ACCORDO PER LO SCAMBIO SCIENTIFICO E DI ISTRUZIONE TRA
ICHPA SOCIETÀ CILENA DI PSICOANALISI
REPUBBLICA DEL CILE
e
SCUOLA DI PREVENZIONE JOSÉ BLÉGER, RIMINI
REPUBBLICA ITALIANA
Le due sopra citate Istituzioni convengono di stabilire una cooperazione accademica al fine di promuovere e favorire lo scambio scientifico e culturale.
I
La cooperazione tra le due Istituzioni sarà sviluppata nei seguenti settori:
1.Formazione
2.Ricerca
3.Comunicazione
II
Per una realizzazione ottimale dell’Accordo, entrambe le Istituzioni concordano i seguenti termini di scambio, soggetti alla disponibilità di risorse appropriate e accordo dei reciproci dipartimenti accademici collaborativi:
III
Gli studenti che partecipano allo scambio dovranno provvedere autonomamente alle spese di viaggio, di alloggio, vitto, materiale didattico, trasporto locale, spese di assicurazione sanitaria, spese personali e eventuali imposte di bollo sul passaporto/visto.
IV
L’Istituto ospite fornirà gratuitamente supporto, per studio e ricerca, allo staff designato.
In linea di principio, l’Istituto che invia personale, pagherà le spese di viaggio e l’Istituto ospite coprirà le spese di sussistenza. Ogni visita verrà concordata con congruo anticipo tra le due istituzioni ed avrà luogo solo dopo la firma di un accordo formale tra le Autorità di entrambi gli uffici competenti.
V
Ogni articolo di questo accordo può essere integrato o revocato dopo consultazione reciproca e consenso tra le due Istituzioni.
VI
Il presente accordo è firmato in due copie identiche in lingua Italiana e Spagnola.
Nel rispetto dello spirito accademico di cooperazione e dei principi di mutuo rispetto e comprensione firmiamo questo accordo
SCUOLA DI PREVENZIONE ICHPA
– JOSÉ BLÉGER RIMINI – – SOCIETÀ CILENA DI PSICOANALISI –
DIRETTORE PRESIDENTE
Prof. Dr. Leonardo Montecchi Prof. Dr. Eduardo Jaar
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Lunedì 19 dicembre (dalle 15 alle 18), l'Avv. Patrick Wild, collaboratore dello Studio Grassi Benaglia Moretti, sarà a Bellaria Igea Marina (RN) per curare un incontro di formazione gratuito, rivolto principalmente ad amministratori e dipendenti pubblici, sul fenomeno della corruzione, la l. 190/2012, il whistleblowing, il ruolo di A.N.A.C., la redazione del Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione, etc.
Sarà un'occasione per fare il punto in tema di anticorruzione e di adempimenti obbligatori in capo ad amministrazioni e Responsabile Anticorruzione, a pochi giorni dalla Giornata Internazionale contro la Corruzione e la pubblicazione dell'ultimo rapporto del GRECO sull'Italia.
L'evento è sostenuto dalla Regione Emilia Romagna e promosso dall'Osservatorio provinciale sulla criminalità organizzata, il FISU (Forum Italiano Sicurezza Urbana) e il Comune di Bellaria Igea Marina
Notizie Newsletter Grassi Benaglia Moretti, avvocati & commercialistiCon i pranzi di Firenze, Milano e Soresina debuttano i tradizionali appuntamenti natalizi che coinvolgono i 900 dipendenti di Target Sinergie e delle cooperative consorziate, Log It e In Opera, impegnati nei tre settori di servizi: Logistica, Facility Management amministrativi, Igiene e pulizie. Domenica 11 i primi brindisi per tre cantieri della GDO, al Novotel hotel di Firenze, al ristorante La Cadrega di Pioltello e al ristorante Gli Oleandri di Castellone, nei pressi del cantiere di Soresina. Tre incontri sui sette che quest'anno saranno organizzati, due in più rispetto al Natale 2015, per raggiungere con un messaggio di pace e (speriamo) di felicità gli appalti in essere in otto regioni italiane.
Questa settimana di appuntamenti proseguirà il 13 a Pioltello, al ristorante la Cadrega, con i colleghi del cantiere Amsa. Dalla Lombardia alla Sardegna: a seguire, le feste all'Agriturismo Il Giglio di Oristano, una cena il 14 e un pranzo il 15, dedicati ai dipendenti sardi nei tre cantieri che Target Sinergie gestisce nell'isola. Il 17 la tappa riminese, per i dipendenti della sede e dei diversi cantieri nella provincia di Rimini e Forlì Cesena, con un aperitivo a partire dalle ore 18,30 all'hotel Sporting. Infine, l'ultimo festeggiamento il 20 dicembre a Carinaro, Caserta, con i colleghi campani impegnati alla Comifar per pranzare al ristorante Country House. Buone feste.
festa_natale_target_sinergie_pioltello_01.jpg festa_natale_target_sinergie_soresina_1.jpg festa_natale_target_sinergie_soresina_2.jpg festa_natale_target_sinergie_soresina_3.jpg festa_natale_target_sinergie_soresina_4.jpg festa_natale_target_sinergie_soresina_5.jpg Eventi Notizie CSR Facility Management Igiene e pulizie LogisticaChi installa videocamere o dispositivi per controllare i dipendenti, senza previo accordo con i sindacati, commette un reato. Anche a seguito dei decreti attuativi del Jobs Act.
Lo ha stabilito la terza sezione della Corte di Cassazione penale (sentenza n. 51897 ud. 08/09/2016 - deposito del 06/12/2016), relativamente al caso di una donna che presso il proprio distributore di benzina aveva fatto installare, senza però darne avviso, delle telecamere per controllare i propri dipendenti. Gli agenti accertatori avevano contestato il reato previsto dagli articoli 4 e 38 dello Statuto dei Lavoratori ed il Tribunale, in primo grado, aveva condannato la rappresentante legale dell'azienda. Veniva dunque proposto ricorso per Cassazione, rigettato tuttavia dalla Suprema Corte.
La terza Sezione ha ricordato come il decreto 23/2015, attuativo di alcune deleghe contenute nel Jobs Act, abbia modificato la L. 300/70, "rimodulando la fattispecie che prevede il divieto dei controlli a distanza, nella consapevolezza di dover tener conto, nell’attuale contesto produttivo, oltre degli impianti audiovisivi, anche degli altri strumenti dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori e di quelli utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa" e che dunque sussiste continuità di illecito, anche a seguito delle modifiche normative.
Gli Ermellini hanno specificato che tale condotta non costituiva un legittimo esercizio di chi intende tutelare il patrimonio aziendale, giudicando al contrario lesive "le manifestazioni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro lesive della dignità e della riservatezza del lavoratore".
Avv. Patrick Francesco Wild
Analisi e commenti Newsletter Grassi Benaglia Moretti, avvocati & commercialisti
Il Tribunale di Milano ha condannato un'intera famiglia, accusata di tentata estorsione ai danni di un imprenditore. Risarcimento alle parti civili, tra cui SOS IMPRESA.
Le indagini prima e il processo poi hanno permesso di accertare come un'intera famiglia - tra cui il padre, soggetto già coinvolto in attività criminali di storici boss insediati a Quarto Oggiaro - avesse posto in atto un'attività estorsiva (riconosciuta dai giudici nella forma del tentativo) nei confronti di un imprenditore attivo in Lombardia nel settore delle pulizie. Le minacce erano finalizzate ad acquisire quote della società della vittima, per poi sostituirsi del tutto al legittimo proprietario. A quest'ultimo venivano imposta inoltre l'assunzione di diversi operai, tutti pregiudicati. L'imprenditore (difeso dall'Avvocato riminese Davide Grassi), tuttavia, ha trovato il coraggio di denunciare quanto stava subendo, anche grazie all'appoggio dello sportello di SOS IMPRESA, associazione a tutela della libera impresa che si è poi costituita parte civile nel processo, con l'Avv. Gaia Galeazzi del Foro di Rimini.
Il 23 novembre scorso, il Tribunale del Milano, accogliendo le richieste del Pubblico Ministero Silvia Perrucci, ha così condannato tutti gli imputati: otto anni al capofamiglia e due anni alla moglie e alla figlia. Riconosciuto il danno patito dalle parti civili, i Giudici hanno poi disposto il risarcimento a favore dell'imprenditore e di Sos Impresa, alla quale è stato liquidato un danno di 10.000 euro.
Come riporta l'articolo di cronaca del giorno successivo, nell'ambito del processo si è assistito anche alla trasmissione degli atti in Procura per falsa testimonianza da parte di uno dei testi della difesa.
"Questa è solo una delle tante tristi vicende che emergono al Nord - commenta il presidente di SOS IMPRESA di Milano Ferruccio Patti - gli imprenditori non sempre hanno il coraggio di ribellarsi ai loro aguzzini".
(l'articolo è tratto da Repubblica del 24 settembre 2014, a firma di Sandro De Riccardis)
Notizie Newsletter Grassi Benaglia Moretti, avvocati & commercialistiNon mi riconosco in Renzi. Ma in questa tornata referendaria mi riconosco ancora meno nelle ragioni del No. In nome di una pretesa fedeltà alla Costituzione alcuni, non tutti, a sinistra contrabbandano la loro incapacità di dialogare con la contemporaneità. Non hanno il coraggio di cambiare – CAMBIARE – e allora riesumano paure e parole d’ordine cresciute all’ombra del muro di Berlino. Le hanno preservate dalle macerie per cullare la loro sopravvivenza, in uno scenario antico che l’elettorato e la globalizzazione ha già ampiamente spazzato via.
La classe operaia c’è ancora, il ceto medio ha una fifa matta e questi continuano a usare un vocabolario che i primi non ascoltano più per rabbia e i secondi non capiscono perché alieno. Il NO a questo referendum per loro è la possibilità di mantenere ibernato un assetto istituzionale che li ha visti già scomparire, ridursi a gruppetti di scontenti che si accontentano di colonizzare l’Anpi, per fare un esempio evidente, o di trovare nel dissenso l’unico collante. Un piccolo prodotto per chi nella politica – POLITICA – è cresciuto, ben sapendo che la parola significava “costruire insieme”, trovare accordi che funzionassero per la comunità.
Si accontentano di tentare – o riuscire, lo vedremo il 5 - una spallata da fuori a Renzi. Ma i giochi si fanno in Parlamento, lì ci sono i numeri per andare o non andare alle elezioni. E le forze che sono dentro – tutte le forze, anche i 5stelle, che dopo Roma, Quarto, Livorno hanno perso la rassicurante e dorata verginità del non aver mai amministrato, per non parlare di Palermo e Bologna - non hanno questa fretta di andare a ricontare i propri consensi, o perché non sono più sicuri di riavere i loro numeri, o perché non sono ancora pronti.
L’eventuale vittoria del NO affosserà la riforma, questo è certo, ma non è altrettanto certo che affossi Renzi. Per questo io me ne frego di Renzi. Prima o poi passerà: lui lo sa e sta sereno. Mi frega invece di sgombrare il campo istituzionale da un Senato mero doppione della Camera dei Deputati. Mi frega di un Senato con nuove funzioni. Mi frega di scongelare un assetto istituzionale in una Italia che non fa più i conti con il fascismo, con il dopoguerra, con la Ricostruzione, ma li fa con un nuovo millennio, con un’Europa, con una società diversa dai diversi “fascismi”. Mi frega di cominciare a cambiare. Mi frega anche di rischiare un po’. So cosa mi lascio dietro, so cosa c’è scritto nella riforma, il rischio lo accetto e voto SI.
Argomenti: BloggingTutto pronto in casa Target Sinergie per l'appuntamento di Milano con il Forum Retail 2016, dove l'azienda riminese sarà presente con un proprio stand, B, all’ingresso della manifestazione. Il salone dedicato alla «Innovazione in store e mobile experience per l’engagement del cliente», questo il tema trainante dell'evento meneghino, si terrà domani 29 e mercoledì 30 novembre all’Atahotel Expo Fiera, organizzato da IKN Italy – Institute of Knowledge " Networking per rispecchiare le trasformazioni del business e guidare il cliente verso l’innovazione.
Si tratta dell’appuntamento di riferimento per comprendere le grandi trasformazioni del settore del Retail e il team commerciale Target Sinergie – Davide Zamagni (Ceo), Gianluca Fabbri e Barbara Pifferi – è pronto a viverlo appieno. L’edizione 2016 rappresenta l’occasione per i professionisti del mondo Retail per confrontarsi, condividere idee e vivere l’esperienza del “negozio del futuro”. I contenuti di Forum Retail 2016 sono stati studiati e sviluppati grazie al contributo strategico di 5 Advisory Board – 4 in più rispetto alla passata edizione - composti da 40 membri di importanti aziende del settore che condividono con noi la loro esperienza e la loro visione sul futuro. Questo confronto fa sì che l’evento ogni anno si rinnovi nel formato e cresca nel numero di presenze, per esplorare tutte le aree di sviluppo con i maggiori player del settore. Da sempre rappresenta una grande occasione di networking tra end-user e fornitori.
L’edizione 2016 affronta temi strategici, sviluppati in 2 Sessioni Plenarie, 16 Sessioni Parallele e in 2 Board Room. Queste ultime vedranno protagonisti CEO e AD di prestigiose aziende operanti nel mercato nazionale e internazionale, che daranno interessanti contributi su tematiche come il ruolo della tecnologia nel punto di vendita, le previsioni su quanto accadrà nei prossimi tre anni nel mondo retail e l’individuazione delle reali esigenze del cliente. Si confronteranno inoltre sul Travel Retail e sulla diversificazione di prodotto e canale.
Il programma completo è consultabile sul sito ufficiale dell’evento: www.forumretail.com
forum_retail_testata.jpg Eventi NotizieUna logistica in crescita nel 2016, sempre più “Smart”, dove la tecnologia gioca un ruolo sempre più importante ma la cui rapida evoluzione diventa un vincolo da considerare nella gestione delle risorse umane. Si è parlato di questo ma anche di aspetti contrattuali al convegno di San Benedetto del Tronto dedicato alla esternalizzazione dei servizi logistici, organizzato da Target Sinergie in collaborazione con Confindustria Servizi Ascoli Piceno, Adaci e Aidp ad una platea di imprenditori giunti non solo dalla provincia ascolana. Tre gli esperti invitati per discutere le soluzioni della contract logistics nei processi aziendali, proprio per la complessità che riveste in termini operativi ma anche contrattuali tra imprese e le implicazioni nelle risorse umane. Così Damiano Frosi, dell'Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano ha inquadrato la situazione nell'economia italiana, l'avvocato Gianvincenzo Lucchini, dello studio bolognese Lucchini Gattamorta e associati, ha testimoniato le migliori prassi nell'approccio contrattuale, mentre Alessandro Belli, Hr manager della società perugina di consulenza Ideeprogetti, si è concentrato sulle scelte in materia di risorse umane che le forti evoluzioni della logistica e della tecnologia richiedono.
Lo stato dell'arte in Italia era quanto di più attuale, con Damiano Frosi che ha presentato il recentissimo Rapporto Contract Logistics 2016 del Politecnico di Milano, «dal quale emerge che la Logistica in Italia è sempre più complessa in un mondo che evolve grazie all'ecommerce e alle nuove tecnologie». Il ricercatore ha utilizzato l'acronimo “Smart”, perché racchiude «gli elementi che deve avere la logistica: Servizio, Multicanale, Agile, Resiliente e resistente per i cambiamenti sempre più dinamici del mercato e Tecnologica». Molto positivi i numeri 2016: «per la prima volta non è diminuito il numero di aziende del mercato, il fatturato continua a crescere (+ 1,2%) e anche nei margini operativi c'è una crescita. Terziarizzazione: siamo arrivati a 40%, segno che le aziende credono sempre di più nell'esternalizzazione e stiamo vincendo la battaglia culturale secondo cui per le imprese committenti dare all'esterno i servizi logistici può portare al rischio di perdere il controllo, cosa che abbiamo dimostrato, ovviamente scegliendo gli operatori più seri del mercato, non è assolutamente vero».
«Le tecnologie si sono evolute molto rapidamente ed anche se la logistica non le ha adottate da subito, ci sta arrivando. Abbiamo mappato otto strumenti tecnologici diversi, dagli smart glasses, che aiutano i pickeristi a svolgere le loro missioni, per arrivare alla dematerializzazione del materiale cartaceo – schede trasporto, ordini - per arrivare alle App, già diffuse da anni tra i consumatori, approdate ora nella logistica sopratutto nell'ultimo miglio e le consegne. Uno dei settori che cresce a doppia cifra è l'ecommerce, quasi del 20% ogni anno in un mercato in cui i consumi sono sostanzialmente stabili. Anche la logistica deve cominciare a giocare la sua partita. Se prima si parlava di Logistica che seguiva questo canale in maniera a se stante, quindi non in un'ottica integrata come la GDO o la vendita al dettaglio, ora si iniziano a usare delle sinergie con gli altri canali, sulla gestione delle scorte ad esempio o della distribuzione. Per questo si è passati a parlare da una logica multicanale a una logica omnicanale, il consumatore vuole sempre più un'esperienza d'acquisto uniforme su ogni canale e anche la logistica si deve adattare a questa evoluzione».
«La logistica è un settore che fa della velocità e della efficienza due leve del proprio posizionamento competitivo. - ha detto Alessandro Belli - La tecnologia va nella direzione di favorire, aumentare e accelerare questo processo. La necessità di introdurre innovazione in una prima fase genera un vantaggio competitivo. Ma la velocità di introduzione e di diffusione della tecnologia cresce in maniera esponenziale e questo significa che il vantaggio competitivo è di una durata sempre più ridotta e quindi in un breve tempo si trasforma da elemento di differenziazione a elemento imprescindibile e soltanto un punto di partenza. Se questo è vero, chi si occupa di risorse umane non può non considerare questi elementi come vincoli per le decisioni da prendere nella selezione e collocazione del personale e per lo sviluppo delle competenze. Le stesse competenze che vanno ricercate, formate e sviluppate sono significativamente diverse da quelle ricercate negli anni addietro. Si va verso un ruolo autonomo verso tutte le figure organizzative e manageriali, si va verso ruoli di creatività, si va verso ruoli dove la tecnologia stenta ancora a sostituire l'uomo, ed è lì che si fa la differenza in termini di produttività, efficienza, di innovazione, non solo tecnologica, ma anche in termini di posizionamento, di marketing e di servizi. Qui si riesce a lavorare sulla catena del valore e ad assicurare agli azionisti il giusto ritorno, ai lavoratori la possibilità di una continuità lavorativa, alle aziende di cavalcare nuove fasi di mercato».
Sugli aspetti contrattuali e le migliori prassi per un proficuo ed efficace rapporto contrattuale si è concentrato Gianvincenzo Lucchini, che da anni segue aziende del settore nella codifica del delicato rapporto di outsourcing. E conosce i limiti di un approccio in sequenza: «Nell'immaginario aziendale quando si parla di contratto si ipotizza uno strumento il cui principale scopo è di dare una regolamentazione giuridica ad un determinato rapporto. Con una certa ingenuità si pone questo momento in una sequenza verticale e successiva rispetto a un altro momento, quando gli enti aziendali – tecnici, operativi e amministrativi – arrivano a una regolamentazione che deve diventare lo strumento per il raggiungimento dei fini aziendali. Questa sequenza temporale e logica di una trattativa e di una sua rappresentazione giuridica è intrinsecamente e potenzialmente pericolosa, perché la realtà può essere regolata e disciplinata da un solo strumento, il contratto. E quindi delle due l'una: o la trattativa operativa e tecnica che precede il momento della redazione del contratto porta a due strumenti che sono assolutamente coincidenti l'uno all'altro, oppure esistono delle distonie tra il primo e il secondo. In questa distonia si consuma tutto il contenzioso che può nascere da un rapporto giuridico. Occorre quindi avere una grande attenzione nel creare un solo tavolo al quale far sedere chi delinea il progetto di outsourcing e chi deve poi andare a mettere questo progetto in un involucro chiamato contratto».
Contract logistics, stato dell'arte in Italia, buone prassi contrattuali e HR management. Video of Contract logistics, stato dell'arte in Italia, buone prassi contrattuali e HR management. Eventi Notizie Video LogisticaRimini - Quelle parole su Facebook non erano degli insulti, ma un giudizio critico sulle qualità del suo ex datore di lavoro.
Sono le motivazioni con le quali il giudice Vinicio Cantarini ha definitivamente archiviato l'accusa di diffamazione nei confronti di un utente riminese del social network, difeso dall'Avvocato Davide Grassi, che aveva lasciato un commento a corredo di un post nel quale si lodavano le iniziative dell'altro, titolare di uno stabilimento balneare a Marina Centro. L'accusato, "indignato e rancoroso per il trattamento illegittimo subito nel corso del rapporto di lavoro avuto in passato" (a suo dire pagato cinquecento euro al mese in nero e senza giorno di pausa) aveva accompagnato la descrizione del presunto torto subito a un giudizio negativo ("Ecco chi è il noto filantropo"). Secondo il GIP, inoltre, la successiva espressione ("bella merda"), era da riferirsi alle condizioni di lavoro e non al bagnino. Per il giudice, la libera scelta di pubblicizzare la propria attività su Facebook comporta anche un'accettazione al sistema di comunicazione dei social e quindi pure alle eventuali critiche. Nell'interpretazione del GIP, in questo caso, l'indagato spinto ad agire in uno stato di provocazione, non avrebbe superato il limite della continenza.
(dal Corriere di Romagna, edizione del 15 novembre 2016)
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La pronuncia del Giudice per le Indagini Preliminari di Rimini definisce il caso in questione, tornando nuovamente su uno dei temi più attuali e scottanti del momento, vale a dire le condotte degli utenti sui (numerosi) social network - nella specie Facebook -, sconfinato terreno all'interno del quale possono verificarsi situazioni che determinano quotidianamente l'instaurarsi di procedimenti penali a carico degli stessi. Nella vicenda in esame, il GIP riminese ha accolto la tesi prospettata dalla difesa dell'indagato e dal Pubblico Ministero che ne aveva richiesto a sua volta l'archiviazione, evidenziando che l'accettazione delle logiche dei social da parte di un utente non pone quest'ultimo al riparo dalle eventuali critiche, sempre che queste non contengano notizie o fatti falsi o attacchi gratuiti alla persona, contumelie o espressioni dileggianti. L'indagato, in altre parole, non ha superato i limiti della continenza poiché "...Sono in definitiva gli interessi in gioco che segnano la misura delle espressioni consentite. D'altronde, come ricorda la giurisprudenza CEDU, il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni non concerne unicamente le idee favorevoli o inoffensive o indifferenti, alla cui manifestazione nessuno mai s'opporrebbe, ma è al contrario principalmente rivolta a garantire la libertà proprio delle opinioni che urtano, scuotono o inquietano (Cass. n. 36045/2014).
Notizie Newsletter Grassi Benaglia Moretti, avvocati & commercialisti
La Corte di Cassazione ha affermato che in relazione al reato di truffa commesso attraverso vendite “on line”, è configurabile la circostanza aggravante della c.d. minorata difesa, prevista dall’art. 61 n. 5 cod. pen., richiamata dall’art. 640, comma 2, n. 2 bis, cod. pen. [Sentenza n. 43705 ud. 29/09/2016]
La Corte ha osservato che nell'ambito delle vendite online, il venditore, in virtù della distanza fisica e del versamento anticipato del prezzo da parte dell'acquirente, si pone su un piano di maggior favore rispetto alla vittima. Vantaggio di cui non godrebbe qualora la vendita avvenisse "de visu".
Avv. Patrick Francesco Wild
Analisi e commenti Newsletter Grassi Benaglia Moretti, avvocati & commercialistiIo voterò sì al referendum del 4 dicembre. E non lo farò per sostenere questo o quel governo, questa o quella maggioranza, ma perché questa è, sopratutto, un’ottima occasione per superare un bicameralismo paritario inutile e anacronistico. E francamente sono stanco di vedere tentativi di rinnovare la nostra formula parlamentare naufragare nelle secche della tattica politica e nell’agitazione del consenso. O peggio, nella resilienza di figure politiche ormai ampiamente messe all’angolo dal tempo e da loro stesse. Credo sia questa l’occasione per dire se si vuole fare un passo avanti da un’architettura legislativa ormai datata oppure no. Io dico sì: si può fare ora.
Ci ho messo un po’ a prendere una posizione netta. Anche quando l’orientamento era in qualche modo definito, ho atteso un gesto risolutivo – una revisione della legge elettorale meno “centralista” nella selezione dei capolista – che purtroppo non è arrivato. Una conferma al mio non apprezzare Renzi come segretario di partito. Ma questo lo discuteremo al congresso: sarei insipiente a legare una scelta di revisione costituzionale sulla base della mia affinità con Renzi. La rimodulazione delle funzioni del Senato in chiave più collegata al decentramento è da troppo tempo un dibattito, il “come farlo” ha tenuto in ostaggio il “quando”. E comunque, una riforma del Parlamento travalica l’attuale figura del capo del governo. I presidenti del consiglio passano, la Repubblica resta, sempre e comunque. Ora abbiamo una legge, votata in entrambve le Camere, che cambia il Parlamento, dopo anni di discussione e tentativi abortiti dalla tattica politica. Ora abbiamo una riforma che, seppur perfettibile, è già operativa, non è vuoto cianciare. E’ un cambiamento reale e tangibile. Che sposo convintamente.
Ho passato oltre 12 anni della mia vita a raccontare il lavoro dei parlamentari, di entrambi i rami. Sergio Gambini e Sergio Zavoli in due legislature, in modo limitato Giuseppe Chicchi ed Ermanno Vichi, infine Elisa Marchioni. Ho passato ore ed ore insieme a loro, con associazioni, enti e “semplici cittadini” a ripercorrere l’iter parlamentare di leggi che non avrebbero mai visto la luce nell’assurdo ping pong di discussione tra commissioni e Camere. Ho esultato le rarissime volte che un disegno di legge (ddl) è diventato norma: perché la normalità del lavoro del singolo parlamentare locale è non riuscire a far vedere la luce a un suo ddl, stretto com’è dalle procedure in doppia copia, insieme alla complessità della legislazione e dei rapporti politici (si, ci sono anche questi). Ho scritto di emendamenti che, in righe illeggibili nel linguaggio “parlato”, in commissione o in Aula diventavano occasioni o tranciavano speranze. Sempre in doppia copia. Gli emendamenti diventava notizia troppo spesso ben più di quattro volte nel corso di una Finanziaria: quando si presentavano alla commissione alla Camera, quando erano bocciati (o passavano) in commissione alla Camera, quando si ripresentavano in Aula, quando venivano bocciati in Aula, e poi di nuovo tutto l’iter al Senato. Una serie inesauribile. Provate a pensare quanto lavoro c’è dietro a ogni singola mozione – il parlamentare che la formula, il tecnico legislativo che la scrive, il tecnico che trova la copertura finanziaria, i parlamentari che la devono discutere - e quadruplicatelo, e avrete una pallida idea del perché considero l’abolizione del Senato come duplicato di una camera legislativa già operante un sano taglio alle normali procedure parlamentari. Non è un taglio alla democrazia, è un taglio a procedure che, al di fuori dei percorsi protetti che avvolgono le norme fondamentali per la nostra Repubblica, sono ridondanti e pleonastiche.
Ho letto molte cose che considero assurdità in queste settimane di discussione. La più grande è che la Costituzione è intoccabile, pena il viatico per una nuova dittatura. Lo Statuto Albertino ci accompagnò dagli arbori dell’Italia risorgimentale – una Italia cetuale dove gli ultimi non avevano diritto di voto - alla dittatura fascista senza bisogno di essere modificato. Per questo nacque la nostra Carta, sulle macerie della nazione e sul sangue dei Partigiani e di chi la liberò. In quei sacrifici c’era la volontà di un rinnovamento dell’Italia così come era stata costruita e poi distrutta, sbarrando la strada al ritorno di una dittatura. Una Italia che ora chiede di cambiare ancora, non mettendo da parte il profondo senso di quei sacrifici, che sono e resteranno la base del vivere comune, ma nell’organizzazione dello Stato e delle sue rappresentanze del corpo elettorale, dei cittadini. Ancora, cito le modifiche della Riforma, “Ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione (art. 55). Ed ancora “I membri del Parlamento esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato” (art. 67). Solo, le due Aule avranno funzioni diverse: “Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica” (art. 57). Tutti i parlamentari hanno quindi una legittimazione popolare, ma un percorso elettivo e un compito diverso: dov’è quindi il pericolo per la nostra democrazia? La discussione in realtà è un’altra. E’ scegliere se davvero si vuole modificare qualcosa nella nostra politica, se si vuole uscire dalle secche della contrapposizione senza costrutto o dalla tattica del consenso, oppure se si vuole cominciare – cominciare – a cambiare. Io sono per cominciare a cambiare e lo dico con un Sì. Renzi o non Renzi.
Argomenti: BloggingIn principio era “esternalizzare per ridurre i costi”. Oggi, l'orizzonte è la Contract Logistics: la logica dei tagli è stata superata e flessibilità, variabilizzazione dei costi, snellimento della struttura aziendale, riduzione dei rischi d'impresa sono diventati i fattori strategici. E' un’evoluzione in atto e, come per ogni evoluzione, ci sono molti ‘‘come’’ e ‘‘perché’’, varie regole e buone prassi. Tutto questo diventa il tema della tavola rotonda "Le leve dell'impresa futura: dalla Gestione delle risorse umane alla Contract Logistics. Stato dell'arte e buone prassi contrattualistiche".
Target Sinergie insieme a Confindustria Ascoli Piceno e ADACI hanno organizzato un seminario per parlare della Contract Logistics, invitando due esperti della materia: Damiano Frosi, Project Manager dell’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano, che illustrerà lo stato dell'arte della Contract logistic in Italia, secondo l'ultimo rapporto appena stilato dal centro studi, Graziana Dell'Apa, (avvocato dello studio legale Lucchini Gattamorta e Associati di Bologna) che porterà la sua contrattuale in materia, e Alessandro Belli (HR manager, temporary manager, Ideeprogetti - Consulenza Direzionale, Risorse Umane e Ambiente). Insieme, dialogheranno con imprenditori, manager e dirigenti d'impresa, portando le studi, esperienze e case histories, moderati da Davide Zamagni (presidente Target Sinergie, Contract Logistics & Facility Management).
L’evento si svolgerà il 15 novembre a partire dalle ore 16.30 presso la sede di Confindustria Servizi a San Benedetto del Tronto, in Contrada San Giovanni Scafa. Per iscriversi compilate il form, per ulteriri informazioni potete contattare Barbara Pifferi via web oppure via tel. 0541 796462 e Fax 0541 796450 (Target Sinergie Rimini), o Confindustria Servizi: Antonella Marinelli, info@confindustriaservizi.ap.it, tel 0735 610102 fax 0735 751125.
Vista la disponibilità limitata, le adesioni si riceveranno entro il 14 novembre.
testata_640_ascoli_piceno_save_date.jpg Eventi Notizie Logisticadel Professor Armando Bauleo
(Il titolo originale dell’articolo, tratto da www.area3.org.es Numero Especial nº 1, è “Sobre l’actualidad del Grupo Operativo” ed è stato tradotto dallo spagnolo da Lorenzo Sartini)
Conferenza inaugurale del congresso internazionale “Sull’attualità del Gruppo Operativo”, svoltosi a Madrid dal 24 al 26 febbraio 2006
L’asse che spero guidi questo incontro comprende un messaggio doppio, sottilmente compreso nel titolo, i cui diversi aspetti sarebbero articolati grazie alla questione dell’attualità.
Il messaggio è doppio nel senso che punta a due direzioni: una di esse è la domanda sulle condizioni nelle quali si trova oggi il Gruppo Operativo; l’altra si deve al fatto che, chiedendo a proposito di queste condizioni, inevitabilmente si pone il problema su ciò che succede, nel presente, con l’operatività dei gruppi.
Con la nozione di operativo, operatività, operazione gruppale, ci troviamo nel campo della prassi gruppale, cioè in un piano dal quale abbiamo sempre voluto poter intravedere le relazioni che mantenevano un insieme di nozioni con le attività gruppali. Tutto questo ritagliato in questo momento storico-sociale-economico.
Rispetto alla questione dell’attualità si rende necessario esplicitare la nostra posizione. Foucault in “Sapere e verità”, interrogando il presente, si domandava “qual è la mia attualità? Qual è il senso di questa attualità? Che cosa è che faccio quando parlo di essa? Ho qui, mi sembra, la singolarità di questa nuova interrogazione sulla modernità?”.
La sua inchiesta è, per volere di Nietzsche, una genealogia, pertanto “condurre l’analisi partendo dalla questione del presente”.
“Il lavoro genealogico – segnalano Alvarez-Uria e Varela, autori del prologo di quel testo foucaultiano – esige una minuziosa analisi delle mediazioni, isolare le trame secondo i fili, definire le sue conformazioni, le sue trasformazioni, la sua incidenza nell’oggetto di studio e, infine, ripensare i concetti che permettono la sua definizione”.
Ricordiamo che nelle sfumature di questi pensieri emerge la sentenza dell’Ecce Homo di Nietzsche: “La mia filosofia trionferà un giorno sotto questo motto: ci lanciamo nelle braccia del proibito. Ed è che, ancora oggi, quello che è stato sistematicamente proibito era la verità”.
La problematizzazione dell’attualità, l’interrogazione sul presente, porta il senso specifico di ciò che si può inquadrare di una pratica, di un discorso, di un successo o fenomeno, in un’epoca determinata.
Nel nostro caso, quindi, cercheremo di iniziare l’analisi di queste due direzioni attraverso le osservazioni o le domande sullo sviluppo gruppale nel presente.
Per essere più preciso e chiaro: “La storia non ha ‘senso’, che non vuol dire che sia assurda o incoerente. Al contrario è intellegibile e deve poter essere analizzata fino al suo più minimo dettaglio: ma partendo dall’intelligibilità delle lotte, delle strategie e delle tattiche” (Michel Foucault, “Verità e potere” in “Microfisica del potere”)
Ora miriamo alle condizioni attuali del Gruppo Operativo. Partendo da quella esperienza primitiva nel Manicomio di Buenos Aires, modello mitico di una nascita, l’idea e la pratica dei Gruppi Operativi transitarono per diverse regioni o paesi, istituiti in innumerevoli scuole, conferenze, seminari, gruppi di studio così come pratiche istituzionali o comunitarie.
Da molto tempo osserviamo questa grande diffusione che ha acquisito il Gruppo Operativo, ma essa non può essere confusa con un aumento della densità concettuale e pratica che oggi dovrebbe aver arricchito la nostra concezione.
Ci troviamo con un’enorme disparità tra quella diffusione e il magro accrescimento dell’insieme concettuale.
Una questione generale di come ci troviamo attualmente illuminerebbe questo quadro. Quindi, confrontati con questa situazione, cercando di sciogliere i fili, verifichiamo che non mancano scritti, ma questi mirano alle applicazioni del Gruppo Operativo e alle osservazioni sul funzionamento in circostanze specifiche.
Abbiamo notato anche qui un grande sforzo per ripensare alle possibilità che fornisce questo tipo di gruppo.
Ma ci troviamo anche con molte descrizioni, al contrario, che sono mere volgarizzazioni che fanno entrare il nostro Gruppo Operativo nell’ambito di un populismo esasperato che permette di indovinare la mancanza di elaborazione teorica dell’autore o le resistenze al cambiamento che lo cinsero, non facendolo uscire dal manifesto grossolano del suo lavoro.
Una certa quantità di autori hanno omologato la nostra concezione gruppale con giochi infantili, non in senso winnicottiano ma circense, per esempio, un autore commenta a proposito delle divertenti conseguenze che deriverebbero dall’assenza del compito, quando ben sappiamo che la non presenza del compito provoca un’angoscia per l’imprecisione della situazione e un clima di confusione.
Aggiungo che il vero divertimento si produce quando la demolizione dell’ostacolo epistemologico provoca ‘esplosioni creative’. Lavorando con un intendimento psicoanalitico in situazioni di disagio, come in ‘Villas en Emergencia’[1], non siamo mai stati obbligati a diminuire il livello teorico del nostro lavoro. In un’occasione il nostro autore affermò che: “lavorare significa intraprendere il cammino per pensare qualcosa di differente da ciò che fino allora si pensava”. Centreremo, ora, il nostro sguardo su tre questioni fondamentali, le ritagliamo e cerchiamo di orientarci nella loro attualità.
L’idea di compito, la comprensione del latente (nelle sue due versioni, la trasmissione e la sua comprensione) e la valutazione della nozione di emergente.
Ognuno di noi che ha studiato attentamente le diverse prassi gruppali può confermare – in molte di esse – che l’idea di compito non è percepita nella sua pienezza, si prende formalmente come l’obiettivo o il ‘dovere scolare’, pertanto si può fare una specie di bilancio esprimendo che ‘è, bene o male’ realizzato.
Il compito, elemento che convoca alla realizzazione di un gruppo, ha sfaccettature manifeste e latenti, provoca mobilizzazioni inconsce dei vincoli tra gli integranti, stimola la dinamica dell’aggiudicazione e assunzione dei ruoli e la finalizzazione di un compito è dato dall’inquadramento gruppale o istituzionale che si era fissato del tempo e dello spazio, dall’inizio dell’esercizio gruppale.
Pertanto, il compito oltrepassa il titolo dato ad una dinamica di gruppo. Sottolineiamo che siamo nell’ambito della ‘sofferenza’ del corpo teorico della nostra concezione, sperando che dall’errore possiamo estrarre il vantaggio di apprendere, inoltre si tratta di delucidare non ciò che corrisponde o no alla concezione operativa, cioè in un clima di ortodossia, ma di svelare le linee storiche di questa concezione che ce ne permette l’uso nel nostro lavoro.
Continuiamo, ora, con le problematiche che riguardano il latente. Possiamo dire che l’insufficienza nella comprensione del latente fa che, chi coordina osservi il funzionare del gruppo sullo stretto piano manifesto, cioè si prende come elementi forti del processo gruppale ciò che si può ‘palpare con la mano’. Segnalano, per esempio, in certe comunicazioni per descrivere l’evoluzione del gruppo, una lista di commenti o di aneddoti che esprimono gli integranti del gruppo, a cui segue una serie di opinioni dei coordinatori, o questi dirigono l’ordine degli oratori o indicano come i membri debbano farsi carico del compito. La descrizione assomiglia a una riunione di amici. Il gruppo ha perso la propria autonomia in quanto si è istaurata una leadership che lo dirige.
Esiste, pertanto, un vedere o un sentire con i padiglioni delle orecchie. Nei primi scritti freudiani già si parlava dei punti ciechi dell’analista. È difficile, per chi non ha elaborato certi conflitti propri, aiutare gli altri a risolvere quegli stessi conflitti.
Ora credo che dobbiamo affrontare queste circostanze iniziando ad interrogarci circa il nostro atteggiamento nella didattica. Il modello del sogno ci ha permesso di intendere la dialettica esistente tra il suo manifesto ed il latente intrecciato con esso. Gli insegnamenti su come interpretare il sogno ci spingono a considerare questa dialettica.
Sarebbe utile, nell’affrontare questa tematica, che ci confrontassimo, almeno, con due livelli di problematiche, alcune vincolate con la trasmissione, cioè con i modelli dell’insegnamento/apprendimento, le altre con le probabilità di capire, da parte dell’auditorio, o da parte degli alunni, la nozione di latente.
C’è un principio che indica che il nostro modello didattico (informazione-gruppo) contiene come un’iniziativa per avviare i membri del gruppo a percepire, intuire, apprezzare, capire, in uno stato tra il cosciente e l’incosciente, l’intergioco latente che sta funzionando nei distinti momenti del processo gruppale.
Le interpretazioni del coordinatore favoriranno le strade per questa comprensione, poiché il capire il funzionamento del latente proviene dall’esperienza gruppale realizzata e non solamente da una conferenza formale.
Il gruppo operativo dovrebbe contenere momenti iniziatici per acquisire una specie di sapere del latente. È così che si comincia a comprendere che i vincoli con gli altri includono aspetti che mai ci sono totalmente chiari, pertanto è necessario un terzo – il coordinatore – per arrivare a dar loro qualche significato.
Questo principio, che si incontra nel nucleo del Gruppo Operativo, dovrebbe essere internalizzato nei professori e nei coordinatori. Se non è così, allora dobbiamo domandarci se essi sono coscienti delle loro posizioni e delle loro responsabilità di fronte all’insegnamento ‘latente’ del latente.
Che fare con i punti ciechi di se stessi, a che cosa si devono, come possiamo uscire da questo pantano?
Non credo che possiamo sfuggire e né uscire da questa situazione con dei consigli.
Si rende necessaria una riflessione istituzionale sulla stessa, ricordiamo la frase di Paul Veyne: “Foucault non attaccava le elezioni degli altri, ma le razionalizzazioni che gli altri aggiungevano alle sue elezioni”.
Dall’altro lato ci domandiamo: che cosa accade agli utilizzatori o agli alunni? È abbastanza facile parlare di resistenze al cambiamento o di duri ostacoli epistemologici, sebbene teniamo a mente il deterioramento culturale proprio della globalizzazione e del consumismo.
Pichon-Rivière, alla domanda su chi dovrebbe integrarsi in un gruppo, in base alla sua idea di eterogeneità, segnalava che chiunque avrebbe potuto farlo, solamente si rendeva necessaria la sua motivazione a partecipare.
Cioè, il gruppo attuale ‘insegna’ al gruppo interno ad elaborare l’informazione che è stata fornita.
Pertanto, la prima questione che dovrebbe essere introdotta nell’insegnamento è il carattere caleidoscopico del compito, questo è e non ciò che si stipulò come finalità del gruppo. Questo già indicherebbe che esiste qualcosa di distinto dal manifesto. Ma questa circostanza sorge, semplicemente, quando i membri dimostrano che tutti hanno idee differenti sul compito proposto, e che queste idee provengono dalle proprie esperienze precedenti e dalle ‘voci’ interiori nate nel gruppo interno.
Ci interrompiamo per segnalare una questione che è sorta nel nostro discorso: continua ad esser valida, oggi, l’immagine o il sentimento della presenza di un gruppo interno nei soggetti? Si diffonde, ora, che questo gruppo interno è uno dei pilastri della concezione operativa?
Non dimentichiamo che esso è un elemento essenziale di qualsiasi vincolo, a sua volta è ciò che rende possibile la dinamica di aggiudicazione e assunzione dei ruoli, questioni, queste, che servono per studiare la patologia familiare ed i suoi emergenti. Ricordiamo che il gruppo interno cerca di trasformare in familiare il gruppo nel quale si sta partecipando nel momento attuale, per ‘salvare’ il soggetto, un modo di salvare l’individuo nel suo sforzo di elaborare le differenze esistenti tra lui e gli altri del gruppo.
Poiché ci siamo addentrati su questo tema, affronteremo la terza questione, la spinosa questione dell’emergente. Dall’inizio della nostra concezione la questione dell’emergente non è stata mai univoca.
Proporre un’indicazione esatta della cosa alla quale ci riferivamo ci sfuggiva sempre tra le mani o, per meglio dire, tra le diverse definizioni. Il caso che lo esemplifica meglio è la situazione del sofferente mentale, nella quale questo sarebbe l’emergente ed il prodotto dell’incrocio dei disagi nei vincoli familiari. L’emergente sarebbe quella figura che condensa e specifica in se stessa le mancanze nella comunicazione, i problemi generazionali e la dislocazione dei posizionamenti familiari, dei conflitti e lutti non elaborati nella dinamica familiare.
Da ora in poi esiste una semi-oscurità, un conoscere ambiguo su ciò che può essere considerato l’emergente di un gruppo. In varie occasioni lo si confonde con l’apparizione di un leader, ciò che gli fa perdere la sua proprietà di elemento del latente, quindi di essere alieno alla coscienza degli integranti del gruppo, o di costituire l’iceberg di una fantasia gruppale.
Per me, la percezione e l’interpretazione dell’emergente dipende da un lavoro del controtransfert del coordinatore, controtransfert costruito non solo dalle esperienze emozionali, ma anche dall’articolazione di queste con la formazione teorico-pratica di quel coordinatore.
Seguendo le tracce delle indicazioni freudiane, direi che ci imbattiamo nella segnalazione della ‘comunicazione da inconscio a inconscio’. Il coordinatore ‘appena darà conto’ del contenuto della sua interpretazione, la risposta apparirà nella creazione di un altro emergente gruppale, pertanto non si chiude mai il dialogo attorno al tema proposto come compito. La sua parola non è oracolare.
Se così non lo pensano i colleghi della nostra comunità scientifica – come direbbe Khun -, sarebbe bene che esprimessero come si capisce e segnala un dato emergente, e che cosa denominano emergente.
Ci rimarrebbe da affrontare – e non lo faremo oggi – in questa problematizzazione del presente della nostra concezione, già iniziata la discussione sui Gruppi Operativi, l’altra metà di questa concezione che corrisponde alle idee e alle pratiche accumulate intorno alla denominazione di Psicologia Sociale.
Una definizione concisa e veloce segnalerebbe che la Psicologia Sociale si incarica di studiare gli scambi esistenti tra la struttura sociale e l’organizzazione psichica dei soggetti, uno studio ritagliato della soggettività sorta in un momento storico-sociale-economico.
Possiamo dedurre che i Gruppi Operativi sono stati concepiti non solamente per studiare i movimenti interni di una dinamica gruppale, ma anche costruiti per un fuori, per un contesto, come metodo o strumento per indagare e intervenire in un campo disegnato da una Psicologia Sociale. Aggiungiamo che Bleger ha indicato chiaramente gli ambiti per i quali transitano questi gruppi. È così che il contesto sarà investigato nelle sue diverse qualità dalla prassi gruppale, indagine che, a sua volta, va trasformando questo contesto e le forme gruppali che sono intervenute in esso.
Quindi, in questo momento ci troviamo con questioni o domande che, partendo dal presente, devono risignificare la storia della nostra concezione.
L’idea di questa Psicologia Sociale si intreccia con l’apparato nozionale e con le pratiche dei gruppi. Ci sembra difficile stabilire che cosa o chi nacque da che cosa o da chi. Abbiamo presente che Pichon-Rivière è sempre stato uno psicoanalista, l’‘apparato analitico’ è stato il suo gruppo di lavoro interno. Aggiungiamo che non lo ha mai soddisfatto una metodologia clinica calibrata sull’attività individuale e privata.
I gruppi appaiono come una situazione collettiva lavorata in forma collettiva. La nozione di vincolo, da lui coniata, lo ha provvisto di un elemento ‘plus’ per entrare in quei collettivi, non solo gruppali ma anche istituzionali e comunitari.
Il precedente dimostra, in parte, i legami e le difficoltà di una separazione tranciante. Ma lo stesso Pichon-Rivière ha stabilito un primariato, o luogo di privilegio, nel dare alla Psicologia Sociale la possibilità di accogliere un’identità.
Noi ci definiamo come Psicologi Sociali e non come gruppalisti, sebbene adottiamo quest’ultima definizione in circostanze precise.
In un disegno sulla disposizione delle scienze sociali, la Psicologia Sociale sarebbe come un’intermediazione, che si adatta e si colloca come cuneo tra la Psicologia – che deve necessariamente ridefinirsi a partire dalla scoperta della Psicoanalisi – e la Sociologia, si fissa così un elemento che si occupa di elaborare le relazioni tra soggetto ed il suo contesto.
In alcune università esiste una disciplina con quel titolo, non saprei dire in quali, ma in quei casi la Psicologia Sociale è sperimentale e circoscritta a effettuare studi sui comportamenti sociali marcatamente manifesti.
All’interno della nostra concezione, la Psicologia Sociale si occupa di situazioni di alta complessità, poiché inizia partendo da emergenti comunitari e/o regionali e da questo presente si immerge nella profondità delle sue storie.
Credo di aver realizzato una punteggiata sintesi che ci permette di iniziare un’indagine sulla nostra attualità nel campo del movimento gruppale. Movimento che ci serve per studiare e intervenire nel contesto storico-sociale nel quale siamo inclusi. Spero che questa occasione sia solo l’inizio per approfondire questa indagine.
Madrid, 24 febbraio 2006
[1] Le ‘Villas de Emergencia’ o ‘Villas Miseria’, in Argentina, sono delle città sorte intorno agli anni ’90 in aree periferiche di poco valore e caratterizzate da un alto grado di precarietà e scarso equipaggiamento dal punto di vista sociale (n.d.t.).
L'esperienza decennale che contraddistingue i componenti dello Studio GRASSI BENAGLIA MORETTI ha permesso di far nascere REVI.COOP, cooperativa che ha come obiettivo quello di fornire servizi nell’ambito della consulenza fiscale e contabile, dell’auditing e della consulenza strategica. Nell'ambito romagnolo è una novità che una pluralità di professionisti decide di organizzarsi sottoforma di cooperativa.
Ne parliamo con il dott. Giovanni Benaglia, che della nuova realtà è l’amministratore unico.
Innanzitutto, perché una cooperativa?
Principalmente perché questa forma societaria ribalta la concezione dei rapporti fra le persone che ci lavorano dentro. Vede, nelle imprese capitalistiche l’obiettivo è il profitto, fatto anche a discapito dei lavoratori e dei collaboratori. Nelle cooperative, invece, le persone si uniscono volontariamente per soddisfare i propri bisogni economici, sociali e culturali attraverso la creazione di una società di proprietà comune e controllata in maniera democratica.
Quali vantaggi dovrebbero esserci per i vostri Clienti?
Se si lavora meglio, il servizio offerto ai Clienti è migliore.
A questo punto non ci resta da chiedere quali servizi offrite.
Consulenza fiscale, contabile e amministrativa sia ai privati che alle famiglie. Consulenza in ambito societario e strategico. Il fatto poi, che la Cooperativa sia formata principalmente da Revisori contabili, ci permette di svolgere una preventiva attività di controllo della società e dei suoi conti. Inoltre, il fatto che i suoi soci abbiano già una esperienza pluriennale nel settore, permette a REVI COOP di fornire consulenza su tutto ciò che ruota intorno all’imprenditore.
Ci può fare qualche esempio?
Assisterlo nella creazione di società, aiutarlo a separare i rischi personali da quelli dell’impresa. Ma non solo. Siamo in grado di fornire consulenza nelle operazioni straordinarie, quali acquisizioni, trasformazioni e fusioni d’azienda. Nell’ambito societario, invece, i professionisti di REVI COOP sono in grado di fornire consulenza e assistenza nella nascita di nuove iniziative societarie, predisporre patti parasociali per definire i rapporti tra i soci. Infine, un altro ambito di operatività della cooperativa, è quello dei contratti di impresa legati, soprattutto, ad operazioni di finanza straordinaria. Mi lasci, infine, dire una cosa.
Prego.
REVI COOP si rivolge anche a quegli imprenditori in erba che pensano di essere spaventati di fronte ai costi di consulenti che li aiutino a dare corpo alle proprie idee. REVI COOP sarà partner del progetto “IO IMPRENDO” che lo Studio Grassi Benaglia Moretti lancerà a breve a sostengo proprio dei giovani imprenditori. Ma di questo, credo, avremo modo di parlarne più avanti.
Notizie Newsletter Grassi Benaglia Moretti, avvocati & commercialistiIn occasione del Convegno Nazionale sull'Internazionalizzazione dell'UNGDCEC (Unione Nazionale dei Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili) del 6-7 ottobre 2016 è stato presentato questo volume.dal contenuto innovativo, di cui Marco Moretti è co-autore in qualità di componente della commissione nazionale "Cultura d'impresa, controllo di gestione e imprenditorialità" dell'UNGDCEC. Presto sarà disponibile come E-book.
Partendo dall'analisi del ruolo del commercialista nell'attuale contesto economico, il testo cerca di approfondire le criticità della professione in relazione alle mutate esigenze del mercato, cercando di cogliere le opportunità insite nel cambiamento in corso. L'evoluzione tecnologica e scientifica offre sempre maggiori strumenti per la gestione e il controllo delle imprese, sia dal punto di vista economico che finanziario. In questo ambito, il compito del commercialista sarà sempre più centrale nell'affiancamento degli imprenditori, in modo da guidare il loro intuito nella gestione della crisi e verso un miglioramento continuo.
Questo libro, oltre ad offire in modo chiaro e sintetico preziose nozioni sulle principali tecniche di controllo di gestione e sui sistemi di reportistica, mette a disposizione anche strumenti pratici di analisi, dandone piena e approfondita spiegazione. Conclude con tre "case history" e con i nuovi schemi del rendiconto finanziario, obbligatorio a partire dall'esercizio 2016 per tutte le imprese che non potranno adottare lo schema di bilancio abbreviato ex art. 2435-bis o quello per le micro-imprese, previsto dal nuovo art 2435-ter del codice civile.
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(Il titolo originale dell’articolo, tratto da www.area3.org.es Nº 2 – Primavera 1995, è “Teorias de los grupos y familia” ed è stato tradotto dallo spagnolo da Lorenzo Sartini)
C’è una frase di Pichon-Rivière che utilizzerò e che potrebbe sembrare una tautologia: “la famiglia dovrebbe essere come un gruppo operativo e un gruppo operativo come una famiglia”.
Questa definizione con caratteristica circolare cerca di spiegare l’intergioco che si stabilisce quando desideriamo concettualizzare sia la nostra pratica gruppale che il nostro intervento in una famiglia.
È che sarebbe difficile comprendere una situazione familiare senza un corpo di nozioni gruppali, così come teorizzare sui gruppi senza tenere conto della struttura particolare del gruppo familiare.
Pertanto, per la nostra scuola di pensiero, solamente una teoria della gruppalità ci rende possibile intervenire nelle diverse vicissitudini dei processi gruppali.
Il modello del gruppo operativo segnala la situazione concreta di fondazione del gruppo che collochiamo sempre a partire da una delimitazione di un compito da sviluppare. Cioè, il compito sarebbe il supporto che permette che un insieme di persone si organizzi come una struttura gruppale. Detto in altra maniera, il passaggio da ‘aggrupazione’ a gruppo, da insieme a struttura, è reso possibile dalla presenza del compito.
Stipuliamo che il compito (o finalità) è il supporto poiché il transito dalla situazione originaria (di insieme) alla struttura gruppale, non è diretto e a una sola via, bensì è ‘zigzagante’, ondulato, con forme indecise di progresso e di regresso, con tempi interrotti, in registri diversi e con espressioni che passano dal verbale all’azione (e viceversa).
Le irregolarità di questo transito sono dovute al fatto che ciascun partecipante del processo gruppale vi arriva munito di una idea precostituita di quello che avrebbe dovuto essere il compito che ha convocato il gruppo. Pertanto, ciascuno arriva con fantasie sulle modalità di organizzazione che deve assumere la ‘aggruppazione’ e delle forme mediante le quali il compito dovrebbe svilupparsi.
All’interno di un gruppo terapeutico possiamo tradurre quelle fantasie come fantasia di cura, fantasia di malattia, e fantasia di trattamento.
Ma anche prima di stabilirsi nella struttura gruppale dovremmo indicare che quel passaggio o transito (da ‘aggruppazione’ a gruppo) è avvolto e infiltrato da un sentimento che definiamo come ansietà confusionale.
Questa ansietà sarebbe, in parte, provocata dal confronto tra quelle idee precostituite e la probabile ristrutturazione delle stesse.
La successiva appartenenza al gruppo, la necessità di un contratto tra loro, obbliga a un riaggiustamento e a una riorganizzazione del mondo fantasmatico.
Esplicitiamo che, quando si parla della struttura gruppale, si sta definendo un istante, un ritaglio, un evento, di un processo gruppale.
Invertendo la formula abbiamo che i partecipanti si immergono in un processo di gruppo la cui finalità sarebbe il compito stipulato, pertanto quando segnaliamo la struttura di gruppo stiamo realizzando un ritaglio momentaneo in questo processo, ossia un fotogramma di un film.
Non per questo la struttura gruppale è semplice. La sua complessità deriva dall’esistenza di un manifesto e di un latente. Come nel sogno, esiste un discorso manifesto (verbale o di immagini) che sarebbe quello che si formò con gli elementi che la censura lasciò passare dall’universo delle idee inconsce.
Nel gruppo, ciò che viene espresso, siano parole, gesti o azioni, stabilisce il piano manifesto.
L’indicibile, i sentimenti nascosti, i desideri occulti, le fantasie non comunicate, le illusioni non condivise, le storie segrete, costituiscono quel tessuto che determina lo spessore di ciascun momento gruppale.
Il balbettio, le indecisioni, le contrarietà, l’ambiguità o la ambivalenza, gli atti falliti, la titubanza, i lapsus sono segni di quella frangia non tracciata tra manifesto e latente.
Ma stabilire una struttura gruppale significa che si è stabilita una linea, un involucro, un continente (contenitore). Frontiera immaginaria che consente una serie di passaggi di sostantivazione, di cambiamento di personaggi, di inscrizione differente degli attori.
Si passa dal singolare al plurale (dall’Io al Noi) e si colloca un dentro e un fuori (Noi e Loro). Qui incontriamo un punto di ancoraggio affinché si costituisca l’identità. Il processo gruppale si sviluppa mediante differenziazioni e posizioni. Si istallano punti transitori di contatto e di alienazione tra fantasie e principio di realtà.
A sua volta, dentro il contenitore, appare un esercizio della libera associazione, di parole, di immagini, di sogni ad occhi aperti, di utopie, di cariche libidinali, di impulsi emozionali.
A tratti, ciascuno gioca il ruolo necessario per lo sviluppo dell’argomento, il cui autore è una soggettività prodotta dall’insieme.
È così che si installa un collettivo produttore che crea, in accordo con i diversi tempi, racconti che provano a risolvere i conflitti. O, in alcune circostanze, sono la stessa soluzione. In altre, il sintomo, e in altre ancora, la resistenza al cambiamento.
La soggettività si dipana, cresce, coinvolge tempo e spazio. La sua presenza occupa dimensioni non misurabili ma, non per questo, meno veritiere. La sua esistenza segna la cultura interna di ciascun gruppo, poiché le storie individuali si risignifcano. L’altra storia (quella sociale) fornisce gli elementi che permettono che il processo gruppale sia permanentemente un confronto tra gruppo interno e mondo esterno.
Sintetizzando, si stabilisce un compito che consente l’organizzazione di una struttura gruppale costituita da una rete di scambi tra i soggetti partecipanti. Si costruisce un codice comune che in un doppio livello (di parole e azioni) garantisce il funzionamento della rete.
La dinamica del gruppo risulta dall’intreccio che si produce tra il parlare e l’agire (e gesticolare) pertanto non solo si ascolta ma si guarda anche. Lo sguardo, a volte diretto e altre volte di traverso, fornisce linee che saranno percorse dalle proiezioni o dalle introiezioni che cercano di collocare i fantasmi. Il cipiglio mostrerà diverse versioni dei conflitti che sorgono nell’accadere gruppale e, nelle varie occasioni, accompagnerà la parola o il silenzio che circonda l’interdetto.
I conflitti sono multiformi nella loro apparizione e nella possibile interpretazione.
Lo schema di riferimento, che deriva dalla combinazione tra l’osservazione e l’enunciazione, prodotto dai membri del gruppo e che, a sua volta, differenzia un gruppo da un altro, non solamente è l’asse della comunicazione, ma anche quello dell’apprendimento. Apprendimento di relazioni, di funzioni, di emozioni e, soprattutto, del commentare, cioè di come raccontare ‘ciò’ che ci è successo.
Ma se stiamo affrontando il comportamento gruppale, dobbiamo segnalare un elemento centrale per le sue vicissitudini. L’emergente sarebbe quell’elemento che, derivato da un contatto brusco tra manifesto e latente, attrae la nostra attenzione affinché investighiamo il significato di quella situazione.
Detto in altro modo, una parola o un gesto o un’azione o un dialogo accalorato tra due partecipanti o un colpo causato dalla chiusura intempestiva di una porta, obbligano il terapeuta a cercare il senso di ciò che accade in quel momento.
Questa ricerca del senso si concluderà in un’interpretazione. Quegli elementi che provocarono l’inizio della ricerca e che si arrivasse alla interpretazione, li denominiamo Emergenti.
È un qualcosa che emerge, che si mostra e si nasconde, una doppia faccia, un chiaro-scuro, che domanda un intervento, uno Schema di Riferimento che accoglie e scioglie un nodo latente che rende impossibile il fluire del processo gruppale.
Adesso possiamo entrare nella problematica familiare. Lo faremo a partire dalla nozione di emergente.
Lasciando la linea storico-genetica e la funzione edipica nella costruzione del gruppo familiare, mi centrerò sulla questione dell’intervento e su quella si dirige in questo momento il mio discorso.
“Tutto andava bene, come in ogni famiglia, ma l’altro giorno, senza che niente lo facesse supporre, a partire da una discussione stupida accadde che divenne furioso, iniziò a gridare, colpì alcuni dei presenti, ruppe quello che incontrava sul suo cammino, si chiuse nella sua abitazione e non esce dall’altro ieri”.
Crisi, conflitto familiare (essi cercano di incollarlo all’individuo), irruzione psicotica, scompenso, stupore-negazione.
Pichon-Rivière suggeriva, e la pratica lo confermò, che l’osservazione doveva dirigersi verso l’organizzazione di quell’emergente nel gruppo familiare.
Perché e per che cosa fu quel soggetto, e non un altro, il portavoce del conflitto familiare?
Alcune idee-chiave ci permettono di introdurci nella situazione.
L’idea di depositazione stabilisce che in ogni situazione gruppale esiste un gioco di scambi, i quali sono possibili grazie a uno spostamento di alcuni elementi in movimento.
Esisterebbe tra un depositante e depositario un vincolo attraverso il quale transita il depositato. Il momento cruciale o di origine di una crisi sarebbe quello nel quale nel depositario si è accumulato il depositato in eccesso (conflitti, ansietà, ambizioni, obblighi, esigenze), senza che questo staccarsi da questo materiale né elaborarlo.
Le allucinazioni e i deliri, come alcuni atti compulsivi, mostrano chiaramente l’accumulazione degli elementi, come una condensazione densa di difficile assimilazione per la quale si cercano spazi e tempi differenti al fine di collocarla. Il depositario, nell’urgenza, cerca di sbarazzarsi rapidamente di quel bagaglio che lo molesta. Non si tratterebbe di reprimerlo né di opprimerlo, bensì di accompagnarlo nella scarica. Ma, per secoli, è stato messo a tacere. Il manicomio o gli psicofarmaci furono utilizzati solamente per quello. I pazienti tranquilli sono quelli che si abituarono a proprie spese.
In questo modo, l’emergente segnala lo scompenso dell’equilibrio familiare ma la storia di quell’emergente è un lungo cammino che dovremo ripercorrere al contrario nella sua organizzazione, per capire qualcosa dell’intreccio dei fattori causali.
È interessante segnalare come il movimento di configurazione dell’emergente (del paziente) si accompagna ad un secondo movimento che è quello della sua esclusione dalla struttura familiare. La fantasia sarebbe che, con quel secondo movimento, si espelle, mescolati, il depositario e il depositato. L’espulsione si trasforma in un rito di purificazione. Nel campo immaginario si tratta di iniziare di nuovo, di far nascere nuovamente il gruppo familiare. In innumerevoli occasioni il senso di colpa che provoca questa fantasia impedisce di ascoltare il terapeuta in quanto tale, poiché è sentito come un giudice che cerca di trovare il colpevole.
La questione è studiare come funzionò la rete dello scambio, in quali punti fallì il sistema vincolare, la nostra preoccupazione è centrata sui disturbi dei vincoli, ci interessa l’origine e lo sviluppo delle relazioni; ma non dobbiamo mai pensare ad una superpotenza individuale che può creare malattie, nonostante le onnipotenze che alcuni membri del gruppo familiare si attribuiscono. Ossia, il sistema depositante-depositario-depositato ci fornisce una via di comprensione della situazione.
Ma, a sua volta, quel sistema comporta l’asse del ruolo aggiudicato-ruolo assunto.
All’interno della dinamica gruppale si stabilisce un rapporto tra gruppo esterno e gruppo interno. Ovvero, il gruppo attuale provoca, in ciascun integrante, il gruppo interno (che lo accompagna). “Gruppo interno” sarebbe una figura composta, inconscia, organizzata da tratti identificatori, relazioni oggettuali, resti fantastici, pezzi del romanzo familiare, che è il risultato del nostro passato gruppale e familiare.
In ciascun processo gruppale aggiudichiamo o assumiamo ruoli in accordo alle necessità e alle occasioni che si presentano, alcuni desiderano cercare un destinatario, altri attendono qualche risposta, ciascun partecipante si colloca e si ricolloca in una dimensione fantastica di alti e bassi che si alternano, di personaggi che evocano altri personaggi, di attori che mettono in scena altre scene.
Nel gruppo familiare l’abituale, la consuetudine, la quotidianità lungamente condivisa, l’impressione di stare sempre uniti, produce l’illusione che tutti si conoscono. È dentro o dietro quell’illusione che si stabiliscono le incomprensioni, i segreti, la mancanza di informazione, i destinatari sbagliati, la dislocazione dei messaggi, i falsi investimenti.
L’agitazione tra i familiari è enorme quando capiscono che pur appartenendo ad uno stesso gruppo, non per quello tutti hanno lo stesso gruppo interno, pertanto ciascun accadimento può avere significati diversi per ciascuno di essi e differente impegno. Nonostante il tetto condiviso, le storie individuali differiscono.
Un’ultima indicazione. Innumerevoli occasioni mi hanno indicato che una differenza tra un gruppo e una famiglia è che quest’ultima non ha un compito. È importante segnalare che la famiglia ha molti problemi perché, giustamente, ha innumerevoli compiti, a volte difficili da diversificare per decidere a quali dare la priorità.
Per concludere. Prima stabiliamo una differenza tra nozione e esperienza di gruppo.
Quest’ultima non solo riguarda il vissuto degli integranti, ma anche la ricomposizione relazionale che capita a ciascuno, alla ristrutturazione del gruppo interno individuale e al clima (o “spirito”) che il gruppo nel suo insieme ha prodotto, unito agli effetti di apprendimento o terapeutici che risultano dai processi gruppali. Di quello rimarrà un’immagine che andrà scolorandosi con il tempo ma che lascia tracce nella nostra vita.
La nozione di gruppo riguarda la concettualizzazione di quell’esperienza, il momento di riflessione e di comprensione e, come corollario, permette le ipotesi e le interpretazioni che possono suscitare i diversi momenti della dinamica gruppale.
Se continuiamo, ci scontriamo con altre vicissitudini. Se fino ad ora abbiamo parlato di ciò che succede nella struttura gruppale, ora dovremo indicare che succede con l’intervento in un processo gruppale. Ossia, l’organizzazione che si stipula mediante un contratto per poter intervenire.
A partire da questo contratto si stabilisce una situazione gruppale, cioè una struttura triangolare nella quale ci installiamo per osservare la situazione.
Tale struttura si configurerà mediante tre funzioni. Una teoria della tecnica segnala le interazioni nella situazione gruppale.
Le funzioni sono:
a) la struttura gruppale;
b) il compito della struttura gruppale;
c) la coordinazione.
Ovvero, ciascuno di questi tre poli deve essere tenuto in considerazione in ogni operazione che si realizza in una situazione gruppale.
La non presenza manifesta di uno di essi obbliga a indagare come punto di urgenza quell’assenza. È così che la non presenza non è correlativa all’inesistenza per il nostro schema di riferimento. Le assenze sono inizi di ricerca.
La funzione di coordinazione si centra sul vincolo del gruppo con il suo proprio compito. Espresso in altro modo, diciamo che è impossibile interpretare un conflitto gruppale se non si parte dall’elemento che oggi lo riunisce.
Sempre, il lavoro terapeutico si esercita in circostanze vincolari.
In relazione alla psicoterapia familiare desidero solamente aggiungere l’importanza di segnalare e interpretare la distanza che è necessaria mantenere tra biologia e funzione. Anche nella famiglia, come in ogni gruppo, la dinamica dipende dalla rotazione della leadership. Cioè, di fronte ai conflitti che sorgono, si dovrebbe occupare di quelli chi è capace di farlo. Allo stesso momento, sarebbe un’altra strada per evitare le formazione di stereotipi.
Un esempio sulla questione.
Mi trovavo a Città del Messico, nell’Ospedale Pediatrico Universitario, e mi chiesero di realizzare un colloquio, che l’équipe avrebbe osservato dietro lo specchio.
Si trattava di una situazione famigliare singolare. Un prete voleva adottare una bambina e, come accompagnante per questa adozione, utilizzava sua madre, la quale si sarebbe trasformata in madre adottiva.
La situazione aveva creato, come è facile supporre, confusione e disorientamento nella bambina, la quale non faceva altro che riflettere la situazione nella quale cadeva quel gruppo con pretese di famiglia.
Come possiamo vedere, le circostanze cliniche non sempre hanno le caratteristiche che ci attendiamo.
«Il primo problema che abbiamo incontrato era trovare aziende che credevano nella Rete delle imprese. E questo a causa del forte individualismo che permea le aziende». Luigi Panizzi ha sintetizzato il maggiore scoglio incontrato nella creazione di una rete di imprese nella logistica e lo ha raccontato alla platea dell'annuale incontro della Cdo logistica, a Rimini. Al Meeting 2016, infatti, Panizzi è stato invitato a raccontare la sua esperienza insieme a Luca Castagnetti, esperto di reti e aggregazioni – partner Studio Impresa, Massimo Bagnoli, presidente Cds, e Raffaele Bonizzato, presidente Gruppo Sinergia, a trattare il tema delle Reti nella Logistica, moderato dal presidente CDO logistica e presidente di Target Sinergie Davide Zamagni. Forte della sua esperienza, Luigi Panizzi ha affermato che per la gestione di una Rete «va creato un gruppo e occorre accompagnare l'affiliato in questo percorso». E che ci sono dei fattori cruciali ai quali fare attenzione, perché «non aiutano la Rete» Sono tre, sui quali si è soffermato: «Non avere un obbiettivo comune, coltivare ciascuno il proprio orticello, non accompagnare l'affiliato una volta entrato nella Rete».
Luca Castagnetti, nel suo intervento su cosa occorra per creare una Rete di imprese ha individuato il punto cruciale: «occorre una visione chiave, un progetto contestualizzato». Sgombrando il campo dai rischi di “individualismo” ricordati dal collega Panizzi: «per rendnere competitivo un progetto occorre chiarire bene che non c'è contrapposizione tra il progetto industriale della Rete e lo sviluppo competitivo del soggetto partecipante». Le leve per raggiungere questo obbiettivo, e la riuscita della Rete, ci sono ed occorre individuarli. Tra questi «gli strumenti comuni (per lo scambio dati, informatici e gestionali) come elementi di adesione dei processi o degli interessi». Ma occorre essere anche molto sereni sulle defezioni: «La Rete non è per tutti». Ma è comunque per Castagnetti lo strumento che, attualmente, permette a specifici settori dell'azienda una crescita più rapida rispetto all'opzione della formazione interna, grazie agli apporti esterni.
Massimo Bagnoli ha parlato di “Reti che funzionano”, illustrando la case history dell'impresa che presiede, la Cds, un aggregato di «aziende collettamistiche per l’ottimizzazione delle linee primarie e secondarie ed il miglioramento dei tempi di resa delle merci a destino», il cui raggio d'azione travalica i confini italiani fino a coprire quasi tutta l'Europa. La cui Mission comprende il «gestire uno o più hub e organizzare i percorsi ai migliori costi possibili con le migliori garanzie di servizio». E tramite un regolamento comune «uniformare i canoni dei servizi della distribuzione fisica su tutto il territorio coperto dalle aziende aggregate». Per Bagnoli «la possibilità di vivere senza stress l’esigenza dei volumi di base per formare le trazioni, ci consente di vendere la qualità del servizio che offriamo al prezzo corretto. Mentre la flessibilità ci garantisce quel vantaggio competitivo che aziende di dimensioni maggiori non potranno avere in nessun modo: tanti imprenditori possono solo essere migliori di “tante filiali”».
Raffaele Bonizzato ha incentrato il suo intervento sulla logistica del mondo ecommerce: «E' in corso una profonda trasformazione del modo di creare, distribuire e promuovere un prodotto». Come rendere tale trasformazione una opportunità per le imprese? Per Bonizzato occorre formare – questo il suo progetto - «una rete di imprese che offra la presenza capillare in Italia, in grado di gestire consegna e reso prodotti». Per farlo, occorrono partner della Rete che abbiano un know - how psecifico on line, procedure prestabilite per garanzia di qualità, tecnologia informatica, certificazione di qualità, sistemi di sicurezza adeguati, e soprattutto che sappiano fare riferimento un unico brand. In definitiva, «sta nascendola più grande Rete della logistica in Italia per la gestione logistica dell'ecommerce».
rete_imprese_incontro_cdo_logistica_meeting_16.jpg Eventi Notizie LogisticaTorna il Meeting di Rimini e con esso l'annuale incontro che la Cdo Logistica organizza nei padiglioni della Fiera, quest'anno incentrato sul valore delle Reti di impresa nella Logistica. Giovedì 25 agosto dalle ore 11,30 alle 13 (sala Tiglio, pad. A6), sarà Davide Zamagni, presidente di Target Sinergie, a moderare la tavola rotonda in qualità di presidente di Cdo Logistica, del numeroso panterre di ospiti che l'associazione imprenditoriale ha invitato a parlare. Tra questi, Luca Castagnetti, esperto di reti e aggregazioni – partner Studio Impresa, il cui intervento verterà su “Come si fa una rete di impresa”, seguito da Massimo Bagnoli, presidente Cds: “Una rete che funziona”, Luigi Panizzi, titolare Dnr trasporti, che spiegherà “I problemi che nascono nelle reti” e infine Raffaele Bonizzato, presidente Gruppo Sinergia: "Una rete per l’e-commerce". L'ingresso è libero.
cdo_logistica_incontro_meeting_16.jpg Eventi Notizie Logistica▶ Cos'è? Quali le differenze con il "Mobbing"? A differenza del mobbing, il quale presuppone una pluralità di atti persecutori ravvicinati nel tempo e di gravità crescente, lo straining - letteralmente "sforzare" - consiste nell'inflizione al lavoratore di uno "stress forzato" a mezzo di pochi atti distanziati nel tempo o anche di un atto singolo, compiuto appositamente e deliberatamente e che continua a far sentire per lungo tempo e in modo costante i propri effetti negativi sulla posizione lavorativa del dipendente.
▶ Cosa può ottenere il lavoratore vittima di straining? Il lavoratore colpito può agire per il risarcimento del danno biologico (comprensivo sia della compromissione psicofisica subita che della sofferenza morale a essa connessa) ed eventualmente del danno patrimoniale per lesione della professionalità (per esempio qualora vi sia ipotesi di demansionamento). Nel 2013, una pronuncia della sezione penale della Corte di Cassazione, nell'ambito di un procedimento per maltrattamenti (ex 572 c.p.) ai danni di un dipendente di banca, ha riconosciuto il suo diritto al risarcimento in quanto era stato costretto a lavorare in un "vero e proprio sgabuzzino, spoglio e sporco, con mansioni dequalificanti, meramente esecutive e ripetitive”. Tale condotta aveva cagionato al lavoratore in questione una lesione che si era concretizzata nella “causazione di un’incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per un periodo di tempo superiore a 40 giorni”. Importante: la pretesa risarcitoria può essere esercitata entro dieci (10) anni, trattandosi di responsabilità contrattuale ai sensi dell'art. 2087 c.c. Il consiglio è comunque di attivarsi tempestivamente presso uno studio legale e contestualmente rivolgersi a medici-psicologici specializzati per certificare eventuali lesioni psico-fisiche.
▶ Può esserci straining anche in assenza di mobbing? Sì, la Cassazione ha stabilito che il giudice, "pur se accerti l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di "mobbing", è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti - per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto - possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell'esistenza di questo più tenue danno" (Cassazione civile sez. lav. 19 febbraio 2016 n. 3291).
In definitiva, per la giurisprudenza lo straining si configura quale forma attenuata del mobbing, dal quale si differenzia potendo verificarsi anche solo tramite poche sporadiche condotte, ma al quale rimane accomunato dagli effetti - negativi - sullo stato psico-fisico del lavoratore che ne è colpito.
Avv. Patrick Francesco Wild
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