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E.C.R.O. (Schema concettuale di riferimento operativo): strumento che definisce il colloquio gruppale

Scuola di prevenzione José Bleger Rimini - Lun, 12/10/2020 - 11:41

di Annalisa Valeri

(La lezione si tiene all’interno di un corso di formazione sulla Concezione Operativa di Gruppo ed è la seconda di un ciclo. Dopo l’informazione gli ascoltatori si riuniscono in un gruppo, coordinato e osservato da docenti della Scuola Bleger)

Partiamo da alcuni concetti che definiscono che cos’è un gruppo.
Pichon Rivière definisce un gruppo operativo come quell’insieme di persone riunite dentro una cornice di variabili costanti, che si integrano fra di loro attraverso una mutua rappresentazione interna e che si prefiggono un compito. Il compito è l’elemento di urgenza, di necessità che convoca le persone a raggrupparsi e ad iniziare un lavoro comune.
Per farlo il gruppo ha bisogno di una cornice stabile, all’interno della quale sviluppare il proprio processo gruppale. Alcuni elementi costituiscono un contenitore solido e stabile nel quale le persone possono trovarsi, vale a dire uno spazio, un tempo, dei ruoli e un compito.

Questo è il setting, condizione necessaria perché possa avvenire il lavoro del gruppo.Ha la stessa importanza dell’allestimento di una sala operatoria, con la sterilizzazione degli strumenti, la preparazione di un posto protetto, all’interno del quale possa avvenire, in condizioni di sicurezza, l’intervento. La cornice di variabili costanti è proprio questo. All’interno dell’esperienza on line che stiamo vivendo è già avvenuta un’importante modifica rispetto allo spazio. Non siamo più in un luogo fisico tutti insieme. Ognuno accede a questo spazio da un ingresso differente e personale. Che spazio è questo in cui ci stiamo riunendo? Dove siamo? Che caratteristiche ha questo cyber spazio in cui siamo? Qualcuno di voi può avere un gatto sulle ginocchia, un bimbo che si intrufola per curiosità e viene a vedere lo schermo, un campanello che suona. Sono tutti elementi che rendono differente lo spazio, lo hanno trasformato. Il nostro insieme di variabili costanti ha subito un cambiamento che non abbiamo scelto, ma di cui dobbiamo tenere conto. Nel senso che influenzerà il processo gruppale, entrerà a farne parte. Anche il tempo subisce un cambiamento. Il tempo cronologico dell’orologio assume un significato diverso quando lo si sperimenta on line. Potrebbe sembrare più lungo o più intenso. Il ruolo che avranno i coordinatori subirà delle modifiche: come si interpreta, cosa si osserva in una modalità on line? Come passano le informazioni e le emozioni con questo strumento? Stiamo sperimentando e siamo tutti, voi inclusi, ricercatori.

Ma veniamo al tema dell’informazione di oggi. Nella definizione di gruppo oltre che del setting si parla di mutua rappresentazione interna. Questo sarà il tema su cui ci soffermeremo, che costituisce uno strumento di lavoro per il gruppo. E’ un prodotto del gruppo e lo strumento attraverso cui il gruppo può affrontare la realtà, occuparsi del suo compito concreto, comunicare.

L’ECRO o mutua rappresentazione interna, è uno strumento che serve all’apprendimento.
Torniamo per un attimo al racconto dell’avvio della Concezione Operativa, che è avvenuta all’interno di un’esperienza concreta all’Ospedale Las Mercedes di Buenos Aires. Questa situazione di necessità, che ha spinto Pichon Rivière a formare i primi gruppi, ci serve per chiarire l’idea dell’apprendimento e della conoscenza all’interno della Concezione Operativa. Il tipo di apprendimento che vuole sviluppare la Concezione Operativa nasce dalla prassi, dall’esperienza concreta.

L’esperienza dei gruppi all’interno dell’Ospedale Las Mercedes, ad esempio, ha permesso una prima elaborazione teorica di che cosa sono i gruppi, qual è il loro compito, elaborazione che deve trovare riscontri nella pratica, per poi poter essere ulteriormente modificata e arricchita a livello teorico.
L’idea dell’apprendimento e della conoscenza è quindi un percorso a spirale, che nasce dalla pratica, diventa teoria e ritorna nella pratica, in un processo senza fine. Questo è il modello di apprendimento che vi proponiamo sia teoricamente che praticamente, attraverso l’esperienza che farete.
L’idea dell’apprendimento da cui prende le distanze la Concezione Operativa è quella relativa ad una trasmissione di contenuti che dovrebbero semplicemente passare dall’insegnante, nella figura di supposto sapere, all’allievo che dovrebbe incamerare abilità, informazioni, valori ed adattarsi passivamente alla struttura sociale di cui
fa parte.

Pichon Riviere definisce la salute mentale e la malattia in termini relativi e situazionali ed in relazione ad un adattamento passivo o attivo della realtà. Il soggetto sano è colui che prende l’informazione, la destruttura, aggiunge, la trasforma e la usa poi nella realtà per modificarla. Se la persona apprende dovrebbe essere in grado di applicare le proprie
conoscenze alla realtà concreta, di cambiarla e allo stesso modo di poter cambiare internamente. L’insegnamento deve quindi permettere che si elaborino contraddizioni e conflitti presenti durante il processo di apprendimento per poter applicare le conoscenze alla pratica.

La conoscenza non avviene con un’idea cumulativa delle informazioni.
Questo significa che per esempio l’informazione che state sentendo non può essere pensata come un “libro” da aggiungere alla vostra biblioteca di informazioni, se per biblioteca intendiamo l’insieme di conoscenze che ci caratterizzano. Non possiamo semplicemente aggiungere un elemento e tenere tutti gli altri elementi di conoscenza immobili. Perché avvenga un reale apprendimento dobbiamo rifarci ad un’idea geometrica. Perché un’informazione venga realmente appresa occorre farle spazio,
modificare tutto l’insieme di informazioni che abbiamo, buttare alcune cose, tenerne delle altre, modificare i rapporti fra l’una e l’altra, come un mobile che vogliamo disporre in modo armonico all’interno di uno spazio già pieno. Questo ci porta alla consapevolezza che questo processo non è semplice, non è neutro, suscita difficoltà, emozioni, resistenze.

Nella Concezione Operativa l’idea è che la conoscenza avviene attraverso un’interdisciplinarietà, un’Epistemologia Convergente. Alcuni concetti di una scienza possono servire all’apprendimento di un’altra scienza, con un’idea di travaso fra una disciplina ed un’altra. Ogni disciplina cioè ha dei nuclei di base che possono essere utili anche nelle altre scienze. Ecco perché le scienze così riunite, possono apportare elementi per la creazione di uno strumento unico concettuale e operativo con cui affrontare la realtà.

Il gruppo che andrete a fare ed in generale i gruppi di apprendimento si situano intorno all’informazione, lo affrontano da vari punti di vista.
L’informazione che vi sto portando costituisce una situazione intorno alla quale ognuno di voi potrà contribuire da una visuale differente. La Concezione Operativa prevede che il lavoro gruppale sarà tanto più ricco quanto più, rispetto all’omogeneità del compito, ci sia un’eterogeneità dei partecipanti. Ognuno potrà portare visuali differenti che arricchiscono
il lavoro sul compito. L’apprendimento in gruppo è qualcosa di diverso rispetto all’apprendimento individuale. Teniamo presente questo concetto rispetto all’Ecro, di cui andiamo a parlare ora.

La parola E.C.R.O significa Esquema Conceptual Referencial y Operativo, in italiano Schema Concettuale di Riferimento operativo, ed è l’insieme di tutte le conoscenze, esperienze, sentimenti con cui guardiamo il mondo, pensiamo ed agiamo. E’ cioè una griglia con cui interpretiamo la realtà che si crea nel corso del tempo. E’ uno schema cognitivo ed affettivo, contiene informazioni ma anche emozioni e sentimenti. Ha a che fare con la nostra identità.

Ognuno di noi struttura nel tempo un proprio schema di riferimento che nasce dalle esperienze all’interno della famiglia, del proprio tessuto sociale, dalle informazioni che si apprendono nel corso del tempo e che vanno a strutturare una griglia, un filtro con cui si interpreta la realtà e si comunica con gli altri. L’humus da cui nasce è la famiglia, il primo ambito di esperienza della persona. Nel corso del tempo questo schema cambia, attraverso altre esperienze, conoscenze apprese, situazioni vissute. Dalla famiglia per esempio, lo schema può modificarsi con la partecipazione ad un gruppo di amici, da cui si apprendono cose diverse, parole che si condividono solo all’interno del gruppo e che rappresentano aneddoti, valori, ricordi. Tutte queste cose vanno ad arricchire e modificare il nostro
schema di riferimento, l’ECRO.

Un altro concetto utilizzato dalla Concezione Operativa è quella di gruppo interno. Un gruppo è composto da personaggi, ma anche da oggetti parziali, situazioni ed emozioni. La persona dall’infanzia internalizza personaggi della sua vita, emozioni, vincoli e inizia a dialogare con il proprio gruppo interno, che nel corso del tempo può ampliarsi, modificarsi. Alcune voci saranno molto forti e influenzeranno prepotentemente i nostri pensieri e comportamenti, altre entreranno nel corso del tempo, mitigheranno alcuni dialoghi, li trasformeranno. In una terapia familiare che ho seguito si parlava di un nonno che si era innamorato di una ragazza benestante del paese e del fatto che il padre della ragazza aveva espresso il proprio rifiuto dicendo che il nonno non era abbastanza ricco e abbastanza colto. Per tutta la vita il nonno aveva continuato a cercare di affermarsi economicamente, aveva spinto fortemente perché le figlie andassero a scuola. Nel gruppo interno di quest’uomo la voce del padre della ragazza era stata estremamente influente e l’uomo si era trovato a dialogare con questa voce un po’ persecutoria per tutta la vita.
Un individuo è sano se mantiene un intergioco costante fra la realtà che vive ed il proprio schema di riferimento, il quale deve modificarsi, in modo complessivo, in base all’esperienza pratica e fornire la possibilità di interpretare la realtà ad un livello più elevato, in un processo a spirale.

Per capire questo vi riporto l’esempio di Keplero (1600), il quale trova dei dati che non confermano la teoria delle orbite circolari dei pianeti del sistema solare. Questa informazione, proveniente dalla realtà, è in contrasto con lo schema di riferimento. Allora, avviene un apprendimento se la persona è in grado di modificare in modo complessivo il proprio schema di riferimento (come per far entrare il mobile di cui parlavamo prima nella stanza ammobiliata). Se questo non succede l’informazione può anche essere incamerata, ma verrà trattata come una bizzarria, una stranezza all’interno di uno schema di riferimento rigido.

Un altro esempio può essere rappresentato dalla dott.ssa Malara che scopre il paziente 1 ammalato di Covid a Cremona. Lo schema di riferimento medico non prevedeva la presenza del Covid in Italia. Ma i dati davano un quadro del paziente che non si spiegava con le conoscenze ed i protocolli istituiti. Allora, la presenza di un elemento nella realtà che non corrispondeva allo schema di riferimento, ha prodotto una pressione che poi ha portato la dott.ssa a forzare il protocollo e scoprire il paziente 1. Non è stato un processo semplice, la dott.ssa ha incontrato resistenze e critiche, ha dovuto assumersi la responsabilità di fare il tampone e permettere la modifica dello schema di riferimento (e anche di salvare la vita del paziente 1).

Se lo schema si sclerotizza la persona si “ammala”, non è più in grado di apprendere dall’esperienza e proietta sul mondo reale il proprio mondo interno in maniera rigida e ripetitiva. Si potrebbe anche dire che se il gruppo interno non riesce più a modificarsi, aggiungere voci e cambiare, la persona non apprenderà più dall’esperienza e riprodurrà in modo stereotipato il proprio mondo interno.
Pichon Riviere dice che per esempio i disturbi di personalità sono tutti disturbi dell’apprendimento.

Anche in questo caso facciamo un esempio. Se nella vita in famiglia una persona vive un vincolo di sfiducia nei confronti delle figure genitoriali questo entra a far parte del suo schema di riferimento. Se nel corso della vita questo schema si irrigidisce, le persone che incontra e che potrebbero modificare l’esperienza vissuta vengono vissute in maniera
distorta, la comunicazione male interpretata e alla fine si riconferma continuamente lo schema di riferimento iniziale. Questo produce un non apprendimento e, a seconda del grado di rigidità, problematiche alla persona in questione che potrebbe continuare a creare relazioni caratterizzate da sfiducia, delusione e allontanamento, appena l’altro commette degli errori.

L’ECRO ha aspetti manifesti, di cui il soggetto è consapevole ed aspetti latenti che agiscono, ma di cui la persona non è consapevole.
Quando entriamo in un gruppo ognuno di noi porta il proprio Ecro, una personale modalità di interpretare il mondo, che nasce dalle esperienze vissute, dalla partecipazione ad altri gruppi a cui abbiamo aderito.
Potremmo dire anche che entriamo con il nostro gruppo interno. La nostra aspettativa è che si sperimenti una situazione più o meno simile a quelle che conosciamo. Ma, se un gruppo inizia a funzionare, le aspettative iniziali non vengono soddisfatte. Il gruppo, nel qui e ora, inizia a funzionare in una direzione differente rispetto a quella pensata da
ognuno dei membri.

Il proprio schema di riferimento, nell’interazione con gli altri integranti che hanno un altro schema di riferimento e nel lavoro sul compito subisce una pressione, una tensione a modificarsi. Il gruppo interno inizia a incontrarsi, scontrarsi con il gruppo esterno.
Potremmo fare l’esempio della persona che ha interiorizzato figure genitoriali di cui non ci si può fidare, che fanno parte del suo Ecro. Nel corso della discussione di gruppo la persona può trovarsi davanti ad un altro membro che le ricorda la madre ed iniziare a provare sentimenti che prova per la madre (rabbia, desiderio di essere ascoltato). Proietta nel proprio comportamento il vincolo che ha con la madre, ma dall’altra parte l’integrante risponde in maniera diversa. Se per esempio la madre si allontana tutte le volte che c’è una discussione, potrebbe succedere invece che l’integrante risponda, stia nella discussione. Questo evento sorprendente produce una pressione nel proprio Ecro, una tensione al
cambiamento.

Questo processo, come dicevamo, non è affatto semplice, non è neutro.
Sviluppa ansie che vengono vissute concretamente all’interno del gruppo.
Se ne parlava già nella informazione precedente, quello che accade è che l’informazione e l’esperienza di gruppo entrano nello schema di riferimento e premono perché alcune idee, concetti si modifichino.
Si può allora sentire un’ansia legata alla confusione (la sensazione di non capire cosa si sta facendo, cosa c’entra l’informazione con quello che si è e che si deve fare, la difficoltà a comprendere che suscita fastidio) oppure più avanti un’ansietà persecutoria (cioè la sensazione di essere sprovvisti di strumenti per affrontare la situazione, la sensazione che non si riuscirà ad affrontarla bene, la diffidenza, la rabbia) e un’ansia depressiva (la difficoltà, il fastidio al pensiero di dover abbandonare delle certezze, strumenti, conoscenze). Queste sensazioni fanno parte dello svilupparsi del processo gruppale, sono necessarie se si vuole produrre apprendimento, cambiamento. La quota di ansia deve essere tenuta dal coordinatore ad un livello ottimale, nel senso che non deve arrivare a
livelli troppo alti disorganizzando il gruppo o attivando blocchi e stereotipie massicce ma non deve essere neanche nulla, segno di un mancato coinvolgimento affettivo, perché non si produrrebbe nessuna variazione, nessun apprendimento.

Ecco allora che una conoscenza, un’esperienza perché produca apprendimento deve mobilizzare, cambiare in modo più globale lo schema con cui interpretiamo il mondo. La difficoltà a mobilizzare il proprio schema di riferimento è spesso legato alla connotazione affettiva, legate all’identità, che hanno per noi alcune informazioni, conoscenze, esperienze: ci teniamo ancorati a certe idee senza permettere che ne entrino di nuove perché le precedenti sono estremamente significative.
Allo stesso tempo però nel gruppo si sperimentano anche altre emozioni, relative ad un vissuto di appartenenza, di affiliazione con gli altri, di collaborazione, di piacere per la condivisione delle conoscenze e delle esperienze degli integranti che può facilitare la strutturazione di un tessuto comune di cui ci si riconosce parte.

Il gruppo lavora se riesce a superare le situazioni dilemmatiche e procedere oltre, con una modalità dialettica. Per farlo è necessario che ognuno perda pezzi di certezza, che sperimenti contraddizioni che creano varchi. In questo modo il gruppo inizia a costruire il proprio schema di riferimento comune, la mutua rappresentazione interna. All’interno di
questo nuovo ECRO ci saranno esperienze vissute nel gruppo, conoscenze, emozioni, sentimenti, di vissuti, di vincoli. E’ ciò che definisce, come è stato detto nella lezione precedente, un noi che ogni persona si porta dentro e con cui affronta la realtà. Possiamo anche dire che l’ECRO corrisponde al gruppo interno, con il quale dialoghiamo
continuamente nel corso della vita.

E’ chiaro allora che maggiore è l’eterogeneità del gruppo, la ricchezza delle conoscenze portate, maggiore sarà, se si riesce a lavorare in modo coeso sul compito, l’articolazione e la varietà dello schema di riferimento gruppale.
Tutto ciò è necessario perché il gruppo possa comunicare con un linguaggio comune. Le persone potranno comunicare se danno lo stesso significato alle parole, ai concetti di cui hanno appreso il senso durante il processo gruppale, riuscendo a non sviluppare malintesi, distorsioni nella comunicazione.

Il gruppo è un altrove. Perché si crei un altrove è necessario uno straniamento, uno spaesamento che per esempio si crea costruendo uno spazio ad hoc per il gruppo, come dicevamo all’inizio relativamente al setting. Lo spazio deve essere qualcosa di un po’ diverso da quella che è la quotidianità, un altrove dove arriva l’informazione ed il gruppo la può “mangiare”, “digerirsela”. Questo altrove è uno spazio reale ma anche uno spazio interno, una zona intermedia libera e protetta (dal setting) in cui il gruppo può giocare con l’informazione, associare, portare liberamente idee, lasciarsi andare e contribuire ad un processo che nessuno, nemmeno il coordinatore, sa dove arriverà.

A mobilizzare gli schemi di riferimento del gruppo saranno le problematiche affrontate che mettono in discussione, creano conflitti, dubbi, apportano conoscenze. Ogni individuo, come abbiamo detto sopra, entra nel gruppo con la propria storia, il proprio schema. A livello grafico potremmo parlare di una dimensione verticale. La dimensione verticale di ciascun integrante si interseca con la realtà del gruppo, quello che avviene nel presente e che viene definita la dimensione orizzontale del gruppo. Oltre a queste due dimensioni c’è quella trasversale, rappresentata dagli avvenimenti istituzionali, storici, politici che accadono e che influenzano in modo significativo le altre due dimensioni e lo schema di riferimento del gruppo.

Possiamo per esempio dire che gli avvenimenti che abbiamo vissuto in questi tre mesi costituiscono parte della dimensione trasversale che influenzano il processo gruppale, lo schema di riferimento comune sia a livello cosciente che latente. La dimensione trasversale è importante, influenza profondamente le altre due, a volte consapevolmente, a volte in modo inconsapevole. Tenere conto degli aspetti istituzionali, sociali, globali è fondamentale per comprendere il processo gruppale e le influenze sullo schema di riferimento. Questo gruppo ad esempio non è quello di prima del Covid, le esperienze, conoscenze che ci hanno attraversato in questi mesi cambiano necessariamente l’ECRO.

Pensate, per esempio, che ansie avete provato rispetto all’utilizzo della modalità on line. Alcuni di voi magari erano già abituati, per altri sarà stato una novità assoluta che può aver prodotto rabbia, diffidenza, tristezza per le parti perse relativamente alle modalità dal vivo, confusione. Possiamo rifiutare completamente queste conoscenze che derivano dalla realtà odierna ed sperare di tornare a prima del Covid, oppure si può provare a integrare alcuni aspetti nuovi con le conoscenze che già avevamo, cercando di creare un nuovo schema che comprenda i nuovi concetti emersi.

Nel lavoro di gruppo emergono STEREOTIPI che sono delle modalità rigide di pensiero, modalità apprese che però sono diventate impermeabili all’esperienza e si riproducono sempre uguali. Possiamo dire che esistono stereotipi individuali, vali a dire quelli che ci portiamo dalla nostra esperienza di vita e con i quali entriamo in gruppo e stereotipi gruppali che devono essere superati se vogliamo produrre pensiero nuovo.

Vi faccio un esempio, per chiarire. In un lavoro fatto anni fa insieme al Dott. Montecchi all’interno di una comunità terapeutica per tossicodipendenti, abbiamo analizzato il materiale del gruppo per un periodo di un anno ed abbiamo ipotizzato che il lavoro sulla cura della propria tossicodipendenza si scontrava con la presenza di ostacoli importanti, in parte consapevoli ed in parte inconsapevoli. Un primo stereotipo era l’idea che ci fosse un destino per cui erano caduti nella tossicodipendenza, che ci fosse una forza più grande di loro che aveva prodotto la situazione in cui erano. Questo ostacolo era particolarmente ostico, perché allora riunirsi in gruppo, lavorare all’interno della comunità, sforzarsi di cambiare non aveva senso e lo stereotipo poteva costituire un alibi perfetto per lasciarsi andare e non produrre cambiamento. Un altro stereotipo era che sarebbero guariti se avessero incontrato l’amore. Essendo una comunità mista c’era la possibilità di innamorarsi, costituendo delle coppie. Questa modalità di pensiero, per cui la tossicodipendenza era dovuta ad una mancanza di affetto e che si sarebbe risolta incontrando la persona giusta, produceva in alcuni casi una resistenza al lavoro gruppale prima o una volta fidanzati, una chiusura in una dimensione a due che non permetteva apprendimento gruppale.

Il processo gruppale funziona se gli stereotipi possono diventare consapevoli e possono essere messi in discussione, schiudersi come uova e lasciare libero il pensiero. La forza del lavoro gruppale può permettere questa rottura. Lo descriviamo facendo riferimento a forze, pressioni, tensioni per ribadire l’idea che non è un processo innocuo, ma che, quando funziona produce un pensiero nuovo. Parliamo di un pensiero creativo, perturbante. Il concetto di perturbante, che viene da Freud, indica la possibilità di vedere qualcosa di non familiare, di estraneo nel conosciuto. Quello che può succedere nel processo gruppale è di rivedere con occhi nuovi concetti, conoscenze, esperienze conosciute. Il lavoro del gruppo produce un nuovo ordine simbolico, che può prendere le distanze dall’ordine simbolico dominante che ci attraversa culturalmente. Ci si riesce a distaccare dalle ripetizioni, quando le ripetizioni del fare si possono distanziare e ci appaiono perturbanti. Questo accade perché ci vediamo come da fuori ed assumiamo in questo la tematica del doppio. Proprio ieri in un gruppo un integrante diceva : “nel lockdown mi sono fermata, ho guardato quello che facevo e l’ho trovato assurdo”. Anche il lockdown è un altrove e allo stesso modo l’altrove del gruppo può portare alla presa di coscienza di certe routines, ripetizioni per poter produrre un immaginario gruppale nuovo.

Lo schema di riferimento deve essere uno strumento di lavoro, che si può applicare nel pratico e nell’operativo dal gruppo, che puè permettere alle persone di comunicare ed evitare malintesi. Vi porto un altro esempio, che proviene sempre dalla clinica. Un paziente psicotico che avevamo nel gruppo spesso parlava “del fenomeno” come la causa dei suoi mali. Nel lavoro gruppale il gruppo ha compreso quello che prima era un concetto
bizzarro e per certi versi incomprensibile: il “fenomeno” rappresentava una sorta di Dio, ma un Dio minore che invece di sostenere ed aiutare aveva prodotto una serie di sciagure, fra cui la morte del padre del paziente. A poco a poco il concetto di “fenomeno” ha iniziato a far parte dello schema di riferimento del gruppo, che lo utilizzava all’interno delle discussioni, appropriandosene. La modalità di comunicazione incomprensibile aveva lasciato il passo alla socializzazione del concetto che ha aperto il pensiero e che per il gruppo, e solo per quel gruppo con quello specifico processo gruppale, costituiva una parola di senso dell’ECRO gruppale.

Se il gruppo si apre al pensiero anche i ruoli si modificano nel senso che si mobilizzano, si arricchiscono le possibilità personali e producono comportamenti differenti. Nella lezione precedente vi era stato detto che spesso si entra in un gruppo di apprendimento con i propri ruoli istituzionali. Nel corso del lavoro di gruppo però le cose cambiano, emergono aspetti differenti, che connettono il cognitivo con l’affettivo, che dischiudono a modalità diverse di essere. Vi porto un’esperienza in un gruppo di apprendimento della non riuscita di questo processo. Un medico con molti anni di esperienza ha preso parte ad un corso di
formazione. Arrivava al corso sempre in giacca e portava la sua parte istituzionale, i casi clinici, la sua professionalità. Nel corso del tempo non è cambiato questo modo di porsi, non sono emerse altre parti della personalità, altri modi di essere. A livello simbolico notavamo che, mentre gli altri integranti si lasciavano andare, si rilassavano, mettevano a nudo alcune parti di sé, il medico teneva sempre la giacca, anche in estate. Questa ci è sembrata una forte resistenza alla possibilità di sperimentare parti differenti e di arricchire il proprio pensiero. La possibilità di passare da medico ad alunno, che avrebbe permesso il riaffiorare di ricordi del passato, di rivisitare il ruolo di alunno, di pensare ad altri aspetti non è potuto avvenire.

Un’altra situazione è rappresentata da gruppi di genitori e figli, nei quali per esempio all’inizio del processo un genitore si presenta come “sono il padre di Giulia”. Queste appartenenze generazionali danno il via all’emergere di stereotipi su noi-genitori e voi-figli, che è un momento naturale del gruppo ma che deve essere superato se vogliamo dar vita a qualcosa di nuovo. Quando un genitore inizia a pensare di essere stato anche figlio, come il ragazzo di fronte che sta parlando o fratello o amico, può mobilizzare alcune parti del suo Ecro e produrre pensiero nuovo, uscendo da una situazione stereotipata.

Per concludere, l’Ecro è uno strumento che il gruppo ha per poter lavorare poi nella pratica e produrre cambiamento. Questo è l’adattamento attivo alla realtà, la possibilità di intervenire sul reale, di non doverlo riprodurre tale e quale, di apportare qualcosa di nuovo. In questo senso il gruppo è una creatura viva, un soggetto e non un oggetto.
Nell’esperienza che stiamo facendo ora insieme per esempio la situazione di apprendimento è reciproca. Mentre voi ascoltate l’informazione e la elaborate nel corso del gruppo, noi apprendiamo dal vostro lavoro e ciò che producete può riversarsi sul dispositivo e produrre delle modifiche. E’ un processo circolare, o per meglio dire a spirale. Il gruppo in alcuni casi può costituire un aspetto istituente dell’istituzione, un motore di
cambiamento dell’istituzione stessa. Può essere una forza istituente che modifica l’istituito. Il gruppo apprende ed insegna, opera concreti cambiamenti nel reale.

Bibliografia
Bauleo, “Ideologia, gruppo e famiglia”
Bauleo e De Brasi, “Clinica gruppale, clinica istituzionale”, Il poligrafo
Marzotto, “I fondamenti della Concezione Operativa di Gruppo”, CLUEB Bologna
Montecchi, “Trasmissione e formazione”, on line
Montecchi, “Il gruppo operativo come produttore di ordine simbolico”, on line
Montecchi e Valeri, “Gruppi e istituzioni”, Areas 3 on line
Pichon Riviere, “Il processo gruppale”, Lauretana

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Cnca, bene il decreto immigrazione, ora superare la legge Bossi-Fini.

Cooperativa sociale Cento Fiori - Mar, 06/10/2020 - 15:25
Dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, al quale aderisce la Cooperativa Sociale Cento Fiori, ritiene «necessario e urgente cambiare l’approccio al fenomeno migrazioni».

Roma – Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA), al quale è iscritta anche la Cooperativa Sociale Cento Fiori, esprime la propria soddisfazione per il decreto immigrazione approvato ieri in Consiglio dei ministri e chiede che si lavori subito a una nuova normativa sul fenomeno migrazioni.

“Siamo soddisfatti per i contenuti del decreto immigrazione”, dichiarano Riccardo De Facci, presidente del CNCA, e Stefano Trovato, coordinatore Area Migrazioni della federazione (e presidente della cooperativa sociale Polo 9). “Auspichiamo che il Parlamento non peggiori, nel suo esame, quanto contenuto nel testo del provvedimento. Tuttavia, consideriamo l’approvazione del decreto solo un primo passo verso una radicale riscrittura delle politiche sulle migrazioni. Il testo adottato dal governo mette fine a un approccio punitivo verso persone migranti e ong, fortemente voluto dal precedente ministro dell’Interno, che ha purtroppo facilitato le morti di migranti nel Mediterraneo e le possibili speculazioni legate ai grandi centri di accoglienza».

«Ma è la legge Bossi-Fini sull’immigrazione che dobbiamo superare al più presto, una normativa lesiva dei diritti delle persone migranti e incapace di fare i conti con la realtà della globalizzazione e dei processi di migrazione a essa collegati. Se il governo vorrà aprire questo processo il CNCA, e le altre organizzazioni civiche impegnate su questi temi, saranno pronte a portare al tavolo le loro analisi e proposte».

La Cooperativa Sociale Cento Fiori è particolarmente sensibile al tema della migrazine, e attualmente attraverso il settore Migranti e i suoi qualificati operatori offre numerosi servizi di accoglienza aderendo ai progetti Sproimi e Sprar.

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Live painting. Orto. Sonorità: street art e natura per un pomeriggio di rigenerazione umana e urbana a La Serra Cento Fiori.

Cooperativa sociale Cento Fiori - Mer, 09/09/2020 - 16:05
I graffiti di Burla e Mozone, la nascita di un “piccolo orto antico” con semi autoctoni, reading di Debora Grossi e sonorità di Davide Clementi in arte Tritodetriti , e presentazione del progetto “Piantiamola – Ragazzi che cambiano il clima”: venerdì 11 settembre dalle 16 al Parco Marecchia.

Rimini – Un pomeriggio dedicato alla rigenerazione, del corpo e dello spirito, dove arte e natura scandiranno parallelamente le ore dalle 16 al tramonto di venerdì 11, nell’area della Serra Cento Fiori, nell’alveo del Parco XXV aprile.

Marecchia Social Fest – Live painting. Orto. Sonorità.

E’ il Marecchia Social Fest dedicato questa volta a “Live painting. Orto. Sonorità”, che vede coinvolti, in un progetto de La bottega Culturale, la Cooperativa Sociale Cento Fiori, i writers Burla e Mozone, l’associazione Civiltà contadina, il progetto dedicato ai giovani “Piantiamola – Ragazzi che cambiano il clima” e l’associazione Tassello mancante.

Programma Marecchia Social Fest – Live painting. Orto. Sonorità.

La prima voce del trittico che da il nome all’evento, live painting, aprirà il pomeriggio alle 16, con la rigenerazione di un vecchio edificio dell’area vivaistica del parco XXV aprile (o parco Marecchia come lo chiamano ancora i riminesi) attraverso i graffiti. Burla e Mozone, due presenze importanti nel panorama della street art riminese, disegneranno su uno degli edifici del vivaio che si affaccia sul parco Marecchia, di fianco a La Serra Cento Fiori (ingresso parcheggio da via Galliano 19 o da via padre Tosi).

I due writers nei giorni scorsi hanno dipinto due soggetti nella ex scuola di via Marecchiese a Spadarolo, e venerdì rinnoveranno la collaborazione con la Cooperativa Sociale Cento Fiori con il live painting fino al tramonto.

Orto sinergico presso La Serra Cento Fiori

Il programma proseguirà alle 17.30 con “Il piccolo grande orto antico”, ovvero la creazione di un orto sinergico speciale, piantando semi autoctoni. L’evento, a cura di Civiltà contadina, è dedicato a grandi e piccini e va a irrobustire la presenza di piante nell’area. L’orto infatti sarà preparato in una delle aree dove non crescono le oltre 300 essenze arboree piantate da La Serra Cento Fiori.

A seguire la presentazione del progetto “Piantiamola – Ragazzi che cambiano il clima”, azione di rilevanza locale finanziata dalla Regione Emilia-Romagna e promosso da associazioni di volontariato e promozione sociale della provincia di Rimini. La presentazione sarà a cura di Stefano Parmeggiani, ingegnere e divulgatore ambientale, il quale partecipa come consulente a nome del progetto Sosteniamoci.

Conclusa la presentazione è previsto un “reading” a cura di Debora Grossi (associazione Tassello Mancante) di brani tratti dal libro “L’uomo che piantava gli alberi” di Jean Giono, letture accompagnate da sonorità a cura di Davide Clementi in arte Tritodetriti. Concluderà il tutto una piccola degustazione di prodotti green e, per chi vuole, la “ligaza” è benvenuta.

«Con questo giornata, realizzata grazie all’apporto de La Bottega Culturale e in particolare a Laura Moretti, e la disponibilità dei due writers Burla e Mozone, ampliamo la rigenerazione di quest’area del parco che gestiamo da alcuni anni – dice Giovanni Benaglia, direttore della Cooperativa Sociale Cento Fiori – Oltre a La Serra Cento Fiori, la cui nascita ha visto la ristrutturazione di due edifici che erano in preda al degrado, ora cerchiamo di rendere l’intero spazio di circa due ettari non solo fruibile al pubblico ma anche attivo attraverso singoli eventi e collaborazioni che inseriamo nel progetto Marecchia Social Fest».

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Gara del piccolo pescatore al Lago Arcobaleno di Riccione: 31 premiati dal divertimento con canne da pesca Camor e medaglie ricordo Filps.

Cooperativa sociale Cento Fiori - Ven, 04/09/2020 - 17:24
I ragazzi, tra i 4 e i 12 anni, seguiti da un adulto, si sono cimentati nella pesca alla carpa “no kill”. Gran finale con piada e nutella.

Riccione – Trentun bambini tra i 4 e i 12 anni hanno partecipato alla Gara del piccolo pescatore, al Lago Arcobaleno di Riccione. Gara naturalmente si fa per dire, poiché a tutti i partecipanti è andata la medaglia ricordo della Federazione Italiana Laghetti Pesca Sportiva (Filps) e, come dono, canna da pesca e filo offerti dallo sponsor tecnico, la Camor. I 31 bambini, in parte figli d’arte ma in buona parte curiosi di questa disciplina sportiva che hanno appreso della gara dai canali social Instagram, Facebook e Youtube del Lago Arcobaleno Asd, che gestisce la struttura insieme alla Cooperativa Sociale Cento Fiori.

Un pomeriggio di sport, terminato con la merenda a base di piada e nutella, all’insegna del rispetto dell’ambiente. Infatti la pesca è rigorosamente alla carpa “no kill” e, come ulteriore approccio positivo, i ragazzi competevano sul numero dei pesci pescati, che venivano immediatamente rilasciati, e non sul peso delle catture. Le esche invece erano il pellet fatto appositamente per il Lago Arcobaleno su ricetta del biologo che ne segue l’equilibrio biologico.

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Istituzioni e pandemia: elementi di analisi istituzionale e gruppo operativo

Scuola di prevenzione José Bleger Rimini - Lun, 31/08/2020 - 17:25

Il Consorzio Sol.Co Mantova e la Scuola di Prevenzione “José Bleger” sono lieti di invitarvi al webinar:

Istituzioni e pandemia: elementi di

analisi istituzionale e gruppo

operativo

martedì 22 settembre 2020, dalle ore 16.00 alle ore 19.00

L’incontro intende affrontare gli elementi di base dell’analisi istituzionale e, attraverso alcuni cenni storici, riportarci all’attualità di questo dispositivo per leggere gli emergenti sociali nel tempo delicato e complesso che stiamo vivendo.

Durante il webinar interverranno esperti internazionali:

Patrick Boumard, docente di Antropologia dell’Educazione all’Université de la Bretagne Occidentale e presidente dell’Associazione Società Europea di Etnografia dell’Educazione (Saint-Senoux – Francia)
Remi Hess, scrittore e sociologo francese, docente di Scienze dell’Educazione all’Università Paris 8 (Reims – Francia)
Salvatore Inglese, etnopsichiatra e ricercatore in ambito antropologico (Catanzaro – Italia)
Leonardo Montecchi, psichiatra, psicoanalista e direttore della Scuola “José Bleger” (Rimini – Italia)
Osvaldo Saidon, psichiatra, psicoanalista, istituzionalista (Buenos Aires – Argentina)
Thomas Von Salis, neuropsichiatra e psicoanalista, studioso di analisi istituzionale (Zurigo – Svizzera)

Con loro dialogheranno Luciana Bianchera (psicopedagogista, formatrice, docente universitario di Psicologia del lavoro e metodi e tecniche dell’intervento educativo, responsabile scientifica di Solco Mantova), Lorenzo Sartini (psicologo, psicoterapeuta, formatore, supervisore e traduttore per l’Italia del testo “Psicologia de la conducta” di José Bleger), Giorgio Cavicchioli (psicologo, psicoterapeuta, formatore e supervisore) e Simona Di Marco (psichiatra, esperta in etnopsichiatria).

L’evento è gratuito ed è da considerarsi parte delle attività di ricerca sulle tematiche della cura delle istituzioni, dei compiti sociali e comunitari.

E’ possibile iscriversi sul sito di Sol.Co. Mantova al seguente link: https://www.solcomantova.it/iscrizione-webinaristituzioni-e-pandemia-elementi-di-analisi-istituzionale-e-gruppo-operativo/

L’incontro si svolgerà a distanza, in modalità sincrona, su piattaforma ZOOM.
Ad avvenuta iscrizione, riceverete automaticamente il link e i codici identificativi per accedere all’incontro.

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Street art al Centro di Accoglienza Straordinario: i graffiti di Mozone e Burla impreziosiscono la struttura per migranti della Cooperativa Sociale Cento Fiori.

Cooperativa sociale Cento Fiori - Sab, 22/08/2020 - 15:20
I due noti writers riminesi creano due soggetti scolastici per la ex scuolina lungo la via Marecchiese a Spadarolo, forse il primo passo di un progetto più ampio di riqualificazione urbana della periferia rurale.

Rimini – I suoi muri hanno accolto tante generazioni di alunni delle elementari delle zone rurali che si affacciano sulla Marecchiese, fino a 30 anni fa. Poi hanno accolto chi è fuggito da guerre e persecuzioni in Africa e in Asia, i richiedenti asilo ospitati dalla Cooperativa Sociale Cento Fiori, che gestisce la ex scuola elementare di Spadarolo trasformata in Centro di Prima Accoglienza. Ed ora quelle mura sono diventate anche “tela” per la street art di Mozone e Burla, due conosciuti writers del riminese che dal vissuto della ex scuola hanno preso le mosse per creare due graffiti, uno che guarda alla Valmarecchia e uno al mare. I quali, oltre che opere in sé, sono anche un abbozzo di quello che potrebbe diventare un progetto di riqualificazione urbana che dipana l’arte lungo la Marecchiese, nell’immediata periferia di Rimini.

Due scene scolastiche nate dalle bombolette, due immagini a cavallo tra il passato e il presente, contemporanee dei dettagli e senza tempo nell’essenza. A monte una bambina che sorride al suo bambolotto ascoltando mp3 dalla cuffia. Una scena che, spiega Mozone, l’artista che ha ideato l’iniziativa e che ha coinvolto l’amico Burla e la Cento Fiori, «voleva essere un po’ anni ‘80, con la bambina che indossa sulle spalle una cartellina e non uno zainetto e ha sottobraccio un bambolotto di pezza». Probabilmente Mozone ha sentito le ultime campanelle di inizio e fine lezione in quella scuolina. Anche da questo è partita la sua idea che, dice, «questo graffito potrebbe essere l’inizio di un progetto di più ampio respiro su via Marecchiese di arte urbana. Qualcosa che si dipani tra Spadarolo, Vergiano e i Padulli».

Ispirato alla scuola anche il graffito di Burla, ma anche dal fatto che lì, ora, vivono dei migranti: «ho pensato a un concetto legato alla scambio culturale, tra due ragazzi che in un momento di pausa, seduti su un banco, sfogliano insieme un libro. Penso che i problemi di razzismo nascano dalla mancanza di scambio culturale». E quindi il disegno, una ragazza e un ragazzo che vivono la ricreazione fianco a fianco sul banco.

«I due writers ci hanno proposto il progetto, senza chiederci alcun impegno. Una iniziativa che ci ha lusingato e che siamo stati ben felici di accogliere e favorire in ogni modo. – dice Monica Ciavatta, responsabile del settore Migranti della Cooperativa Sociale Cento Fiori. – Gli stessi ospiti hanno seguito i lavori con grande interesse, qualcuno riconoscendo lo stile in altri disegni in città. Devo dire che dopo gli episodi di intolleranza di un paio di anni fa abbiamo ricevuto molte espressioni d vicinanza, da parte del vicinato e tanti soggetti pubblici e privati. Ma certo quest’ultima di Mozone e di Burla e la più evidente: hanno creato due graffiti bellissimi. Speriamo che il progetto prosegua e cercheremo di sostenerlo come potremo».

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FONDO PERDUTO ED EVENTI CALAMITOSI: L'ORDINE DEI COMMERCIALISTI NON DEVE ESSERE UNA SUCCURSALE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE

Di seguito riporto la lettera che ho inviato al Presidente del coordinamento degli Ordini dei Dottori Commercialisti dell'Emilia Romagna, dopo che quest'ultimo ha avanzato una sorta di interpello all'Agenzia delle Entrate, per farsi dire quali sono le modalità corrette di applicazione della disciplina relativa al Fondo Perduto, erogato in seguito alla perdita di fatturato.    Egregio Presidente, ho preso conoscenza della richiesta di chiarimento alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate, avanzata come coordinamento degli Ordini dei Dottori Commercialisti dell’Emilia Romagna, circa la “corretta” modalità di applicazione della disciplina del c.d. “fondo perduto”, nei comuni oggetto di eventi calamitosi. Mi sia consentito, da iscritto, di esprimere, su questa vostra richiesta, qualche perplessità fondata sia sul fatto che la norma, a mio parere, non necessita di alcun chiarimento essendo già chiara così com’è, sia sul fatto che nel nostro ordinamento non è l’Agenzia delle Entrate il soggetto deputato a fornire l’interpretazione autentica delle norme vigenti. Semmai è una commissione tributaria o, ancora meglio, la Cassazione a doverlo fare. Vi è da aggiungere poi qualche cautela anche sulla validità delle interpretazioni rese dal Fisco. Basti pensare, su questo punto, la costante interpretazione data circa la impossibilità, per le immobiliari di costruzione, di avvalersi della disciplina sull’ecobonus. Interpretazione basata su motivazioni abbastanza surreali, smontate da una serie costante di sentenze della Cassazione, le quali hanno costretto la stessa Agenzia delle Entrate a dover correggere recentemente l’errore. Con il quesito che abbiamo avanzato si è innescato un meccanismo che ci può sfuggire di mano: se la Direzione Regionale delle Entrate dà una interpretazione restrittiva della norma, noi ci adeguiamo a tale intendimento, quando l’evidenza giuridica dice esattamente il contrario? Scegliamo la via conservativa di accettare la loro idea, per non avere problemi? Così facendo, però, diventiamo una succursale degli uffici fiscali, meri esecutori di convincimenti altrui, che sono basati non sulla ricerca della giustizia fiscale, ma sulla massimizzazione dell’incasso delle somme dai contribuenti. Se così fosse diventiamo inutili come categoria professionale, senza alcun valore aggiunto per i nostri clienti e per i cittadini. Io avrei proposto di fare diversamente e fornire noi il chiarimento necessario, facendo valere il peso della nostra professionalità, della nostra cultura e della nostra esperienza. Il messaggio doveva essere chiaro e preciso: “poche storie ci sono da fare, il contributo a fondo perduto spetta, anche in assenza dei requisiti di calo del fatturato, ai soggetti che, a far data dall'insorgenza dell'evento calamitoso, hanno il domicilio fiscale o la sede operativa nel territorio di comuni colpiti dai predetti eventi i cui stati di emergenza erano ancora in atto alla data di dichiarazione dello stato di emergenza Covid-19, cioè 31 gennaio 2020. Se volete sapere quali sono questi comuni basta guardare questo link qui: http://www.protezionecivile.gov.it/servizio-nazionale/attivita/emergenza/stati-di-emergenza”. Questo avrei scritto io, certamente in termini meno perentori e più istituzionali. Abbiamo scelto un’altra strada, quella dell’insicurezza e della ricerca di certezze su altrui pensiero. Me ne dispiaccio, e di questo mi sono sentito in dovere di farglielo sapere come iscritto e come professionista.   Analisi e commenti ImpreseOggi
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FONDO PERDUTO ED EVENTI CALAMITOSI: L'ORDINE DEI COMMERCIALISTI NON DEVE ESSERE UNA SUCCURSALE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE

Di seguito riporto la lettera che ho inviato al Presidente del coordinamento degli Ordini dei Dottori Commercialisti dell'Emilia Romagna, dopo che quest'ultimo ha avanzato una sorta di interpello all'Agenzia delle Entrate, per farsi dire quali sono le modalità corrette di applicazione della disciplina relativa al Fondo Perduto, erogato in seguito alla perdita di fatturato.    Egregio Presidente, ho preso conoscenza della richiesta di chiarimento alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate, avanzata come coordinamento degli Ordini dei Dottori Commercialisti dell’Emilia Romagna, circa la “corretta” modalità di applicazione della disciplina del c.d. “fondo perduto”, nei comuni oggetto di eventi calamitosi. Mi sia consentito, da iscritto, di esprimere, su questa vostra richiesta, qualche perplessità fondata sia sul fatto che la norma, a mio parere, non necessita di alcun chiarimento essendo già chiara così com’è, sia sul fatto che nel nostro ordinamento non è l’Agenzia delle Entrate il soggetto deputato a fornire l’interpretazione autentica delle norme vigenti. Semmai è una commissione tributaria o, ancora meglio, la Cassazione a doverlo fare. Vi è da aggiungere poi qualche cautela anche sulla validità delle interpretazioni rese dal Fisco. Basti pensare, su questo punto, la costante interpretazione data circa la impossibilità, per le immobiliari di costruzione, di avvalersi della disciplina sull’ecobonus. Interpretazione basata su motivazioni abbastanza surreali, smontate da una serie costante di sentenze della Cassazione, le quali hanno costretto la stessa Agenzia delle Entrate a dover correggere recentemente l’errore. Con il quesito che abbiamo avanzato si è innescato un meccanismo che ci può sfuggire di mano: se la Direzione Regionale delle Entrate dà una interpretazione restrittiva della norma, noi ci adeguiamo a tale intendimento, quando l’evidenza giuridica dice esattamente il contrario? Scegliamo la via conservativa di accettare la loro idea, per non avere problemi? Così facendo, però, diventiamo una succursale degli uffici fiscali, meri esecutori di convincimenti altrui, che sono basati non sulla ricerca della giustizia fiscale, ma sulla massimizzazione dell’incasso delle somme dai contribuenti. Se così fosse diventiamo inutili come categoria professionale, senza alcun valore aggiunto per i nostri clienti e per i cittadini. Io avrei proposto di fare diversamente e fornire noi il chiarimento necessario, facendo valere il peso della nostra professionalità, della nostra cultura e della nostra esperienza. Il messaggio doveva essere chiaro e preciso: “poche storie ci sono da fare, il contributo a fondo perduto spetta, anche in assenza dei requisiti di calo del fatturato, ai soggetti che, a far data dall'insorgenza dell'evento calamitoso, hanno il domicilio fiscale o la sede operativa nel territorio di comuni colpiti dai predetti eventi i cui stati di emergenza erano ancora in atto alla data di dichiarazione dello stato di emergenza Covid-19, cioè 31 gennaio 2020. Se volete sapere quali sono questi comuni basta guardare questo link qui: http://www.protezionecivile.gov.it/servizio-nazionale/attivita/emergenza/stati-di-emergenza”. Questo avrei scritto io, certamente in termini meno perentori e più istituzionali. Abbiamo scelto un’altra strada, quella dell’insicurezza e della ricerca di certezze su altrui pensiero. Me ne dispiaccio, e di questo mi sono sentito in dovere di farglielo sapere come iscritto e come professionista.   Analisi e commenti ImpreseOggi
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L’improbabile cancellino digitale di Fb sul nome di villa Mussolini

La casa di Kikko (il mio blog) - Gio, 23/07/2020 - 11:52

La mia cara collega Vera Bessone – god bless you, darling - mi ha invitato ad aderire al gruppo “Per cambiare il nome a villa Mussolini a Riccione”. Apprezzo il gesto, ma non aderirò. Non vorrei scomodare l’immagine di Winston Smith, il cui ruolo nella fantastica e visionaria mente di George Orwell riscriveva la storia cancellando i nomi dei personaggi invisi al Potere del momento. Ma sono costretto a farlo. Solo che il ruolo del Potere di turno viene in questi tempi di social network preso dal coro isterico che serpeggia da una posizione revisionista all’altra, a destra come a sinistra. Con lo sterile tentativo di modificare il presente o il futuro semplicemente con un colpo di spugna reale o digitale: un trattino sul nome, un libro da togliere a scuola, una statua divelta o imbrattata, una gogna mediatica che dura lo spazio di un giorno, se va bene un po’ di più.

Di volta in volta ho partecipato anche io al coro mediatico – sì, anche io nel mio piccolo appartengo alle pecore belanti di Animal farm, così anche io nel mio piccolo rientro nelle legioni di imbecilli battezzate magistralmente da Eco – ma per la miseria, sento il bisogno di disintossicarmi dalla furia iconoclasta di questi mesi, anzi anni. E di discernere un pochettino dalle lotte che vale la pena fare, quelle che mi paiono sbagliate e quelle che mi paiono catalizzatrici di imbecilli. Quest’ultima categoria l’ho inserita in onore di Eco, NON perché l’accomuno al cambio di nome a Villa Mussolini.

Riccione non ha poi tante vestigia e personaggi storici da vantare: un passato di borgo di pescatori, qualche focolare e un ponte romano lungo la Flaminia, delle sorgenti in riva al mare a sud – le Fontanelle - una benefattrice americana con il vezzo anglosassone di prendersi cura del popolino che la circondava, costruendo gli omonimi ospedale e scuola e finanziando il porto. E’ con Benito Mussolini che Riccione diventa qualcosa di più di un anonimo borgo di pescatori dove passare le vacanze nel villino di famiglia al mare. Non ricordo se firmò lui l’elevamento al rango di Comune nel 1922 – maledetta memoria - ma il Mascellone sicuramente le fece fare temporaneamente il salto di qualità da paesotto da vacanza a centro cultural-mondano-politico estivo, installandoci la famiglia e facendo ogni tanto la sua comparsata, ovviamente funzionale alla mitizzazione del suo Potere.

Io ricordo un po’ Villa Mussolini nelle sue versioni. Se non ricordo male era un ristorante di massa, mi pare si chiamasse Merendero ma forse mi sbaglio, poi chiuso presumo per la senescenza dell’edificio. Il comune lo restaurò sotto la giunta Imola, per farne un luogo di cultura sicuramente adatto ai vacanzieri vista la posizione. Ma anche restaurato resta un pallido edificio se lo compariamo alla bellezza liberty di Villa Lodi Fe o dei tanti villini dell’epoca che si estendono prima o soprattutto a sud di viale Ceccarini. Ma è uno spazio pubblico che rappresenta comunque qualcosa per la città. Innanzitutto una stagione che ha avuto una grossa importanza, a cominciare dal traino per il suo sviluppo turistico nella seconda parte del Novecento. Sarebbe stata cantata Riccione da Dino Sarti, avrebbe attirato i capitali di Aquafan negli anni ‘80 e di tutto ciò che è seguito sulla collina, ci sarebbero state le discoteche e i treni speciali del Cocco, sarebbe stata il set per anni delle tv private per le loro trasmissioni dedicate alle fasce giovanili?

Intendiamoci: non ascrivo questo ragionamento alla litania del “Mussolini ha fatto anche cose buone”. Un cazzo. Mussolini plasmava alcune città funzionalmente alle sue esigenze di propaganda e quindi di potere: Predappio la città dell’Uomo Nuovo, Riccione la città della vacanza della famiglia italiana, Littoria, Sabaudia le città delle bonifiche, e via e via. Però i discendenti dei pescatori, i commercianti dell’ombra e della camera e del tavolo apparecchiato e i musichieri e intrattenitori vari hanno saputo approfittare della rendita di posizione che il Mascellone ha lasciato in eredità una volta passata la ben più pesante eredità della carneficina mondiale.

E’ comunque un’eredità ingombrante, certo. Qualcuno la utilizza per perpetuare il ricordo del Bombetta, è vero, pateticamente a ricordare tempi passati che non torneranno più, e rigorosamente sempre dimentichi che i primi a far fuori il Mascellone furono i suoi stessi seguaci il 25 luglio del 1943. Ma se li guardiamo bene, sono buoni solo per comprare il tanga alla moglie con su scritto “Boia chi molla”. I fascismi del nuovo millennio hanno trovato nuove forme di espressione, eludendo le categorie novecentesche e facendo – guardiamo negli Stati Uniti o in Brasile oggi, e prima del Covid – 19 nelle Filippine, giusto per fare qualche esempio – nuove stragi con nuove parole d’ordine. E davvero noi crediamo che aderendo a un gruppo Facebook possiamo cambiare queste cose? A suon di post tireremmo una riga su un quarto di Novecento riccionese, cancellandolo come faceva Winston Smith? Spegneremmo d’un botto il silenzioso grido dei morti della campagna d’Africa, di Spagna, dell’Armir, dei fuochi delle incursioni notturne, di Fragheto e Marzabotto? Crediamo davvero che la nostra esistenza digitale sia così reale da farci dimenticare che la vita è fatta di corpi, e che il destino dei corpi è dettato dalla mente oltre che dal fato?

No, come Winston Smith non credo alla menzogna o all’ignoranza. Non credo alla furia iconoclasta del momento e alla rimozione. Un ricordo rimosso non è una vittoria, è una lezione perduta. Credo più nella lezione di Giorgio Frassineti, ex sindaco di Predappio, che alle orde di nostalgici che affollano la sua città, da amministratore tentò di schiuderla alle folle molto più grandi dei curiosi di tutto il Novecento. Trasformando la casa natia del Mascellone a Dovia, la frazione poi inglobata nella nuova Predappio mussoliniana, in un museo del Novecento, di prima durante e dopo il Ventennio. «Siamo legati indissolubilmente al nome di Mussolini, negarlo non si può», mi disse mentre spiegava come stava tentando di superare lo stallo culturale delle invasioni nostalgiche che tre volte all’anno colorano di nero Predappio. Lo fece apparentemente con poco: a chi entrava in quella casa dai natali funesti, Frassineti faceva balenare la bandiera rossa e nera del fabbro socialista internazionalista, papà Alessandro Mussolini.

Argomenti: BloggingLuoghi: Riccione

Sono un cinico cinquantaseienne che non può essere triste

La casa di Kikko (il mio blog) - Gio, 09/07/2020 - 11:06

Tra poco prenderò le mie solite medicine, che da quasi 11 anni mi accompagnano, salvo quando me ne dimentico. E da quasi undici anni sorrido quando sento talebanamente parlare di cure alternative. Pigliate pure quel che vi pare, le mie medicine mi hanno portato fin qui, Marco Paola e Andrea e company mi hanno portato fin qui e oggi più che mai me ne rallegro.

Sono un sopravvissuto e questi mesi di epidemia me lo hanno ricordato nel più brutale dei modi, portandosi via due altri pezzi della mia famiglia: la mia prima tata, ovvero la sorella di mio padre, Rita, e l’unico figlio del fratello di mio padre, Davide. Lo aspettavo quando stavo per compiere dieci anni. Doveva nascere il mio stesso giorno, stette un giorno in più nella pancia. Negli anni della nostra età adulta mi chiamava per farmi gli auguri di compleanno, e giocando sulle nostre date domani lo avrei richiamato per fargli i miei. Purtroppo il gioco è finito.

A Natale 2011, con mio padre si scontava con poche parole quell’annus orribilis, che gli portò via un figlio e la mia Stefania. Mi disse “tutto questo ci rafforza le spalle”. Non trovandolo consolante, gli chiesi “per che cosa”? Il 2020 mi ha dato la risposta. E se quanto scritto fin qui vi sembra triste, sappiate che no, non lo è. Non sono triste, come potrei esserlo? Sono un sopravvissuto, un po’ per fortuna e un po’ perché ho fatto in modo di essere fortunato, quando è stato il momento di agire seguendo l’istinto di sopravvivenza e il buonsenso.

Mi sono scrollato di dosso le paure che la malattia mi ha portato in dote, sciogliendomi dall’immobilismo nel quale mi ero costretto. Sono tornato a chiedermi cosa farò per i prossimi 10 o 15 anni, dopo anni in cui non vedevo simili orizzonti. Ho ritrovato interessi sepolti nei ricordi che hanno altri ritmi e altre discipline. Quando posso faccio le mie piccole imprese scritte con caratteri di sabbia sul bagnasciuga. Sono tornato ad amare e a scoprire che, beh, insomma, gli occhi dell’amore sono ciechi ma non sono esattamente come quelli di Omero: qualche storia può venire proprio male.

Così, con un bel po’ di cinismo in più di cui vado fiero, un carattere ancora più inspessito di quanto sia normalmente sopportabile (del quale non mi glorio) sono arrivato a 56 anni, al momento di scrivere queste righe. Nonostante tutto quanto premesso. E in queste ore vivo tutto il gusto, tutte le idiosincrasie, tutte le domande, tutti i tormenti e tutti gli struggimenti dei miei anni più verdi. Ben sapendo che quelli non sono più, è vero, ma è anche vero che sono altri anni. Anni in più. Il che non è un dettaglio, per un sopravvissuto :-)

Argomenti: Blogging

INFERMIERI LIBERI PROFESSIONISTI E FISCO: UN WEBINAR PER DISTRICARSI NELLA GIUNGLA DELLE TASSE.

Medicasa, società del Gruppo Air Liquide specializzata nella progettazione e nell’erogazione di servizi di assistenza domiciliare, promuove il webinar "Gestione fiscale e tasse per  libero professionisti".

L’evento vede anche la collaborazione di Nurse24.it e del portale Salute.live. Relatore dell’incontro è il socio dello studio Giovanni Benaglia. Obiettivo dell’evento, che è in programma lunedì 13 luglio 2020 dalle ore 17:00 alle ore 18:00 sul portale salute.live, è quello di fornire una guida fiscale e previdenziale semplice e completa per l’infermiere libero professionista che vuole tentate l’avventura della libera professione.

Tra i temi che verranno trattati durante l’evento live ci sarà l’apertura della partita iva e la contestuale scelta del regime fiscale, un approfondimento sul funzionamento del regime forfettario e sul regime previdenziale. Si farà, inoltre, un breve cenno anche alla normativa sugli studi associati.

L’iscrizione, gratuita, si può effettuare al seguente link:

https://www.salute.live/evento/gestione-fiscale-e-tasse-per-liberi-professionisti

 

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INFERMIERI LIBERI PROFESSIONISTI E FISCO: UN WEBINAR PER DISTRICARSI NELLA GIUNGLA DELLE TASSE.

Medicasa, società del Gruppo Air Liquide specializzata nella progettazione e nell’erogazione di servizi di assistenza domiciliare, promuove il webinar "Gestione fiscale e tasse per  libero professionisti".

L’evento vede anche la collaborazione di Nurse24.it e del portale Salute.live. Relatore dell’incontro è il socio dello studio Giovanni Benaglia. Obiettivo dell’evento, che è in programma lunedì 13 luglio 2020 dalle ore 17:00 alle ore 18:00 sul portale salute.live, è quello di fornire una guida fiscale e previdenziale semplice e completa per l’infermiere libero professionista che vuole tentate l’avventura della libera professione.

Tra i temi che verranno trattati durante l’evento live ci sarà l’apertura della partita iva e la contestuale scelta del regime fiscale, un approfondimento sul funzionamento del regime forfettario e sul regime previdenziale. Si farà, inoltre, un breve cenno anche alla normativa sugli studi associati.

L’iscrizione, gratuita, si può effettuare al seguente link:

https://www.salute.live/evento/gestione-fiscale-e-tasse-per-liberi-professionisti

 

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Okra Soup

Cooperativa sociale Cento Fiori - Ven, 03/07/2020 - 15:58

In questa ricetta, più che di un paese, parleremo del frutto di una pianta che ne rappresenta tanti: l’okra. Nota con nomi diversi (okra, bindhi, gombo, lady finger) è molto usata nella cucina asiatica, africana e anche sudamericana.

L’okra si presa a tante preparazioni anche perché contiene una sostanza gelatinosa ottima per addensare le salse. Un sapore apprezzatissimo da tanti (in particolar modo nella cucina del West Africa di cui parleremo) ma molto diverso da quelli a cui i nostri palati occidentali sono abituati – motivo per cui il mio (di palato) ci ha messo un po’ prima di riuscire ad apprezzarlo. La forma assomiglia a quella di un peperoncino verde mentre il sapore è più simile a quello di un asparago ma, appunto, gelatinoso.

L’okra, che piaccia o meno, fa benissimo alla salute: ricca di vitamine e minerali, sembrerebbe essere anche un ottimo antiossidante. Per questo (e anche perché il prezzo dell’okra – che si trova principalmente nei negozi di cibo etnico – è solitamente caro) abbiamo deciso di provare a piantarla nei nostri orti. Sebbene normalmente cresca in ambienti tropicali e subtropicali, le prime foglie sono spuntate anche a San Vito, Spadarolo e Riccione.

La ricetta di oggi prende il nome proprio da questa pianta e, nonostante l’autore della ricetta sia nato in Nigeria, ha sottolineato che dovessi attribuire la provenienza di questo piatto a tutto il West Africa. Infatti, pur potendo assumere colori e forme diverse, è un piatto il cui cuore non riconosce bandiere.

Ingredienti
  • Okra (0,500 kg)
  • Spinaci freschi tagliati fini (0,500 kg)
  • Pesce sgombro (1)
  • Cipolla (1)
  • Peperoncino q.b.
  • Pepe Nero q.b.
  • Zenzero fresco tagliato a pezzetti (0,200 kg)
  • Timo in polvere (1 pizzico)
  • Curry in polvere (1 pizzico)
  • Olio di palma (3 cucchiai)
Procedura

Per prima cosa, pulire e cuocere nel forno lo sgombro per circa 30 minuti a 200 gradi.

Nel frattempo, in una padella, far rosolare la cipolle con tutte le spezie. Aggiungere circa mezzo litro d’acqua e portare ad ebollizione. Aggiungere quindi l’okra tagliata a dadini (di modo da dare la possibilità alla sostanza gelatinosa di uscire – se si lascia intera si può mangiare così ma non si ottiene lo stesso effetto addensante). Aggiungere gli spinaci tagliati fini.

Quando il pesce è pronto, aggiungerlo alla zuppa avendo cura di toglierne la pelle e le spine. Mescolare tutto insieme, aggiungere per ultima cosa l’olio di palma e far cuocere per altri 20 minuti.

Alla fine, servire con riso basmati o Bancu (una sorta di polenta ottenuta mescolando acqua e farina di cui forniremo presto la ricetta).

L'articolo Okra Soup proviene da Cento Fiori, Rimini.

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Dall’accoglienza alla protezione, con inventiva: nell’emergenza Covid-19 le strutture e i dipendenti della Cento Fiori tra tutela degli ospiti, intrattenimento, impegno e responsabilità.

Cooperativa sociale Cento Fiori - Mar, 30/06/2020 - 12:32
Due settimane prima del lockdown, nella Comunità terapeutica e nei Cod «niente visite né uscite, attenzione all’ingresso di persone e merci. Create attività all’aperto: ginnastica, meditazione, orto, cinema». I Migranti: «esemplari nella tutela e generosi: donati tablet a pazienti Covid-19 ospedale di Rimini».

«L’emergenza Covid-19 ci ha visti impegnati su più fronti fin dal suo primo insorgere. La prima necessità è stata di proteggere utenti e strutture. Anche prima del cosiddetto “lockdown”. L’equipe della Comunità Terapeutica di Vallecchio, dei due Centri Osservazione e Diagnosi, del Centro Diurno e dei gruppi appartamento hanno optato per varare l’isolamento cautelativo dei pazienti e delle strutture. Niente più visite di parenti, niente più uscite degli utenti, forte attenzione alle modalità di ingresso di persone e merci nelle strutture». Gabriella Maggioli, vicepresidente della Cooperativa Sociale Cento Fiori, ripercorre con la mente gli ultimi mesi di lavoro. Non si è ancora abbassata la guardia contro l’emergenza Codiv-19, a Vallecchio di Montescudo dove c’è la Comunità Terapeutica e il Centro Osservazione e Diagnosi omonimi, come in tutte le strutture di accoglienza – dedicate alle dipendenze patologiche o all’ospitalità dei richiedenti asilo – che gestisce la Cooperativa Sociale Cento Fiori ad Argenta, a Rimini, a Riccione, a Santarcangelo.

Ora si guarda con maggior fiducia al futuro, ma in Cento Fiori non si dimentica il febbraio scorso, quando in equipe si decise di andare in “lockdown”, termine diventato poi di uso comune dapprima a Codogno e poi in tutta Italia. «Abbiamo “chiuso tutto” con due settimane di anticipo – ricorda Cristina Rinaldi, la coordinatrice degli educatori della Comunità Terapeutica e del Centro Osservazione e Diagnosi (Cod) di Vallecchio – Procedure da adottare… Mascherine… Distanza dai ragazzi… Noi educatori abbiamo avuto, come dire, un attimo disorientamento, perché lavoriamo molto con la relazione. Un disorientamento che è durato poco, perché quando senti che è la cosa giusta da fare, la fai».

«Uno degli scogli maggiori è stato il reperimento dei dispositivi di protezione individuale e dei prodotti per la sanificazione, un aspetto non facile sin dai primi giorni dell’epidemia. – dice Cristian Tamagnini, presidente della Cooperativa Sociale Cento Fiori – Il reperimento delle mascherine protettive è stato quello che ci ha visti più impegnati. Oltre al canale di approvvigionamento attivato da Legacoop Romagna, ci siamo attrezzati aprendo due canali diretti con imprese all’estero per acquistare mascherine sia chirurgiche sia di tipo kn95 o ffp2. Per non parlare del gel disinfettante, dei guanti, delle tute protettive: uno sforzo notevole in termini di risorse economiche e di ricerca, che ha visto impegnati con inventiva diversi colleghi nei settori, non solo il management della cooperativa».

Il “lockdown” non è stato un passaggio naturale per gli utenti.

«All’inizio gli utenti hanno avuto un po’ di resistenza. Non è durata tantissimo – dice Cristina Rinaldi – poi hanno capito dai giornali che la situazione era grave e che quello che stavamo facendo era per la loro tutela. E ci sono venuti dietro, ci hanno aiutato nelle procedure, nella distanza. Non è stato facile: ci mancavano i gruppi, ci mancavano i colloqui (che non erano facili con la mascherina), niente più incontri di calcetto, non più piscina al lunedì o altre attività esterne come mangiare fuori, fare shopping. Tutte quelle attività che danno energia agli utenti o dove potevano parlare dei loro problemi, eliminate».

Alfredo Pellegrini, educatore presso il Cod L’Airone di Argenta: «abbiamo cercato di dare una maggiore forza alla coesione al gruppo operativo e al gruppo dell’utenza, con un distacco meno marcato rispetto ai ruoli. Abbiamo cercato di inventarci delle attività in questo senso, cose anche semplici, come l’orto nel quale hanno coltivato il prezzemolo, le melanzane, pomodori, zucchine, peperoncini piccanti. Non tutti gli ospiti avevano il pollice verde, ma in diversi hanno dato una mano».

«Abbiamo cercato di integrare quel che a loro è venuto mancare. Sempre stando attenti perché noi educatori potevamo essere dei portatori di virus – dice ancora Cristina Rinaldi – a Vallecchio abbiamo creato attività all’aria aperta: ginnastica, meditazione, cinema. In cucina abbiamo proposto un menù un po’ più ricco di dolci, più elaborato con nuove ricette. Per Pasqua e per il 25 aprile abbiamo fatto un pranzo all’aperto, con grigliata e pizza».

Lo sforzo degli educatori è stato corale.

Dice Cristina Rinaldi che «gli educatori sono stati molto disponibili, abbiamo ridotto i turni, le equipe da remoto. Per molti tutto ciò non è stato considerato un dovere ma un mettersi a disposizione, con la consapevolezza del momento e delle esigenze che comportava. Tutti hanno lavorato con amore. Ho sentito un gruppo molto unito. Ci abbiamo messo anche le nostre paure e le ansie. Un minimo di contatto con l’esterno noi educatori lo avevamo, anche solo per fare la spesa e quindi potenzialmente sentivamo il peso di essere ancora più attenti a non diventare noi i portatori del virus. Oppure quando per emergenze dovevamo recarci nelle strutture ospedaliere dopo che è scattata la zona rossa. Ma nonostante tutto, nessuno si è tirato indietro, tutti hanno fatto il loro lavoro con scrupolo e abilità».

«Ha colpito molto gli educatori del settore Migranti l’atteggiamento dei richiedenti asilo, davvero esemplare sotto tutti gli aspetti. Dall’inizio dell’epidemia non hanno atteso alcuna disposizione, hanno scelto di tutelarsi attraverso l’isolamento sociale con molto rigore, in tutte le strutture. – racconta Monica Ciavatta, responsabile area Migranti – E’ da segnalare, inoltre, che gli ospiti dei plessi riccionesi hanno avviato una colletta per donare due tablet ai pazienti dei reparti covid-19 dell’ospedale di Rimini, per permettere ai malati di comunicare con le famiglie. Un gesto che nasce dal cuore e dall’esperienza. Nella lettera che accompagnava i tablet, infatti, i giovani richiedenti asilo hanno scritto, tra le altre cose, “Conosciamo bene il dolore e l’angoscia che si prova quando sei costretto a stare lontano dalla tua famiglia. Quello che a noi ci ha aiutati è stato un telefono con cui poter chiamare casa e così vedere gli occhi delle nostre mamme, i visi dei nostri figli, poter dire loro che stavamo bene e che eravamo ancora vivi. Per questo abbiamo pensato a questi tablet”».

L'articolo Dall’accoglienza alla protezione, con inventiva: nell’emergenza Covid-19 le strutture e i dipendenti della Cento Fiori tra tutela degli ospiti, intrattenimento, impegno e responsabilità. proviene da Cento Fiori, Rimini.

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La coordinazione del gruppo operativo online

Scuola di prevenzione José Bleger Rimini - Dom, 28/06/2020 - 08:16

di Laura Buongiorno (Psicologa e psicoterapeuta, Coordinatrice didattica Centro Studi e Ricerche “José Bleger”, Rimini – mail: labuongiorno@gmail.com, cell: 3356914814)

Premessa

L’occasione è stata la chiusura delle scuole per ordine ministeriale da Covid19 che ha interrotto il normale svolgimento delle lezioni con relativo isolamento e distanziamento sociale lasciando tutti per giorni e giorni in attesa incertezza. La crisi pandemica mai vissuta prima nella sua globalizzazione ha sollevato interrogativi sulla possibilità di ripristinare la comunicazione e la relazione interrotte. La parola pazienza evoca astinenza, prudenza, resistenza. Nel corso dei secoli l’Homo sapiens è stato il sovrano della storia. I mo menti critici gli ricordano la sua fragilità. Oggi che è la nostra stessa sopravvivenza a essere minacciata, scopriamo quanto siamo vulnerabili e quanto precario sia l’equilibrio naturale da cui dipendiamo. Osservando il rapporto tra l’uomo e il virus che oggi stiamo affrontando direi che noi siamo palesemente imperfetti. Però, proprio perché così imperfetti, noi abbiamo dei margini di creatività, di previsione. La sfida è sapersi coordinare alla strategia dell’interlocutore, per dialogare e per ribattere: noi Homo sapiens uguali da millenni , dopo aver cambiato il mondo con le tecnologie dell’informazione, ora ci dobbiamo adattare ad un ambiente che noi stessi abbiamo prodotto. Gli e-saltati presentano la svolta digitale come tetrafarmaco per la nuova pe stilenza che solo permette tra una lezione in teledidattica, una riunione in tele lavoro,una pausa di teleaperitivo, di rompere l’isolamento dal social, vera pia ga del morbo, più grave della malattia fisica. Così le ultime resistenze di chi ancora opponeva scetticismo e perplessità ai modelli sociali e culturali imperniati sulla tecnologia sono state travolte dall ormai indiscutibile efficacia di una nuova socialità telematica, di una rinnova ta produttività a distanza. Le esitazioni di chi ancora opponeva il cauto pessimismo della ragione all incondizionato ottimismo della connessione sono spazzate, i dubbi dissipati gli equivoci chiariti.

Intanto dalla fase 2 alla fase3 i tempi corrono veloci e quello che andava be ne l’altro ieri oggi è già superato. La scuola dovrebbe essere un passo avanti invece abbiamo sempre consta tato che rimane indietro diventa obsoleta e inadeguata . Non a caso quando parliamo di istituzione analizziamo l’istituito e consideria mo l’istituente come possibilità di cambiamento. Per questo pensiamo che una scuola debba avere al suo interno un centro di ricerca con docenti ricercatori che attraverso gruppi , come nel caso della Scuola Bleger, lavorino sui vari ambiti (individuale, gruppale, istituzionale, comunitario, globale).

Assistiamo a continui tagli di bilancio a scuola, sanità e cultura. Tutto quello che non produce ricchezza diventa marginale. La scuola italiana non riprende realmente al contrario di altre nazioni europee anche perché le aule delle nostre scuole non rispettano gli spazi necessari per numero di alunni secondo una normativa che non è mai stata applicata neanche in tempi normali per cui oggi la distanza che si richiede sarebbe Impossibile. Per mancanza di strutture adeguate la scuola rimane chiusa.

Secondo Michel Foucault la biopolitica è uno strumento per governare i Paesi. Il rischio biopolitico è che il potere-nazionale, internazionale, medico indu striale, governativo-pretenda di controllare la vita sociale in nome della salute pubblica, adottando misure che mettono in discussione i diritti dei cittadini. Viene richiesto di mantenere la distanza fisica non quella sociale: due concet ti molto diversi perché durante il lockdwn le persone hanno rafforzato le rela azioni sociali attraverso le piattaforme digitali. Insegnare e vivere ai tempi del virus , nei giorni pandemici possiamo fare otti me lezioni in cui la distanza non è più un vuoto da riempire, può essere un valore interessante, un’opportunità. In queste settimane di emergenza sanitaria abbiamo sperimentato la tecnica della didattica a distanza che non ha precedenti come unica forma di didattica attualmente praticabile.

La Scuola Bleger ha avviato le lezioni a distanza. Che cosa si guadagna e che cosa si perde in questo nuovo scenario? È di fatto limitata la condivisione cognitiva ed emotiva degli argomenti della lezione, viene meno quella modalità di interazione con i presenti sui passaggi salienti con l’ausilio del linguaggio del corpo. Ci si domanda quanto queste limitazioni conseguenti all’assenza di uno spa zio-tempo condiviso potranno essere superate con l’esperienza, con l’acqui sezione di nuove strategie cognitive e di efficaci modalità di interazione a di stanza, come pure dallo stesso sviluppo di tecnologie sempre più sofisticate che potranno rendere la lezione quanto mai più vicina a quella in presenza, con uno scenario ad oggi quasi fantascientifico. Questo per dire che ho affrontato la coordinazione del gruppo operativo online senza pregiudizi e anche però senza certezze che sarebbe stato pos sibile. Di seguito presento gli emergenti dei due gruppi coordinati partendo dalla triangolazione “gruppo-compito-coordinatore “ e dal setting (tempo, spazio ruoli, compito) . Nel gruppo operativo online quello che cambia è lo spazio. Il gruppo coordinato online è formato da 8 allievi (4maschi e 4femmine). Un gruppo eterogeneo per età e professioni (psichiatri, sociologi, Psicotera peuti , educatori) . Per non appesantire il lavoro si decide di fare un’ora di informazione e un’ora e mezzo di lavoro di gruppo , al contrario della scuola reale che prevede due informazioni e due gruppi nello stesso pomeriggio.

PRIMO GRUPPO ONLINE 24/4/2020
Secondo anno
Ore 15/16.30
Presenti 8 allievi
Il compito:”parlare dell’informazione e di quello che volete”.
Coordina Laura Buongiorno
Informazione di Leonardo Montecchi su “ L’osservazione”
Il secondo anno di scuola Bleger prevede che gli ultimi due incontri siano sull’osservazione per andare a osservare altri gruppi in altri contesti con relativa supervisione sempre online.

PRIMO EMERGENTE del primo gruppo online
Una persona non riesce ad aprire il microfono e rimane spenta attivo solo il video. Coordinatrice: Sembrerebbe che qualcuno non voglia parlare. Perché? “Mi sono sentito uno dei migranti. Mi hanno mandato da loro per informarli aiutarli. Alla fine ho fumato con loro e sono stato mandato via. Mi sono sentito in colpa”. “Ho sentito la tua impotenza. È una sensazione che ci implica tutti in questa situazione di crisi”. “È venuto a mancare il nostro medico di base: ecco l’impotenza”. “Il senso di impotenza è non poter stare tutti nella stessa stanza”.

SECONDO EMERGENTE (EMERGENTE CENTRALE)
“Siamo stati colonizzati dal virus”. “Il virus cerca di fare morire le relazioni, noi però possiamo reinventarci dopo essere stati bloccati”. “Io a casa non riesco ad attivarmi.” Coordinatrice: sento che c’è una resistenza ad accettare questa nuova situazione. A metà gruppo si apre la comunicazione di chi non riusciva a parlare. “Il silenzio della pandemia è obbligato, il silenzio nel gruppo è volontario.” “Adesso a casa leggo, non sto così male ma ho paura del dopo. Ho ricevuto il kit di pronto soccorso emotivo”.

TERZO EMERGENTE (EMERGENTE FINALE)
“Faccio una grande difficoltà a fare questo gruppo: vi vedo uno alla volta”. “Questo resto a casa io non l’ho vissuto; sono andata sempre a lavorare e poi vado a fare la spesa con la fila per i miei genitori vestita da guerra. Ancora la vestizione e la svestizione sul pianerottolo. La cosa più pesante è la distanza”. “Credo che la cosa sia stata mal condotta. Da quando l’OMS ha ufficializzato la pandemia, questa è diventata la principale notizia dei talkshow”. “Non c’è mai qualcuno che fa autocritica e che ammette di aver sbagliato”. “Io ho un vissuto di rabbia”. “Io mi sento fortunato perché migliaia di persone sono state contagiate e io no”.

COMMENTO
La tecnica nel gruppo online non è solo quella del processo, è anche quella della tecnologia. Da un inizio di difficoltà e di impotenza si passa a una fase di attivazione. Il virus fa morire le relazioni ma ci si può reinventare. Questa modalità è la unica alternativa praticabile per uscire dal l’isolamento.

SECONDO GRUPPO ONLINE
8/maggio 2020
8 allievi presenti (4 maschi e 4 femmine)
Ore 15/16,30
Il compito: “parlare dell’informazione e di quello che volete”
Coordina Laura Buongiorno
Relatore Leonardo Montecchi su “L’osservazione” (ore 14/15)
La relazione è sull’osservazione: come cogliere un emergente. “Lo faremo insieme nella supervisione”. “Gli emergenti necessitano di una interpretazione che non si può dire quale sia quella giusta. Resta il fatto che solo l’interpretazione certa muove il processo del gruppo. Processo a spirale manifesto e latente dall’implicito all’esplicito e viceversa”.

PRIMO EMERGENTE
“Siamo in uno spazio individuale, invece a scuola eravamo in uno spazio comune”. “La sensazione è come se non avessi fatto esperienza”. Coordinatrice: “State dicendo che questo non è un gruppo?”. “L’esperienza non era solo il gruppo: iniziava dal momento in cui partivo al momento in cui tornavo e poi c’era la pausa tra un gruppo e l’altro”. “A me mancano gli aspetti relazionali”. Coordinatrice: “Vi state chiedendo se c’è un piacere da provare qui?”. “Il viaggio era un aspetto piacevole, questa modalità è meglio di niente”.

SECONDO EMERGENTE (EMERGENTE CENTRALE)
“È un film di animazione che prospetta un futuro tragico”. “Questa crisi ci ha costretto a fare altre cose”. “La rabbia è che questo è un surrogato e ha bloccato quello che si stava facendo”.

TERZO EMERGENTE (EMERGENTE FINALE)
“Dalla fantascienza alla Tecnologia… ma ti vorrei dare un abbraccio!”. “Tolstoj dice che non c’è progresso se il progresso non è di tutti”. “Qui è difficile mantenere l’attenzione”. Coordinatrice: “State dicendo che la tecnologia e l’ambiente non possono convivere?”. “L’epistemologia convergente….”. “La tecnologia mi piace ma non può sostituire altro”. Coordinatrice: “Qual è il dentro e il fuori di questa situazione? Come si fa a pensarla? Oggi avete eliminato le interferenze, spento i cellulari, nessuno si è alzato, nessuno mangia… proprio come a scuola…”. “Io sento che anche questo è un gruppo”.

COMMENTO
Questo non è un gruppo che si è arreso, ne’ rassegnato. La protesta è nella manifestazione emotiva di frustrazione e di impotenza. Ma è anche nella responsabilità di avere maturato VINCOLI che alla fine fanno ammettere di essere gruppo: quale gruppo del qui e ora? Alcune considerazioni riguardano il fatto che c’è già una storia del gruppo preso in esame in quanto forse il processo coincide con l’esperienza fatta negli anni passati. Sarebbe interessante confrontarlo con uno che inizia online e termina online. Ogni contesto storico (politico, sociale, economico) deve fare i conti con gli strumenti che ha a disposizione. La resistenza nelle trincee della prima guerra mondiale si è trasformata in una frontale e di sabotaggio nella seconda guerra mondiale. Oggi la catastrofe da coronavirus che stiamo vivendo ancora non ci permette pienamente di capire come affrontarla. Questo non significa che non possa esserci una strategia di resistenza. Infine una rinnovata riflessione sul corpo è imprescindibile. Il gruppo online riapre i giochi, torna a parlare di corpo e di linguaggio per riformulare i termini della discussione, dove anche qui il corpo non possa essere pensato altrimenti che nel suo potere significante. Questo corpo è forma della materia, una forma che si svela e funge nelle trasformazioni che produce. Si propone il tema del corpo per una nuova esigenza di pensiero e per una nuova riflessione.

“No aspiramos a ser excelsos observadores de la realidad, sino professionales capaces de transformarla” (Enrique Pichon Riviere).

 

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I dati dal rapporto “Droghe e carcere al tempo del Coronavirus. Undicesimo libro bianco sulle droghe” Gli effetti della legge antidroga Edizione 2020.

Cooperativa sociale Cento Fiori - Ven, 26/06/2020 - 15:34

Il Libro Bianco sulle droghe, giunto alla undicesima edizione, è un rapporto indipendente sui danni collaterali del Testo Unico sulle droghe promosso da La Società della Ragione insieme a Forum Droghe, Antigone, CGIL, CNCA, Associazione Luca Coscioni, ARCI, LILA e Legacoopsociali con l’adesione di A Buon Diritto, Comunità di San Benedetto al Porto, Funzione Pubblica CGIL, Gruppo Abele, ITARDD e ITANPUD. Ogni anno viene presentato in occasione del 26 giugno nell’ambito della campagna internazionale di mobilitazione Support! don’t Punish.

Il rapporto oltre a contenere i dati (2019) relativi agli effetti della war on drugs sul sistema penale e penitenziario italiano presenta un focus sulle conseguenze della crisi COVID-19 su carcere e consumi. Inoltre come ogni edizione contiene riflessioni e approfondimenti sul sistema dei servizi, sulla riduzione del danno e sulle prospettive di riforma delle politiche sulle droghe a livello nazionale ed internazionale.

Il 26 giugno, dalle ore 15, si terrà un webinar on line di presentazione del Libro Bianco con iscrizione obbligatoria ma gratuita a questo indirizzo: https://register.gotowebinar.com/register/6062862554304999947

Il Libro Bianco, disponibile in versione cartacea in tutte le librerie e i rivenditori on line, sarà consultabile sul sito di Fuoriluogo, www.fuoriluogo.it/librobianco.

LE DROGHE E LA REPRESSIONE. I dati in pillole La legge sulle droghe è il volano delle politiche repressive e carcerarie. Senza detenuti per art. 73, o senza tossicodipendenti non si avrebbe sovraffollamento nelle carceri

Dopo 30 anni di applicazione, i devastanti effetti penali del Testo Unico sulle sostanze stupefacenti Jervolino-Vassalli (l’art. 73 in particolare) non possono essere più considerati “effetti collaterali”. La legge sulle droghe continua a essere il principale veicolo di ingresso nel sistema della giustizia italiana e nelle carceri.

La legislazione sulle droghe e l’uso che ne viene fatto sono decisivi nella determinazione dei saldi della repressione penale: la decarcerizzazione passa attraverso la decriminalizzazione delle condotte legate alla circolazione delle sostanze stupefacenti così come le politiche di tolleranza zero e di controllo sociale coattivo si fondano sulla loro criminalizzazione. Basti pensare che in assenza di detenuti per art. 73. o di quelli dichiarati tossicodipendenti, non vi sarebbe il problema del sovraffollamento carcerario, come indicato dalle simulazioni prodotte. Dopo 30 anni di applicazione non possiamo più considerare questi come effetti collaterali della legislazione antidroga, ma come effetti evidentemente voluti.

Il 30% dei detenuti entra in carcere per un articolo di una legge dello Stato

13.677 dei 46.201 ingressi in carcere nel 2019 sono stati causati da imputazioni o condanne sulla base dell’art. 73 del Testo unico. Si tratta del 29,60% degli ingressi in carcere: si consolida l’inversione del trend discendente attivo dal 2012 a seguito della sentenza Torreggiani della CEDU e dall’adozione di politiche deflattive della popolazione detenuta.

Il 34,80% dei detenuti è in carcere per la legge sulle droghe.

Sugli oltre 60.000 detenuti presenti in carcere al 31 dicembre 2019 ben 14.475 lo erano a causa del solo art. 73 del Testo unico (sostanzialmente per detenzione a fini di spaccio, 23,82%). Altri 5.709 in associazione con l’art. 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, 9,39%), solo 963 esclusivamente per l’art. 74 (1,58%). Questi ultimi rimangono sostanzialmente stabili. Nel complesso vi è una impercettibile diminuzione dello 0,67%. Il costo della sola carcerazione per droghe è oltre 1 miliardo di euro l’anno.

OLTRE il 36% di chi entra in carcere usa droghe. Si assesta la presenza ai massimi storici dalla Fini-Giovanardi

Resta ai livelli più alti degli ultimi 15 anni la presenza di detenuti definiti “tossicodipendenti”: sono 16.934, il 27,87% del totale. Questa presenza, che resta maggiore anche rispetto al picco post applicazione della Fini-Giovanardi (27,57% nel 2007), è alimentata dal continuo ingresso in carcere di persone “tossicodipendenti”. Nel 2019 questi sono stati il 36,45% degli ingressi nel circuito penitenziario, in aumento costante e preoccupante da 4 anni.

Le conseguenze sulla Giustizia Oltre 200.000 fascicoli nei tribunali. 1 su 2 porta ad una condanna. Per reati contro la persona o il patrimonio il rapporto è 1 a 10

Le persone coinvolte in procedimenti penali pendenti per violazione dell’articolo 73 e 74 sono rispettivamente 175.788 e 42.067. è un dato che, pur in leggera diminuzione, si allinea agli anni bui della Fini-Giovanardi. Da notare come secondo una ricerca che pubblichiamo negli approfondimenti, mentre quasi 1 procedimento su 2 per droghe termina con una condanna, questo rapporto diventa 1 su 10 per i reati contro la persona o il patrimonio.

Le misure alternative Aumentano le misure alternative, che però appaiono ampliare l’area del controllo

Continuano ad aumentare le misure alternative, fatto positivo in sé, ma che nasconde anche una tendenza che fa pensare che siano diventate una alternativa alla libertà invece che alla detenzione. Consentendo così di ampliare l’area del controllo.

Le segnalazioni e le sanzioni amministrative per il consumo di droghe illegali Continua ad aumentare la repressione del consumo: su quasi 44.000 segnalazioni (+6,67%) solo 202 richieste di programma terapeutico. 1.312.180 SEGNALAZIONI DAL 1990. quasi un milione per CANNABIS (73,28%)

Non si ferma il trend in aumento delle persone segnalate al Prefetto per consumo di sostanze illecite: 41.744 nel 2019. Le segnalazioni sono quasi 44.000, +6,67%. Più di 4000 sono minorenni. Diminuiscono leggermente le sanzioni: sono state 14.322 nel 2019. Queste vengono comminate in un terzo dei casi mentre risulta irrilevante la vocazione “terapeutica” della segnalazione al Prefetto: solo 202 sono state sollecitate a presentare un programma di trattamento socio-sanitario; nel 2007 erano 3.008. La repressione colpisce principalmente persone che usano cannabis (77,95%), seguono a distanza cocaina (15,63%) e eroina (4,62%) e, in maniera irrilevante, le altre sostanze. Dal 1990 1.312.180 persone sono state segnalate per possesso di sostanze stupefacenti ad uso personale; di queste quasi un milione (73,28%) per derivati della cannabis.)

L’attività di repressione delle forze dell’ordine La cannabis è al centro dell’azione delle forze dell’ordine. Con la Fini-Giovanardi è vistosamente calata l’attività di contrasto a cocaina e eroina

Da una analisi retrospettiva dei dati della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga si nota come la sostanza al centro dell’azione delle Forze dell’Ordine sia la cannabis. Sia per numero di operazioni, che per sequestri e persone segnalate all’attività giudiziaria. Da notare come nel periodo in cui era vigente la Fini-Giovanardi, che equiparava tutte le sostanze ai fini delle sanzioni, si sia divaricata la forbice fra operazioni con oggetto cannabis (in continuo aumento) e operazioni contro cocaina e eroina. Per quest’ultima il calo del numero delle operazioni continua anche negli ultimi anni.

Le violazioni dell’art. 187 del codice della strada il 96.80% degli incidenti non c’entra nulla con le droghe. Solo lo 0,27% dei conducenti è risultato positivo durante i controlli notturni dei carabinieri durante i week end

Restano significativi i dati rispetto alle violazioni dell’art. 187 del Codice della Strada, ovvero guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti. I dati disponibili sono piuttosto disomogenei, per cui di difficile interpretazione, come confermato dalla stessa ISTAT. Nel corso dei controlli nelle notti dei week end da parte dei carabinieri le violazioni accertate rappresentano lo 0,27% dei controllati. Rispetto alle positività accertate a seguito di incidente questa percentuale sale, al 3,20% nel corso dei primi 10 mesi del 2019. Ricordando che spesso la positività al test non è prova di guida in stato alterato (in particolare per la cannabis), possiamo affermare che l’uso di droghe non è certamente la causa principale di incidenti in Italia.

Gli altri contenuti: consumi e carcere durante il lockdown Durante il lockdown i consumatori hanno dimostrato capacità di autoregolazione e il mercato illegale flessibilità e resilienza. I servizi hanno saputo adattarsi solo a macchia di leopardo alla nuova situazione

Quest’anno il Libro Bianco pone grande attenzione alla situazione dei consumi di sostanze e delle carceri durante la crisi Covid-19. In particolare rispetto ai consumi si presentano in anteprima i primi risultati di 3 ricerche sui consumi di droghe durante il lockdown che hanno messo in luce una significativa capacità di controllo dei consumatori, che hanno adottato strategie di fronteggiamento dell’emergenza, di adeguamento alle mutate condizioni di vita e di consumo, di minimizzazione dei rischi. Si è inoltre verificata la flessibilità e resilienza del mercato illegale delle droghe, che è rimasto vivace e mai si è interrotto. Mentre i Servizi pubblici hanno saputo, anche se ancora una volta a macchia di leopardo, adeguarsi alla situazione adattando le terapie farmacologiche, gli strumenti di Riduzione del Danno, di consulenza e informazione online sulle sostanze.

Nel volume si trovano quindi spunti e riflessioni rispetto alla riforma delle politiche sulle droghe in ambito nazionale ed internazionale, e approfondimenti specifici sul carcere, sui reati minori sulle droghe e sulla riforma dei servizi in un’ottica di decriminalizzazione dell’uso delle sostanze.

(Comunicato stampa di lancio dell’ediizione 2020 del rapporto “Droghe e carcere al tempo del coronavirus. Undicesimo libro bianco sulle droghe”.)

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Il Barone rampante: la mia vita trasecola e mi parla.

La casa di Kikko (il mio blog) - Ven, 26/06/2020 - 12:15

Come un fiume carsico - sempre quello - riaffiora il giochino dei dieci libri. Ahimè vorrebbero solo la copertina, senza commenti: titolo e autore sna. Questa volta mi tira per la giacchetta la roscia per eccellenza, Federica. Vabbé, sono un debole e subisco il suo fascino fiammeggiante...

Apparteche ricordo solo un libro acquistato anche grazie alla copertina, "Un materasso nuovo. Racconti di uomini alle prese con amore, impegno e matrimonio", che mostra una delle coppie in muto dialogo amoroso di Lorenzo Mattotti. Ma poi: perché non dovrei svelare i vincoli di un libro?

Ad esempio, prendiamo oggi il primo della lista di dieci, quello che mi accompagnerà nella cremazione e quindi nell'eterno girovagare a mollo nel Mediterraneo (come mi piacerebbe ma è chiaro che non so come andrà a finire...). Perché amo e riamo Cosimo Piovasco di Rondò e la narrazione della sua vita che ne fa il fratello, da quel 15 giugno 1767 in cui salì sugli alberi alla sua scomparsa in volo, senza mai rimettere i piedi sulla terra?

Diamine, perché nelle sue pagine affioro io, affiora il pensiero a mio fratello, perché vi ho scorto un po' il mio tentare di vivere in modo diverso, senza in fondo esserlo troppo, l'amore, le passioni civili, i legami familiari. E perché ogni volta che lo rileggo, nei dieci o venti ieri e l'altro ieri, vi trovo nuove parole che mi descrivono o che mi esortano, o che mi svelano a me stesso, io, sempre io, più o meno bianco e ribaltato come il Calvino che si riflette nella sfera.

Perché in Viola ritrovo le poche brucianti passioni della mia vita, che hanno messo a nudo il meglio e il peggio di me nelle fasi che hanno attraversato. Divoranti, estenuanti, gioiose, dolorose, e celate come in un nido sull'albero, visibili a tratti tra le fronde, in balia della fragilità e degli elementi e, in definitiva di noi, di come riusciamo a costruire quel giaciglio tra le foglie. Non sono un bravo pennuto, è evidente, ma cerco di fare tesoro, questo sì.

Ecco perché Il Barone rampante, in definitiva: perché ogni volta che lo leggo la mia vita trasecola e mi parla, sciogliendo un po' il viluppo di emozioni che ha creato nel petto per farle affiorare là dove la mia mente incontra i caratteri di stampa.

http://lacasadikikko.enricorotelli.it/libri_autori/dieci_libri_vita_solito_giochino_fb_metto_qui_cosi_evito_riscrivere_tutto_ogni_volta

Argomenti: BloggingAutori: Italo Calvino

Naghma, musica senza confini allo Sferisterio di Santarcangelo grazie alla protezione dei richiedenti asilo della Valmarecchia

Cooperativa sociale Cento Fiori - Mer, 24/06/2020 - 17:14
Al via gli eventi del calendario estivo con due concerti: venerdì 26 giugno Naghma, i suoni dall’Afghanistan, sabato 27 la musica europea.

“Naghma, musiche dall’Afghanistan” apre il calendario degli eventi estivi “Santarcangelo, respira la bellezza” in programma venerdì 26 giugno alle 21, avviando così la stagione allo Sferisterio organizzata dal Comune clementino. Il giorno dopo , nello stesso luogo, il secondo concerto in programma, “Musiche per l’Europa”. Il concerto Naghma (https://www.facebook.com/events/547857262788424/) – promosso da Siproimi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati), Unione di Comuni Valmarecchia e dalle cooperative sociali Cento Fiori e Il Millepiedi – è gratuito ma è necessaria la prenotazione (338/5009342 – 339/3721538 – sprar2@cooperativailmillepiedi.org).

Dedicato alla Giornata mondiale del Rifugiato, “Naghma” è un concerto che riporta alle sonorità tipiche dell’Afghanistan. Terra ormai martoriata da drammatiche vicende, fin dall’antichità è stata crocevia di culture e vanta un’antica e ricchissima tradizione musicale. Una storia che verrà raccontata da Peppe Frana tramite il Robab, liuto a plettro nativo dell’Afghanistan e considerato antenato del sarod indiano e da Ciro Montanari con il Tabla, percussione principale della musica hinduista e normalmente utilizzata anche in Afghanistan.

“Musiche per l’Europa”, è invece il titolo del concerto dedicato alla giornata europea della musica in programma il giorno seguente, sabato 27 giugno alle ore 21. Simone Zanchini (fisarmonica), Andrea Alessi (contrabbasso), Stefano Bedetti (sax) e Marco Frattini (batteria) si esibiranno in una performance eclettica, un percorso musicale ricco di jazz e improvvisazione che riprenderà tradizioni, suoni e atmosfere da ogni angolo dell’Europa. Protagonisti della scena internazionale, i quattro musicisti creeranno un dialogo e uno scambio creativo e dinamico all’insegna dello spirito da cui nasce la Festa della Musica Europea: la musica come linguaggio comune e universale, che unisce sotto un’unica bandiera le tante lingue degli stati europei. L’ingresso al concerto è gratuito ma è consigliato prenotare telefonando al numero 0541/356.284.

«Dopo un periodo come quello appena trascorso – dicono l’assessore al Turismo Emanuele Zangoli e l’assessore ai Servizi sociali e welfare Danilo Rinaldi – dove preservare i confini, mantenere le distanze ed evitare contatti è stata la principale forma di tutela per la salute di tutti, oggi inauguriamo la stagione degli eventi tornando a forme di connessioni e contaminazioni positive: quelle che nascono grazie alla musica. Un linguaggio universale, capace di avvicinare e unire, raccontare tradizioni e storie dall’Europa e da tutto il mondo, abbattendo qualsiasi confine geografico».

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Mburu sucar, la ndiki (colazione) in Senegal

Cooperativa sociale Cento Fiori - Mar, 16/06/2020 - 12:55

Gambia e Senegal sono divisi da un confine di lingue veicolari differenti, l’inglese per la prima e il francese per il secondo. Ma le tradizioni culinarie rimangono le stesse. Ai begnè e al caakiri si aggiunge il pane, mburu, che si trova fresco a forma di baguette ogni mattina, più buono ancora di quello che potreste trovare a Parigi.

Questa è una versione di pane dolce, con aggiunta di latte in polvere e burro.

Ingredienti
  • farina (750 gr)
  • sale (un pizzico)
  • zucchero (100 gr)
  • uova (4)
  • acqua (q.b)
  • lievito di birra (mezzo cubetto)
  • latte in polvere (200 gr)
Procedura

Mischiare la farina con un pizzico di sale. Aggiungere il lievito sbriciolandolo nell’impasto. Aggiungere le uova e mischiare con le mani tutto insieme. Aggiungere anche il burro sciolto, il latte in polvere e lo zucchero, ed amalgamare fino ad ottenere un composto uniforme.

Lasciare lievitare l’intero impasto per almeno due ore. Finito questo tempo, dare all’impasto la forma preferita e lasciare riposare un’altra ora.

Infornare a 180° per circa 30 minuti.

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Yassa, Senegal

Cooperativa sociale Cento Fiori - Mer, 03/06/2020 - 17:53

Siamo in Africa Occidentale, affacciati direttamente sull’Oceano Atlantico. Qui c’è il Senegal, paese della Teranga. La Teranga è ciò che unisce tutta la popolazione, da quella dei mercati vivaci di Dakar a quella delle pianure verdi e apparentemente silenziose della Casamance.

Teranga in wolof, lingua ufficiale del paese, significa accoglienza. Accoglienza significa lasciare le porte sempre aperte, che non si sa mai che qualcuno abbia bisogno di un tetto per la notte. Significa anche che quando è ora di mangiare, non importa quanto spazio e quanto cibo ci sia, tutti i presenti sono invitati. Accoglienza significa che nessuno si abbuffa: ognuno rinuncia a qualcosa per l’altro, ma, alla fine del pasto, tutti condividono la stessa gioia.

Significa anche che ad ogni Dieuredieuf, Grazie, si risponde Nio Far: Noi siamo Insieme. Toubab, Neri, Blu o Verdi non importa. Non mi devi ringraziare perché noi qui, Siamo Insieme.

Tra le tante ricette che il Senegal offre, la più facile da cucinare è sicuramente la yassa. La yassa ha come caratteristica principale la marinatura delle cipolle e può essere preparata con pollo, pesce, carne di manzo o montone. La versione che più spesso viene preparata nelle nostre strutture e che quindi vi proponiamo prevede il pomodoro concentrato, ma nella versione originale non viene aggiunto.

Ricordatevi di servirla in un unico piatto: è da mangiare obbligatoriamente insieme.

Ingredienti 
  • 700 gr carne (pollo o manzo) 
  • 4 limoni 
  • 2 cipolle 
  • 1 peperoncino 
  • 2 cucchiai di pomodoro doppio concentrato 
  • Olio di semi 
  • Sale 
  • Pepe 
  • 450 gr riso 
Procedura 

Tagliate anzitutto la carne a pezzi grandi e metteteli a marinare per mezz’ora in una terrina con un’emulsione preparata con il succo di limone, 2 cucchiai d’olio, il peperoncino pestato, le cipolle sbucciate e affettate, sale e pepe.

Trascorso il tempo previsto, togliete la carne dalla terrina, lasciatela sgocciolare e fatela quindi dorare in una casseruola in cui avrete versato un po’ d’olio.

Unitevi poi la marinata, un po’ d’acqua, il pomodoro concentrato e lasciate cuocere sino a quando la carne risulti cotta e la salsa consistente.

Nel frattempo lessate a parte il riso nell’acqua salata. Portate infine in tavola, servendo la carne su di un piatto da portata in cui avrete disposto il riso.

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