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CONTRIBUTI PER ASSOCIAZIONI CULTURALI: DALL'EMILIA ROMAGNA DUE BANDI DI FINANZIAMENTO

La Regione Emilia Romagna interviene in aiuto delle Associazioni del Terzo settore sostenendo le attività di promozione culturale ai sensi della legge regionale 37/94. E lo fa attraverso la pubblicazione di due avvisi di finanziamento. Il primo,  denominato Avviso per le attività di promozione culturale 2019, è destinato alle associazioni iscritte nei registri regionali della promozione sociale e del volontariato, alle istituzioni e organizzazioni culturali, ai Comuni e alle Unioni di Comuni. Il secondo, denominato Avviso per attività di promozione culturale tramite convenzione, riguarda la stipula di Convenzioni triennali con associazioni, organizzazioni e istituzioni culturali di dimensione regionale, oltre che con Unioni di Comuni. Per entrambi i progetti le risorse a disposizione sono 3,7 milioni di euro. OBIETTIVI DEI BANDI DI FINANZIAMENTO Obiettivo e scopo di entrambi gli avvisi è quello di sostenere progetti e iniziative che riguardino:
  • la cultura popolare, la storia e le tradizioni locali e di altre culture presenti nel territorio;
  • la realizzazione di interventi e progetti finalizzati a promuovere le espressioni dell’arte contemporanea, la creatività giovanile e i nuovi talenti;
  • la diffusione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile; iniziative a sostegno dell’intercultura e del dialogo interreligioso.
Inoltre la Regione Emilia Romagna si prefigge l’obiettivo di  favorire l’educazione all’ascolto, alla lettura, alla visione, e ad una maggiore comprensione dei linguaggi e dei mezzi espressivi, soprattutto attraverso iniziative innovative in grado di stimolare la partecipazione dei cittadini e la crescita di imprese creative. Infine, tramite i due avvisi di promozione delle attività culturali, vengono incentivate iniziative, sia con ambito sovralocale sia volte alla realizzazione di progetti integrati che possano favorire l’aggregazione e l’interazione tra vari soggetti, in un’ottica di ottimizzazione della spesa. BENEFICIARI E REQUISITI FORMALI PER L’AVVISO PER ATTIVITA’ DI PROMOZIONE CULTURALE TRAMITE CONVENZIONE Nel caso dell’Avviso per attività di promozione culturale tramite convenzione, i destinatari, che devono avere la propria sede legale all'interno regionale, sono i seguenti:

Le Istituzioni culturali di dimensione regionale devono: 

  • operare senza fini di lucro; 
  • prestare servizi nel campo culturale; 
  • svolgere attività non saltuaria e di rilevante valore culturale da almeno due anni; 
  • disporre di strutture, attrezzature e organizzazione adeguate allo svolgimento delle proprie attività; 
  • garantire responsabilità di direzione scientifica; 
  • disporre di risorse patrimoniali adeguate alle esigenze gestionali 
Il sostegno finanziario ai progetti da parte della Regione Emilia Romagna avverrà tramite la stipula di una convenzione triennale tra la Regione e i soggetti beneficiari, a condizione che le associazioni e organizzazioni culturali regionali, le istituzioni culturali regionali e le Unioni di Comuni non abbiano già stipulato o non stipulino, nello stesso periodo, altre convenzioni con la Regione Emilia-Romagna o con l’Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali in attuazione di altre leggi regionali afferenti al settore culturale.
Le convenzioni triennali saranno stipulate a seguito di istruttoria di ammissibilità formale e di valutazione di merito.   BENEFICIARI E REQUISITI PER L’AVVISO PER LE ATTIVITA’ DI PROMOZIONE CULTURALE.  I soggetti destinatari e beneficiari  dell’avviso per le attività di promozione culturale sono le Organizzazioni ed Associazioni culturali, le Istituzioni culturali, i Comuni e le Unioni di Comuni. 
I requisiti formali che devono possedere i beneficiari del suddetto Avviso sono i seguenti:
  • le Organizzazioni ed Associazioni culturali devono essere iscritte ai Registri regionali di cui alle LL. RR. nn. 34/2002 e 12/2005 e ss.mm. Il requisito di iscrizione è obbligatorio. 
  • le Istituzioni culturali devono possedere i seguenti requisiti: 
    • operare senza fini di lucro; 
    • prestare servizi nel campo culturale; 
    • svolgere attività non saltuaria e di rilevante valore culturale da almeno due anni; 
    • disporre di strutture, attrezzature e organizzazione adeguate allo svolgimento delle proprie attività; 
    • garantire responsabilità di direzione scientifica; 
    • disporre di risorse patrimoniali adeguate alle esigenze gestionali ed in particolare alla realizzazione dei programmi di attività proposti. 
Non sono ritenuti ammissibili le domande di contributo per progetti di spettacolo presentate da soggetti pubblici e privati che beneficiano, nello stesso periodo, di contributi regionali ai sensi della L.R. n. 13/1999 “Norme in materia di spettacolo”   MISURA DEL CONTRIBUTO PER L’AVVISO PER ATTIVITA’ DI PROMOZIONE CULTURALE TRAMITE CONVENZIONE. Ai fini dell'accesso al contributo il costo complessivo minimo del progetto annuale presentato deve essere:
  • associazioni e organizzazioni culturali regionali Euro 40.000,00
  • istituzioni culturali regionali Euro 70.000,00
  • Unione di Comuni Euro 100.000,00.

L’agevolazione prevista nell’avviso consiste in un contributo nella misura massima del 50% dei costi ammissibili e potrà risultare anche inferiore a quanto richiesto.

MISURA DEL CONTRIBUTO PER L’AVVISO PER LE ATTIVITA’ DI PROMOZIONE CULTURALE. Organizzazioni e Associazioni culturali.  Ai fini dell'accesso al contributo, l’ammontare complessivo minimo delle spese ammissibili, presentato in forma singola o associata da associazioni od organizzazioni, è di 15.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non potrà superare i 150.000,00 euro. 
Nel caso di progetto singolo, il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare: 
  1. fino al 40% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra i 15.000,00 e 70.000,00 Euro; 
  2. fino al 30% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 70.001,00 e 150.000,00 Euro; 
Nel caso di progetto di rete, il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare: 
  1. fino al 50% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 15.000,00 e 70.000,00 Euro; 
  2. fino al 40% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 70.001,00 e 150.000,00 Euro. 
Istituzioni Culturali Ai fini dell'accesso al contributo l’ammontare complessivo minimo delle spese ammissibili presentato da Istituzioni culturali è di 15.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non potrà superare i 200.000,00 Euro. Il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare fino al 50% delle spese ritenute ammissibili. Le Istituzioni potranno presentare richiesta di contributo per progetti presentati esclusivamente in forma singola.    Comuni capoluogo  Ai fini dell’accesso al contributo l’ammontare complessivo minimo delle spese ammissibili del progetto presentato da un Comune capoluogo, esclusivamente in forma singola, è di 40.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non potrà superare i 200.000,00 Euro. I progetti possono rientrare in due fasce: 
  1. Da 40.000,00 a 100.000,00 Euro. I progetti rientranti in questa fascia potranno ricevere un contributo massimo fino al 40% dell’ammontare complessivo delle spese ammissibili; 
  2. Da 100.001,00 a 200.000,00 Euro. I progetti rientranti in questa fascia potranno ricevere un contributo massimo fino al 30% dell’ammontare complessivo delle spese ammissibili. 
Comuni non capoluogo con popolazione superiore ai 15.000 abitanti  Ai fini dell’accesso al contributo per i progetti presentati da Comuni non capoluogo, sia in forma singola sia associata, l’ammontare complessivo minimo delle spese ammissibili del progetto è di 20.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non potrà superare i 150.000,00 Euro. Nel caso di progetto singolo, il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare: 
  1. fino al 40% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 20.000,00 e 70.000,00 Euro; 
  2. fino al 30% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 70.001,00 e 150.000,00 Euro;

Nel caso di progetto di rete, il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare fino al 50% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 20.000,00 e 70.000,00 Euro e fino al 40% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 70.001,00 e 150.000,00 Euro. 

Unioni di Comuni Ai fini dell’accesso al contributo per i progetti presentati da Unioni di Comuni, esclusivamente in forma singola, l’ammontare complessivo minimo delle spese ammissibili del progetto è di 20.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non potrà superare i 150.000,00 Euro. Il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare fino al 40% delle spese ritenute ammissibili.    Comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti.  Ai fini dell’accesso al contributo per i progetti presentati da Comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, esclusivamente in forma associata, ai fini dell'accesso al contributo, il costo complessivo minimo delle spese ammissibili del progetto è di 20.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili di ogni progetto non potrà superare i 150.000,00 Euro. Il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare: 
  • fino al 50% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 20.000,00 e 70.000,00 Euro; 
  • fino al 40% delle spese ammissibili per un ammontare complessivo tra 70.001,00 e 150.000,00 Euro. 
Comuni titolari di teatro con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti.  Ai fini dell'accesso al contributo in questo ambito, l’ammontare complessivo minimo delle spese ammissibili del progetto è di 12.000,00 Euro. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non potrà superare i 20.000,00 Euro. Il contributo massimo concedibile ad ogni progetto può arrivare fino al 40% delle spese ritenute ammissibili.   SCADENZA PER LA PARTECIPAZIONE PER ENTRAMBI GLI AVVISI. Nel caso dell’Avviso per le attività di promozione culturale 2019, le domande di contributo dovranno essere presentate sulla piattaforma informatica Sib@c da giovedì 21 febbraio alle ore 10, fino a giovedì 21 marzo alle ore 15. Per informazioni riguardanti i contenuti e il funzionamento della piattaforma informatica Sib@c durante il periodo di apertura del bando sarà attivo un call center al numero telefonico 0125 853977 – indirizzo e-mail: servicedesk.RER-Cultura@eng.it. I progetti presentati dovranno essere realizzati nell’anno solare 2019.  Saranno ammissibili quelli che si concludano in data uguale o successiva alla data di scadenza dell’avviso. Infine saranno ritenute ammissibili le spese sostenute per la realizzazione del progetto nell’anno solare 2019.

Nelle forme di sostegno tramite Convenzione triennale rivolte a associazioni e organizzazioni culturali regionali, le istituzioni culturali regionali e le Unioni di Comuni, i soggetti interessati e che hanno i requisiti previsti, dovranno presentare la domanda di contributo su apposita modulistica tramite PEC al seguente indirizzo: servcult@postacert.regione.emilia-romagna.it entro e non oltre il 21 marzo 2019.

 

 

Notizie ImpreseOggi
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Giulia (Sarti) vs Julia: due eroine e un confronto. Impietoso.

La casa di Kikko (il mio blog) - Mer, 27/02/2019 - 21:51

La cosa che mi indispettisce nella vicenda di Giulia Sarti è che è riuscita ad incarnare l’omonima eroina di 1984, però sminuendola. La sola idea che Sarti sia riuscita ad evocare Julia, uno dei più bei personaggi di George Orwell mi fa inorridire. Perché per chi ama la letteratura i personaggi sono reali. Anzi, più che reali, sono in qualche modo sacri. Per questo siamo così cauti e diffidenti quando qualcuno cerca di renderli tangibili. E Giulia Sarti, in parte e sopratutto in peggio, c’è riuscita.

La piccola Julia… Per tutti l’energica attivista del IngSoc. La ragazza asessuata che mostra le insegne e diffonde i materiali dell’anti sex league. La giovinetta che dietro il paravento pubblico della politica è capace di scuotere l’apatia di Winston, di incamminalo docilmente nei dolci sentieri dell’amore, di trascinarlo nei drammatici anfratti della clandestinità, di finire con lui nell’abisso. Tradendosi, infine: l’uno e l’altra. Ma sotto le torture.

Se ci pensiamo anche l’altra Giulia, quella con la G, ha molte affinità con l’eroina orwelliana. Attivista politica volitiva e veemente. La ricordo un pomeriggio assolato staccarsi dal banchetto dei cinque stelle dall’angolo di via Cairoli per aggregarsi a Bersani, tempestandolo lungo il corso d’Augusto di argomentazioni. Che lui placidamente ignorò, semplicemente. Un peperino che le valse la Camera dei deputati, traguardo mica da poco in un partito di urlatori. Ma sulla distanza, come quasi tutti gli urlatori riminesi, le è mancato lo spessore. Forse perché, al contrario di Julia, è umana, troppo umana. E già questa è la prima causa della sua disgraziata caduta: cercando di incarnare l’attivista politica che flagella gli avversari, è salita su un podio sovraumano che, lo stiamo vedendo, tanto stabile e marmoreo non è.

Che il suo orizzonte fosse tremolante come quelli sull’asfalto in un giorno assolato era chiaro: non prendi il mestiere delle armi se non le sai maneggiare. E le armi della politica sono anche le foto compromettenti, che le trafugarono dalla casella postale. Il secondo passo falso è stato il trucco dei soldi quasi versati. Julia, almeno, è stata catturata dal sistema, dalla Thought Police, è una donna che vive l’amore come libertà e rivoluzione e per questo ingenuamente cade sul campo.

Giulia no, entra nel sistema e ingenuamente se ne fa buttare fuori. Non subito, trova brevemente un capro espiatorio. Tradisce, come Julia, il suo uomo, trascinandolo però in tribunale. Julia, almeno, condivide con Winston lo stesso destino giudiziario e se poi lo tradisce lo fa sotto torura. Come del resto Winston. Giulia, ancora, no: tradisce per vigliaccheria, per restare in sella a quello scranno di Montecitorio. Dal quale oggi l’hanno sbalzata. Ancora non sappiamo se cadrà nel gruppo misto o se, infine, tradirà anche il suo vincolo di mandato.

Argomenti: Blogging

Migrare Cento Fiori: la squadra di calcio dei richiedenti asilo ospiti della cooperativa sociale scende in campo in due tornei amatoriali

Cooperativa sociale Cento Fiori - Mer, 27/02/2019 - 17:44

È uno dei pochi linguaggi che tutti possono parlare e che unisce tutti, sopratutto chi lo pratica per diletto, da dilettante, appunto. Che ha contagiato anche […]

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ECO BONUS EMILIA ROMAGNA: INCENTIVO ALLA ROTTAMAZIONE DI VEICOLI INQUINANTI

La Regione Emilia Romagna mette a disposizione delle micro e piccole-medie imprese dei fondi per un importo di Quattro milioni di euro per “rottamare” i veicoli commerciali diesel fino all’euro 4.  L'Obiettivo che si vuole raggiungere è quello, attraverso la rottamazione di veicoli inquinanti, di rinnovare il parco mezzi in circolazione delle micro, piccole e medie imprese dell’Emilia-Romagna.
L’eco bonus ha un valore variabile tra i 4 mila e i 10 mila euro ed è finalizzato all'acquisto di veicoli a minore impatto ambientale di categoria euro 6, di nuova immatricolazione, con alimentazione mista benzina-gpl, benzina-metano, ibridi o elettrici e con massa fino a 12 tonnellate. I veicoli ammessi sono quelli esclusivamente per trasporto di merci che si rifanno alle categorie N1 e N2, previsti dal codice della strada e cioè:
  • Per autoveicoli di categoria N1 si intendono i veicoli destinati al trasporto di merci, aventi massa massima non superiore a 3,5 t,
  • Per autoveicoli di categoria N2 si intendono i veicoli destinati al trasporto di merci, aventi massa massima superiore a 3,5 t ma non superiore a 12 t.
Il contributo Eco Bonus, che si ricorda è a fondo perduto, può raddoppiare. E’ previsto, infatti, che la stessa azienda possa beneficiare di due indennizzi per due rottamazioni. 
L’importo del contributo è definito sulla base del peso e del sistema di alimentazione del nuovo mezzo che va a sostituire quello rottamato. L’eco bonus è concesso ai sensi del regime de minimis previsto dalle norme Ue sugli aiuti pubblici alle imprese (regolamento 1407/2013). In sostanza il contributo a fondo perduto può essere dato ad una singola azienda che opera in conto proprio entro un tetto di 200 mila euro nel triennio. 
E’ ammesso anche l’acquisto con la formula del leasing con “obbligo del riscatto” con medesimo soggetto intestatario del veicolo rottamato. La possibilità di presentare domanda per ottenere l’ecobonus sarà garantita a partire dalla pubblicazione dell’apposito bando, nel mese di ottobre. Ad oggi è possibile ancora presentare domanda in quanto vi sono risorse a disposizione.  SOGGETTI BENEFICIARI DELL'ECOBONUS Come ricordato possono presentare domanda per i contributi previsti nel presente Bando esclusivamente le imprese in possesso di tutti i seguenti requisiti:
  • classificate come micro, piccole e medie imprese (MPMI). Si ricorda che ai sensi della raccomandazione della Commissione Europea 2003/361/CE, recepita dal Decreto Ministeriale 18 aprile 2005 si intende per Media impresa, l’impresa che occupa meno di 250 dipendenti e ha un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure ha un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro (si considera il dato più favorevole). Per Piccola impresa, una impresa che occupa meno di 50 dipendenti e ha ha un fatturato oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 10 milioni di euro. Infine per Microimpresa, si intende una impresa che occupa occupa meno di 10 effettivi e ha un fatturato oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro.
  • proprietarie di un autoveicolo di categoria N1 e N2, da destinare alla rottamazione, appartenente a una delle seguenti categorie ambientali:
    • autoveicolo di classe pre-euro – diesel;
    • autoveicolo di classe Euro 1 – diesel;
    • autoveicolo di classe Euro 2 – diesel;
    • autoveicolo di classe Euro 3 – diesel;
    • autoveicolo di classe Euro 4 – diesel;
  •  aventi la sede legale o anche una unità locale in un comune della Regione Emilia-Romagna.
Il contributo per la rottamazione, o Eco bonus, può essere chiesto unicamente per i veicoli destinati al trasporto di merci. Di conseguenza, veicoli diversi (ad esempio destinati al trasporto di persone) anche se di proprietà di imprese, non rientrano nell’ambito dell’agevolazione prevista dalla Regione Emilia Romagna. 
 Le imprese dovranno inoltre essere in possesso dei requisiti generali oggetto di dichiarazione nel modulo di domanda. Ciascuna impresa potrà presentare al massimo 2 domande di contributo per la sostituzione di due veicoli, un veicolo per ciascuna domanda. In ogni caso per ogni veicolo rottamato può essere presentata una sola domanda.
Le imprese potranno richiedere l’eco bonus anche per veicoli di proprietà che sono già stati rottamati a far data dal 01/01/2018. INVESTIMENTI AMMISSIBILI  Gli investimenti ammissibili riguarderanno la sostituzione (con obbligo di rottamazione) dei veicoli, aventi le caratteristiche di cui al punto precedente, con veicoli di prima immatricolazione di categoria N1 o N2  ad alimentazione:
  • Elettrica
  • Ibrido elettrica/benzina (esclusivamente Full Hybrid o Hybrid Plug In *) Euro 6
  • METANO (MONO O BIFUEL BENZINA) Euro 6
  • GPL (MONO O BIFUEL BENZINA) Euro 6
Si precisa che il nuovo veicolo deve essere necessariamente immatricolato per la prima volta dall’impresa richiedente il contributo per la rottamazione. Non sono ammessi, quindi, i veicoli cosidetti a “kilometro zero” o comprati usati. 
È ammesso l’acquisto anche mediante leasing con obbligo di riscatto, a condizione che questo sia indicato già al momento dell’ordine di acquisto stipulato in data successiva alla approvazione del presente bando. In tale caso il nominativo del soggetto obbligato al riscatto deve coincidere con l’impresa che presenta domanda e dovrà essere lo stesso dell’impresa che ha rottamato il veicolo. SOGGETTI ESCLUSI DALL'ECOBONUS Sono esclusi dalla partecipazione al presente bando:
  • gli Enti e istituzioni senza fini di lucro;
  • le amministrazioni pubbliche;
  • le imprese operanti nel settore della pesca e dell’acquacoltura e nel settore della produzione primaria dei prodotti agricoli;
  • i trasportatori conto terzi.
TIPOLOGIA ED ENTITA’ DEL CONTRIBUTO REGIONALE ECOBONUS.  L’agevolazione consiste nella concessione di un contributo a fondo perduto, proporzionale alla massa del veicolo e al sistema di alimentazione. PERIODO DI VALIDITA’ DEL BANDO ECOBONUS E DELLE SPESE AMMISSIBILI Sono ammesse a contributo le spese relative agli investimenti effettuati a partire dal 23 ottobre 2018, intendendosi per avvio dell’investimento la data di sottoscrizione del contratto di acquisto del nuovo veicolo (ordine). L’acquisto del nuovo veicolo deve essere obbligatoriamente associato alla rottamazione di un veicolo N1 o N2, intestato alla medesima impresa.
In caso di leasing finanziario, l’impresa utilizzatrice deve esercitare anticipatamente, al momento della stipula del contratto (ordine del veicolo), l’opzione di acquisto prevista dal contratto medesimo (leasing con obbligo di riscatto). La data di stipula del contratto di leasing deve essere successiva all’ approvazione del presente bando. PRESENTAZIONE DELLE DOMANDE DI AMMISSIONE AL CONTRIBUTO PER LA ROTTAMAZIONE Dalle ore 14.00 del 15 novembre 2018 alle ore 16.00 del 15 ottobre 2019.
Le spese sostenute per l’acquisto del veicolo potranno essere rendicontate dal 14 gennaio 2019 ore 14:00 al 31 dicembre 2019 ore 14:00.

 

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Informazioni relative a sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti ricevuti dalle pubbliche amministrazioni nel 2018 dalla Cooperativa Sociale Cento Fiori

Cooperativa sociale Cento Fiori - Ven, 08/02/2019 - 18:21

Come previsto dalla legge 124 /2017 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), pubblichiamo l’elenco degli incassi da prestazioni, i contributi e il 5 x 1000 relativi allo scorso anno.

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Soresina, accuse infondate dal sindacato Usb: in due anni il Consorzio Target Sinergie e Log-It hanno aumentato i posti di lavoro e sottoscritto accordi integrativi per migliorare il rapporto con i lavoratori

Soresina - Le accuse rivolte da esponenti del sindacato di base Usb al Consorzio Target Sinergie e alla sua consorziata Log – It sono infondate e ledono la reputazione delle aziende, conquistata in 30 anni di attività e confermata dagli oltre mille dipendenti – dei quali quasi 200 a Soresina - che annualmente lavorano per noi in sette regioni italiane. Non si raggiungono simili traguardi ricorrendo a pratiche illegali, che non ci hanno mai contraddistinto. Siamo così orgogliosi dei nostri metodi, inclusivi e rispettosi delle leggi, che difenderemo il nostro operato anche in tribunale contro coloro che in maniera così leggera usano e diffondono termini odiosi e accuse fantasiose e del tutto infondate

La regolarità dell’appalto che ci vede impegnati è ineccepibile dal punto di vista legale. In questi due anni a Soresina sono aumentati i posti di lavoro e, cosa di cui siamo particolarmente orgogliosi, anche le condizioni dei lavoratori. E questo per noi è un grande traguardo che vogliamo superare, nell’interesse delle aziende coinvolte ma sopratutto delle circa 200 famiglie interessate. Un interesse che non ci pare così condiviso, visto l’atteggiamento di una minoranza delle rappresentative di base, che si sono in questi anni contraddistinte più per una maggiore attenzione alla propria visibilità politica e mediatica piuttosto che alle reali esigenze dei lavoratori.

La cooperativa Log-It, invece, rispetta i contratti collettivi e nel corso degli anni ha siglato numerosi accordi integrativi, dimostrando sempre disponibilità nell’ascoltare e, quando possibile, accogliere le richieste delle rappresentanze sindacali e dei lavoratori. Non accettiamo quindi che ci si accusi di favorire alcuni lavoratori rispetto ad altri in cambio del contratto di lavoro. Non accettiamo che si parli in maniera impropria del rapporto tra soci lavoratori e cooperativa. Non tolleriamo ne favoriamo atti di teppismo o danneggiamenti, come qualcuno faziosamente ci vuole accreditare, perché li riteniamo incivili e inadeguati ad un clima di lavoro sereno. E sopratutto perché, in passato, anche a Soresina alcuni nostri colleghi li hanno subiti, solo perché volevano guadagnarsi dignitosamente il pane lavorando.

Anche questa volta non ci sottrarremo al confronto per migliorare il lavoro e il clima necessario per farlo al meglio. Sono impegni che da anni portiamo avanti con tutti i mezzi a nostra disposizione, con il dialogo e con la formazione professionale. Ma non accetteremo falsità, minacce e sopratutto violenze da parte di una minoranza che ha a cuore più la propria visibilità e una fumosa visione politica slegata dalla realtà, piuttosto che le reali condizioni di lavoro dei propri colleghi.

target_sinergie_logistica_agroalimentare_carico_automezzi.jpg Notizie Logistica
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Religione, Spiritualità e Disturbo da Gioco d’Azzardo

Scuola di prevenzione José Bleger Rimini - Mar, 11/12/2018 - 23:04

S.T.D.P.  Senigallia
Direttore: Dott.ssa Marella Tarini

Relatori:
Dott.ssa Francesca Silvestrini
Dott. Edoardo Ballanti

La fatica di Sisifo II Giornata dell’AV2 dedicata al Gioco d’Azzardo Patologico DISTRUZIONI/COSTRUZIONI: Dare senso all’agire del giocatore

Sollecitati dal titolo di questo convegno Distruzioni/Costruzioni, e dall’indicazione suggerita al nostro intervento riguardante il dare senso all’agire del giocatore e al gioco d’azzardo, ci siamo posti in un’ottica di esplorazione, riflessione e ricerca, non sapendo esattamente cosa saremmo andati a trovare.

Il tema del significato evoca numerose domande, solleva riflessioni e pone interrogativi. Ci interroga sul significato del sintomo, influenza la nostra concezione della malattia, del recupero e della guarigione, riguarda noi in veste di curanti ma riguarda anche i pazienti e le famiglie, immaginate come microcosmi, comunità con la loro specifica epistemologia, all’interno delle quali il sintomo genera un significato o lo incarna o svolge la funzione di attribuzione di un ruolo. Per questo diventa necessario farsi interpreti, attraverso un lavoro ermeneutico, per evitare spiegazioni generaliste o peggio ancora riduzioniste.

Interrogarsi sul significato del sintomo può divenire allora interrogare il sintomo stesso per forzarlo a rivelarci il suo senso; o cercare il senso, in termini esistenziali, di un comportamento che è insieme distruttivo e costruttivo.

Occorre riconoscere le radici del disturbo da gioco d’azzardo e l’immensa sofferenza sia del giocatore patologico sia dei familiari e dei partner, sofferenza che in molti casi era presente già prima che il problema di gambling avesse inizio. Così possiamo dire che la patologia del gioco è solo la punta dell’iceberg, un sintomo che è più una richiesta di aiuto, un grido da parte del giocatore che si trova inestricabilmente invischiato e irretito nella trama di un sistema socio-economico e familiare, sia passato sia presente, di cui è parte.

Si può valutare la salute mentale in termini di qualità del comportamento individuale in rapporto all’ambiente sociale, in quest’ottica (che pone al centro la relazione), il comportamento, il suo modo di dispiegarsi e prodursi, così come il suo deteriorarsi, sono legati a fattori d’ordine socio-economico e familiare. Il malato è portavoce dei conflitti e tensioni della famiglia, per essa svolge il ruolo di depositario degli aspetti alienati della struttura sociale più ampia, facendosi portavoce dell’insicurezza e del clima d’incertezza. Tutti questi fattori presi insieme determinano, in positivo o in negativo, la possibilità di adattamento alla realtà: possibile quando la relazione con il contesto avviene sulla base di un vincolo creativo, impossibile quando questo è coercitivo.

Qui la domanda sul significato si fa domanda anche sul senso della cura. Che cosa curiamo e che cosa possiamo curare? Che cosa vuole essere curato? Cosa c’è bisogno di curare?  Quando nasce la richiesta di aiuto da parte del giocatore? Spesso nella pratica vediamo che il giocatore non sente il disturbo come una malattia, bensì come una soluzione.

Certamente vanno curate la profondità delle ferite e la storia traumatica del giocatore patologico, vanno curate le cicatrici nei partner e le gravi fratture nella relazione di coppia. Così come andrebbero pensate strategie di cambiamento della struttura socio-economica di cui il malato è Emergente. Pensiamo che la guarigione passi attraverso l’assegnazione di un nuovo ruolo, quello di agente del cambiamento, che chiede a noi stessi di trasformarci, divenendo per primi agenti del cambiamento.

L’obiettivo non è quindi limitato all’astinenza o alla riduzione del danno, ma si estende oltre, puntando all’apertura di una riserva di risorse psicologiche e sociali, sia del giocatore sia delle sue relazioni, ripristinando un legame creativo con il contesto e la comunità. Per rimpiazzare il gioco patologico e le funzioni che esso svolge, bisogna intuirne il senso. L’effetto finale del cambiamento sarà allora, non il tentativo di modificare un comportamento, ma vedere la relazione tra comportamento e contesto, svelandone i nodi insolubili e le contraddizioni patogene. Fare questo richiede un cambiamento di secondo ordine, un imparare a imparare che è un imparare a pensare, che investa l’intero sistema di cui il giocatore è parte coinvolta in modo centrale.

La letteratura e la ricerca sul gioco d’azzardo sono prevalentemente incentrate sulla patologia o sull’impatto socio-economico, sulla prevalenza del problema e sui modelli patologici, spesso estraniando le persone dai contesti in cui si svolge il gioco, riflettendo una epistemologia occidentale dominante, e non riuscendo ad approfondire la nostra comprensione dei discorsi sociali ed esistenziali, che costituiscono il contesto in cui i giocatori danno significato, o ricercano un significato, dal loro giocare d’azzardo.

 

ESPERIENZA CLINICA

Non molto tempo fa, si presenta presso l’STDP di Senigallia il Sig. L., chiedendo una presa in carico per un problema di gioco d’azzardo di lunga data. Il Sig. L. comincia a raccontarci la sua storia, fatta di tante storie: una carriera nelle forze armate, incarichi importanti, missioni sia in Italia sia all’estero, campi di battaglia, il confronto con la morte, l’avere ucciso. Il suo lavoro lo porta a trascurare la famiglia, la moglie, i figli. Il gioco d’azzardo sembra essergli sempre appartenuto. A fatica riesce a individuare un punto d’inizio, ma riconosce che il bisogno di giocare diventava più impellente nei momenti di crisi, con i problemi legali, con le ingiustizie che sente di subire e per le quali non ha sufficienti strumenti e forza di opporsi. Disperde tutti i suoi risparmi, tanti soldi poiché i suoi guadagni sono elevati. Non è intaccato il patrimonio della famiglia, che prova molta rabbia e lo espelle. La moglie prima lo butta fuori di casa poi lo riprende. Ora il Sig. L. tenta di ricucire i rapporti deteriorati, anche se non sa come fare. Cerca di farsi riaccogliere dalla moglie e dai figli, in modo incerto, considerata l’estrema difficoltà di contattare e comunicare le proprie emozioni. Curarsi è per lui una conditio sine qua non posta dalla moglie: un lasciapassare da presentare per il rientro a casa.

Già da qui sembra configurarsi ai nostri occhi un quadro riconoscibile, una personalità con tratti narcisistici, la ricerca di sensazioni forti, un disturbo da stress post traumatico, impulsività, senso di colpa, uso costante di cannabis: il disturbo da gioco d’azzardo potrebbe essere interpretato in questa cornice come una difesa appresa per sfuggire, dissociare, alleviare o evitare le memorie traumatiche e gli elevati livelli di stress attuale.

Ma il Sig. L. porta con sé altre storie. Veniamo a sapere dal suo racconto la storia della madre che quando L. era ancora bambino si ammala di una malattia terminale. Era l’inizio degli anni 80, anni in cui avvenivano le prime apparizioni mariane nella città di Medjugorie in Bosnia. Sentendo la notizia in televisione e alla ricerca di un ultimo appiglio di speranza, la famiglia si avvia a intraprendere un viaggio verso quello che allora era un semplice e sconosciuto villaggio di contadini e pastori sulle colline della Bosnia-Erzegovina. Durante quel viaggio avviene qualcosa d’inaspettato che cambia per sempre le sorti della famiglia. La madre di L. ottiene quella che viene definita una guarigione miracolosa. Una delle poche guarigioni miracolose ufficialmente riconosciute dalla Chiesa Cattolica. La storia della famiglia va incontro a un cambiamento imprevisto e imprevedibile, il miracolo è la svolta, la prima grande vincita, la divinità entra in scena intervenendo sulle sorti drammatiche che apparivano tracciarsi in un destino segnato. La madre diventa l’eroina che ha sfidato e vinto il destino. Il padre abbandona gradualmente il suo lavoro di piccolo imprenditore e artigiano, dedicandosi interamente, insieme alla moglie, all’attività di servizio. La famiglia si trasferisce per lunghi periodi a Medjugorie, organizzando pellegrinaggi. La madre di L. entra in contatto con alte sfere dell’Istituzione Ecclesiastica, che penetra in modo importante e duraturo nella vita e nella storia della famiglia, arrecando onore e prestigio sociale.

Sotto questa luce anche la storia di vita del Sig. L. sembra incarnare il mito dell’eroe.

Com’è andata avanti la storia del Sig. L. dopo tutto questo?

Verso la moglie il Sig. L. nutre oggi un sentimento d’indifferenza, non pensa la separazione e rifiuta l’espulsione. Si sta battendo per rientrare all’interno della famiglia. Il discorso non apre porte sulle sue emozioni, non ci sono né tenerezza né calore, soltanto la volontà di appartenenza a un nucleo familiare. Della moglie lamenta le credenze e l’adesione a gruppi d’evoluzione e sviluppo spirituale, che le fanno adottare un comportamento che giudica irrazionale, fatto di rituali per attirare verso di sé e verso la famiglia influenze positive e benefiche. Il Sig. L. non si sente libero quando è in casa e ne è profondamente irritato. Questa visione del mondo, secondo lui, ha influenzato anche l’educazione dei figli, verso i quali sente che come genitori non hanno alcuna presa educativa.

La descrizione fatta della scena familiare mette in luce un quadro d’isolamento, uno stare insieme ma isolati, ognuno preso in una personale attività di estraniazione che lo cattura e lo aliena dal contesto e dalla comunicazione. Con rabbia il Sig. L. porta questa sua considerazione e quest’istanza, lamentandosi di essere additato come “quello dipendente”, in una famiglia in cui tutti hanno una loro dipendenza.

Il forte ruolo rivestito da religione, spiritualità e rituale all’interno di questo nucleo familiare, ci ha fatto interrogare sul legame tra religione/spiritualità e gioco d’azzardo, per approfondire in questa direzione l’interrogativo sul senso e sul significato: intesi come l’umana ricerca di un senso che possa collocare l’esperienza vissuta all’interno di un quadro fonte di significato, identità, scopo e realizzazione nella vita individuale, culturale e sociale.

Di per sé questa non è una cosa nuova: Freud attribuiva a religione e gioco d’azzardo la funzione di fornire alle persone un senso di controllo sul destino, e suggeriva che l’azzardo potesse agire come sostituto della religione. Marx sosteneva che le religioni hanno una funzione molto importante nella vita, dando conforto psicologico per l’incertezza e la paura della morte.

Allo stesso modo il gioco d’azzardo ha radici profonde nei rituali religiosi e molte forme di spiritualità ne sono intessute. Tradizionalmente, il gioco d’azzardo ha avuto origine da rituali religiosi e dalla ricerca di esperienze spirituali, per cui questo nesso appare evidente e il rituale ne è il comune denominatore.

Questi pensieri ci hanno fatto incuriosire e allora ci stiamo interessando alla letteratura sul gioco d’azzardo nelle popolazioni native: aborigeni australiani, indiani d’America e Canada. In queste culture tradizionali l’azzardo era spesso presente già prima della colonizzazione e aveva aspetti sia sacri sia secolari. Il gioco era usato per scopi religiosi e di cura, per la divinazione e la risoluzione delle controversie, per la redistribuzione della ricchezza e la ricreazione. Gli obiettivi secolari del gioco tra i nordamericani nativi erano il divertimento e il guadagno, ma il “gioco sacro” era investito di una funzione simbolica in cui l’ordine cosmico era incarnato e mantenuto. Associato a miti, cerimoniali, e pratiche rituali con funzioni divinatorie e magiche, rappresenta il desiderio di assicurarsi la guida dei poteri naturali da cui l’essere umano è dominato.

Da una prospettiva occidentale il gioco d’azzardo riguarda i soldi. Dalla prospettiva dei nativi Blackfoot la promessa di una “grande vincita” di denaro ha il suo peso, ma la promessa di prestigio o merito è ancor più significativa, e in essa viene incarnato il viaggio dell’eroe, esemplificato nel Napi, eroe archetipico della loro cultura.

Le narrative esplorate negli studi da noi passati in rassegna suggeriscono che il gioco d’azzardo tra i popoli Blackfoot contemporanei è un’attività in cui gli individui cercano prestigio, in un mondo sempre più secolare, in cui hanno uno status marginale.

Queste osservazioni suggeriscono che i giocatori, inconsciamente, giocano miti non esaminati. Alla base delle distorsioni cognitive ci sono delle strutture mitiche inconsce che riflettono epistemologie, o modi di conoscere, che danno significati simbolici ad azioni, oggetti e persone.Lo studio che stiamo citando (McGowan et Al., 2004) sostiene l’opinione che i contesti culturali, storici ed esperienziali, modellano i significati attribuiti all’esperienza di gioco. Le differenze nell’esperienza soggettiva del gioco d’azzardo, nel gioco d’azzardo problematico, nel recupero e nella guarigione, sono evidenti tra le generazioni all’interno delle comunità di Blackfoot, così come tra nativi e non nativi. Sempre più nativi stanno costruendo significati e cercando soluzioni per il gioco d’azzardo e altri problemi nel contesto della spiritualità tradizionale, ricercando identità culturali tracciate nelle loro tradizionali visioni del mondo.

Il terapeuta può aiutare a riconoscere le distorsioni cognitive e le credenze irrazionali, ma questo non tiene conto dei contesti sociali o culturali del gioco d’azzardo o delle differenze di sistemi di senso.

Cit: “Le tradizionali visioni occidentali del gioco d’azzardo suggeriscono che la risoluzione del problema del gioco d’azzardo avviene attraverso un processo chiamato “recupero” (recovery) in cui gli stati dell’essere prima scartati, distrutti o trascurati, come l’occupazione lavorativa, la proprietà e le relazioni con gli altri sono ricostruiti. Al contrario, la risoluzione del problema del gioco d’azzardo tra i Blackfoot è descritta in modo più accurato, attraverso processi di guarigione (healing) mediati da credenze e pratiche tradizionali. Come sottolineato da un consulente sulle dipendenze di origine Blackfoot, il “recupero” di ciò che non avete mai avuto (come una occupazione stabile, proprietà, relazioni genitori-figli) non è semplicemente possibile per molte persone colonizzate”. (McGowan et Al., Sacred and secular play in gambling among Blackfoot peoples of Southwest Alberta)

Suggeriamo quindi di tenere in considerazione l’importanza del contesto in cui il significato si genera, contesto che ha una sua epistemologia che informa di sé il processo della malattia come quello della cura.

“In contrasto con l’idea forse ristretta di una ristrutturazione cognitiva e con l’enfasi sul recupero che è il segno distintivo della psicoterapia, la guarigione tradizionale indigena sottolinea il raggiungimento dell’equilibrio tra le quattro dimensioni della natura di una persona (mentale, fisico, emotivo, spirituale). Piuttosto che attraverso un codice di pratica prescrittivo, questo viene raggiunto attraverso vari mezzi in base a contesti altamente situazionali e, a volte, a pratiche idiosincratiche. L’obiettivo è il ripristino del benessere, inteso come armonia restaurata secondo una legge d’interconnessione tra l’individuo in relazione con sé, la famiglia, la comunità, il mondo spirituale e l’ambiente fisico. L’armonia restaurata è intesa come espressione di una guarigione più profonda che è “la fonte del significato, dell’identità, dello scopo e della realizzazione nella vita” (McGowan et Al., Blackfoot traditional knowledge in resolution of problem gambling: getting gambled and seeking wholeness).

 

Bibliografia

Enrique Pichon-Riviere, Il processo gruppale: Dalla psicoanalisi alla psicologia sociale, Editrice Lauretana, 1985;

Helen Breen & Sally Gainsbury, Aboriginal Gambling and Problem Gambling: A Review, Int J Ment Health Addiction (2013) 11:75–96 DOI 10.1007/s11469-012-9400-7;

Virginia M. McGowan, Gary Nixon, Blackfoot traditional knowledge in resolution of problem gambling: getting gambled and seeking wholeness, Canadian Journal of Native Studies XXIV, 1 (2004):7-3;

Virginia McGowan, L. Frank, G. Nixon, M. Grimshaw, Sacred and secular play in gambling among Blackfoot peoples of Southwest Alberta, Culture & the Gambling Phenomenon, 241;

Elisabeth Gedge, Deirdre Querney, The Silent Dimension: Speaking of Spirituality in Addictions Treatment, Journal of Social Work Values and Ethics, Volume 11, Number 2 (2014);

Stephen Louw, African numbers games and gambler motivation: ‘Fahfee’ in contemporary South Africa, Article  in  African Affairs · January 2018;

Robert Grunfeld, Masood Zangeneh, and Lea Diakoloukas, Religiosity and Gambling Rituals, in M. Zangeneh, A. Blaszczynski, N. Turner (eds.), In the Pursuit of Winning, Springer 2008, capitolo 9.

Peter Ferentzy, Wayne Skinner, Paul Antze, The Serenity Prayer: Secularism and Spirituality in Gamblers Anonymous, Journal of Groups in Addiction & Recovery, 5:124–144, 2010;

Clarke, S. Tse, M. Abbot, S. Townsend, P. Kingi, W. Manaia, Religion, Spirituality and Associations with Problem Gambling, New Zealand Journal of Psychology  Vol. 35,  No. 2,  July 2006;

Keehan Koorn, The Roles of Religious Affiliation and Family Solidarity  as Protective Factors against Problem Gambling Risk in a Métis Sample, A Thesis Presented to The University of Guelph, In partial fulfilment of requirements for the degree of Master of Science in Family Relations and Applied Nutrition, Guelph, Ontario, Canada, © Keehan Koorn, August, 2011

Gary Nixon and Jason Solowoniuk, A Transpersonal Developmental Approach to Gambling Treatment, in M. Zangeneh, A. Blaszczynski, N. Turner (eds.), In the Pursuit of Winning. 211 C springer 2008, capitolo 13.

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Bomba carta e molotov contro il Cas Cento Fiori da parte di minorenni: per favore, non consideriamola solo una “bravata”.

Cooperativa sociale Cento Fiori - Mar, 11/12/2018 - 14:57

Quattro minorenni e un maggiorenne, tutti residenti nelle zone limitrofe alla struttura che ospita richiedenti asilo da loro attaccata con due bottiglie molotov e una bomba […]

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A Castrocaro Terme con Target Sinergie e le Confindustrie romagnole: l’azienda riminese partner di Romagna Business Meeting il 14 dicembre

Il 14 dicembre abbiamo un impegno: essere partner del Romagna Business Meeting, l'evento di Confindustria Romagna e Confindustria Forlì Cesena a Castrocaro Terme. Veniteci a trovare a desk Target Sinergie , venite ad ascoltare le nostre proposte per le aziende per migliorare attraverso l'outsourcing la produttività dell'impresa: il nostro Gianluca Fabbri spiegherà la ricetta professionale Target Sinergie nella gestione dei reclami per la customer service a partire dalle ore 14,30.

Nel salone Piacentini invece troverete il nostro team commerciale e, per l’occasione, potrete festeggiare con noi i 30 anni del gruppo Target Sinergie e magari sfruttare la photo opportunity che abbiamo predisposto per i nostri ospiti. MA ci sono anche tante altre buone motivazioni per fare un salto a Castrocaro Terme, presso il Grand Hotel & SPA - Terme di Castrocaro, in Via Roma, 2: il programma predisposto da Confindustria Romagna e Confindustria Forlì Cesena. Si prega di comunicare l’adesione a iscrizioni@romagnabusinessmatching.it entro e non oltre il 12 dicembre.

Ecco il programma

Ore 10.45: accredito partecipanti

Ore 11.00: illustrazione del nuovo sito Romagna Business Matching e app Confindustria Romagna e Confindustria Forlì Cesena

Ore 11.40: presentazione “Connext - il primo evento Nazionale di partenariato industriale di Confindustria” - Milano MICO 7 e 8 febbraio 2019 – alla presenza della Vice Presidente di Confindustria Licia Mattioli

Ore 12.45-13.30: buffet di networking

Ore 13.30-16.00: presentazione delle aziende partner di Romagna Business Meeting

Ore 16.00: lancio del servizio A.B.C., Autovalutazione per un Business Consapevole, e di Smart Tech, servizio di supporto nel percorso di digitalizzazione

Ore 17.00: presentazione del nuovo brand Romagna Business Multiservice, che riunisce le proposte di Romagna Servizi Industriali e Assoservizi Romagna

Ore 18.00: brindisi augurale

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Marecchia Social Fest – Aspettando Natale!

Cooperativa sociale Cento Fiori - Sab, 01/12/2018 - 15:36

Rimini – Vin brulé e castagne: la Cooperativa Sociale Cento Fiori invita amici, cooperatori, clienti, dipendenti e parenti ad una festa ruspante dalle ore 16 di […]

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Il Gruppo: integrazione, accoglienza, cura

Scuola di prevenzione José Bleger Rimini - Ven, 30/11/2018 - 19:44

di Simona Di Marco

Il lavoro clinico con richiedenti si svolge necessariamente in integrazione con il sistema dell’accoglienza e passa dall’incontro con gli operatori di SPRAR e CAS che sono, nella maggior parte dei casi, coloro che formulano la richiesta d’aiuto.

Partiamo dunque dal presupposto che la clinica in questo ambito sia una clinica di confine, decostruita e ricostruita attraverso una mediazione continua con altri sistemi e altri mondi.

Crediamo che una modalità di lavoro di gruppo sia essenziale nei vari ambiti e nei vari setting istituzionali sia dell’accoglienza sia della Cura.

Attraverso un setting di gruppo si può costruire una clinica integrata che tenga insieme aspetti sociali e sanitari.

Nel lavoro con i richiedenti evidenziamo diverse difficoltà dovute agli effetti del trauma e delle diversità culturali sulla relazione d’aiuto.

Sappiamo che i richiedenti sono portatori di vulnerabilità post-traumatica e sono pertanto ad alto rischio di sviluppare disturbi psicopatologici.

La vulnerabilità può emergere sotto forma di disagio psicologico nei luoghi di vita, nei CAS e negli SPRAR, in ogni momento del percorso di accoglienza.

Gli effetti del trauma possono rivivere nella relazione d’aiuto operatore-utente e generare difficoltà di comunicazione e vissuti emotivi molti intensi.

Sappiamo che è fondamentale intercettare precocemente la vulnerabilità affinché non diventi disturbo e non arrivi a compromettere il funzionamento sociale.

La fase di uscita dai percorsi di accoglienza può essere molto complessa soprattutto quando il progetto di   inclusione non è stato realizzato.

Questa è una fase molto difficile in cui il disagio psicologico può riemergere o manifestarsi per la prima volta.

Chi lavora nell’accoglienza è esposto quotidianamente agli effetti del trauma.

Gli effetti traumatici dei richiedenti si trasmettono in chi li ospita e si riflettono a livello delle istituzioni. Ma soprattutto le conseguenze del trauma rivivono nella relazione operatore-richiedente.  In questa relazione d’aiuto sono contenuti importanti aspetti terapeutici.

L’operatore dell’accoglienza è infatti la prima persona con cui il richiedente può costruire una relazione umana e gettare le basi per una esperienza di fiducia.

Possiamo dunque supporre che vi siano aspetti transferali e controtransferali che si sviluppano nelle relazioni fra il richiedente e il sistema dell’accoglienza e della cura.

Ci sono transfert positivi e negativi che il richiedente sviluppa nei confronti dell’operatore e dell’Istituzione dell’Accoglienza.

A volte l’operatore può essere investito da un potere molto grande e da aspettative che possono apparire irrealistiche.

L’operatore può a sua volta, sviluppare diversi tipi di controtransfert. Pensiamo che possa sentirsi frustrato se investito da aspettative troppo grandi o provare ambivalenza quando deve rispondere a mandati istituzionali nei quali non si riconosce.

Possono inoltre svilupparsi vissuti emotivi correlati alle differenze culturali e ad incomprensioni di codici e linguaggi (contro-transfert culturale).

E che tipo di tranfert sviluppa il richiedente nei confronti dell’Istituzione sanitaria o della salute mentale?  Che tipo di fantasie, aspettative, corrispondenze si mettono in moto? Dove si incontrano gli equivalenti dei nostri luoghi di cura?

E che tipo di controtransfert si attiva in noi operatori sanitari?

La relazione con queste persone passa dunque attraverso tutti questi elementi che, se non vengono riconosciuti ed elaborati, possono condizionare la relazione d’aiuto e influire sulla riuscita del percorso di accoglienza.

Come sostiene Abdelmalek Sayad “ci sono elementi controtransferali che, se non riconosciuti e contenuti, possano generare relazioni violente ed espulsive”.

Pensiamo che il dispositivo gruppale possa proteggere da tutti questi aspetti.

Partiamo dall’utilizzo del setting gruppale nella clinica.

Nella clinica con i migranti i nostri riferimenti teorici sono quello etnopsichiatrico e quello etnopsicoanalitico di Devereux e Nathan.

“E’ un tipo di setting quello di gruppo”, come sostiene Nathan, “al quale il migrante più facilmente si appoggia, in quanto in esso riconosce la propria cultura gruppale”.

Il gruppo inoltre apporta dei vantaggi ai terapeuti proteggendoli da emozioni intense che il contatto con l’alterità suscita.  Permette l’elaborazione del controtransfert e la sua trasformazione in strumento di conoscenza.

Se nel setting, sia esso individuale o gruppale, si riattivano le relazioni del pazienti, si può affermare come sostiene Bleger che, “nel caso dei migranti, nel setting gruppale, si riattivino i legami con le matrici culturali originarie”.

“Il dispositivo gruppale”, secondo Nathan, “consente il passaggio da un dialogo della coppia “paziente-terapeuta” ad un dialogo fra “gruppi sociali” (gruppo del paziente e gruppo del terapeuta)”.

Nel nostro setting di colloqui clinici all’interno del CSM (psichiatra, infermiere, psicologo e un assistente sociale) includiamo sempre il mediatore culturale e generalmente l’operatore dell’accoglienza.

Parliamo di un setting dunque che è interistituzionale, che mette insieme aspetti sociali, sanitari e culturali.

Riteniamo che la presenza dell’operatore dell’accoglienza nel setting possa svolgere diverse funzioni.

L’operatore può fungere da elemento di congiunzione fra sociale e sanitario; può favorire il racconto della storia del richiedente e aiutarlo ad esplicitare difficoltà nelle relazioni nel contesto di vita.

Abbiamo osservato che in alcuni casi la presenza dell’operatore ha invece ostacolato la libera espressione di vissuti del richiedente, questo soprattutto quando emergevano difficoltà nella relazione fra richiedente e operatore.

Il gruppo ha in questo caso funzionato anche come contenitore di aspetti tranferali e controtransferali generati nella trama di relazioni dentro i CAS e gli SPRAR.

La clinica con i migranti ci porta ad una riflessione su alcuni aspetti del setting (inquadramento): il tempo, lo spazio, i luoghi, il compito.

Il tempo del colloquio alla presenza del mediatore in genere si allunga, si raddoppia, si triplica.

E cosa pensiamo dei nostri luoghi?  Gli ambulatori di un CSM sono i luoghi più adatti per svolgere questa clinica di confine?

Ci siamo accorti di come anche il Compito dei servizi di Salute Mentale dovesse essere ridefinito in un lavoro di negoziazione con altre istituzioni e con altri sistemi.

Questa che segue è un’esperienza clinica che ci ha consentito di riformulare e sperimentare sul campo alcuni aspetti del setting e di rinegoziare la nostra funzione clinica.

Qualche mese fa alla nostra equipe clinica del Centro di Salute Mentale è arrivata, da parte di un CAS, una   richiesta di consultazione per un ragazzo che, nel momento di uscita dall’Accoglienza, manifestava un evidente disagio.

Ci siamo chiesti cosa succede a questo setting quando viene meno la cornice, quando per esempio una persona deve uscire dal suo CAS e non ha un posto dove andare a dormire.

E’ questo un momento in cui si interrompono legami e si lascia un contesto che è diventato familiare, si lasciano luoghi in cui si sono depositati sogni, speranze, bisogni e in cui si sono stabiliti rapporti umani.

Anche per gli operatori dell’Accoglienza accompagnare questo passaggio può essere difficile, soprattutto quando la persona che termina il suo percorso in un CAS non ha raggiunto una propria autonomia.  Il ragazzo per il quale eravamo stati consultati non aveva lavoro, né alcuna possibilità di autosostenersi ed era portatore di una vulnerabilità fisica oltre che psicologica.

Questo passaggio aveva generato in lui marcata sofferenza   e la preoccupazione di perdere anche il diritto di curarsi per i suoi problemi di salute.

Difficoltà nella gestione di questo passaggio erano emerse anche negli operatori.

La situazione che si stava delineando ci imponeva una riflessione sia sul nostro modo di fare clinica sia sul modo di utilizzare il setting.

Abbiamo dunque riformulato il nostro setting clinico di gruppo includendovi il ragazzo, la mediatrice culturale, gli operatori del CAS e gli operatori del dormitorio.

Abbiamo creato dunque   una equipe/gruppo di lavoro inter-istituzionale (3 istituzioni) che si riuniva nel dormitorio dove il ragazzo era stato inserito.

Ci siamo accorti di come la nostra funzione clinica andava rinegoziata su altri livelli di incontro.

E’ impossibile infatti lavorare sui bisogni psicologici se i bisogni materiali non sono soddisfatti (casa, cibo).

Né le storie con i loro contenuti culturali, i vissuti, le appartenenze, emergono al di fuori di un setting sicuro.

Ci siamo accorti che il disagio psicologico che emergeva (sintomi dissociativi, confusione, disorganizzazione), trovava nel gruppo il suo principale fattore terapeutico.

Il nuovo gruppo così composto si è fatto carico di garantire una coesione, di “tenere insieme i pezzi” di una identità che vacillava; ha funzionato da contenitore fisico e psichico dei bisogni psicologici e sociali.

Nel corso delle sedute la nuova equipe/gruppo ha creato una nuova operatività, un nuovo compito, riformulato sui nuovi bisogni del ragazzo.

Nel nuovo gruppo/equipe hanno trovato espressione aspetti transferali e controtransferali, che hanno potuto essere elaborati al fine di consentire la realizzazione di una nuova operatività.

Può succedere che, in questa fase (quella in cui la persona deve uscire dal CAS) un transfert positivo (del richiedente nei confronti dell’operatore) può diventare improvvisamente negativo (sentirsi espulsi da chi ci aveva accolti). Il richiedente può altrimenti depositare sull’operatore fantasie irrealistiche o salvifiche.

Supponiamo che l’operatore possa a sua volta provare vissuti di ambivalenza (deve rispondere al mandato istituzionale di mettere fuori una persona che non ha ancora raggiunto una autonomia).

Nel contesto del nuovo gruppo/equipe è stato possibile interpretare quanto stava accadendo in quella situazione (è difficile per voi operatori accompagnare questo passaggio) e, di conseguenza, ridurre l’ansia degli operatori del CAS e la loro fatica di sentirsi soli a sostenere il carico.

Nel gruppo/equipe si è osservata una resistenza iniziale che si opponeva all’operatività, dovuta al fatto che i componenti facevano riferimento alle loro isitituzioni di appartenenza e non riuscivano ad individuare un compito comune.

Nello svolgersi del processo gruppale il gruppo/equipe ha ridefinito un nuovo compito che aveva al centro i nuovi   bisogni del ragazzo.

Solo nel momento in cui il setting gruppale è diventato sicuro e il ragazzo ha iniziato a provare fiducia, i materiali culturali insieme ai vissuti e alla narrazione della soggettività hanno iniziato ad emergere.

Possiamo dire che abbiamo realizzato una diagnosi operativa (e non una diagnosi psichiatrica).

In quei giorni abbiamo lavorato oltre il nostro orario istituzionale, mantenendo, oltre agli incontri in gruppo con il ragazzo, una rete di sms, mail, telefonate con gli operatori del dormitorio.

Pensiamo che questa rete abbia restituito confine e continuità e abbia permesso al ragazzo di sentirsi “tenuto” e di “tenere” in questo passaggio. Ha inoltre contenuto le nostre ansie, quelle degli operatori del CAS e quelle degli operatori del dormitorio e ha trasformato le identità professionali di ciascuno.

Noi operatori dell’equipe di consultazione abbiamo sentito sulla pelle il rischio in cui scivola la Psichiatria: il rischio di psichiatrizzare il disagio sociale e psicologico; il rischio di agire secondo schemi che ci sono familiari in risposta all’ansia e all’incertezza.

Abbiamo sperimentato quanto sia importante mantenere, nel primo periodo dopo l’uscita dall’Accoglienza, una continuità di interventi e di operatori che accompagnino il richiedente verso il nuovo percorso.

Ora il ragazzo è in un’altra città e ha portato con sé la bicicletta che noi, tutti insieme nel nuovo gruppo/equipe, gli avevamo regalato. La stessa bicicletta   che, come una specie di oggetto transizionale, lo aveva accompagnato già nel passaggio dal CAS al dormitorio.

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Tamagnini: «Oggi qui c’è un’altra Rimini, che vuol essere solidale, contro il razzismo». Il video.

Cooperativa sociale Cento Fiori - Dom, 11/11/2018 - 15:56

Abbiamo organizzato un momento comune di solidarietà e di divertimento, per dare corpo alle tanti voci solidali che in queste ore ci hanno sommerso, dopo gli […]

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Oggi al campo dei Delfini una partita di calcio (e festa) con tanti amici solidali con la Cento Fiori e i migranti attaccati nelle scorse settimane

Cooperativa sociale Cento Fiori - Dom, 11/11/2018 - 15:52

Cristian Tamagnini, presidente Cooperativa Sociale Cento Fiori: «Oggi qui c’è un’altra Rimini, una Rimini importante, che vuole essere solidale, che è contro il razzismo, che è contro la guerra tra poveri, e che vuole proporre la cooperazione e il bene comune contro la politica dell’odio e del razzismo».

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Partita di calcio (e festa) per dare corpo alle tante voci solidali che in queste ore ci hanno sommerso

Cooperativa sociale Cento Fiori - Ven, 09/11/2018 - 17:06

Dopo i gesti razzisti che hanno colpito i nostri ospiti del Cas di Spadarolo, abbiamo deciso di organizzare un momento comune di solidarietà e di divertimento, per dare corpo alle tanti voci solidali che in queste ore ci hanno sommerso.

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LA FOLLIA DELL’ATTESTAZIONE DEI CONTRATTI A CANONE CONCORDATO “NON ASSISTITI”

Contratti di locazione a canone concordato “non assistiti” stipulati ex D.M. 16.01.2017 e obbligo di attestazione per avere le relative agevolazioni fiscali: ormai è chiaro che lo Stato italiano considera tutti i suoi cittadini come una massa enorme di evasori.  Anche si vi fosse stato un dubbio, è svanito dopo è stato introdotto l’obbligo per i contratti di locazione a canone concordato, nel caso si voglia usufruire delle agevolazioni fiscali, di farsi rilasciare l’attestazione di congruenza del canone con gli Accordi Territoriali vigenti nei singoli Comuni. 
E’ la definitiva presa di coscienza, da parte dei nostri legislatori, della propria totale incapacità a svolgere il ruolo di controllore. Come sempre, ormai, per ovviare a questo si realizza una produzione bulimica di adempimenti che, solo in teoria, dovrebbe evitare abusi da parte dei contribuenti italiani ma che, nella pratica, si concretizza per quest’ultimi unicamente in un aumento spropositato di costi.

Canoni di locazione concordati: la norma originaria

Tutto parte con l’articolo 1, comma 8 del decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, emanato di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, del giorno 16 Gennaio 2017.
Il citato articolo prevede che “le parti contrattuali, nella definizione del canone effettivo, possono essere assistite, a loro richiesta, dalle rispettive organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori. Gli accordi definiscono, per i contratti non assistiti, le modalità di attestazione, da eseguirsi, sulla base degli elementi oggettivi dichiarati dalle parti contrattuali a cura e con assunzione di responsabilità, da parte di almeno una organizzazione firmataria dell’accordo, della rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all'accordo stesso, anche con riguardo alle agevolazioni fiscali”. In buona sostanza la norma prevede che per i contratti di locazione a canone concordato ‘non assistiti’, cioè quelli non fatti passando per un sindacato degli inquilini o dei proprietari, vi sia la necessità di farsi rilasciare l’attestazione da parte delle organizzazioni sindacali che hanno firmato l’accordo territoriale. Questa “certificazione” ha lo scopo di attestare la rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto di locazione sia conforme a quanto previsto dall’accordo locale stipulato tra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative.

Questa attestazione non è necessaria nel caso in cui il contratto di locazione sia stato materialmente fatto con l’intervento delle organizzazioni della proprietà edilizia e di quella dei conduttori.

Fin qui, pur comunque evidenziando una certa assurdità della norma in ambito civilistico, grosse problematiche non dovrebbero sorgere: è interesse comunque delle parti concludere un contratto che rispetti la legge. Il quadro si complica, come si può intuire, se si guarda la disposizione in commento sotto l’aspetto fiscale.

LA NORMA FISCALE

L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione  n. 31 del 20 aprile 2018, ha stabilito che “per i contratti a canone concordato ‘non assistiti’, l’acquisizione dell’attestazione costituisce elemento necessario ai fini del riconoscimento delle agevolazioni”.

Il concetto espresso dal Fisco è che se si vogliono utilizzare le agevolazioni fiscali che discendono dai contratti concordati occorre che il contratto di locazione sia certificato da una delle organizzazioni sindacali che ha firmato l’Accordo Territoriale vigente per il Comune dove è ubicato l’immobile oggetto di locazione. 
Si ricordano, qui a titolo di informazioni, le agevolazioni fiscali previste: applicazione dell’aliquota ridotta nella misura del 10 %, prevista ai fini della ‘cedolare secca’, riduzione dell’imposta di registro dal 2% al 1,4%, riduzione, in caso di non utilizzo della cedolare secca, dell’imponibile ordinario per l’Irpef.

Ovviamente si può immaginare che il rilascio di tali certificazioni, come giusto che sia, non sarà certamente gratuito. In buona sostanza, siccome l’Agenzia delle Entrate non è in grado di verificare la correttezza dei singoli contratti, demanda tale onere al cittadino che dovrà sobbarcarsi pure l’onere, in denaro e in tempo, di farsi certificare la regolarità del proprio comportamento.

Per onor del vero, la posizione dell’Agenzia non nasce dal nulla. Era già stata espressa dal Ministero delle Infrastrutture - Direzione Generale per la Condizione Abitativa - che, con la nota del 6 febbraio 2018, n. 1380, aveva affermato che “per quanto concerne i profili fiscali va considerato che l’obbligatorietà dell’attestazione fonda i suoi presupposti sulla necessità di documentare alla pubblica amministrazione, sia a livello centrale che comunale, la sussistenza di tutti gli elementi utili ad accertare sia i contenuti dell’accordo locale che i presupposti per accedere alle agevolazioni fiscali, sia statali che comunali. Ne consegue l’obbligo per i contraenti, di acquisire l’attestazione in argomento anche per poter dimostrare all’Agenzia in caso di verifica fiscale la correttezza delle deduzioni utilizzate”.

L’attestazione di rispondenza non risulta, invece, necessaria, ai fini del riconoscimento delle agevolazioni fiscali in due casi:

  • i contratti a canone concordato sono stati stipulati prima dell’entrata in vigore del decreto;
  • i contratti a canone concordato sono stati stipulati anche dopo l’entrata in vigore del decreto ma non vi è la presenza di un Accordo Territoriale firmato dalle Organizzazioni Sindacali e dalle Associazioni degli inquilini e dei proprietari di immobili.
OBBLIGO DI ALLEGAZIONE DELL’ATTESTAZIONE.

L’Agenzia delle Entrate ci aggiunge pure una complicazione in più. Il decreto in esame non definisce un obbligo in capo alle parti contrattuali di procedere all’allegazione dell’attestazione e, soprattutto, tale obbligo non emerge neppure dalle previsioni dettate dal Testo unico dell’imposta di registro, approvato con il DPR 26 aprile 1986, n. 131 (TUR).

L’Agenzia delle Entrate, nella citata circolare, sostanzialmente dice che è pur vero che non esiste un obbligo di allegazione, però tale assenza “non esclude, tuttavia, che le parti possano, comunque, procedere a detta allegazione, in sede di registrazione del contratto di locazione”. Non è obbligatorio, ma se viene fatto è meglio. Tant’è che poi aggiunge che “l’allegazione dell’attestazione in sede di registrazione appare, peraltro, opportuna al fine di documentare la sussistenza dei requisiti, laddove il contribuente chieda di fruire dell’agevolazione prevista dall’articolo 8 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, ai fini dell’imposta di registro”.

L’agevolazione in parola stabilisce che per la determinazione della base imponibile per l’applicazione dell’imposta proporzionale di registro, il corrispettivo annuo venga assunto nella misura del 70 per cento.

Potrebbe sorgere il dubbio che l’allegazione di un atto aggiuntivo a un contratto di locazione faccia scaturire l’obbligo di applicazione dell’imposta di registro. Ma l’Agenzia delle Entrate, con una botta di inusuale magnanimità, dice che “l’attestazione in argomento concretizza un atto per il quale non vige l’obbligo della registrazione, in quanto la stessa non appare riconducibile nell’ambito delle previsioni recate dalla tariffa, parte prima e parte seconda, allegata al TUR. In sede di registrazione del contratto di locazione, pertanto, l’ufficio dell’Agenzia provvederà alla registrazione anche dell’attestato senza autonoma applicazione dell’imposta di registro”.

Ma non solo. Ormai lanciata nella scia della benevolenza nei confronti del contribuente, esenta l’allegazione dell’attestazione anche dall’imposta di bollo. Infatti nella risoluzione n. 31 del 20 aprile 2018 vi è chiaramente scritto che “tenuto conto che l’attestazione in argomento, si rende necessaria, cosi come previsto dal citato decreto, al fine di certificare la rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all’accordo stesso, anche con riguardo al riconoscimento delle agevolazioni fiscali, deve ritenersi che per il rilascio della predetta attestazione non debba essere applicata l’imposta di bollo, ai sensi del citato articolo 5 della Tabella allegata al DPR 26 ottobre 1972, n. 642”.

 

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“Le forze che "muovono" le aziende logistiche sono le stesse che rendono l'uomo felice”: un dialogo al Meeting di Rimini con Flavio Cecchetti e Domenico Pirozzi

Un imprenditore può rendere felici i collaboratori? Perché dovrebbe farlo? Quest’anno al Meeting di Rimini CDO Logistica affronta il tema di come l’impresa possa e debba farsi carico non solo che il dipendente stia bene, ma che possa realizzare le proprie aspirazioni.

Due imprenditori, Flavio Cecchetti (Susa trasporti Spa) e Domenico Pirozzi (fondatore Target Sinergie) racconteranno le loro esperienze pluridecennali nella crescita dell’impresa anche attraverso la crescita del benessere del personale. Modererà l’incontro Davide Zamagni, presidente Cdo logistica e Target Sinergie.

Meeting 2018, c/o Fiera, via Emilia 155 Rimini - Area CDO for Innovation - Pad. A5/C5, giovedì 23 agosto ore 17

convegno_rimini_23_agosto_18.jpg Eventi Notizie Logistica
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ACQUISTO CARBURANTE E FISCO: LA FATTURA RIEPILOGATIVA VA BENE CARTACEA MA IL PAGAMENTO DEVE ESSERE TRACCIABILE

Rifornimento di carburante e tracciabilità del pagamento: il dubbio aperto riguarda soprattutto i quei contribuenti che effettuano i rifornimenti nei distributori stradali senza provvedere, immediatamente, al pagamento ma posticipandolo solo a una scadenza successiva, ad esempio alla fine del mese.
Ipotesi, questa, non così rara, in quanto molti impianti stradali permettono ai clienti abituali di pagare il rifornimento non al momento della sua effettuazione ma in un momento successivo, come ad esempio solo alla fine del mese: si pensi alle prassi che coinvolgono gli agenti e rappresentanti, gli autotrasportatori, i procacciatori d’affari, gli artigiani
Da più parti si dice che tale comportamento non sia ammissibile, in quanto ogni volta che si effettua il rifornimento quest’ultimo deve essere regolato tramite strumenti tracciabili, pena l’inammissibilità del costo e della detrazione IVA. 
In realtà, invece, a parere dello scrivente tale affermazione non appare condivisibile. Vediamo il perché.
Il rinvio dell’obbligo di emissione della fattura elettronica per le cessioni di carburante destinato all’autotrazione fatte presso i distributori stradali, non incide sulla disciplina riguardante il pagamento tracciabile del relativo prezzo. Ciò significa che, al di là dell’emissione o meno della fattura elettronica, il pagamento del rifornimento di carburante, per essere detraibile, deve sempre essere effettuato tramite strumenti tracciabili.
Tale principio lo si desume dalla lettura del combinato disposto fra quanto previsto dalla legge finanziaria 2018 e il testo del decreto legge n. 79 del 28 giugno 2018 che ha materialmente disposto il rinvio del termine per l’emissione della fattura elettronica per le cessioni di carburante destinato all’autotrazione dall’originario 01 luglio 2018 all’attuale 01 gennaio 2019.
Il comma 922 della finanziaria stabilisce che “le spese per carburante per autotrazione  sono  deducibili […], se effettuate esclusivamente  mediante carte di credito,  carte  di  debito  o  carte  prepagate  emesse  da operatori finanziari soggetti all'obbligo di  comunicazione  previsto dall'articolo 7,  sesto  comma,  del  decreto  del  Presidente  della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605”.
Il successivo comma 923, in materia di detraibilità ai fini IVA, a sua volta stabilisce che “L'avvenuta effettuazione dell'operazione deve essere provata dal pagamento mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da  operatori  finanziari  soggetti all'obbligo di comunicazione previsto dall'articolo 7,  sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica  29  settembre  1973,  n. 605, o da altro mezzo ritenuto parimenti  idoneo  individuato  con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate
E’ curioso notare, tra l’altro, che la diversa formulazione normativa rispetto ai mezzi di pagamenti ammessi, ha ingenerato una confusione: infatti per il costo è consentita la deducibilità solo se i pagamenti sono effettuati con carte di credito, debito o prepagate, mentre per quanto riguarda la detraibilità IVA è consentito il pagamento anche con altri mezzi pagamento. Per sanare questa oggettiva discrepanza, è intervenuta la circolare 8/e del 30.04.2018 la quale ha stabilito che “in assenza di specifiche indicazioni contrarie presenti nella norma o nella relazione illustrativa, impone che tali strumenti (cioè quelli individuati dal Direttore dell’Ade) vadano considerati idonei anche ai fini della deducibilità dei costi sostenuti”.
Gli altri mezzi di pagamento individuati dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate sono: 

Appare quindi, del tutto evidente, che se il contribuente fa il pieno di benzina al distributore e la paga solo successivamente con una fattura riepilogativa, è sufficiente che tracci il pagamento con i mezzi ammessi per farlo, cioè, ad esempio,  con bonifico bancario. Non c’è nessun disposto normativo che lo obblighi a pagare tutte le volte che fa il rifornimento. E’ sufficiente che, quando provvederà materialmente al pagamento, questo avvenga con gli strumenti tracciabili previsti dal Legislatore. 
Non è nemmeno necessario, inoltre, che il corrispettivo sia certificato da una fattura elettronica: se il soggetto passivo fa benzina solo ed esclusivamente per uso di autotrazione stradale l’obbligo di emissione della fattura elettronica è rinviato al 01 gennaio 2019. 
Tale affermazione è supportata dal tenore del decreto normativo di proroga: il decreto legge 28 giugno 2018 n. 79 stabilisce che “al comma 917, lettera a), dopo le parole:  «per  motori»  sono aggiunte le seguenti: «, ad eccezione delle  cessioni  di  carburante per autotrazione presso gli impianti stradali di  distribuzione,  per le quali il comma 920 si applica dal 1°gennaio 2019». Il comma 920 recita che “Gli acquisti di carburante per autotrazione effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti passivi dell'imposta sul valore aggiunto devono essere documentati con la fattura elettronica”.
Per cui, per ritornare al caso oggetto di indagine iniziale, è sufficiente che il soggetto passivo paghi la fattura cartacea dei carburanti con un bonifico bancario alle scadenze indicate.
Di contro, se paga la benzina tutte le volte che fa il rifornimento, è abbastanza chiaro che deve tracciare il pagamento con i mezzi previsti. L’eventuale fattura successiva conterrà al suo interno gli estremi dei singoli pagamenti e, di conseguenza, sarà pari a zero. 

 

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ACQUISTO CARBURANTE E FISCO: LA FATTURA RIEPILOGATIVA VA BENE CARTACEA MA IL PAGAMENTO DEVE ESSERE TRACCIABILE

Rifornimento di carburante e tracciabilità del pagamento: il dubbio aperto riguarda soprattutto i quei contribuenti che effettuano i rifornimenti nei distributori stradali senza provvedere, immediatamente, al pagamento ma posticipandolo solo a una scadenza successiva, ad esempio alla fine del mese.
Ipotesi, questa, non così rara, in quanto molti impianti stradali permettono ai clienti abituali di pagare il rifornimento non al momento della sua effettuazione ma in un momento successivo, come ad esempio solo alla fine del mese: si pensi alle prassi che coinvolgono gli agenti e rappresentanti, gli autotrasportatori, i procacciatori d’affari, gli artigiani
Da più parti si dice che tale comportamento non sia ammissibile, in quanto ogni volta che si effettua il rifornimento quest’ultimo deve essere regolato tramite strumenti tracciabili, pena l’inammissibilità del costo e della detrazione IVA. 
In realtà, invece, a parere dello scrivente tale affermazione non appare condivisibile. Vediamo il perché.
Il rinvio dell’obbligo di emissione della fattura elettronica per le cessioni di carburante destinato all’autotrazione fatte presso i distributori stradali, non incide sulla disciplina riguardante il pagamento tracciabile del relativo prezzo. Ciò significa che, al di là dell’emissione o meno della fattura elettronica, il pagamento del rifornimento di carburante, per essere detraibile, deve sempre essere effettuato tramite strumenti tracciabili.
Tale principio lo si desume dalla lettura del combinato disposto fra quanto previsto dalla legge finanziaria 2018 e il testo del decreto legge n. 79 del 28 giugno 2018 che ha materialmente disposto il rinvio del termine per l’emissione della fattura elettronica per le cessioni di carburante destinato all’autotrazione dall’originario 01 luglio 2018 all’attuale 01 gennaio 2019.
Il comma 922 della finanziaria stabilisce che “le spese per carburante per autotrazione  sono  deducibili […], se effettuate esclusivamente  mediante carte di credito,  carte  di  debito  o  carte  prepagate  emesse  da operatori finanziari soggetti all'obbligo di  comunicazione  previsto dall'articolo 7,  sesto  comma,  del  decreto  del  Presidente  della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605”.
Il successivo comma 923, in materia di detraibilità ai fini IVA, a sua volta stabilisce che “L'avvenuta effettuazione dell'operazione deve essere provata dal pagamento mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da  operatori  finanziari  soggetti all'obbligo di comunicazione previsto dall'articolo 7,  sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica  29  settembre  1973,  n. 605, o da altro mezzo ritenuto parimenti  idoneo  individuato  con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate
E’ curioso notare, tra l’altro, che la diversa formulazione normativa rispetto ai mezzi di pagamenti ammessi, ha ingenerato una confusione: infatti per il costo è consentita la deducibilità solo se i pagamenti sono effettuati con carte di credito, debito o prepagate, mentre per quanto riguarda la detraibilità IVA è consentito il pagamento anche con altri mezzi pagamento. Per sanare questa oggettiva discrepanza, è intervenuta la circolare 8/e del 30.04.2018 la quale ha stabilito che “in assenza di specifiche indicazioni contrarie presenti nella norma o nella relazione illustrativa, impone che tali strumenti (cioè quelli individuati dal Direttore dell’Ade) vadano considerati idonei anche ai fini della deducibilità dei costi sostenuti”.
Gli altri mezzi di pagamento individuati dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate sono: 

Appare quindi, del tutto evidente, che se il contribuente fa il pieno di benzina al distributore e la paga solo successivamente con una fattura riepilogativa, è sufficiente che tracci il pagamento con i mezzi ammessi per farlo, cioè, ad esempio,  con bonifico bancario. Non c’è nessun disposto normativo che lo obblighi a pagare tutte le volte che fa il rifornimento. E’ sufficiente che, quando provvederà materialmente al pagamento, questo avvenga con gli strumenti tracciabili previsti dal Legislatore. 
Non è nemmeno necessario, inoltre, che il corrispettivo sia certificato da una fattura elettronica: se il soggetto passivo fa benzina solo ed esclusivamente per uso di autotrazione stradale l’obbligo di emissione della fattura elettronica è rinviato al 01 gennaio 2019. 
Tale affermazione è supportata dal tenore del decreto normativo di proroga: il decreto legge 28 giugno 2018 n. 79 stabilisce che “al comma 917, lettera a), dopo le parole:  «per  motori»  sono aggiunte le seguenti: «, ad eccezione delle  cessioni  di  carburante per autotrazione presso gli impianti stradali di  distribuzione,  per le quali il comma 920 si applica dal 1°gennaio 2019». Il comma 920 recita che “Gli acquisti di carburante per autotrazione effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti passivi dell'imposta sul valore aggiunto devono essere documentati con la fattura elettronica”.
Per cui, per ritornare al caso oggetto di indagine iniziale, è sufficiente che il soggetto passivo paghi la fattura cartacea dei carburanti con un bonifico bancario alle scadenze indicate.
Di contro, se paga la benzina tutte le volte che fa il rifornimento, è abbastanza chiaro che deve tracciare il pagamento con i mezzi previsti. L’eventuale fattura successiva conterrà al suo interno gli estremi dei singoli pagamenti e, di conseguenza, sarà pari a zero. 

 

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Epistemologia convergente

Scuola di prevenzione José Bleger Rimini - Dom, 22/07/2018 - 14:17

di Leonardo Montecchi

In primo luogo che cosa intendiamo quando parliamo di metodo? La parola viene dal greco μέϑοδος ed è composta di due parti: Meta che significa andare verso, e Odus che significa cammino, si tratta dunque di una via verso una meta, questo senso viene ampliato  perché la parola greca si può tradurre come ricerca.

E qui arriviamo all’interrogativo di oggi:

qual è il metodo della ricerca con il nostro Schema di riferimento concettuale e operativo?

Discendiamo anche noi dalla frattura che Descartes ha introdotto nel pensiero antico assieme a Galilei e Newton, per questo parliamo di metodo scientifico ma con tutti i cambiamenti che sono intervenuti nelle scienze nel secolo scorso non è più possibile parlare di “metodo scientifico” ma di metodi scientifici. Le vie per la conoscenza certa: la ἐπιστήμη, come dicevano i greci, diventano molteplici, non c’è più solo un unica via da seguire per conoscere l’oggetto.

Dobbiamo a questo proposito soffermarci sulla scoperta della esistenza del campo. Sto parlando del campo come oggetto fisico scoperto prima da Faraday ampliato da Maxwell come campo elettromagnetico e poi da Einstein nella relatività generale.

Il campo, come oggetto fisico, complica la relazione di conoscenza tra soggetto ed oggetto, immette la reciprocità.

Kurt Lewin introducendo il concetto di campo in psicologia parla di un passaggio dal pensiero aristotelico a quello galileiano. Ci dice Bleger in “Psicologia della conducta” a proposito del campo psicologico

“se define un campo come el conjunto de elementos coexistentes e interactuantes en un momento dado (…) La relazione sujeto-medio no es, entonces,una simple relacion linear de causa a efecto, entre dos objectos distintos e separados, sino que ambos son integrantes de una sola estructura total (…)”

Queste considerazioni ci fanno uscire da una teoria della conoscenza ingenua per cui il soggetto conosce l’oggetto in una sorta di “immacolata percezione”; in realtà il processo di conoscenza avviene in un campo in cui il soggetto modifica l’oggetto e contemporaneamente l’oggetto modifica il soggetto. Ci dice Merleau Ponty in “Fenomenologia della percezione”, nel capitolo IV intitolato “Il campo fenomenico”:

“Non diremo più che la percezione è la scienza ai suoi albori, ma viceversa che la scienza classica è una percezione che dimentica le sue origini e si crede compiuta. Il primo atto filosofico consisterebbe quindi nel ritornare al mondo vissuto al di qua del mondo oggettivo”.

Anche i coniugi Baranger nel loro fondamentale lavoro “La situazione analitica come campo bipersonale”  affermano:

“la coppia analitica è un trio, in cui uno dei tre membri, fisicamente assente, è presente dal punto di vista del vissuto”.

Così arriviamo alla psicoanalisi che per Freud era una pluralità di metodi, cioè un metodo di cura, un metodo di conoscenza ed in terzo luogo una teoria della mente.

Il metodo di cura si è sviluppato dalla relazione medico-paziente, è passato attraverso l’ipnosi ed è approdato alla coppia libera associazione ed attenzione fluttuante. Ma il dispositivo che rende possibile il processo psicoanalitico è, come ci dice Bleger, un non-processo: l’inquadramento, cioè:

“…il ruolo del analista, l’insieme dei fattori relativi allo spazio (ambiente) e al tempo e parte degli aspetti della tecnica (che comprende la fissazione e il mantenimento degli orari, gli onorari, le interruzioni concordate ecc.)”

Il dispositivo del metodo di cura che dura per anni e viene mantenuto in base ad un insieme di norme e di attitudini “altro non è, per sua stessa definizione, che una istituzione”

Ora, questa istituzione della cura psicoanalitica ha prodotto una specifica teoria della mente: la metapsicologia.

Quella istituzione ha prodotto un altro dispositivo: l’Associazione Psicoanalitica internazionale, il gruppo degli analisti che custodivano il metodo di cura ortodosso e che potevano includere ed espellere chi effettuava cambiamenti non autorizzati del dispositivo di cura o introduceva concetti innovativi che potevano essere percepiti come eretici.

Forse per questo Karl Popper riteneva che la psicoanalisi non fosse una scienza, perché i suoi costrutti sembravano non poter essere sottoposti alla sperimentazione ma all’autorità di una istituzione.

Qui entra in campo l’aspetto del metodo psicoanalitico come metodo di ricerca e dunque l’applicazione della psicoanalisi in campi diversi da quello abituale degli adulti nevrotici ricevuti negli studi privati.

Abbiamo una serie importante di nuovi campi con la pedagogia, l’antropologia, la letteratura, i bambini, gli psicotici e istituzioni come cliniche ospedali, scuole, asili ecc., via via altre applicazioni che ampliano enormemente i dispositivi clinici.

Ma queste sperimentazioni entrarono spesso in conflitto con l’associazione psicoanalitica perché si ponevano come un aspetto istituente a fronte di regole istituite.

Negli anni fra le due guerre si sono intrecciati conflitti politici e teorici importanti che si possono riassumere in una spaccatura fra una destra e una sinistra psicoanalitica. La destra continuava con la libera professione e gli studi privati.

La sinistra pensava all’applicazione dei dispositivi psicoanalitici fuori dallo studio libero professionale, pensava alla prevenzione, ai temi sociali, agli asili, alle scuole, ai quartieri operai.

Questi differenti metodi hanno prodotto diversi concetti metapsicologici, dalla parte “destra” si cerca di teorizzare una esperienza “individuale”, come se non esistesse il concetto di campo e si potesse regredire ad una concatenazione lineare di causa ed effetto in cui un soggetto con una “area dell’io libera da conflitti” fin dalle origini (Hartmann) potesse sviluppare la propria affermazione sociale indipendentemente dal vincolo con l’altro.

L’altra concettualizzazione, al contrario, prevede che l’io non sia libero nel proprio modo di agire ma che dipenda dall’es e dal super-io. Cioè dal biologico e dal sociale. Per riprendere il Reich di “Materialismo dialettico e psicoanalisi” che aveva allargato il metodo psicoanalitico al sociale e al politico con il movimento sexpol.

Inoltre, come sappiamo, il metodo di cura applicato ai bambini da Melania Klein ed agli psicotici da Rosenfeld e da Bion ha modificato la metapsicologia introducendo le relazioni oggettuali e l’identificazione proiettiva. Tutte queste ricerche e nuove concettualizzazioni hanno generato conflitti nell’istituzione psicoanalitica. Nei primi anni 50, Jacques Lacan fonda la sua scuola che si presenta come l’introduzione della dialettica idealista nella psicoanalisi. La dialettica hegeliana lo porta ad una diversa concezione del soggetto.

Secondo Bauleo, Lacan ci dice che nella fase dello specchio il bambino “esce dalla realtà dell’io vissuto, per riferirsi a quell’io immaginario di cui l’immagine speculare è l’inizio”.

Seguirà la “dialettica dell’identificazione con l’Altro”.

Questi concetti entrano in conflitto con la metapsicologia freudiana “ortodossa”.

Nello stesso periodo Pichon Rivière, usa la dialettica materialista per applicare il metodo di cura psicoanalitico agli psicotici e, in seguito alla sua esperienza istituzionale nell’Ospedale Psichiatrico, sperimenta il dispositivo del gruppo operativo.  Ripensando a questi passaggi nel prologo de “Il processo gruppale” Pichon usa il concetto elaborato da Bachelard di ostacolo epistemologico, concetto fondamentale che rientra a pieno titolo nella nostra metapsicologia, cioè nel nostro ECRO.

L’ostacolo, per lui, consisterebbe nella nozione di istinto e di narcisismo primario a cui contrappone il concetto di vincolo come “un protoapprendimento, come il veicolo delle prime esperienze sociali che costituiscono il soggetto come tale”.

Si tratta sicuramente di un cambiamento di paradigma di cui parla Thomas Khun, che si precisa meglio con l’applicazione del metodo clinico e del dispositivo psicoanalitico all’istituzione totale in un momento di emergenza, quando:

“si rese necessario formare, con un gruppo di pazienti, una equipe di infermieri per il Servizio”.

Pichon sente la necessità di una rottura epistemologica, come dice Althusser di Marx, cioè elabora dei concetti che rendono conto di una prassi differente da quella della applicazione del “pensiero psicoanalitico ortodosso”.

Il metodo di ricerca, in questo caso lo porta ad ipotizzare un “oggetto astratto” che poi elaborerà in seguito con Bauleo. Si tratta del compito. Peirce avrebbe parlato di una abduzione, ma si può parlare anche di una operazione dada per Pichon che conosceva Tzara, un ready-Made concettuale.

Un emergente dell’epistemologia convergente.

Ora, per riprendere un lavoro di René Kaes, il compito, che non cita quando parla delle sue differenze con Pichon, appartiene ad una metapsicologia che Kaes chiama di terzo tipo e che si riferisce alle applicazioni dei metodi analitici alle coppie, alle famiglie e ai gruppi. Non considera le istituzioni.

Bauleo aveva già ampliato lo schema concettuale e operativo, la nostra metapsicologia, e nella prefazione all’edizione italiana de “Il processo gruppale” dice:

“Il compito (o finalità) del gruppo sarà l’elemento chiave nella problematica della situazione gruppale; ora da me concepita come un vertice della triangolazione (compito-coordinazione-struttura gruppale)”

Ma il nostro Schema concettuale di riferimento e operativo l’ECRO, si è esteso in questo tempo grazie ad altre e numerose prassi. Sicuramente dobbiamo includere quella che Bauleo e De Brasi chiamavano “clinica istituzionale”, che si caratterizza per un dispositivo specifico e cioè l’assemblea generale. È un dispositivo particolarmente concettualizzata dagli analisti istituzionali come Georges Lapassade, ma che è stato ed è un dispositivo applicato anche nei processi di deistituzionalizzazione a partire dalla esperienza di Franco Basaglia a Gorizia. E dal movimento del ‘68.

Ora si sta sperimentando il dispositivo multifamigliare in diversi ambiti. Molti di noi organizzano dispositivi per pensare attraverso la differenza di genere. Altri elaborano dispositivi etnopsicanalitici con i migranti.

Sono convinto che le nostre ricerche costruiscano un arricchimento del nostro ECRO in un nuovo giro di spirale che ci porterà ad ipotizzare una metapsicologia del quarto tipo in grado di dialogare con le varie scuole psicoanalitiche per superare le scomuniche ed affermare attraverso pluralità di metodi la necessità della ricerca.

In questo siamo aiutati dal concetto di compito nel suo aspetto manifesto e latente che si articola in pre-compito, compito e progetto e descrive il funzionamento di un apparato psichico che si articola in situazioni e campi diversi e si dispone su ambiti che circoscrivono spazi specifici. Quello individuale o psicosociale, il gruppo interno, quello gruppale famigliare, il gruppo esterno o sociodinamico, quello istituzionale, quello comunitario e quello globale.

In ciascuno di questi ambiti organizziamo dispositivi analitici, di cura e di ricerca e da qui stiamo traendo nuovi oggetti per la teoria.

 L’epistemologia convergente significa dunque fare convergere sul compito diversi apporti di diverse discipline e di diverse esperienze e vissuti.

Sono convinto che l’epistemologia convergente sia indispensabile per affrontare la complessità senza riduzionismi e banalizzazioni.

Possiamo fare nostra l’affermazione di Edgar Morin che ne “Il metodo” dice:

“Il cerchio sarà la nostra ruota, la nostra strada sarà a spirale”

Non si può praticarla se non si effettua la rottura epistemologica con l’individualismo ed il narcisismo che alimentano un clima di lavoro caratterizzato da una ideologia gerarchica in cui il rappresentante di una disciplina cerca di prevalere sull’altra. Quando avviene questo si è perso di vista il compito.

La rottura implica la necessità della prassi perché è nella prassi che possono ricombinarsi i diversi saperi e costruire uno schema concettuale ed operativo specifico per quella situazione.

Dice Paul Feyerabend:

“L’idea di un metodo che contenga principi fermi, immutabili e assolutamente vincolanti come guida nell’attività scientifica si imbatte in difficoltà considerevoli (…) (le scoperte più importanti) si verificarono solo perché alcuni pensatori o decisero di non lasciarsi vincolare da certe norme metodologiche ovvie o perché involontariamente le violarono”

Per concludere voglio descrivere brevemente una esperienza che stiamo facendo a Rimini nel servizio per le dipendenze patologiche.

Da qualche anno si riunisce ogni mese un gruppo interdisciplinare che ha il compito di costruire la clinica della complessità. Che cosa significa?

Ci siamo resi conto che esiste una molteplicità di casi che transitano in diversi campi dal ricovero nel reparto ospedaliero di diagnosi e cura, al centro di salute mentale, al servizio ambulatoriale delle dipendenze patologiche, alle varie comunità terapeutiche del territorio e così via.

Agli incontri partecipano medici, infermieri, educatori, assistenti sociali, psicologi, psichiatri, psicoterapeuti provenienti da diversi servizi pubblici e del privato sociale, come comunità terapeutiche, centri diurni, gruppi appartamento, educatori di strada, con lo stesso diritto alla presa di parola. Vengono presentati a turno i casi nella prima ora, poi si discute in un tempo fuori dall’urgenza, apportando informazioni o formulando ipotesi per capire meglio ed applicare i diversi saperi e per assumere decisioni concrete.

In questo lavoro diviene evidente l’ostacolo epistemologico quando, ad esempio, le diverse manifestazioni di un essere umano sono ricondotte ad una qualche diagnosi psichiatrica che pretende di spiegarle tutte, oppure ad una visione medico-biologica o pedagogica o sociale e così via. L’ostacolo è dato anche dalla visione parziale di una situazione, ad esempio in un servizio ospedaliero o in un altro segmento del dispositivo terapeutico, che viene generalizzata come “la verità” sul caso.

Emerge in questo, come in tutti i gruppi operativi, lo specifico criterio di verità.

Significa che non si può imporre una visione ma cercare un accordo che passa attraverso la comprensione del compito comune. Così i concetti sorgono come effetto della ricombinazione di diversi saperi applicati in un campo determinato.

L’ostacolo epistemologico si colloca nel pre-compito e si caratterizza per la prevalenza degli aspetti istituzionali. E come se gli integranti non avessero coscienza di trovarsi in un campo nuovo, la parte della loro personalità legata all’istituzione di appartenenza li fa vivere nella falsa coscienza. È in questa situazione che, come ci dicono Pichon Riviere e Bauleo, “appare il ‘come se’ o l’impostura del compito. Si fa ‘come se’ si affrontasse il lavoro specifico (o il comportamento richiesto)”.

Fu una ricerca del dipartimento del gruppo operativo del CIR a dimostrare che il passaggio da pre-compito a compito era ostacolato dalle appartenenze istituzionali.

Ecco, l’epistemologia convergente permette di usare gli strumenti derivati dalle più diverse discipline per applicarli al lavoro sul compito nel campo concreto quando si rompe la dissociazione e la ripetizione stereotipata e si “rende cosciente ciò che è inconscio” ed in questi passaggi sta l’aspetto produttivo del gruppo, la sua possibilità di creare concetti specifici per quel campo e quella situazione ma che possono circolare alimentando la spirale del nostro ECRO, come succederà in queste giornate.

Quale sia il metodo, cioè il cammino dell’epistemologia convergente ce lo dicono i versi di Machado:

“caminante no hay camino,

se hace camino al andar”

Adelante companeros.

 

Madrid 26 aprile 2018

Bibliografia

Enrique Pichon Rivière, “Il processo gruppale”, Lauretana

Willy e Madeleine Baranger, “La situazione analitica come campo bipersonale”, Raffaello Cortina

José Bleger, “Psicologia della conducta”, Paidos

“Simbiosi e ambiguità”, Lauretana

Armando Bauleo, “Ideologia, gruppo e famiglia”, Feltrinelli

Paul Feyerabend, “Contro il metodo”, Feltrinelli

Edgar Morin, “Il metodo, la natura della natura”, Raffaello Cortina

Maurice Merleau-Ponty, “Fenomenologia della percezione”, Bompiani

René Kaes, “La metapsychologie aujourdhui et l’exstension de la psychanalyse”, Conferenza a Bologna di “Psicoterapia e scienze umane”, 14/4/2018

 “A proposito del gruppo interno, del gruppo, del soggetto, del legame e del portavoce nell’opera di Pichon Riviere”, Interazioni 1/7/1996

Thomas Khun, “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, Einaudi

Karl Popper, “Logica della scoperta scientifica”, Einaudi

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