le esigenze di sostenibilità ambientale, inclusione e qualità di vita, cultura e società dell’informazione. 
SOGGETTI BENEFICIARI Possono presentare domanda singole imprese esclusivamente PMI ai sensi della vigente normativa comunitaria che abbiano le seguente caratteristiche
  • sede operativa o unità produttiva ove svolgere il progetto ubicata in Emilia-Romagna; 
  • bilancio approvato al 2018;
MISURA DELL'AGEVOLAZIONE Le agevolazioni sono concesse nella forma del contributo alla spesa nella misura del 50% delle spese ammissibili.  PARAMETRO DI AFFIDABILITA' FINANZIARIA I soggetti proponenti, per partecipare al presente bando, debbono soddisfare il seguente parametro economico finanziario, basato sul bilancio 2018, approvato per le società di persona, e depositato alla competente Camera di Commercio invece per le atre tipologie di società:   COSTO DEL PROGETTO/RICAVI DELLE VENDITE E DELLE PRESTAZIONI MINORE O UGUALE AL 10%, In sostanza il costo del progetto non deve essere superiore al 10% del fatturato.  SCADENZE  La domanda dovrà essere presentata a partire dalle ore 10 del 18 novembre 2019 fino alle ore 13 del 18 dicembre 2019. Notizie ImpreseOggi
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Emilia Romagna: la Regione aiuta le P.M.I. a svilupparsi e a crescere

Mer, 16/10/2019 - 15:13

La Regione Emilia Romagna al fianco delle PMI per favorire e aiutare la loro crescita dimensionale attraverso un bando di finanziamento a fondo perduto. 

Con Delibera di Giunta regionale n. 1266 del 22 luglio 2019  sono state approvate, infatti, misure di sostegno rivolte alla piccole e medie imprese impegnate in percorsi di innovazione tecnologica e diversificazione dei propri prodotti e/o servizi, con l'obiettivo di accrescere la quota di mercato o di penetrare in nuovi mercati.La Regione Emilia Romagna sostiene progetti basati sull’acquisto dei seguenti servizi: 
  • consulenze tecnologiche e di ricerca, studi e analisi tecniche; 
  • prove sperimentali, misure, calcolo; 
  • progettazione software, multimediale e componentistica digitale 
  • design di prodotto/servizio e concept design; 
  • stampa 3D di elementi prototipali; 
  • progettazione impianti pilota 
I contratti di fornitura dovranno essere stipulati per almeno il 40% del valore del progetto con soggetti che appartengano alle tre tipologie sottoelencate: 
  • Laboratori di ricerca e centri per l'innovazione accreditati ai sensi della DGR 762/2014 appartenenti alla Rete Regionale dell’Alta Tecnologia; 
  • Università e altre istituzioni di rango universitario, anche del campo artistico, enti pubblici di ricerca, organismi di ricerca così come definiti dalla vigente disciplina comunitaria in materia di aiuti di stato a favore della ricerca e sviluppo e dell'innovazione;
  • Start-up innovative e PMI innovative, registrate alla data di pubblicazione del presente bando negli appositi elenchi speciali del Registro delle imprese della Camera di Commercio.
CARATTERISTICHE DEI PROGETTI Il progetto di innovazione ammissibile dovrà avere un costo minimo di euro 20.000,00 e massimo di euro 80.000,00.
I progetti di innovazione e diversificazione devono riguardare la realizzazione di progetti che comportino almeno una delle seguenti azioni:
  • l’ampliamento della gamma dei prodotti e/o servizi; 
  • la loro significativa ridefinizione tecnologica e funzionale in senso innovativo; 
  • l’introduzione di contenuti e processi digitali e di innovazione di servizio in grado di modificare in modo sostanziale il rapporto con clienti e stakeholders;
  • la ricaratterizzazione dei prodotti e dei servizi verso le esigenze di sostenibilità ambientale, inclusione e qualità di vita, cultura e società dell’informazione. 
SOGGETTI BENEFICIARI Possono presentare domanda singole imprese esclusivamente PMI ai sensi della vigente normativa comunitaria che abbiano le seguente caratteristiche
  • sede operativa o unità produttiva ove svolgere il progetto ubicata in Emilia-Romagna; 
  • bilancio approvato al 2018;
MISURA DELL'AGEVOLAZIONE Le agevolazioni sono concesse nella forma del contributo alla spesa nella misura del 50% delle spese ammissibili.  PARAMETRO DI AFFIDABILITA' FINANZIARIA I soggetti proponenti, per partecipare al presente bando, debbono soddisfare il seguente parametro economico finanziario, basato sul bilancio 2018, approvato per le società di persona, e depositato alla competente Camera di Commercio invece per le atre tipologie di società:   COSTO DEL PROGETTO/RICAVI DELLE VENDITE E DELLE PRESTAZIONI MINORE O UGUALE AL 10%, In sostanza il costo del progetto non deve essere superiore al 10% del fatturato.  SCADENZE  La domanda dovrà essere presentata a partire dalle ore 10 del 18 novembre 2019 fino alle ore 13 del 18 dicembre 2019. Notizie ImpreseOggi
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COMMERCIO AL DETTAGLIO: UN BANDO A FONDO PERDUTO DA PARTE DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA.

Ven, 31/05/2019 - 16:54

La Regione Emilia Romagna eroga un contributo a fondo perduto per i commercianti al dettaglio e lo fa attraverso la delibera di Giunta regionale n. 586 del 15 aprile 2019 Obiettivo dichiarato è quello di agevolare un nuovo posizionamento delle attività di vendita al dettaglio, promuovendo un cambiamento strutturale finalizzato all’accrescimento della competitività delle imprese del settore. In particolare la volontà della Regione Emilia Romagna è quella di supportare le imprese commerciali, e in particolare i piccoli esercizi di vicinato, nei processi di cambiamento e innovazione, soprattutto nell’ambito digitale e tecnologico, che sono necessari per affrontare la trasformazione dei mercati nonché per intercettare le nuove tendenze nei comportamenti dei consumatori. 

BENEFICIARI

I beneficiari dell’iniziativa sono le micro, le piccole e le medie imprese che esercitano attività commerciale al dettaglio in sede fissa e che hanno i requisiti di esercizio di vicinato ai sensi della vigente normativa (art. 4, comma 1, lettera d del D. Lgs. 114/1998 e smi). Più in particolare tutte le attività che rientrano nella sezione G47 dei settori di attività economica Ateco 2007, con esclusione dei seguenti gruppi e sottogruppi: 
47.11.1 “Ipermercati”; 47.11.2 “Supermercati”; 47.3 “Commercio al dettaglio di carburante per autotrazione”; 47.8 “Commercio al dettaglio ambulante”; 47.9 “Commercio al dettaglio al di fuori di negozi, banchi e mercati”) 

MISURA DEL CONTRIBUTO

L’agevolazione consiste nell’erogazione di un contributo a fondo perduto nella misura del 40% della spesa ammessa che potrà essere aumentato con le seguenti premialità:

  • + 5% per progetti di investimento: 
    • con ricaduta positiva sull’occupazione 
    • e/o proposti da imprese femminili e/o giovanili;
    • e/o con rating di legalità;
    • e/o appartenenti ai settori della S3 
  • + 5% per progetti di investimento proposti da imprese che sono localizzate in aree montane o in aree 107.3. c. In questo caso il contributo massimo è di euro 50.000,00
TIPOLOGIA DI PROGETTI FINANZIABILI 

I progetti finanziabili con il bando devono essere realizzati all’interno di unità locali situate in Emilia Romagna e devono prevedere la realizzazione di interventi finalizzati all’innovazione gestionale, alla creazione di nuovi sistemi di vendita e di servizio che prevedano l’impiego delle moderne moderne tecnologie digitali. In particolare:

  1. Acquisto di soluzioni e sistemi digitali per l’organizzazione del back-end (soluzioni a supporto della fatturazione elettronica, self scanning, sistemi di business intelligence e business analytics, soluzioni per incrementare le Azioni 3.3.2 e 3.3.4 del POR FESR 2014/2020 Bando per l’innovazione nel settore del commercio al dettaglio performance di magazzino, come il voice picking, sistemi per il monitoraggio dei clienti in negozio (attraverso telecamere e sensori), Sistemi per demand and distribution planning, sistemi di tracciamento dei prodotti lungo la supply chain attraverso RFId, soluzioni di intelligent transportation system);
  2. sviluppo di servizi di front-end e customer experience nel punto vendita (sistemi per l’accettazione di pagamenti innovativi, sistemi per l’accettazione di couponing e loyalty, chioschi, totem e touchpoint, sistemi di cassa evoluti e Mobile POS, Electronic Shelf Labeling, digital signage, vetrine intelligenti, specchi e camerini smart, realtà aumentata, sistemi di sales force automation, sistemi di in store mobility, sistemi CRM, proximity marketing, sistemi di self-scanning);
  3. omnicanalità con integrazione con la dimensione del retail on line (sviluppo di canali digitali per supportare le fasi di prevendita, post-vendita o per abilitare la vendita, sviluppo di app e mobile site per le fasi di pre-vendita, post-vendita o per abilitare la vendita; siti informativi/e commerce e app/mobile site); 
  4. promozione del punto vendita attraverso canali web.

I progetti dovranno prevedere un investimento non inferiore ad € 10.000 esclusa IVA 

SPESE AMMISSIBILI 

Le spese ammissibili sono le seguenti:

  • Spese per acquisto di dotazioni informatiche ed attrezzature tecnologicamente innovative; 
  • Spese per acquisto di servizi di cloud computing e di licenze; 
  • Spese per l’acquisto di arredi e l’allestimento dei locali, comprese le opere murarie, edili ed impiantistiche; 
  • Spese promozionali su canali web strettamente connesse al progetto; 
  • Spese per l’acquisizione di servizi di consulenza strettamente connessi alla realizzazione dei progetti e/o richiesti per la presentazione delle domande. 
PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA 

Le domande possono essere presentate dalle ore 10.00 del giorno 20/05/2019 alle ore 13.00 del giorno 11/07/2019. 
I progetti dovranno essere avviati dalla data della domanda e fino al giorno 31.12.2019.

Altre informazioni sul bando potranno essere richieste allo Studio.  

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CONTRIBUTI A FONDO PERDUTO PER I LIBERI PROFESSIONISTI: DALLA REGIONE EMILIA ROMAGNA UN AIUTO A CHI INVESTE IN INNOVAZIONE.

Mer, 03/04/2019 - 00:30
Con la delibera di Giunta regionale n. 368 dell'11 marzo 2019 la Regione Emilia-Romagna ha deciso di aiutare i liberi professionisti che intendono promuovere l’uso dell’innovazione per l’ampliamento e il potenziamento dei servizi offerti dalla propria struttura.  Beneficiari e Destinatari I destinatari del contributo a fondo perduto previsto dalla Regione Emilia Romagna per i liberi professionisti sono:
  • Liberi professionisti ordinistici, che sono titolari di partita Iva e che esercitano attività professionali riservate per legge (Commercialisti, Avvocati, Geometri, Ingegneri eccetera) e che sono iscritti ai relativi Albi o Collegi professionali così come previsti dall’art. 2229 del Codice Civile. Oltre all’iscrizione ai rispettivi ordini professionali, i richiedenti il contributo devono essere iscritti alle rispettive Casse di Previdenza e possono operare in forma singola, associata o societaria;
  • Liberi professionisti non ordinistici, cioè non esercitanti attività professionali protette, che siano titolari di partita Iva, autonomi, e che operano in forma singola, o associata attraverso “studi formalmente costituiti“, con esclusione della forma di impresa. I liberi professionisti non ordinistici, che richiedono il contributo, devo essere iscritti alla gestione separata Inps come previsto dall'art. 2, comma 26 della Legge 335/95, e possono essere anche appartenenti ad Associazioni professionali riconosciute di cui alla Legge n.4/2013.
Interventi ammissibili Gli interventi ammissibili ai fini dell’ammissione al contributo a fondo perduto previsto dalla Regione Emilia Romagna sono:
  • Interventi legati alla innovazione tecnologica e finalizzati:
    • allo sviluppo innovativo dei sistemi informatici - informativi e dei processi di digitalizzazione del lavoro; 
    • alla informatizzazione e alle innovazioni di processo;
    • ad automatizzare e informatizzare l’attività anche con acquisto di strumenti e attrezzature professionali tecnico strumentali e tecnologiche. 
  • Interventi volti alla ristrutturazione, l’organizzazione e il riposizionamento strategico delle attività libero professionali finalizzati: 
    • a migliorare l’efficienza dei processi di erogazione dei servizi, innovare i servizi con particolare riferimento alla sperimentazione di metodologie e applicazioni innovative nel campo della progettazione, dei processi e del monitoraggio; 
    • a sviluppare sistemi che favoriscano l’integrazione di altri processi strategici all’attività professionale/imprenditoriale; 
    • al riposizionamento strategico dell’attività professionale. 
  • Interventi finalizzati alla diffusione della cultura dell’organizzazione e alla gestione/valutazione economica dell’attività professionale finalizzata a progettare e implementare un piano di riposizionamento e sviluppo dell’attività professionale o dell’impresa che preveda di sfruttare le opportunità date dalla digitalizzazione dei servizi. 
Nel caso di forme aggregate le iniziative proposte dovranno favorire lo sviluppo dell’aggregazione, la diversificazione dei servizi, le azioni di comunicazione e marketing, i servizi promozionali, i servizi di supporto alle decisioni, i processi di internazionalizzazione, quale strumento di rafforzamento della competitività sistemica del territorio e dei professionisti del territorio. Tipologia e misura del contributo La tipologia e la misura del contributo a fondo perduto erogato dalla Regione Emilia Romagna per i giovani professionisti prevede:
L’agevolazione, a fondo perduto, é concessa nell'ambito del regime de minimis, nella misura del 40% dell’investimento ritenuto ammissibile.
La percentuale di contributo è elevata al 45% qualora ricorra una delle seguenti ipotesi:
  • nel caso in cui il beneficiario realizzi un incremento occupazionale;
  • nel caso in cui il beneficiario caratterizzati dalla rilevanza della componente femminile/giovanile;
  • nel caso in cui il beneficiario sia in possesso del rating di legalità;
  • nel caso in cui la sede operativa o unità locale oggetto dell’intervento sia localizzata in area montana oppure nelle aree 107.3.C. definite dalla commissione europea.
I progetti dovranno avere una dimensione minima di investimento ammesso pari a € 15.000, mentre l’importo massimo del contributo concedibile per ciascun progetto non potrà eccedere la somma complessiva di € 25.000. Spese ammissibili Le spese ammissibili ai fini della concessione del contributo a fondo perduto sono:
  • acquisto di attrezzature, infrastrutture telematiche, tecnologiche, digitali finalizzate alla realizzazione di piattaforme, siti web, al miglioramento della connettività di rete, alla digitalizzazione e la dematerializzazione dell’attività, compresa la strumentazione accessoria al loro funzionamento; 
  • spese per l’acquisizione di brevetti, licenze software; solo per le forme aggregate sono ammissibili spese per strumenti di comunicazione (brochure e/o materiale editoriale); 
  • spese accessorie di carattere edilizio strettamente connesse alla installazione e posa in opera dei beni strumentali, nel limite massimo di 5.000 euro; 
  • spese per l’acquisizione di consulenze specializzate, comprese, per i singoli professionisti le anasi di fattibilità per creare forme aggregate di professionisti.
Per le forme aggregate già costituite, sono ammissibili le consulenze supporto e potenziamento dell’aggregazione stessa compresi i costi relativi al manager di rete. Tali spese sono riconosciute nella misura massima del 30% della somma totale delle altre voci di spesa. 
Ad ogni modo tutte le spese dovranno essere sostenute dopo la presentazione della domanda ed entro l’anno 2019 Modalità di presentazione della domanda  Le domande di contributo a fondo perduto per le attività dei liberi professionisti dovranno essere compilate ed inviate esclusivamente telematicamente attraverso l’applicazione, realizzata dalla Regione Emilia Romagna, e denominata SFINGE 2020. 
Alla domanda di contributo a fondo perduto dovranno essere allegati i seguenti documenti: 
  • dichiarazione di inizio attività; 
  • attestazione di regolarità contributiva rilasciata dalla cassa previdenziale di competenza; 
  • dichiarazioni necessarie all’ottenimento, da parte della Regione delle comunicazioni antimafia; 
  • dichiarazione di presa visione e adesione Alla Carta dei principi di responsabilità sociale. 
Termini per la presentazione della domanda e per la conclusione del progetto  La trasmissione delle domande di contributo dovrà essere effettuata: 
Dalle ore 10,00 del giorno 9 aprile 2019 alle ore 17,00 del giorno 30 maggio 2019.  Essendo una “domanda a sportello”, e cioè il contributo a fondo perduto sarà concesso in base all’ordine cronologico di presentazione delle domande di contributo ai sensi dell’articolo 5, comma 3 del D.Lgs. 123/1998
I termini di chiusura saranno anticipati qualora si raggiunga il numero di 100 domande ammesse al finanziamento.  Notizie ImpreseOggi
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CONTRIBUTI PER ASSOCIAZIONI CULTURALI: DALL'EMILIA ROMAGNA DUE BANDI DI FINANZIAMENTO

Ven, 01/03/2019 - 14:22
La Regione Emilia Romagna interviene in aiuto delle Associazioni del Terzo settore sostenendo le attività di promozione culturale ai sensi della legge regionale 37/94. E lo fa attraverso la pubblicazione di due avvisi di finanziamento. Il primo,  denominato Avviso per le attività di promozione culturale 2019, è destinato alle associazioni iscritte nei registri regionali della promozione sociale e del volontariato, alle istituzioni e organizzazioni culturali, ai Comuni e alle Unioni di Comuni. Il secondo, denominato Avviso per attività di promozione culturale tramite convenzione, riguarda la stipula di Convenzioni triennali con associazioni, organizzazioni e istituzioni culturali di dimensione regionale, oltre che con Unioni di Comuni. Per entrambi i progetti le risorse a disposizione sono 3,7 milioni di euro. OBIETTIVI DEI BANDI DI FINANZIAMENTO Obiettivo e scopo di entrambi gli avvisi è quello di sostenere progetti e iniziative che riguardino:
  • la cultura popolare, la storia e le tradizioni locali e di altre culture presenti nel territorio;
  • la realizzazione di interventi e progetti finalizzati a promuovere le espressioni dell’arte contemporanea, la creatività giovanile e i nuovi talenti;
  • la diffusione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile; iniziative a sostegno dell’intercultura e del dialogo interreligioso.
Inoltre la Regione Emilia Romagna si prefigge l’obiettivo di  favorire l’educazione all’ascolto, alla lettura, alla visione, e ad una maggiore comprensione dei linguaggi e dei mezzi espressivi, soprattutto attraverso iniziative innovative in grado di stimolare la partecipazione dei cittadini e la crescita di imprese creative. Infine, tramite i due avvisi di promozione delle attività culturali, vengono incentivate iniziative, sia con ambito sovralocale sia volte alla realizzazione di progetti integrati che possano favorire l’aggregazione e l’interazione tra vari soggetti, in un’ottica di ottimizzazione della spesa. BENEFICIARI E REQUISITI FORMALI PER L’AVVISO PER ATTIVITA’ DI PROMOZIONE CULTURALE TRAMITE CONVENZIONE Nel caso dell’Avviso per attività di promozione culturale tramite convenzione, i destinatari, che devono avere la propria sede legale all'interno regionale, sono i seguenti:

Le Istituzioni culturali di dimensione regionale devono: 

  • operare senza fini di lucro; 
  • prestare servizi nel campo culturale; 
  • svolgere attività non saltuaria e di rilevante valore culturale da almeno due anni; 
  • disporre di strutture, attrezzature e organizzazione adeguate allo svolgimento delle proprie attività; 
  • garantire responsabilità di direzione scientifica; 
  • disporre di risorse patrimoniali adeguate alle esigenze gestionali 
Il sostegno finanziario ai progetti da parte della Regione Emilia Romagna avverrà tramite la stipula di una convenzione triennale tra la Regione e i soggetti beneficiari, a condizione che le associazioni e organizzazioni culturali regionali, le istituzioni culturali regionali e le Unioni di Comuni non abbiano già stipulato o non stipulino, nello stesso periodo, altre convenzioni con la Regione Emilia-Romagna o con l’Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali in attuazione di altre leggi regionali afferenti al settore culturale.
Le convenzioni triennali saranno stipulate a seguito di istruttoria di ammissibilità formale e di valutazione di merito.   BENEFICIARI E REQUISITI PER L’AVVISO PER LE ATTIVITA’ DI PROMOZIONE CULTURALE.  I soggetti destinatari e beneficiari  dell’avviso per le attività di promozione culturale sono le Organizzazioni ed Associazioni culturali, le Istituzioni culturali, i Comuni e le Unioni di Comuni. 
I requisiti formali che devono possedere i beneficiari del suddetto Avviso sono i seguenti:
  • le Organizzazioni ed Associazioni culturali devono essere iscritte ai Registri regionali di cui alle LL. RR. nn. 34/2002 e 12/2005 e ss.mm. Il requisito di iscrizione è obbligatorio. 
  • le Istituzioni culturali devono possedere i seguenti requisiti: 
    • operare senza fini di lucro; 
    • prestare servizi nel campo culturale; 
    • svolgere attività non saltuaria e di rilevante valore culturale da almeno due anni; 
    • disporre di strutture, attrezzature e organizzazione adeguate allo svolgimento delle proprie attività; 
    • garantire responsabilità di direzione scientifica; 
    • disporre di risorse patrimoniali adeguate alle esigenze gestionali ed in particolare alla realizzazione dei programmi di attività proposti. 
Non sono ritenuti ammissibili le domande di contributo per progetti di spettacolo presentate da soggetti pubblici e privati che beneficiano, nello stesso periodo, di contributi regionali ai sensi della L.R. n. 13/1999 “Norme in materia di spettacolo”   MISURA DEL CONTRIBUTO PER L’AVVISO PER ATTIVITA’ DI PROMOZIONE CULTURALE TRAMITE CONVENZIONE. Ai fini dell'accesso al contributo il costo complessivo minimo del progetto annuale presentato deve essere:
  • associazioni e organizzazioni culturali regionali Euro 40.000,00
  • istituzioni culturali regionali Euro 70.000,00
  • Unione di Comuni Euro 100.000,00.

L’agevolazione prevista nell’avviso consiste in un contributo nella misura massima del 50% dei costi ammissibili e potrà risultare anche inferiore a quanto richiesto.

MISURA DEL CONTRIBUTO PER L’AVVISO PER LE ATTIVITA’ DI PROMOZIONE CULTURALE. Organizzazioni e Associazioni culturali.  Ai fini dell'accesso al contributo, l’ammontare complessivo minimo delle spese ammissibili, presentato in forma singola o associata da associazioni od organizzazioni, è di 15.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non potrà superare i 150.000,00 euro. 
Nel caso di progetto singolo, il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare: 
  1. fino al 40% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra i 15.000,00 e 70.000,00 Euro; 
  2. fino al 30% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 70.001,00 e 150.000,00 Euro; 
Nel caso di progetto di rete, il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare: 
  1. fino al 50% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 15.000,00 e 70.000,00 Euro; 
  2. fino al 40% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 70.001,00 e 150.000,00 Euro. 
Istituzioni Culturali Ai fini dell'accesso al contributo l’ammontare complessivo minimo delle spese ammissibili presentato da Istituzioni culturali è di 15.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non potrà superare i 200.000,00 Euro. Il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare fino al 50% delle spese ritenute ammissibili. Le Istituzioni potranno presentare richiesta di contributo per progetti presentati esclusivamente in forma singola.    Comuni capoluogo  Ai fini dell’accesso al contributo l’ammontare complessivo minimo delle spese ammissibili del progetto presentato da un Comune capoluogo, esclusivamente in forma singola, è di 40.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non potrà superare i 200.000,00 Euro. I progetti possono rientrare in due fasce: 
  1. Da 40.000,00 a 100.000,00 Euro. I progetti rientranti in questa fascia potranno ricevere un contributo massimo fino al 40% dell’ammontare complessivo delle spese ammissibili; 
  2. Da 100.001,00 a 200.000,00 Euro. I progetti rientranti in questa fascia potranno ricevere un contributo massimo fino al 30% dell’ammontare complessivo delle spese ammissibili. 
Comuni non capoluogo con popolazione superiore ai 15.000 abitanti  Ai fini dell’accesso al contributo per i progetti presentati da Comuni non capoluogo, sia in forma singola sia associata, l’ammontare complessivo minimo delle spese ammissibili del progetto è di 20.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non potrà superare i 150.000,00 Euro. Nel caso di progetto singolo, il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare: 
  1. fino al 40% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 20.000,00 e 70.000,00 Euro; 
  2. fino al 30% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 70.001,00 e 150.000,00 Euro;

Nel caso di progetto di rete, il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare fino al 50% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 20.000,00 e 70.000,00 Euro e fino al 40% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 70.001,00 e 150.000,00 Euro. 

Unioni di Comuni Ai fini dell’accesso al contributo per i progetti presentati da Unioni di Comuni, esclusivamente in forma singola, l’ammontare complessivo minimo delle spese ammissibili del progetto è di 20.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non potrà superare i 150.000,00 Euro. Il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare fino al 40% delle spese ritenute ammissibili.    Comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti.  Ai fini dell’accesso al contributo per i progetti presentati da Comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, esclusivamente in forma associata, ai fini dell'accesso al contributo, il costo complessivo minimo delle spese ammissibili del progetto è di 20.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili di ogni progetto non potrà superare i 150.000,00 Euro. Il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare: 
  • fino al 50% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 20.000,00 e 70.000,00 Euro; 
  • fino al 40% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 70.001,00 e 150.000,00 Euro. 
Comuni titolari di teatro con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti.  Ai fini dell'accesso al contributo in questo ambito, l’ammontare complessivo minimo delle spese ammissibili del progetto è di 12.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non potrà superare i 20.000,00 Euro. Il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare fino al 40% delle spese ritenute ammissibili.   SCADENZA PER LA PARTECIPAZIONE PER ENTRAMBI GLI AVVISI. Nel caso dell’Avviso per le attività di promozione culturale 2019, le domande di contributo dovranno essere presentate sulla piattaforma informatica Sib@c da giovedì 21 febbraio alle ore 10, fino a giovedì 21 marzo alle ore 15. Per informazioni riguardanti i contenuti e il funzionamento della piattaforma informatica Sib@c durante il periodo di apertura del bando sarà attivo un call center al numero telefonico 0125 853977 – indirizzo e-mail: servicedesk.RER-Cultura@eng.it. I progetti presentati dovranno essere realizzati nell’anno solare 2019.  Saranno ammissibili quelli che si concludano in data uguale o successiva alla data di scadenza dell’avviso. Infine saranno ritenute ammissibili le spese sostenute per la realizzazione del progetto nell’anno solare 2019.

Nelle forme di sostegno tramite Convenzione triennale rivolte a associazioni e organizzazioni culturali regionali, le istituzioni culturali regionali e le Unioni di Comuni, i soggetti interessati e che hanno i requisiti previsti, dovranno presentare la domanda di contributo su apposita modulistica tramite PEC al seguente indirizzo: servcult@postacert.regione.emilia-romagna.it entro e non oltre il 21 marzo 2019.

 

 

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ECO BONUS EMILIA ROMAGNA: INCENTIVO ALLA ROTTAMAZIONE DI VEICOLI INQUINANTI

Mer, 20/02/2019 - 19:33
La Regione Emilia Romagna mette a disposizione delle micro e piccole-medie imprese dei fondi per un importo di Quattro milioni di euro per “rottamare” i veicoli commerciali diesel fino all’euro 4.  L'Obiettivo che si vuole raggiungere è quello, attraverso la rottamazione di veicoli inquinanti, di rinnovare il parco mezzi in circolazione delle micro, piccole e medie imprese dell’Emilia-Romagna.
L’eco bonus ha un valore variabile tra i 4 mila e i 10 mila euro ed è finalizzato all'acquisto di veicoli a minore impatto ambientale di categoria euro 6, di nuova immatricolazione, con alimentazione mista benzina-gpl, benzina-metano, ibridi o elettrici e con massa fino a 12 tonnellate. I veicoli ammessi sono quelli esclusivamente per trasporto di merci che si rifanno alle categorie N1 e N2, previsti dal codice della strada e cioè:
  • Per autoveicoli di categoria N1 si intendono i veicoli destinati al trasporto di merci, aventi massa massima non superiore a 3,5 t,
  • Per autoveicoli di categoria N2 si intendono i veicoli destinati al trasporto di merci, aventi massa massima superiore a 3,5 t ma non superiore a 12 t.
Il contributo Eco Bonus, che si ricorda è a fondo perduto, può raddoppiare. E’ previsto, infatti, che la stessa azienda possa beneficiare di due indennizzi per due rottamazioni. 
L’importo del contributo è definito sulla base del peso e del sistema di alimentazione del nuovo mezzo che va a sostituire quello rottamato. L’eco bonus è concesso ai sensi del regime de minimis previsto dalle norme Ue sugli aiuti pubblici alle imprese (regolamento 1407/2013). In sostanza il contributo a fondo perduto può essere dato ad una singola azienda che opera in conto proprio entro un tetto di 200 mila euro nel triennio. 
E’ ammesso anche l’acquisto con la formula del leasing con “obbligo del riscatto” con medesimo soggetto intestatario del veicolo rottamato. La possibilità di presentare domanda per ottenere l’ecobonus sarà garantita a partire dalla pubblicazione dell’apposito bando, nel mese di ottobre. Ad oggi è possibile ancora presentare domanda in quanto vi sono risorse a disposizione.  SOGGETTI BENEFICIARI DELL'ECOBONUS Come ricordato possono presentare domanda per i contributi previsti nel presente Bando esclusivamente le imprese in possesso di tutti i seguenti requisiti:
  • classificate come micro, piccole e medie imprese (MPMI). Si ricorda che ai sensi della raccomandazione della Commissione Europea 2003/361/CE, recepita dal Decreto Ministeriale 18 aprile 2005 si intende per Media impresa, l’impresa che occupa meno di 250 dipendenti e ha un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure ha un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro (si considera il dato più favorevole). Per Piccola impresa, una impresa che occupa meno di 50 dipendenti e ha ha un fatturato oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 10 milioni di euro. Infine per Microimpresa, si intende una impresa che occupa occupa meno di 10 effettivi e ha un fatturato oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro.
  • proprietarie di un autoveicolo di categoria N1 e N2, da destinare alla rottamazione, appartenente a una delle seguenti categorie ambientali:
    • autoveicolo di classe pre-euro – diesel;
    • autoveicolo di classe Euro 1 – diesel;
    • autoveicolo di classe Euro 2 – diesel;
    • autoveicolo di classe Euro 3 – diesel;
    • autoveicolo di classe Euro 4 – diesel;
  •  aventi la sede legale o anche una unità locale in un comune della Regione Emilia-Romagna.
Il contributo per la rottamazione, o Eco bonus, può essere chiesto unicamente per i veicoli destinati al trasporto di merci. Di conseguenza, veicoli diversi (ad esempio destinati al trasporto di persone) anche se di proprietà di imprese, non rientrano nell’ambito dell’agevolazione prevista dalla Regione Emilia Romagna. 
 Le imprese dovranno inoltre essere in possesso dei requisiti generali oggetto di dichiarazione nel modulo di domanda. Ciascuna impresa potrà presentare al massimo 2 domande di contributo per la sostituzione di due veicoli, un veicolo per ciascuna domanda. In ogni caso per ogni veicolo rottamato può essere presentata una sola domanda.
Le imprese potranno richiedere l’eco bonus anche per veicoli di proprietà che sono già stati rottamati a far data dal 01/01/2018. INVESTIMENTI AMMISSIBILI  Gli investimenti ammissibili riguarderanno la sostituzione (con obbligo di rottamazione) dei veicoli, aventi le caratteristiche di cui al punto precedente, con veicoli di prima immatricolazione di categoria N1 o N2  ad alimentazione:
  • Elettrica
  • Ibrido elettrica/benzina (esclusivamente Full Hybrid o Hybrid Plug In *) Euro 6
  • METANO (MONO O BIFUEL BENZINA) Euro 6
  • GPL (MONO O BIFUEL BENZINA) Euro 6
Si precisa che il nuovo veicolo deve essere necessariamente immatricolato per la prima volta dall’impresa richiedente il contributo per la rottamazione. Non sono ammessi, quindi, i veicoli cosidetti a “kilometro zero” o comprati usati. 
È ammesso l’acquisto anche mediante leasing con obbligo di riscatto, a condizione che questo sia indicato già al momento dell’ordine di acquisto stipulato in data successiva alla approvazione del presente bando. In tale caso il nominativo del soggetto obbligato al riscatto deve coincidere con l’impresa che presenta domanda e dovrà essere lo stesso dell’impresa che ha rottamato il veicolo. SOGGETTI ESCLUSI DALL'ECOBONUS Sono esclusi dalla partecipazione al presente bando:
  • gli Enti e istituzioni senza fini di lucro;
  • le amministrazioni pubbliche;
  • le imprese operanti nel settore della pesca e dell’acquacoltura e nel settore della produzione primaria dei prodotti agricoli;
  • i trasportatori conto terzi.
TIPOLOGIA ED ENTITA’ DEL CONTRIBUTO REGIONALE ECOBONUS.  L’agevolazione consiste nella concessione di un contributo a fondo perduto, proporzionale alla massa del veicolo e al sistema di alimentazione. PERIODO DI VALIDITA’ DEL BANDO ECOBONUS E DELLE SPESE AMMISSIBILI Sono ammesse a contributo le spese relative agli investimenti effettuati a partire dal 23 ottobre 2018, intendendosi per avvio dell’investimento la data di sottoscrizione del contratto di acquisto del nuovo veicolo (ordine). L’acquisto del nuovo veicolo deve essere obbligatoriamente associato alla rottamazione di un veicolo N1 o N2, intestato alla medesima impresa.
In caso di leasing finanziario, l’impresa utilizzatrice deve esercitare anticipatamente, al momento della stipula del contratto (ordine del veicolo), l’opzione di acquisto prevista dal contratto medesimo (leasing con obbligo di riscatto). La data di stipula del contratto di leasing deve essere successiva all’ approvazione del presente bando. PRESENTAZIONE DELLE DOMANDE DI AMMISSIONE AL CONTRIBUTO PER LA ROTTAMAZIONE Dalle ore 14.00 del 15 novembre 2018 alle ore 16.00 del 15 ottobre 2019.
Le spese sostenute per l’acquisto del veicolo potranno essere rendicontate dal 14 gennaio 2019 ore 14:00 al 31 dicembre 2019 ore 14:00.

 

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LA FOLLIA DELL’ATTESTAZIONE DEI CONTRATTI A CANONE CONCORDATO “NON ASSISTITI”

Lun, 05/11/2018 - 13:28

Contratti di locazione a canone concordato “non assistiti” stipulati ex D.M. 16.01.2017 e obbligo di attestazione per avere le relative agevolazioni fiscali: ormai è chiaro che lo Stato italiano considera tutti i suoi cittadini come una massa enorme di evasori.  Anche si vi fosse stato un dubbio, è svanito dopo è stato introdotto l’obbligo per i contratti di locazione a canone concordato, nel caso si voglia usufruire delle agevolazioni fiscali, di farsi rilasciare l’attestazione di congruenza del canone con gli Accordi Territoriali vigenti nei singoli Comuni. 
E’ la definitiva presa di coscienza, da parte dei nostri legislatori, della propria totale incapacità a svolgere il ruolo di controllore. Come sempre, ormai, per ovviare a questo si realizza una produzione bulimica di adempimenti che, solo in teoria, dovrebbe evitare abusi da parte dei contribuenti italiani ma che, nella pratica, si concretizza per quest’ultimi unicamente in un aumento spropositato di costi.

Canoni di locazione concordati: la norma originaria

Tutto parte con l’articolo 1, comma 8 del decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, emanato di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, del giorno 16 Gennaio 2017.
Il citato articolo prevede che “le parti contrattuali, nella definizione del canone effettivo, possono essere assistite, a loro richiesta, dalle rispettive organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori. Gli accordi definiscono, per i contratti non assistiti, le modalità di attestazione, da eseguirsi, sulla base degli elementi oggettivi dichiarati dalle parti contrattuali a cura e con assunzione di responsabilità, da parte di almeno una organizzazione firmataria dell’accordo, della rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all'accordo stesso, anche con riguardo alle agevolazioni fiscali”. In buona sostanza la norma prevede che per i contratti di locazione a canone concordato ‘non assistiti’, cioè quelli non fatti passando per un sindacato degli inquilini o dei proprietari, vi sia la necessità di farsi rilasciare l’attestazione da parte delle organizzazioni sindacali che hanno firmato l’accordo territoriale. Questa “certificazione” ha lo scopo di attestare la rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto di locazione sia conforme a quanto previsto dall’accordo locale stipulato tra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative.

Questa attestazione non è necessaria nel caso in cui il contratto di locazione sia stato materialmente fatto con l’intervento delle organizzazioni della proprietà edilizia e di quella dei conduttori.

Fin qui, pur comunque evidenziando una certa assurdità della norma in ambito civilistico, grosse problematiche non dovrebbero sorgere: è interesse comunque delle parti concludere un contratto che rispetti la legge. Il quadro si complica, come si può intuire, se si guarda la disposizione in commento sotto l’aspetto fiscale.

LA NORMA FISCALE

L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione  n. 31 del 20 aprile 2018, ha stabilito che “per i contratti a canone concordato ‘non assistiti’, l’acquisizione dell’attestazione costituisce elemento necessario ai fini del riconoscimento delle agevolazioni”.

Il concetto espresso dal Fisco è che se si vogliono utilizzare le agevolazioni fiscali che discendono dai contratti concordati occorre che il contratto di locazione sia certificato da una delle organizzazioni sindacali che ha firmato l’Accordo Territoriale vigente per il Comune dove è ubicato l’immobile oggetto di locazione. 
Si ricordano, qui a titolo di informazioni, le agevolazioni fiscali previste: applicazione dell’aliquota ridotta nella misura del 10 %, prevista ai fini della ‘cedolare secca’, riduzione dell’imposta di registro dal 2% al 1,4%, riduzione, in caso di non utilizzo della cedolare secca, dell’imponibile ordinario per l’Irpef.

Ovviamente si può immaginare che il rilascio di tali certificazioni, come giusto che sia, non sarà certamente gratuito. In buona sostanza, siccome l’Agenzia delle Entrate non è in grado di verificare la correttezza dei singoli contratti, demanda tale onere al cittadino che dovrà sobbarcarsi pure l’onere, in denaro e in tempo, di farsi certificare la regolarità del proprio comportamento.

Per onor del vero, la posizione dell’Agenzia non nasce dal nulla. Era già stata espressa dal Ministero delle Infrastrutture - Direzione Generale per la Condizione Abitativa - che, con la nota del 6 febbraio 2018, n. 1380, aveva affermato che “per quanto concerne i profili fiscali va considerato che l’obbligatorietà dell’attestazione fonda i suoi presupposti sulla necessità di documentare alla pubblica amministrazione, sia a livello centrale che comunale, la sussistenza di tutti gli elementi utili ad accertare sia i contenuti dell’accordo locale che i presupposti per accedere alle agevolazioni fiscali, sia statali che comunali. Ne consegue l’obbligo per i contraenti, di acquisire l’attestazione in argomento anche per poter dimostrare all’Agenzia in caso di verifica fiscale la correttezza delle deduzioni utilizzate”.

L’attestazione di rispondenza non risulta, invece, necessaria, ai fini del riconoscimento delle agevolazioni fiscali in due casi:

  • i contratti a canone concordato sono stati stipulati prima dell’entrata in vigore del decreto;
  • i contratti a canone concordato sono stati stipulati anche dopo l’entrata in vigore del decreto ma non vi è la presenza di un Accordo Territoriale firmato dalle Organizzazioni Sindacali e dalle Associazioni degli inquilini e dei proprietari di immobili.
OBBLIGO DI ALLEGAZIONE DELL’ATTESTAZIONE.

L’Agenzia delle Entrate ci aggiunge pure una complicazione in più. Il decreto in esame non definisce un obbligo in capo alle parti contrattuali di procedere all’allegazione dell’attestazione e, soprattutto, tale obbligo non emerge neppure dalle previsioni dettate dal Testo unico dell’imposta di registro, approvato con il DPR 26 aprile 1986, n. 131 (TUR).

L’Agenzia delle Entrate, nella citata circolare, sostanzialmente dice che è pur vero che non esiste un obbligo di allegazione, però tale assenza “non esclude, tuttavia, che le parti possano, comunque, procedere a detta allegazione, in sede di registrazione del contratto di locazione”. Non è obbligatorio, ma se viene fatto è meglio. Tant’è che poi aggiunge che “l’allegazione dell’attestazione in sede di registrazione appare, peraltro, opportuna al fine di documentare la sussistenza dei requisiti, laddove il contribuente chieda di fruire dell’agevolazione prevista dall’articolo 8 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, ai fini dell’imposta di registro”.

L’agevolazione in parola stabilisce che per la determinazione della base imponibile per l’applicazione dell’imposta proporzionale di registro, il corrispettivo annuo venga assunto nella misura del 70 per cento.

Potrebbe sorgere il dubbio che l’allegazione di un atto aggiuntivo a un contratto di locazione faccia scaturire l’obbligo di applicazione dell’imposta di registro. Ma l’Agenzia delle Entrate, con una botta di inusuale magnanimità, dice che “l’attestazione in argomento concretizza un atto per il quale non vige l’obbligo della registrazione, in quanto la stessa non appare riconducibile nell’ambito delle previsioni recate dalla tariffa, parte prima e parte seconda, allegata al TUR. In sede di registrazione del contratto di locazione, pertanto, l’ufficio dell’Agenzia provvederà alla registrazione anche dell’attestato senza autonoma applicazione dell’imposta di registro”.

Ma non solo. Ormai lanciata nella scia della benevolenza nei confronti del contribuente, esenta l’allegazione dell’attestazione anche dall’imposta di bollo. Infatti nella risoluzione n. 31 del 20 aprile 2018 vi è chiaramente scritto che “tenuto conto che l’attestazione in argomento, si rende necessaria, cosi come previsto dal citato decreto, al fine di certificare la rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all’accordo stesso, anche con riguardo al riconoscimento delle agevolazioni fiscali, deve ritenersi che per il rilascio della predetta attestazione non debba essere applicata l’imposta di bollo, ai sensi del citato articolo 5 della Tabella allegata al DPR 26 ottobre 1972, n. 642”.

 

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ACQUISTO CARBURANTE E FISCO: LA FATTURA RIEPILOGATIVA VA BENE CARTACEA MA IL PAGAMENTO DEVE ESSERE TRACCIABILE

Lun, 23/07/2018 - 20:50

Rifornimento di carburante e tracciabilità del pagamento: il dubbio aperto riguarda soprattutto i quei contribuenti che effettuano i rifornimenti nei distributori stradali senza provvedere, immediatamente, al pagamento ma posticipandolo solo a una scadenza successiva, ad esempio alla fine del mese.
Ipotesi, questa, non così rara, in quanto molti impianti stradali permettono ai clienti abituali di pagare il rifornimento non al momento della sua effettuazione ma in un momento successivo, come ad esempio solo alla fine del mese: si pensi alle prassi che coinvolgono gli agenti e rappresentanti, gli autotrasportatori, i procacciatori d’affari, gli artigiani
Da più parti si dice che tale comportamento non sia ammissibile, in quanto ogni volta che si effettua il rifornimento quest’ultimo deve essere regolato tramite strumenti tracciabili, pena l’inammissibilità del costo e della detrazione IVA. 
In realtà, invece, a parere dello scrivente tale affermazione non appare condivisibile. Vediamo il perché.
Il rinvio dell’obbligo di emissione della fattura elettronica per le cessioni di carburante destinato all’autotrazione fatte presso i distributori stradali, non incide sulla disciplina riguardante il pagamento tracciabile del relativo prezzo. Ciò significa che, al di là dell’emissione o meno della fattura elettronica, il pagamento del rifornimento di carburante, per essere detraibile, deve sempre essere effettuato tramite strumenti tracciabili.
Tale principio lo si desume dalla lettura del combinato disposto fra quanto previsto dalla legge finanziaria 2018 e il testo del decreto legge n. 79 del 28 giugno 2018 che ha materialmente disposto il rinvio del termine per l’emissione della fattura elettronica per le cessioni di carburante destinato all’autotrazione dall’originario 01 luglio 2018 all’attuale 01 gennaio 2019.
Il comma 922 della finanziaria stabilisce che “le spese per carburante per autotrazione  sono  deducibili […], se effettuate esclusivamente  mediante carte di credito,  carte  di  debito  o  carte  prepagate  emesse  da operatori finanziari soggetti all'obbligo di  comunicazione  previsto dall'articolo 7,  sesto  comma,  del  decreto  del  Presidente  della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605”.
Il successivo comma 923, in materia di detraibilità ai fini IVA, a sua volta stabilisce che “L'avvenuta effettuazione dell'operazione deve essere provata dal pagamento mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da  operatori  finanziari  soggetti all'obbligo di comunicazione previsto dall'articolo 7,  sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica  29  settembre  1973,  n. 605, o da altro mezzo ritenuto parimenti  idoneo  individuato  con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate
E’ curioso notare, tra l’altro, che la diversa formulazione normativa rispetto ai mezzi di pagamenti ammessi, ha ingenerato una confusione: infatti per il costo è consentita la deducibilità solo se i pagamenti sono effettuati con carte di credito, debito o prepagate, mentre per quanto riguarda la detraibilità IVA è consentito il pagamento anche con altri mezzi pagamento. Per sanare questa oggettiva discrepanza, è intervenuta la circolare 8/e del 30.04.2018 la quale ha stabilito che “in assenza di specifiche indicazioni contrarie presenti nella norma o nella relazione illustrativa, impone che tali strumenti (cioè quelli individuati dal Direttore dell’Ade) vadano considerati idonei anche ai fini della deducibilità dei costi sostenuti”.
Gli altri mezzi di pagamento individuati dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate sono: 

Appare quindi, del tutto evidente, che se il contribuente fa il pieno di benzina al distributore e la paga solo successivamente con una fattura riepilogativa, è sufficiente che tracci il pagamento con i mezzi ammessi per farlo, cioè, ad esempio,  con bonifico bancario. Non c’è nessun disposto normativo che lo obblighi a pagare tutte le volte che fa il rifornimento. E’ sufficiente che, quando provvederà materialmente al pagamento, questo avvenga con gli strumenti tracciabili previsti dal Legislatore. 
Non è nemmeno necessario, inoltre, che il corrispettivo sia certificato da una fattura elettronica: se il soggetto passivo fa benzina solo ed esclusivamente per uso di autotrazione stradale l’obbligo di emissione della fattura elettronica è rinviato al 01 gennaio 2019. 
Tale affermazione è supportata dal tenore del decreto normativo di proroga: il decreto legge 28 giugno 2018 n. 79 stabilisce che “al comma 917, lettera a), dopo le parole:  «per  motori»  sono aggiunte le seguenti: «, ad eccezione delle  cessioni  di  carburante per autotrazione presso gli impianti stradali di  distribuzione,  per le quali il comma 920 si applica dal 1°gennaio 2019». Il comma 920 recita che “Gli acquisti di carburante per autotrazione effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti passivi dell'imposta sul valore aggiunto devono essere documentati con la fattura elettronica”.
Per cui, per ritornare al caso oggetto di indagine iniziale, è sufficiente che il soggetto passivo paghi la fattura cartacea dei carburanti con un bonifico bancario alle scadenze indicate.
Di contro, se paga la benzina tutte le volte che fa il rifornimento, è abbastanza chiaro che deve tracciare il pagamento con i mezzi previsti. L’eventuale fattura successiva conterrà al suo interno gli estremi dei singoli pagamenti e, di conseguenza, sarà pari a zero. 

 

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ACQUISTO CARBURANTE E FISCO: LA FATTURA RIEPILOGATIVA VA BENE CARTACEA MA IL PAGAMENTO DEVE ESSERE TRACCIABILE

Lun, 23/07/2018 - 20:50

Rifornimento di carburante e tracciabilità del pagamento: il dubbio aperto riguarda soprattutto i quei contribuenti che effettuano i rifornimenti nei distributori stradali senza provvedere, immediatamente, al pagamento ma posticipandolo solo a una scadenza successiva, ad esempio alla fine del mese.
Ipotesi, questa, non così rara, in quanto molti impianti stradali permettono ai clienti abituali di pagare il rifornimento non al momento della sua effettuazione ma in un momento successivo, come ad esempio solo alla fine del mese: si pensi alle prassi che coinvolgono gli agenti e rappresentanti, gli autotrasportatori, i procacciatori d’affari, gli artigiani
Da più parti si dice che tale comportamento non sia ammissibile, in quanto ogni volta che si effettua il rifornimento quest’ultimo deve essere regolato tramite strumenti tracciabili, pena l’inammissibilità del costo e della detrazione IVA. 
In realtà, invece, a parere dello scrivente tale affermazione non appare condivisibile. Vediamo il perché.
Il rinvio dell’obbligo di emissione della fattura elettronica per le cessioni di carburante destinato all’autotrazione fatte presso i distributori stradali, non incide sulla disciplina riguardante il pagamento tracciabile del relativo prezzo. Ciò significa che, al di là dell’emissione o meno della fattura elettronica, il pagamento del rifornimento di carburante, per essere detraibile, deve sempre essere effettuato tramite strumenti tracciabili.
Tale principio lo si desume dalla lettura del combinato disposto fra quanto previsto dalla legge finanziaria 2018 e il testo del decreto legge n. 79 del 28 giugno 2018 che ha materialmente disposto il rinvio del termine per l’emissione della fattura elettronica per le cessioni di carburante destinato all’autotrazione dall’originario 01 luglio 2018 all’attuale 01 gennaio 2019.
Il comma 922 della finanziaria stabilisce che “le spese per carburante per autotrazione  sono  deducibili […], se effettuate esclusivamente  mediante carte di credito,  carte  di  debito  o  carte  prepagate  emesse  da operatori finanziari soggetti all'obbligo di  comunicazione  previsto dall'articolo 7,  sesto  comma,  del  decreto  del  Presidente  della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605”.
Il successivo comma 923, in materia di detraibilità ai fini IVA, a sua volta stabilisce che “L'avvenuta effettuazione dell'operazione deve essere provata dal pagamento mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da  operatori  finanziari  soggetti all'obbligo di comunicazione previsto dall'articolo 7,  sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica  29  settembre  1973,  n. 605, o da altro mezzo ritenuto parimenti  idoneo  individuato  con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate
E’ curioso notare, tra l’altro, che la diversa formulazione normativa rispetto ai mezzi di pagamenti ammessi, ha ingenerato una confusione: infatti per il costo è consentita la deducibilità solo se i pagamenti sono effettuati con carte di credito, debito o prepagate, mentre per quanto riguarda la detraibilità IVA è consentito il pagamento anche con altri mezzi pagamento. Per sanare questa oggettiva discrepanza, è intervenuta la circolare 8/e del 30.04.2018 la quale ha stabilito che “in assenza di specifiche indicazioni contrarie presenti nella norma o nella relazione illustrativa, impone che tali strumenti (cioè quelli individuati dal Direttore dell’Ade) vadano considerati idonei anche ai fini della deducibilità dei costi sostenuti”.
Gli altri mezzi di pagamento individuati dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate sono: 

Appare quindi, del tutto evidente, che se il contribuente fa il pieno di benzina al distributore e la paga solo successivamente con una fattura riepilogativa, è sufficiente che tracci il pagamento con i mezzi ammessi per farlo, cioè, ad esempio,  con bonifico bancario. Non c’è nessun disposto normativo che lo obblighi a pagare tutte le volte che fa il rifornimento. E’ sufficiente che, quando provvederà materialmente al pagamento, questo avvenga con gli strumenti tracciabili previsti dal Legislatore. 
Non è nemmeno necessario, inoltre, che il corrispettivo sia certificato da una fattura elettronica: se il soggetto passivo fa benzina solo ed esclusivamente per uso di autotrazione stradale l’obbligo di emissione della fattura elettronica è rinviato al 01 gennaio 2019. 
Tale affermazione è supportata dal tenore del decreto normativo di proroga: il decreto legge 28 giugno 2018 n. 79 stabilisce che “al comma 917, lettera a), dopo le parole:  «per  motori»  sono aggiunte le seguenti: «, ad eccezione delle  cessioni  di  carburante per autotrazione presso gli impianti stradali di  distribuzione,  per le quali il comma 920 si applica dal 1°gennaio 2019». Il comma 920 recita che “Gli acquisti di carburante per autotrazione effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti passivi dell'imposta sul valore aggiunto devono essere documentati con la fattura elettronica”.
Per cui, per ritornare al caso oggetto di indagine iniziale, è sufficiente che il soggetto passivo paghi la fattura cartacea dei carburanti con un bonifico bancario alle scadenze indicate.
Di contro, se paga la benzina tutte le volte che fa il rifornimento, è abbastanza chiaro che deve tracciare il pagamento con i mezzi previsti. L’eventuale fattura successiva conterrà al suo interno gli estremi dei singoli pagamenti e, di conseguenza, sarà pari a zero. 

 

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FATTURA ELETTRONICA, CONSORZI E SUBAPPALTI: NESSUN OBBLIGO PER IL CONSORZIO AGGIUDICATARIO DI UN APPALTO PUBBLICO

Mar, 10/07/2018 - 22:21

Fattura elettronica, consorzio e subappalto: nessun obbligo. Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 13/e del 02.07.2018 che finalmente fa un po' di luce sulla complessa tematica della fatturazione elettronica e stabilisce chiaramente che al consorzio aggiudicatario di un appalto di una Pubblica Amministrazione, o che si inserisce nella filiera dei contratti di subappalto, non si applica la disciplina riguardante l’obbligatorietà della fattura elettronica.

Infatti è prassi ormai consolidata che alle prestazioni rese dai consorziati al consorzio si applica la stessa disciplina delle prestazioni rese dal consorzio ai terzi, in analogia a quanto previsto dall’articolo 3, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, con riferimento al mandato senza rappresentanza.

Da ciò ne consegue che le modalità di fatturazione nei confronti dei terzi si trasferiscono anche ai rapporti interni fra consorzio e consorziati. Sul punto si può trovare riscontro anche nelle circolari n. 14/E del 27 marzo 2015 e 20/E del 18 maggio 2016.

Da una lettura superficiale, quindi, la specifica natura del rapporto Consorzio – consorziato,  potrebbe far ritenere sussistente l’obbligo di procedere all’emissione della fattura elettronica anche nel rapporto tra consorzio e consorziato.

In realtà, però, se si passa ad una lettura più approfondita, si evidenzia che, ad esempio, la risoluzione 242/e del 27 agosto 2009 evidenzia che, «come affermato in numerosi documenti di prassi, l’equiparazione delle prestazioni rese o ricevute dal mandatario senza rappresentanza con quelle che intervengono nei rapporti tra mandante e mandatario, contenuta nell’articolo 3, terzo comma, ultimo periodo, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, opera, ai fini dell’IVA, in relazione alla qualificazione oggettiva delle prestazioni, ma non anche in relazione all’aspetto soggettivo (cfr. risoluzioni 23 maggio 2000, n. 67/E, 15 maggio 2002, n. 145/E e 14 novembre 2002, n. 355/E)». In buona sostanza, l’obbligo della fatturazione elettronica in capo al consorzio discende da un elemento soggettivo che lo lega alla Pubblica Amministrazione: va emessa la fattura elettronica perché il ricevente è una pubblica amministrazione.  La norma richiamata dell’Iva, però, stabilisce chiaramente che il rapporto che lega il mandante e il mandatario (e per analogia consorzio-consorziato) è puramente oggettivo, cioè attiene alla natura della prestazione, e pertanto, tale rapporto trascina con sé solo la natura delle operazioni e non anche i rapporti soggettivi degli stessi. In sostanza, l’obbligo di fatturazione elettronica in capo al consorzio, che è legato alla qualificazione soggettiva del committente della Pubblica Amministrazione non si estenderà ai rapporti consorzio-consorziate.

Inoltre, la circolare richiamata all’inizio, sottolinea che è “da escludersi che l’obbligo di fatturazione elettronica sorga nei rapporti interni laddove il consorzio non sia il diretto referente della PA, ma si inserisca nella filiera dei subappalti”.

Tale affermazione si rifà a quanto già detto nella circolare n. 8/E del 2018 dove si è chiarito che quanto previsto dall’articolo 1, comma 917, lettera b), della legge n. 205 del 2017, troverà applicazione per i soli rapporti (appalti e/o altri contratti) “diretti” tra il soggetto titolare del contratto e la Pubblica Amministrazione, nonché tra il primo e coloro di cui egli si avvale (in ipotesi il consorzio X), con esclusione degli ulteriori passaggi successivi (ossia, in tutti i casi, i rapporti interni tra X e i singoli consorziati, che, in linea generale, non configurano comunque subappalti o ipotesi affini [cfr. il punto 5 della circolare n. 37/E del 29 dicembre 2006]).

Infatti secondo la prassi dell’Agenzia delle Entrate i rapporti posti in essere all'interno dei consorzi e delle altre strutture associative analoghe non configurino subappalti o ipotesi affini.

Su questo punto giova ricordare che l’art. 1655 del codice civile stabilisce chiaramente che l’appalto è “un contratto con cui una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo di denaro”. Di contro, per sua natura, il rapporto tra consorzio e consorziato non può ricondursi a un subappalto perché il primo è semplicemente un soggetto che tratta per i singoli consorziati. Infatti, il consorzio con attività esterna è un contratto, a mente dell’art. 2602, con il quale “più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”. Per giurisprudenza costate il rapporto che lega consorzio e consorziato è quello del mandato.

Pertanto, se il Consorzio riveste il ruolo di appaltatore o di sub-appaltatore con la pubblica amministrazione, dovrà necessariamente, sulla base della normativa sopra riportata, provvedere all’emissione della fattura elettronica.

Di conseguenza, per quanto fino a qui detto, essendo il rapporto tra consorzio e consorzio un rapporto diverso da quello di subappalto, viene meno il requisito previsto dalle norme e, pertanto, non è necessario procedere all’emissione della fattura elettronica.

 

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FATTURA ELETTRONICA, CONSORZI E SUBAPPALTI: NESSUN OBBLIGO PER IL CONSORZIO AGGIUDICATARIO DI UN APPALTO PUBBLICO

Mar, 10/07/2018 - 22:21

Fattura elettronica, consorzio e subappalto: nessun obbligo. Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 13/e del 02.07.2018 che finalmente fa un po' di luce sulla complessa tematica della fatturazione elettronica e stabilisce chiaramente che al consorzio aggiudicatario di un appalto di una Pubblica Amministrazione, o che si inserisce nella filiera dei contratti di subappalto, non si applica la disciplina riguardante l’obbligatorietà della fattura elettronica.

Infatti è prassi ormai consolidata che alle prestazioni rese dai consorziati al consorzio si applica la stessa disciplina delle prestazioni rese dal consorzio ai terzi, in analogia a quanto previsto dall’articolo 3, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, con riferimento al mandato senza rappresentanza.

Da ciò ne consegue che le modalità di fatturazione nei confronti dei terzi si trasferiscono anche ai rapporti interni fra consorzio e consorziati. Sul punto si può trovare riscontro anche nelle circolari n. 14/E del 27 marzo 2015 e 20/E del 18 maggio 2016.

Da una lettura superficiale, quindi, la specifica natura del rapporto Consorzio – consorziato,  potrebbe far ritenere sussistente l’obbligo di procedere all’emissione della fattura elettronica anche nel rapporto tra consorzio e consorziato.

In realtà, però, se si passa ad una lettura più approfondita, si evidenzia che, ad esempio, la risoluzione 242/e del 27 agosto 2009 evidenzia che, «come affermato in numerosi documenti di prassi, l’equiparazione delle prestazioni rese o ricevute dal mandatario senza rappresentanza con quelle che intervengono nei rapporti tra mandante e mandatario, contenuta nell’articolo 3, terzo comma, ultimo periodo, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, opera, ai fini dell’IVA, in relazione alla qualificazione oggettiva delle prestazioni, ma non anche in relazione all’aspetto soggettivo (cfr. risoluzioni 23 maggio 2000, n. 67/E, 15 maggio 2002, n. 145/E e 14 novembre 2002, n. 355/E)». In buona sostanza, l’obbligo della fatturazione elettronica in capo al consorzio discende da un elemento soggettivo che lo lega alla Pubblica Amministrazione: va emessa la fattura elettronica perché il ricevente è una pubblica amministrazione.  La norma richiamata dell’Iva, però, stabilisce chiaramente che il rapporto che lega il mandante e il mandatario (e per analogia consorzio-consorziato) è puramente oggettivo, cioè attiene alla natura della prestazione, e pertanto, tale rapporto trascina con sé solo la natura delle operazioni e non anche i rapporti soggettivi degli stessi. In sostanza, l’obbligo di fatturazione elettronica in capo al consorzio, che è legato alla qualificazione soggettiva del committente della Pubblica Amministrazione non si estenderà ai rapporti consorzio-consorziate.

Inoltre, la circolare richiamata all’inizio, sottolinea che è “da escludersi che l’obbligo di fatturazione elettronica sorga nei rapporti interni laddove il consorzio non sia il diretto referente della PA, ma si inserisca nella filiera dei subappalti”.

Tale affermazione si rifà a quanto già detto nella circolare n. 8/E del 2018 dove si è chiarito che quanto previsto dall’articolo 1, comma 917, lettera b), della legge n. 205 del 2017, troverà applicazione per i soli rapporti (appalti e/o altri contratti) “diretti” tra il soggetto titolare del contratto e la Pubblica Amministrazione, nonché tra il primo e coloro di cui egli si avvale (in ipotesi il consorzio X), con esclusione degli ulteriori passaggi successivi (ossia, in tutti i casi, i rapporti interni tra X e i singoli consorziati, che, in linea generale, non configurano comunque subappalti o ipotesi affini [cfr. il punto 5 della circolare n. 37/E del 29 dicembre 2006]).

Infatti secondo la prassi dell’Agenzia delle Entrate i rapporti posti in essere all'interno dei consorzi e delle altre strutture associative analoghe non configurino subappalti o ipotesi affini.

Su questo punto giova ricordare che l’art. 1655 del codice civile stabilisce chiaramente che l’appalto è “un contratto con cui una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo di denaro”. Di contro, per sua natura, il rapporto tra consorzio e consorziato non può ricondursi a un subappalto perché il primo è semplicemente un soggetto che tratta per i singoli consorziati. Infatti, il consorzio con attività esterna è un contratto, a mente dell’art. 2602, con il quale “più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”. Per giurisprudenza costate il rapporto che lega consorzio e consorziato è quello del mandato.

Pertanto, se il Consorzio riveste il ruolo di appaltatore o di sub-appaltatore con la pubblica amministrazione, dovrà necessariamente, sulla base della normativa sopra riportata, provvedere all’emissione della fattura elettronica.

Di conseguenza, per quanto fino a qui detto, essendo il rapporto tra consorzio e consorzio un rapporto diverso da quello di subappalto, viene meno il requisito previsto dalle norme e, pertanto, non è necessario procedere all’emissione della fattura elettronica.

 

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Rush finale per il bando di agevolazione per i liberi professionisti dell'Emilia Romagna.

Dom, 10/06/2018 - 17:11
La regione Emilia Romagna ha emanato un bando di finanziamento rivolto alle libere professioni con l'obiettivo di promuoverne l'innovazione, l'ampliamento e il potenziamento dei servizi offerti.
I beneficiari di tale iniziativa sono:
  • Liberi professionisti ordinistici,  titolari di partita Iva, esercitanti attività riservate, iscritti ai sensi dell’art. 2229 del codice civile a Ordini o Collegi professionali e alle rispettive Casse di previdenza, che operano in forma singola, associata o societaria;
  • Liberi professionisti non ordinistici titolari di partita Iva, autonomi, operanti in forma singola, o associata di “studi formalmente costituiti“ (esclusa la forma di impresa), purchè siano iscritti alla gestione separata Inps previsto dall'art. 2, comma 26 della Legge 335/95, anche appartenenti ad Associazioni professionali riconosciute di cui alla L. n.4/2013 
Sono ammessi al finanziamento:
  • gli interventi per l'innovazione tecnologica;
  • gli interventi per la ristrutturazione, l’organizzazione e il riposizionamento strategico delle attività libero professionali
  • Interventi per diffusione della cultura dell’organizzazione e della gestione/valutazione economica dell’attività professionale
Nel caso di forme aggregate le iniziative proposte dovranno favorire lo sviluppo dell’aggregazione, la diversificazione dei servizi, le azioni di comunicazione e marketing, i servizi promozionali, i servizi di supporto alle decisioni, i processi di internazionalizzazione, quale strumento di rafforzamento della competitività sistemica del territorio e dei professionisti del territorio
L’agevolazione è concessa a fondo perduto nella misura del 40% dell’investimento ritenuto ammissibile.  Tale percentuale può essere elevata al 45%qualora ricorra una delle seguenti ipotesi:
  • nel caso in cui il beneficiario realizzi un incremento occupazionale;
  • nel caso in cui il beneficiario caratterizzati dalla rilevanza della componente femminile/giovanile;
  • nel caso in cui il beneficiario sia in possesso del rating di legalità;
  • nel cao in cui la sede operativa o unità locale oggetto dell’intervento sia localizzata in area montana oppure nelle aree 107.3.C. definite dalla Commissione Europea.
La dimensione minima di investimento ammesso deve essere pari a € 15.000, mentre l’importo massimo del contributo concedibile per ciascun progetto non potrà eccedere la somma complessiva di € 25.000.
La domanda deve essere presentata telematicamente entro le ore 17 del giorno 26 giugno 2018. Il bando potrà essere chiuso anticipatamente qualora si raggiungano le 200 domande.    Notizie ImpreseOggi
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Rush finale per il bando di agevolazione per i liberi professionisti dell'Emilia Romagna.

Dom, 10/06/2018 - 17:11
La regione Emilia Romagna ha emanato un bando di finanziamento rivolto alle libere professioni con l'obiettivo di promuoverne l'innovazione, l'ampliamento e il potenziamento dei servizi offerti.
I beneficiari di tale iniziativa sono:
  • Liberi professionisti ordinistici,  titolari di partita Iva, esercitanti attività riservate, iscritti ai sensi dell’art. 2229 del codice civile a Ordini o Collegi professionali e alle rispettive Casse di previdenza, che operano in forma singola, associata o societaria;
  • Liberi professionisti non ordinistici titolari di partita Iva, autonomi, operanti in forma singola, o associata di “studi formalmente costituiti“ (esclusa la forma di impresa), purchè siano iscritti alla gestione separata Inps previsto dall'art. 2, comma 26 della Legge 335/95, anche appartenenti ad Associazioni professionali riconosciute di cui alla L. n.4/2013 
Sono ammessi al finanziamento:
  • gli interventi per l'innovazione tecnologica;
  • gli interventi per la ristrutturazione, l’organizzazione e il riposizionamento strategico delle attività libero professionali
  • Interventi per diffusione della cultura dell’organizzazione e della gestione/valutazione economica dell’attività professionale
Nel caso di forme aggregate le iniziative proposte dovranno favorire lo sviluppo dell’aggregazione, la diversificazione dei servizi, le azioni di comunicazione e marketing, i servizi promozionali, i servizi di supporto alle decisioni, i processi di internazionalizzazione, quale strumento di rafforzamento della competitività sistemica del territorio e dei professionisti del territorio
L’agevolazione è concessa a fondo perduto nella misura del 40% dell’investimento ritenuto ammissibile.  Tale percentuale può essere elevata al 45%qualora ricorra una delle seguenti ipotesi:
  • nel caso in cui il beneficiario realizzi un incremento occupazionale;
  • nel caso in cui il beneficiario caratterizzati dalla rilevanza della componente femminile/giovanile;
  • nel caso in cui il beneficiario sia in possesso del rating di legalità;
  • nel cao in cui la sede operativa o unità locale oggetto dell’intervento sia localizzata in area montana oppure nelle aree 107.3.C. definite dalla Commissione Europea.
La dimensione minima di investimento ammesso deve essere pari a € 15.000, mentre l’importo massimo del contributo concedibile per ciascun progetto non potrà eccedere la somma complessiva di € 25.000.
La domanda deve essere presentata telematicamente entro le ore 17 del giorno 26 giugno 2018. Il bando potrà essere chiuso anticipatamente qualora si raggiungano le 200 domande.    Notizie ImpreseOggi
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