di Ariel Liberman
La sezione sui lavori chiave dell’International Journal of Psychoanalysis che verrà pubblicata (agosto 2012, vol. 93, Issue 4, p. 819-1100) tratta di un lavoro di José Bleger, del (1969) 1970, che è commentato da due riconosciuti psicoanalisti contemporanei: Haydée Faimberg e Jay Greenberg. Questa sezione della rivista mira a riportare sulla scena della riflessione della psicoanalisi contemporanea alcuni lavori e/o autori che, in qualche modo, possiamo arrivare a considerare dei classici della storia della psicoanalisi. José Bleger, psicoanalista argentino, nacque nel 1922 e morì molto giovane nel 1972. Nonostante questa prematura scomparsa presentò un lavoro, un pensiero, all’interno del fertile contesto della psicoanalisi rioplatense degli anni 50, 60 e 70, che lo ha reso creditore di un meritato riconoscimento.
La sezione inizia con il lavoro di Haydéè Faimberg, “Il pensiero dialettico di José Bleger”, continua con il lavoro di Bleger che si intitola “Teoria e pratica in psicoanalisi. La prassi psicoanalitica”, e termina con il commentario che Jay Greenberg realizza su questo articolo. Noi opteremo per un altro ordine di esposizione perché pensiamo che sarà più chiaro per il lettore: inizieremo esponendo il testo di Bleger, dopo quello di Faimberg e sotto il commentario di Greenberg.
Nell’esporre il testo di Bleger cercheremo di definire, con i termini dello stesso Bleger, o con i nostri, alcune espressioni-concetti che Bleger trae da altre discipline e che, molto probabilmente, non risulteranno familiari al lettore contemporaneo.
Bleger: “Teoria e pratica in psicoanalisi. La prassi psicoanalitica”
Il proposito del testo è occuparsi di alcuni problemi relativi alla teoria e alla pratica della psicoanalisi, alle sue interrelazioni e alle sue contraddizioni.
Bleger parte dagli sviluppi epistemologici che evitano, già nel momento in cui scrive, l’ingenuo schema di supporre che i fatti “sono lì”, e che deduciamo le ipotesi-teorie dalla loro osservazione e studio. Questo problema epistemologico non riguarda solo la psicoanalisi ma tutte le discipline. Per Bleger la psicoanalisi approfondisce la crisi di questo schema nelle scienze.
Portato allo specifico psicoanalitico questo presuppone, secondo Bleger, che la teoria sviluppata ed esplicitata –la teoria ufficiale, quella che si formula pubblicamente e che guiderebbe la pratica della psicoanalisi- non sempre coincide con la teoria implicita nell’esercizio clinico medesimo, ovvero, nella pratica clinica. Nella psicoanalisi si dà questa divario tra la teoria esplicitata e la teoria implicita. Questo divario può, secondo Bleger, essere all’origine dei nuovi sviluppi teorici e pratici. In un libro pubblicato nel 1958, Bleger formulò una diagnosi di questa situazione che basava su una tripla divergenza:
Andiamo al primo punto. Delle serie complementari freudiane, sostiene Bleger, si è posta molta enfasi sulla seconda serie, ossia, sulla predisposizione per fissazione libidinale (articolazione di fattori costituzionali e vissuti infantili). La finalità terapeutica, di monitorare gli eventi infantili, cerca di modificare la disposizione superando le fissazioni e la compulsione alla ripetizione attraverso una rettificazione dell’esperienza. L’analogo freudiano è l’investigazione archeologica. Parallelamente, afferma Bleger, l’introduzione del concetto di transfert ed il lavoro sistematico sullo stesso ha portato a che si gerarchizzi nel lavoro la relazione interpersonale sulla situazione presente, ciò che non implica lo scartare il lavoro archeologico bensì che venga superato-incluso. Quest’ultima cosa ha portato a sottolineare le relazioni d’oggetto “sopra o almeno alla pari” delle tendenze istitntive. Bleger pensa che le relazioni oggettuali stanno cercando di colmare questo divario, questo vuoto, tra la teoria esplicita e la teoria implicita. In Freud, se non erano totalmente assenti le relazioni oggettuali, si enfatizzò maggiormente gli aspetti istintivi storico-genetici. Ricorderemo che per Bleger l’introduzione del concetto di transfert ha presupposto un “cambiamento radicale” poiché l’essere umano cessa di essere studiato come un “sistema chiuso” e passa ad esserlo come una relazione interpersonale nella quale il dialogo e la comunicazione umana sono posti in primo piano. Il transfert, ci diceva già nel 1958, non può essere più visto come un fenomeno “unipersonale” (Rikman) “ma come un campo attivo, originale e particolare, come quello che è ciascuno dei vincoli che si stabiliscono tra due o più persone in qualunque situazione [… e questo porta a che] il controtransfert smetta di essere un elemento perturbatore (entro certi limiti) per divenire un elemento attivo, operante, integrante di un atteggiamento e partecipando, immancabile e inevitabilmente, a quella sintesi che è l’interpretazione” (1958, p. 114).
Il punto due della diagnosi era la opposizoine tra dinamica e drammatica. La “drammatica” è definita in questo testo come “una comprensione dell’essere umano e del suo comportamento in termini di avvenimenti che si riferiscono alla vita medesima degli esseri umani considerata come tale”, mentre la dinamica riduce la drammatica ai giochi di forze istintive che determinano gli avvenimenti umani. Per Bleger non si è percepito o considerato sufficientemente che la tecnica e la pratica psicoanalitica non fanno ricorso alla dinamica bensì che lavorano e operano totalmente nella drammatica.
Il concetto di drammatica proviene dall’opera di Georges Politzer, un pensatore unghero-francese che nel 1928 scrisse un libro intitolato “Critica dei fondamenti della psicologia”, nel quale sostiene ciò che chiama una Psicologia Concreta, ossia, una psicologia priva della zavorra del meccanicismo e dello spiritualismo, che questo autore ritiene abbiano dominato nel campo della psicologia in generale e anche nell’opera di Freud. Questo non impedisce che sostenga “il carattere rivoluzionario della psicoanalisi”, poiché apporta, grazie a un lavoro critico di lettura, “nuovi fondamenti” per la “costruzione della psicologia”. Per Bleger Politzer realizza uno stusio epistemologico della psicoanalisi che porta a ciò che denomina, ispirandosi probabilmente a Spinoza, una “riforma della comprensione” o, come dice Bleger, di ciò che oggi chiamiamo “modelli concettuali” (1958, p. 196). Bleger la definisce come la “critica più lucida e valente della psicologia e della psicoanalisi” (p. 197). Politzer intende, lo citiamo, che “Il dramma è originale […] Allora il dramma implica l’uomo preso nella sua totlaità e considerato come il centro di un certo insieme di accadimenti che, precisamente perché sono in una relazione con una prima persona [protagonista], hanno un senso” (1928, p. 250). E continua: “l’originalità stessa del fatto psicologico è data dall’esistenza medesima di un piano propriamente umano e della vita drammatica dell’individuo che si sviluppa” (p. 250). Ma è necessario chiarire che per Politzer il dramma, la sua originalità, risiede nel fatto che non è né “interno” e né “esterno”. Richiede un luogo e uno spazio per svilupparsi, ma non è lo spazio della vita fisiologica o biologica, bensì è “… il luogo della mia vita drammatica, e, inoltre, le azioni, i crimini e la pazzia hanno luogo in uno spazio…” (p. 251). “La psicoanalisi, sostiene Bleger, studia la vita umana nel suo senso umano. Questo è ciò che Politzer chiama Drammatica: termine che accettiamo totalmente per la sua esattezza e capacità descrittiva” (1958, p. 219). Bleger si era riferito, anteriormente, a Drammatica come cio “che è, in ultima istanza, la descrizione, comprensione e spiegazione del comportamento in funzione della vita del paziente, in funzione di tutto il suo comportmaento” (1958, p. 90). “Dramma e significato, sostiene Bleger, hanno il vantaggio e la particolarità che orientano e centrano la ricerca sugli esseri umani concreti; e per concreto non si intende solamente l’essere umano come è in se stesso nella sua vita quotidiana ma anche nelle condizioni nelle quali la sua vita si sviluppa” (1958, p. 220).
Il terzo punto della diagnosi era l’opposizione tra laogica formale e logica dialettica. Per Bleger la drammatica del campo analitico si sviluppa ed è compresa a partire dal pensiero dialettico. Un pensiero dialettico non postula la lotta di opposti formali tradotti in entità [reificate, ossia, convertite in cose esistenti]. Ovvero, per Bleger, certe teorie dinamiche, che postulano una serie di forze che operano nello psichismo e la cui espressione sono i processi psichici, è il risultato dell’“abbandono di una certa drammatica, una trasposizione, una sostituzione del fatto o dell’accadere umano da parte di forze gestite come entità o cose, al posto dei fatti umani” (1958, p. 112). Questo presuppone attribuire il fenomeno a ciò che si manifesta nell’esperienza, un “doppio ontologico” (Sartre, in Bleger, 1958, p. 112), cioè, dargli uno statuto di cosa, di una entità del mondo naturale. Come afferma Bleger nel lavoro che commentiamo “molto probabilmente uno sviluppo teorico formulato dialetticamente rende inutile la contrapposizione tra, per esempio, fenomeni coscienti da un lato e inconsci dall’altro, tra il processo primario e quello secondario, tra approccio topografico, approccio dinamico ed economico, ecc.”.
Conclude Bleger che le tre contraddizioni che ha diagnosticato tra teoria e pratica potrebbero ridursi e comprendersi in forma unificata come “un riflesso della teoria dell’alienazione che porta sempre implicita una de-dialettizzazione della drammatica, dell’essere umano come totalità”. Chiariamo un po’ questa sintesi estrema che Bleger formula in questo testo programmatico. Bleger intende per alienazione il fenomeno che “il soggetto si estranea o si espropria, si svuota di qualità umane che disperde e attribuisce (proiezione) a oggetti (oggetti in generale: animati o inanimati); l’oggetto si fa altro per il soggetto, diviene investito di qualità e poteri particolari” (1958, p. 152). Perché l’alienazione presuppone la de-dialettizzazione della drammatica? Perché frammenta ciò che dovrebbe essere articolato, disperde ciò che dovrebbe essere integrato, e perché “le relazioni umane si sovvertono in modo da diventare rapporti di cose nelle quali si ‘cristallizzano’ questi rapporti, e alle quali gli esseri umani sono subordinati come potenze straniere; le relazioni umane si reificano, perdono la qualità di comunicazione diretta e piena. Nella misura in cui l’uomo si ‘reifica’ (si trasforma da essere umano in cosa perché si esteriorizzano le sue qualità umane, si svuota, si impoverisce, si trasforma in un ‘altro’) in quella stessa misura gli oggetti si animano, acquistano proprietà umane e sono dotati di un potere che sfugge al controllo degli uomini…” (1958, p. 148). La teoria si costruì, secondo Bleger, rispecchiando la struttura stessa dell’alienazione e della de-dialettizzazione propria del processo nevrotico: una disarticolazione dell’accadere della drammatica umana in elementi dissociati e, come conseguenza, la paralisi del processo dialettico, ciò che psicoanaliticamente si chiama dissociazioni, secondo Bleger.
Quindi Bleger tratta il punto epistemologico della sua diagnosi generale. Oppone l’approccio naturalista a quello fenomenologico. Secondo il primo, i fatti-fenomeni che studia lo scienziato, trasformati in cose, sono alieni al soggetto che li studia. Al contrario, l’approccio fenomenologico studia i fenomeni così come sono percepiti e sperimentati tanto dal soggetto che li studia come dal soggetto studiato. Secondo Bleger in Freud sono convissuti ambedue questi approcci in contraddizione. Il punto di vista dinamico presuppone un approccio naturalista poiché spiega l’essere umano con entità totalmente aliene a che le studia e a che è studiato. Per Bleger, la conoscenza dei fenomeni trasferali e controtrasferali, così come la configurazione del campo che presuppone la situazione analitica, dovrebbero avere rettificato la teoria medesima. Questa è una delle idee centrali della riformulazione blegeriana. Oppone, pertanto, una comprensione unipersonale-dinamica della situazione analitica ad una comprensione bipersonale o relazionale (sic) che ha come campo i fenomeni trasferali e controtrasferali. O sia che, da un lato, vede una teoria impulsivista, unipersonale e anoggettuale e, dall’altro, una teoria che enfatizza le relazioni oggettuali e che è bipersonale.
Afferma Bleger: “Il processo di alienazione e de-dialettizzazione che concepisco come soggiacente e comune denominatore delle contraddizioni che sto segnalando tra teoria e pratica…”, è presente nel carattere elementarista e non gestaltico della teoria psicoanalitica – e lo equipara con il processo stesso della nevrosi. Il processo di alienazione è, per lui, un processo di de-totalizzazione (separare in elementi, elementarismo). L’idea di de-totalizzazione è un altro modo di parlare della de-dialettizzazione. L’idea di totalità o configurazione dinamica (usando dinamica nel senso del movimento) presuppone che la modifica di uno degli elementi altera la struttura totale del campo di cui si tratta poiché tutti i suoi elementi sono interdipendenti. Porta, come esempio di questo, la sessione analitica, alla quale dedica un lavoro (1958, p. 107). Lì sostiene, per illustrare quest’idea di totalità nel campo clinico, che paziente e analista “formano una Gestalt nella quale niente è occasionale e ciò che succede nei due è condizionato da ciò che succede tra i due e dalla totalità della Gestalt in un momento dato” (p. 116-117)
Sostiene che nell’opera di Melanie Klein vediamo inoltre coabitare l’approccio naturalista-impulsivista con un intento di comprensione in termini di relazioni oggettuali e di gestalt.
Quindi, prende l’assunto della sessualità e dell’aggressività per illustrare la necessità di un movimento di “de-totalizzazione” della teoria così com’è. O sia, non prendere un aspetto parziale e far dipendere da quello la totalità di ciò che accade psichicamente. Per Bleger l’errore sta nell’aver preso ambedue i parametri come elementi privilegiati che strutturano la totalità dei fenomeni “quando dobbiamo capire che tanto l’aggressività quanto la sessualità sono fenomeni inclusi in una totalità”. La visione attuale, secondo Bleger, intenderà la sessualità, per esempio, come una delle vicissitudini di una Gestalt “nella quale privilegiamo le ansietà psicotiche”. Tanto le erpversioni quanto gli altri comportamenti sessuali non devono essere compresi come fenomeni originari bensì come difese e anche, sostiene, come restituzioni psicotiche.
Termina questa parte affermando che la sua diagnosi pretende essere un inventario di problemi e non una critica. La totalità della prassi psicoanalitica, come tutte le prassi, è un processo pieno di contraddizioni e divergenze. Chiariamo che Bleger usa il termine prassi per riferirsi al “processo del conoscere, nel quale coincidono pensiero e azione, la teoria e la pratica, e nel quale si ha un superamento dell’antitesi tra –come diceva Hegel- ‘la unilateralità della soggettività e la unilateralità dell’oggettività’” (1958, p. 111).
Conclude il lavoro con il punto istituzionale, con il come si insegna e si apprende psicoanalisi nelle associazioni. Se comprende che l’istituzionalizzazione è necessaria pensa che anche in questo campo si dà una contraddizione tra gli obiettivi primari di queste istituzioni e alcuni dei suoi risultati. Se l’obiettivo primario della stessa è diffondere, insegnare ed approfondire la ricerca e la conoscenza psicoanalitica, pensa che questo obiettivo abbia sofferto uno spostamento e che la preservazione dell’istituzione, la necessità della continuazione dell’organizzazione come tale rimpiazzi l’obiettivo primario. Questo porta i membri delle istituzioni a pervenire ad accordi, espliciti o impliciti, su ciò che si intende per psicoanalisi, come la si pratica e la si insegna, ecc., ciò che porta a privilegiare quello che non è pericoloso per l’istituzione. Questa enfasi entra in contraddizione, secondo Bleger, con quella caratteristica, che mette sempre e necessariamente in questione lo stabilito, che presuppone ogni ricerca. L’istituzione comincia a limitare la ricerca o riduce la libertà a quegli aspetti che non toccano gli assiomi accordati. Si ha, nelle istituzioni, un incremento molto grande della formalizzazione che sfocia in burocrazia. Così, afferma Bleger, “… l’organizzazione psicoanalitica nel suo complesso soffre da lungo tempo quel processo di ortodossia, di resistenza al cambiamento, di ricerca di un maggior consolidamento interno promuovendo i cambiamenti verso il fuori”.
Haydée Faimberg: Il pensiero dialettico di José Bleger
Haydée Faimberg ritiene che Bleger combini due caratteristiche che non si ritrovano frequentemente in psicoanalisi: essere un pensatore creativo e, allo stesso tempo, rigoroso nelle sue ricerche. Commenta che sebbene l’autore sia poco conosciuto dai lettori di lingua inglese, questa lacuna presto sarà riparata con la traduzione e la pubblicazione, già in corso, di uno dei testi centrali di questo autore: “Simbiosi e ambiguità” (Bleger, 1967). Pensa che Bleger può essere considerato un autore classico nella misura in cui la sua opera è generatrice di nuove idee nel lettore attuale. L’obiettivo del suo lavoro, sostiene, è sottolineare il pensiero creativo e dialettico di Bleger. Ci mette in guardia contro i rischi di ciò che intende come “anacronismo nella lettura”, ossia, attribuire alle idee che Bleger trasmise nel suo tempo un significato che appartiene ai lettori contemporanei. Tuttavia segnala che, per i suoi interlocutori, Bleger anticipò assunti che non hanno potuto essere sviluppati.
Parte dalla lettura del testo di Bleger pubblicato in questo numero. Mette in evidenza prima, per mezzo di una citazione del testo, la critica epistemologica che Bleger realizza rispetto a certe concezioni ingenue che pensano che i fatti “sono qui” e che bisogna solamente osservarli, studiarli e dedurre ipotesi (teorie) a partire da quelli. Faimberg si concentra solamente su come questo influisce sui fenomeni psicoanalitici. Seguendo Bleger, sostiene che tutta la ricerca deve partire dall’esperienza analitica attuale e che tutta la pratica è implicitamente supportata da una teoria. Partendo da questo punto epistemologico, a Bleger interessa il concetto di “praxis”, che allude a problemi vincolati alla complessa relazione tra teoria e tecnica psicoanalitica e anche alle istituzioni psicoanalitiche. Come dice Bleger: “…la totalità della psicoanalisi, la totalità che costituisce e configura la sua prassi è, necessariamente, come tutta la prassi, un processo pieno di divergenze e contraddizioni…”, divergenze e contraddizioni che è necesario non smentire e né ignorare poiché ciò andrebbe a detrimento di una ricerca effettiva. L’esplorazione di queste contraddizioni è al centro del pensiero dialettico di Bleger. Ciò distingue il suo lavoro tra la teoria esplicita di uno psicoanalista e la sua teoria implicita, quella che realmente utilizza nell’esperienza clinica. Haydée Faimberg qui ci ricorda, in una nota, che è stata una dei pionieri nel riattivare, a partire dal 1993 e fino al 2001, in seno della Federazione Europea di Psicoanalisi, gruppi di discussione clinica con uno spirito che è in debito con il pensiero di Bleger e che consiste nell’esplorare il ruolo fondamentale del dialogo nel pensare ciò che non sapevamo di stare pensando. “Così ho sviluppato un metodo per i gruppi di discussione di materiale clinico, nel 2002, conosciuto come ‘l’ascolto dell’ascolto’” (p. 93). Tanto Faimberg che, dopo, Greenberg ricorderanno che fu Joseph Sandler ad introdurre nel mondo anglosassone, nel 1983, la distinzione tra teporie esplicite e teorie implicite.
Bleger oppone, nel suo testo, l’approccio naturalista e quello fenomenologico nel problema epistemologico di cosa è l’oggettività nella scienza. Sosterrà anche, nel testo, che il progetto scientifico di Freud è basato sul modello naturalista. In una nuova nota, questa volta una comunicazione personale di Bleger a Faimberg, commenterà che nel marzo 1972 Bleger progettava di realizzare un seminario per tornare a leggere Freud da altre prospettive, motivo che le impone di omettere ciò che Bleger scrisse sui concetti di Freud in questo e altri suoi scritti.
Quindi riprende il cocetto di ‘campo analitico’, che introdusse Enrique Pichon-Riviére e che fu sviluppato da un insieme di discepoli e, essendo Bleger il più vicino – fa anche una menzione a M. e W. Baranger.
In opposizione all’approccio dinamico Bleger introduce il concetto di ‘dramma’, che definisce come “una comprensione dell’essere umano e del suo comportamento in termini di eventi che si riferiscono alla stessa vita degli esseri umani considerata come tale”. Bleger segnala, partendo da questo concetto, la divergenza tra il modo di teorizzazione che suppone l’approccio dinamico e la teoria implicita dell’esperienza analitica; sostiene che la psicoanalisi non si è fatta carico, nel paino della rettificazione teorica, delle conseguenze dei fenomeni di transfert e controtransfert e della configurazione del campo analitico.
Dopo questa introduzione, Faimberg situa ciò che chiama “la posizione nucleare” del pensiero di Bleger, che indica che l’esperienza clinica, centrata sulla drammatica, si sviluppa in un processo dialettico. Bleger, citato dall’autrice, sostiene che la disarticolazione del processo o della distribuzione del dramma umano in elementi dissociati paralizza il processo dialettico e presuppone l’alienazione e la de-dialettizzazione dello stesso. Bleger cercherà di studiare questo fenomeno di de-dialettizzazione. Faimberg qui cita il testo di Bleger “Simbiosi e ambiguità” (1967), riproduco la citazione:
“Dover ammettere, così come si fa, l’esistenza dell’identificazione proiettiva-introiettiva per tutti i casi, esige il presupposto che ciascun soggetto sia un ‘sistema chiuso’ e che si comunichi attraverso vari canali con altri esseri umani, mentre l’ammettere la partecipazione come fenomeno originario implica l’ipotesi che l’essere umano cominci o parta da un’organizzazione come ‘sistema aperto’ e che, gradualmente, si vada individualizzando e personificando” (p. 189).
Faimberg riferisce il concetto di sistema aperto al pensiero di Loewald, al suo testo “Io e realtà” (1951) che, per essa, propone un approccio dialettico simile.
A partire dagli anni 60 Bleger sviluppa l’idea che il mondo fusionale originario del paziente, che denomina “nucleo agglutinato”, è stato scisso. Su questa idea Bleger propone un nuovo concetto (una nuova posizione): la posizione ghlischro-carica, il cui sostrato è il nucleo agglutinato, posizione che precederebbe la posizione schizo-paranoide.
Poi l’autrice passa a commentare l’idea della dialettica dell’inquadramento secondo Bleger, portando come referenza il suo testo “Psicoanalisi dell’inquadramento psicoanalitico”, tradotto precedentemente nell’IJP. Questo testo parte dall’idea della ritualizzazione dell’inquadramento come sintomo della pratica psicoanalitica e come resistenza al cambiamento. Il problema che si pone è il seguente: com’è possibile mantenere l’inquadramento analitico, necessario per lo sviluppo del processo, e allo steso tempo, superare la sua ritualizzazione? Faimberg cita la tesi centrale di Bleger con le sue parole: “In realtà ci sono due inquadramenti”, uno, quello che lo psicoanalista propone, mantiene ed il paziente accetta, e, due, “un inquadramento del mondo di fantasia sul quale il paziente proietta”. “La cornice è l’implicito da cui dipende l’esplicito”. L’inquadramento è muto fino a che, in qualche momento dell’analisi, comincia a parlare. Questo riconoscimento dei due inquadramenti con una differenza tra essi permette all’analizzando, secondo Faimberg, di riconoscere l’alterità dell’analista. È un momento di interpretazione.
Faimberg espone brevemente un materiale clinico che Bleger lavora nell’articolo citato. Sostiene che la sua ipotesi è che sia in questa interpretazione, per mezzo della quale l’alterità dell’analista è riconosciuta, che si sviluppa il “superamento” (aufhebung). Chiarisce che, secondo lei, riconoscere l’alterità dell’analista non significa riconoscere la persona reale dell’analista. Il riconoscimento ha due facce: da un lato, la funzione analitica che sostiene il transfert e, dall’altro, l’analista come altro differenziato dal paziente. Secondo questa autrice, la sua posizione è in linea con Loewald e Bleger, nella misura in cui intende che il transfert non è solamente ripetizione ma anche creazione. Questo superamento per mezzo dell’interpretazione, conclude, è possibile dall’analisi “in silenzio” che l’analista fa della sua posizione controtransferale.
Commento di Jay Greenberg
Greenberg definisce il testo un manifesto più che un argomento. Anticipa, secondo lui, molte delle controversie più importanti che hanno preoccupato gli analisti da quando l’articolo fu pubblicato. Porta il segno, nel suo sviluppo, della visione che caratterizza la psicoanalisi del Rio de la Plata (rioplatense), secondo l’autore.
Greenberg cerca di guardare, da un lato, il testo di Bleger nel suo contesto storico, ossia, come parte di un gruppo di pensatori che abitano quelle latitudini, il Rio de la Plata; dall’altro latostabilisce similitudini e differenze con movimenti di apertura propri degli Stati Uniti d’America, poiché pensa che anche lì si posero alcuni problemi simili.
Il suo commento affronta esplicitamente tre assunti:
1) qual è il linguaggio proprio del discorso psicoanalitico e le implicazioni per la comprensione della situazione analitica;
2) il ruolo del controtransfert e la sua relazione con l’epistemologia psicoanalitica;
3) alcune riflessioni sulla sessualità ed il suo ruolo etiologico.
Nel primo punto riprende la differnza che realizza Bleger tra la teoria/linguaggio formale della psicoanalisi e la teoria dialettica/drammatica della stessa. La prima si caratterizza per la sua concezione dinamica della mente, la sua comprensione dell’individuo come un’entità isolata, in generale, per una comprensione della mente come un sistema chiuso; la seconda, per una comprensione drammatica e dialettica che apre la teoria formale e personalizza ciò che viene sollevato da quest’ultima nei termini meccanicisti della metapsicologia.
Oltre a evidenziare altri autori rioplatensi, come i Baranger, che sviluppavano assunti paralleli a quelli che Bleger sintetizza in questo lavoro, Greenberg segnala come negli USA, all’inziio della decade dei ’70, anche figure come Merton Gill, George Klein o Roy Schafer discutevano se il linguaggio della metapsicologia freudiana fosse il più idoneo per dar conto della clinica psicoanalitica. Schafer pubblicò, nel 1976, un libor il cui titolo è: “Un nuovo linguaggio in psicoanalisi”, libro che discuteva in forma radicale la concezione energetica e metapsicologica freudiana ma che, a dire di Greenberg, non usciva dal quadro unipersonale. Perciò l’autore segnala, allo stesso tempo, che questa similitudine nella discussione è un’originalità propria della psicoanalisi rioplatense: costituiva il movimento da una psicologia di un persona verso, come dice Bleger nel testo, una psicologia di due persone. Ricordiamo che Bleger porta come referenza centrale di questo movimento al bi-personale la necessità che la teoria si costriusca ome una riflessione intorno alla situazione clinica intesa come un campo transferale-controtransferale.
Mentre i dissidenti americani avevano come sottofondo la Psicologia dell’Io, gli psicoanalisti rioplatensi avevano come tradizione dominante il pensiero della Klein e, molte volte, di Fairbairn.
Per Bleger il cambiamento di linguaggio della psicoanalisi è intimamente vincolato ad una realtà fondamentale: la situazione analitica è una gestalt irriducibile e qualsiasi tentativo di teorizzare un elemento isolato presuppone un violentare il fenomeno. Bleger si fa eco, in questo senso –sostiene Greenberg- tanto delle idee di Pichon-Riviére quanto di Racker.
Nel secondo punto, Greenberg affronta la questione del controtransfert. La compresione di Bleger della situazione analitica come una totalità presuppone delle modifiche nella sua comprensione. In questo senso Bleger si colloca sulla scia della singolarità della riformulazione del controtransfert che, negli anni 50, si realizza nel Rio de la Plata e che differisce in aspetti importanti tanto da questo stesso giro in Inghilterra quanto, certo, dalla concezione freudiana classica che rimaneva dominante in altre parti del mondo psicoanalitico. Domande sul fatto se il controtransfert sia o no fonte di informazione (dati) rlevante per la situazione clinica, se può essere strumentalizzata o no, ecc., sono alcune delle questioni intorno alle quali ruotavano questi dibattiti. La svolta degli anni 50 presuppone il considerare che il controtransfert era onnipresente e non patologico: non poteva più essere escluso da ciò che accadeva tra i partecipanti ad un trattamento. Eppure, come vedremo in seguito, ci sono stati diversi modi di comprenderlo.
Greenberg sostiene che il termine controtransfet sia, nel suo nucleo, un ossimoro: “… perché il primo elemento del termine –contro- implica che è reattivo, stimolato da qualcosa di fuori che impatta nel soggetto dell’esperienza. Però il secondo elemento ha una connotazione differente: ci ricorda che il controtransfert è, dopo tutto, un tipo di transfert e che, classicamente definito, è proprio la componente dell’esperienza che emerge in maniera endogena, che modella l’esperienza del soggetto del mondo degli oggeti più che esserne influenzata” (p. 1010). Dunque il controtransfert evoca simultaneamente una strutturazione attiva del mondo dell’oggetto e la nostra reattività allo stesso.
Il problema che si pose dopo della svolta degli anni 50 fu come interpretare e lavorare con questo concetto. C’erano, schematicamente, due grandi correnti che Greenberg mette in relazione ai significati in conflitto nel termine stesso che viene posto. Da un lato, coloro che enfatizzano la prima parte, il “contro” del termine, e vedono nel paziente l’unico agente attivo del processo: l’analista sperimenta certe cose però queste esperienze riflettono il modo in cui il paizente ha agito su di lui. Paula Heimann parla del controtransfert come “creazione del paziente… parte della personalità del paziente” (1950, p. 83). Il concetto di identificazione proiettiva è il perno concettuale di questo tipo di comprensione. Questo modo di comprendere il controtransfert, afferma Greenberg, preserva l’essenziale del modello unipersonale della mente. Dall’altro lato ci sono quelli che hanno dato la priorità alla contraddizione stessa che il termine solleva dialettizzandola, ciò che conduce questo concetto in un luogo molto diverso. Sono gli autori della psicoanalisi rioplatense, nella linea di Pichon-Riviére e Racker. Il pensiero dialettico articola le relazioni di oggetto, interne ed esterne, creando una nuova Gestalt –che definisce le relazioni tra le persone. Essere coscienti diq eusta Gestalt rende impossibile sostenere e supporre –sostiene Greenberg- che l’analista sia solamente recettivo o solamente attivo. Anche Racker, sebbene non usi il concetto di gestalt, è sulla stessa linea. Esempio di quest’ultimo è la sua idea del “mito della situazione analitica” (1957, p. 308). Per lui la situazione analitica è co-creata in modo tale che è difficile –se non impossibile- attribuire l’attività e/o la passività. Greenberg sostiene che possiamo vedere anche nel concetto di “terzo analitico” di Thomas Ogden un parallelo attuale di questi pensieri.
Successivamente passa alla distinzione che Bleger fa tra versioni naturaliste o fenomenologiche del processo analitico. L’approccio fenomenologico ha implicazioni importanti nel suo modo di osservre e teirzzare il processo che accade nell’inquadramento psicoanalitico.
Greenberg conclude questo paragrafo sostenendo che: “Sebbene non utilizzo questo termine, la drammatica di Bleger e la sua visione della situazione analitica come una gestalt o campo prefigurano, molti anni prima, le teorie contemporanee dell’enactment (messa in scena). La sua visione (condivisa da molti nel Rio della Plata) rimane controversa oggi; l’enactment è onnipresente e continua lungo tutto l’incontro analitico” (p. 1013).
Nel terzo punto affronta il dibattito sulla sessualità e la causalità. Bleger, molto presto (1958) avanzò una serie di critiche rilevanti al concetto di istinto. Per lui Freud arriva al concetto di istinto perché portò le forze che agiscono al di fuori del contesto dei processi psicologici e del loro interazoine. Questo isolamento ha portato a considerarle alle spalle del comportamento. Non si deve pensare gli istinti al di fuori delle situazioni interpersonali nelle quali appaiono: “… ciò che appare come pulsione, sostiene Greenber, è una proprietà emergente dei contesti interpersonali”. In questo senso, argomenta, la posizione di Bleger è più radicae della revisione nordamericana: “lui cerca di fare di più che liberare la teoria pulsionale dalla sua impalcatura impersonale e meccanicista. Piuttosto, la sua intenzione è liberarsi tanto da essa quanto da un primo movimento endogeno, invertendo la conoscenza ricevuta della direzione della causalità psicologica. Le pulsioni non creano le situazioni, argomenta; le situazioni creano le pulsioni” (p. 1014).
Riprendendo il tema della sessualità e dell’aggressività, Greenberg sostiene che Bleger discute il suo privilegio motivazionale. Comprendere tanto la sessualità quanto l’aggresività dalla loro inclusione nella totalità, come sostiene Bleger nel suo lavoro, riformula il loro statuto. La visione di Bleger, sostiene l’autore, risuona con le critiche di Fairbairn o Kohut. Ma, continua, il punto di arrivo di Bleger è diverso: per lui la sessualità è una delle vicissitudini della gestalt nella quale Bleger dà priorità alle angosce psicotiche.
Ciò che è notevole di questo lavoro, conclude Greenberg, è sia che i suoi temi sono universali quanto, d’altra parte, che siano propri di quella particolare e creativa comunità rioplatense dalla quale emergono.
Commento personale
In primo luogo vorremmo segnalare l’importanza che ha, a nostro modo di vedere, la rilettura degli psicoanalisti creativi di diverse latitudini che ci offre questa sezione dell’IJP. Siamo convinti del fatto che la conoscenza della storia concettuale e situazionale della psicoanalisi aiuti a far sì che la problematizzazione dei suoi concetti abbia oggi consistenza e ricchezza. Inoltre troviamo molto soddisfacente, soprattutto, il recupero di pensatori del Rio della Plata che svilupparono un pensiero originale e personale grazie alle libertà che, tra le altre cose, permette l’abitare nelle periferie dei centri di potere.
Il lavoro di Bleger, come sergnala Greenberg, è più un manifesto che un argomento. La sua brevità forze ciò che Freud denoiminava la “esposizione dogmatica” delle sue idee (1940). Ma incontriamo questi argomenti già in un suo libro del 1958 così come nell’insieme della sua opera. Intento ambizioso, quest’ultima, come segnala Ricardo Bernardi (2009), poiché dirige le sue energie e inquietudini verso aree molto differenti: la psicoanalisi, l’ambito istituzionale così come la sua partecipazione attiva nelle questioni sociali e nelle politiche nazionali o di indole identitaria (vedasi le sue parecipazioni al Congresso Ebraico Mondiale o le sue riflessioni sulla situazione in Medio Oriente). Bleger era un uomo che affrontava le sfide, che affrontava gli stereotipi –sociali, istituzionali e del pensiero (come mostra in questo lavoro)- e solamente una morte prematura –aveva solo 50 anni- gli impedì un maggiore sviluppo.
Il lavoro che ci impegna e i commenti di questi psicoanalisti di spicco ne è una chiara manifestazione: il clinico, il teorico, l’istituzionale e l’espistemologico si articolano in ciò che definerei un “linguaggio dell’epoca” che oggi, forse, è poco indicativo per alcuni lettori. Il mio utilizzo dell’espressione “linguaggio dell’epoca” non ha niente di peggiorativo, al contrario. Penso che articoli questioni che oggi hanno un grande valore sebbene la terminologia in uso sia diversa.
Metterei in evidenza solo alcune questioni che questi lavori mi hanno suscitato, centrandomi fondamentalmente sui commenti al lavoro di José Bleger.
In primo luogo vorrei segnalare che tanto Faimberg come Greenberg evidenziano l’opposizione che fa Bleger tra “teorie esplicite” e “teorie implicite” in psicoanalisi. Ambedue, in nota, accennano al testo di Sandler del 1983 nel quale si utilizza questa opposizione. Tuttavia credo interessante chiarire che gli usi che ne fanno l’uno e l’altro, Bleger e Sandler, hanno delle differenze. Già solamente richiamare l’attenzione su questo fatto ha un effetto di ampliamento di prospettiva e di discussione che è interessante in se stesso.
Sandler propone l’uso più comune che oggi ha questa differenza. Tutti sappiamo che nella comunità analitica convivono differnti forme di comprendere tanto il funzionamento psichico quanto la situazione clinica; ma Sandler va più in là di questa costatazione: afferma che gli psicoanalisti, in forma inconscia, assumono determinati modi di stare nella clinica, di lavorare, che sono organizzati da teorie implicite o private e che molte volte, anche se non intenzionalmente, non le esponiamo perché non considerate abbastanza “kosher”, come dice Sandler, cioè, “pure”, che non si accordano a quella teoria ufficiale, esplicita e pubblica che un detemrinato individuo o gruppo sostiene. Così, afferma Sandler, “Ho la ferma convinzione che la ricerca delle teorie implicite o private degli psicoanalisti clinici apra una grande nuova porta nella ricerca psicoanalitica” (1983, p. 38).
Da parte sua, l’opposizione che rileva Bleger ha un altro fine poiché si rivolge, credo di capire, ad una certa universalità che deriverebbe dalla stessa pratica della psicoanalisi. Per Bleger, la clinica psicoanalitica mette in evdenza, come lui sostiene, il carattere bipersonale o relazionale di detta pratica, la sua essenza drammatica, e questo va al di là, per come lo capisco io, delle teorie implicite che ciascun analista può avere nel portare avanti un trattamento. Ci sarebbe un “implicito” della pratica psicoanalitica stessa che veniva negato, disconosciuto, nelle formulazioni teoriche di ciò che lì stava accadendo. Questa tesi è totalmente coerente con le critiche di Bleger alle diverse mitologie (1958, 1973) che molte volte accompgnano le teorizzazioni. Ricordiamo la tripla mitologia che non cessava di denunciare: il mito dell’uomo naturale, dell’uomo isolato o dell’uomo astratto.
In secondo luogo mi è sembrato interessante come ambedue gli autori, in modi differenti, mettono in relazione il lavoro di Bleger con psicoanalisti che hanno sviluppato il proprio pensiero in ambito americano. Faimberg suggerisce un’articolazione, che trovo molto affascinante, tra il pensiero di Bleger e quello di Hans Loewald, in relazione all’opposizione tra sistema chiuso e sistema aperto. Bleger sostiene, nella citazione estratta da Faimberg, che è necessario partire dall’idea di “partecipazione” nel mondo come fenomeno originario, ossia, che l’essere umano inizia come parte di un “sistema aperto” che si personalizza gradualmente. Da parte sua, Loewald, dall’inizio dei suoi lavori (1949), richiamò l’attenzionesulla necesità di intendere il narcisisimo primario come uno stato di indifferenziazione tra il bambino ed il suo mondo che, progressivamente, si va differenziando. La sua successiva idea di “densità primaria” cercherà di dare conto dell’origine della relazione d’oggetto discriminata a partire da questo “sincretismo” primario, per usare l’espressione di Bleger. Certo, ci sono stati molti altri autori che affrontarono questi problemi in sintonia con queste formulazioni: Winnicott o Balint, solo per citarne alcuni. Continuo a pensare che il segno più chiaro in Bleger sia il pensiero di Fairbairn, considerato oggi come il più rigoroso e raffinato rappresentante di una teoria delle relazioni oggettuali non istintivista. Nella sua opera incontriamo anche l’opposizione tra sistema aperto e chiuso (quello della nevrosi, secondo lui), che gli permette di partire da un concetto di “identificazione primaria” [inteso] come indifferenziazione soggetto-oggetto, che Bleger usa nel suo libro “Simbiosi e ambiguità”. Non possiamo non segnalare, tuttavia, l’influenza di M. Malher nell’opera blegeriana, soprattutto della sua idea di “simbiosi”, discutendo poi Bleger l’idea di “autismo primario” di questa autrice. Questo insieme di riferimenti permisero a Bleger, probabilmente, di uscire da ciò che lui riteneva fossero i “sistemi chiusi” del kleinismo della sua epoca.
Da parte sua, Greenberg, ci consente di scrutare gli sforzi che negli Stati Uniti si facevano, nello stesso periodo, per far fuoriuscire la psicoanalisi dall’“istintivismo”, dall’astrazionismo (metapsicologia) o dall’isolamento unipersonalista. Gli esempi più rilevanti sono la Psicoanalisi interpersonale (ricordiamo che negli anni 70 erano già stati pubblicati da qualche tempo autori come Edgar Levenson o Benjamin Wolstein), Georges Klein o Roy Schafer –solo per citare i più rilevanti.
In terzo luogo vorrei insistere nel riferimento a Racker che ha fatto Greenberg. Allude al concetto di “mito della situazione analitica” che pone nei sui “Studi di tecnica psicoanalitica” (Liberman A., 2007). Questo “mito” che la comunità analitica sosteneva, secondo Racker, per differenti ragioni vincolate all’esercizio del potere e a quello nevrotico, è articolato, a sua volta, con l’altra serie di “miti” che Bleger sviluppò.
Per mito intendiamo, qui, una credenza o un sistema di credenze che, come Freud disse in relazione al feticismo, è basato sulla negazione e sulla scissione. Questa mitologia include tanto “ideali irreali infantili”, ossia la difficoltà ad accettare di “essere bambini e nevrotici pur essendo adulti e analisti” (Racker, p. 228), come un certo ideale “ossessivo” di oggettività, ironizza Racker, inteso come esclusione della soggettività, che traduce il “mito dell’analista ‘senza angoscia e senza rabbia’”; per ultimo –per non citare che un altro mito ricorrente- quello che M. Little denominò il “mito dell’analista impersonale” (1950).
Vediamo come Racker definisce il mito della situazione analitica:
“Se si vuole considerare il “mito della situazione analitica”, si potrebbe iniziare deicendo che l’analisi è una questione tra un malato e un sano. La realtà è che è una questione tra due personalità il cui Io viene pressato dall’Es, dal Super Io e dal mondo esterno, ciascuno con le proprie dipendenze interne e esterne, angoscie e difese patologiche, ciascuno, altresì, un bambino con i propri genitori interni, e rispondendo, tutta questa personalità tanto dell’analizzato come dell’analista, a ciascuno degli accadimenti della situazione analitica” (p. 230-231).
Racker riprende, in una nota a pié di pagina, un altro fattore presente sul disconoscimento di questa situazione: i residui dell’ordine patriarcale che agiscono in un certo modo per costruire lo spazio analitico. Tuttavia, lo smontaggio o la decostruzione di questo ordine non comporta, necessariamente, la confusione tra mutualità e simmetria. Qualche anno fa L. Aron (1996) sviluppò ampliamente questo assunto e sostenne la necessità di differenziare ambedue i concetti. Mentre la mutualità, in termini di impatto e regolazione reciproca, è parte inerente della situazione analitica, anche l’asimmetria o “dissimmetria” –come la chiamano i Baranger- in termini funzionali lo è. Tornando alla definizione di Racker, abbiamo definito in precedenza che ciò che è negata, nel mito della situazione analitica, è la dimensione interattiva e bipersonale che le è propria. Questa negazione è stata una delle caratteristiche più salienti della storia della psicoanalisi (Mitchell, 1997). Riconoscendo l’inevitabilità di questa dimensione e, pertanto, la reciproca influenza nel processo analitico, permette che, come sostiene Mitchell, “… ne maneggiamo l’effetto in modo più responsabile quando riflettiamo su di esso, apertamente, dentro noi stessi e, in momenti molto importanti, con i pazienti (2000, la traduzione è mia).
In quarto luogo vorrei segnalare un aspetto dei progetti istituzionali di Bleger: la costituzione di un istituto di insegnamento per coloro che, per diverse ragioni, non vogliono o non possono fare la propria formazione nell’Istituto di Psicoanalisi dell’Associazione Psicoanalitica Argentina (allora si ammettevano solamente medici, e non gli psicologi). Insieme ad altri quattro psicoanalisti (Jorge Canestri, Cecilia Millonschik, Emilce Dio Bleichmar e Hugo Bleichmar) si decise di creare una scuola di formazione psicoanalitica. Il progetto avanzò, si delinearono i criteri fondamentali dell’insegnamento da sviluppare, si elesse un nome per la scuola (“Dianoia”, in greco: “ragione discorsiva”, che è l’acquisizione della conoscenza per mezzo della ragione rispetto a presunte consocenze acquisite in forma intuitiva e immediata). Si raggiunse anche la fase in cui era pronta la pubblicità per annunciare la scuola ma il progetto si fermò a quel punto a causa di problemi di rapporto istituzionale con l’Associazione Psicoanalitica Argentina. (Comunicazione personale di Hugo Bleichmar a Ariel Lieberman).
Infine, vorrei concentrarmi sugli stili e le forme che hanno avuto i commenti del testo. Presentiamo, prima, questi due rinomati psicoanalisti per coloro che non li consocono. Jay Greenberg è un’analista di formazione (didatta) e supervisore del William Alanson White Institute. Questo istituto fu la culla della psicoanalisi interpersonale dalla quale sono nati molti dei più influenti psicoanalisti relazionali contemporanei (vedasi Stephen A. Mitchell, amico personale e co-autore di Greenberg nel 1983. Da parte sua Haydée Faimberg è un’analista di formazione e supervisore della Società Psicoanalitica di Parigi, appartenente all’IPA. La sua formazione analitica inizia a Buenos Aires, ciò che lascerà un’impronta e un’interazione permanente nella sua opera, e, successivamente, si sviluppa a Parigi negli ultimi decenni.
Nel lavoro di Greenberg abbiamo una lettura molto attuale del pensiero di Bleger. Sensibile agli sviluppi del pensiero relazionale, vede nella sua opera un illustre antenato poco conosciuto negli ambienti di lingua inglese. Il testo è chiaro, dà priorità al contesto storico del pensiero di Bleger –probabilmente molto più accessibile a lui per l’impatto che ha avuto, al tempo, il libro di Racker negli USA- soprattutto sui mezzi di comunicazione interpersonale- e per le recenti traduzioni che l’IJP e altri stanno facendo dei testi dei Baranger. Il suo paragone con gli sviluppi americani ci sembrano interessanti e, anche, la capacità di cogliere l’originalità del pensiero rioplatense. Probabilmente molto di questo stile, oltre ad essere una qualità di scrittura, risponde ad una maggior distanza personale dal pensiero di Bleger, se si considera il testo.
Da parte sua il testo di è pieno di ciò che vorrei chiamare “lisci” o “ambivalenze”, sicuramente dovute ad una lunga storia di controversie, esterne o interne, con l’opera di José Bleger (come probabilmente le mie con il suo pensiero). Nonostante sia un testo che risalta alcune caratteristiche senza dubbio centrali del pensiero di Bleger, l’impressione del lettore –la mia, in ogni caso- è che ha molto da discutere con lui ma che, in questo testo, mette in sordina l’argomento poiché non è il luogo ideale per discuterlo o che la brevità dell’esposizione non le permette di toccare questo o quel tema. Ho rivisto, nella mia lettura di questo breve testo, sette argomenti di questo tipo che impediscono un possibile sviluppo in luoghi che, a mio avviso, risultavano significativi in quanto erano i temi più polemici o più rivelatori di una posizione critica di Faimberg verso il pensiero di Bleger. Ne segnalerei uno che mi è risultato particolarmente curioso: a p. 984 riferisce che Bleger afferma che il progetto di Freud è soggetto e inscritto dentro un modello naturalista ma segnala anche che c’è un altro Freud in contraddizione con questo approccio. In una nota Faimberg ci racconta, come comunicazione personale, che nel marzo 1972, Bleger “progettava di realizzare un seminario per tornare a leggere Freud da altre prospettive”. Questa è la ragione, suggerisce l’autrice, per la quale ometterà ciò che Bleger scrive in questo e altri lavori sui concetti di Freud. Credo che questa nota mi colpì per varie ragioni: da un lato, perché non riesco a capire il fatto di non discutere un tema perché si pensa che l’autore in questione avrebbe detto che avrebbe realizzato un seminario, ecc. Bleger, di fatto, nella sua opera scritta, ha detto molto, ha dibattuto molto e salvato molto del pensiero di Freud, e difficilmente penso che ci incontreremmo con un Freud che, e questa è la mia impressione fondamentale, fosse più in sintonia con Faimberg o che gli permetta di accordarsi maggiormente con la lettura che fece Bleger. D’altro lato, mi ha colpito come trascuri la forte discussione della metapsicologia freudiana che realizza Bleger.
Penso che Bleger sia più vicino a Laplanche quando quest’ultimo sosteneva che l’opera di Freud è piena di contraddizioni, come l’opera di tutti i grandi pensatori, che ci sono vari Freud e che, sulla base di un lavoro rigoroso sulla sua opera, si dovrebbero fare “elezioni” [“scelte”], queste ultime, senza dubbio e inevitabilmente, aggiungo, a seconda dei nostri interessi e problemi attuali. In questo senso penso che ubicare un autore nel suo contesto storico di produzione non ci impedisce di incontrare risonanze, chiavi di lettura e aperture per il nostro pensiero attuale.
Bibliografía
Aron, L. (1996). A Meeting Of Minds. Hillsdale, Nj: Analytic Press.
Bernardi, R. (2006), “El itinerario de José Bleger: caminos abiertos”. Jornada de Homenaje al Dr. José Bleger, 17-18 de Noviembre, Buenos Aires, Facultad de Psicología de la Universidad de Buenos Aires (UBA).
Bleger J. (1958). Psicoanálisis y Dialéctica Materialista. Buenos Aires. Paidós.
Bleger J. (1967). Simbiosis y ambigüedad. Estudio Psicoanalítico. (4ª ed.) Buenos Aires: Paidós.
Bleger J. (1969). Teoría y práctica en psicoanálisis. La praxis psicoanalítica.Revista Uruguaya de Psicoanálisis, XI, 287-303. También publicado en: Revista de Psicoanálisis, 2003, LX, 4, 1191-1104.
Bleger J. (1973). La Asociación Psicoanalítica Argentina, el psicoanálisis y los psicoanalistas. Revista de Psicoanálisis, XXX, 515-528.
Greenberg, J. And Mitchell, S.A. (1983). Object Relations In Psychoanalytic Theory. Cambridge, Ma/London: Harvard Univ.Press
Klein, G. S. (1970). ¿Dos teorías o una? Perspectiva para el cambio en la teoría psicoanalítica. Revista de Psicoanálisis, XXVII, 553-594.
Levenson, E. (1972) The Fallacy of Understanding, New York, Basic Books.
Liberman, A. (2007) Algunas contribuciones de H. Racker y M. y W. Baranger a la tradición del Psicoanálisis Relacional, CeiR, Vol 1 (2), diciembre
Loewald, H (1949-51) Ego and Reality, en The Essential Loewald, 2000, Maryland, University Publishing Group,.
Mitchell, S. A. (1997). Influence And Autonomy In Psychoanalysis.Hillsdale, Nj:Analytic Press
Politzer, G. (1928) Critique des Fondements de la Psychologie, Paris, PUF (edición de 1967).
Racker, H. (1960). Estudios Sobre Técnica Psicoanalítica. Buenos Aires : Paidós.
Sandler, J. (1983). Reflections on some relations between psychoanalytic concepts and psychoanalytic practice. Int.J.Psychoanal., 64, 35-45.
(pubblicato nella rivista n° 043 di “aperturas psicoanaliticas” – revista intenracional de psicoànalisis, www.aperturas.org. Il titolo originale dell’articolo è “El pensamiento dialectico de José Bleger” e la traduzione dallo spagnolo è ad opera di Lorenzo Sartini)
Con il Bilancio Sociale Aggregato, le aziende partecipanti, associate a Unindustria Rimini, vogliono informare in modo trasparente tutti gli associati, le istituzioni e l'opinione pubblica sulla propria mission, sui valori nei quali credono e sulle attività coerenti con le attese degli attori sociali del territorio. Per questo Target Sinergie ha rinnovato la sua convinta adesione a questo strumento di trasparenza e comunicazione della Responsabilità sociale d'impresa. E' infatti questo il secondo anno di partecipazione allo strumento varato da Unindustria Rimini, che è stato presentato all'incontro del 3 dicembre, "Internazionalizzare per crescere", che ha chiuso il ciclo delle celebrazioni per il settantesimo di Unindustria Rimini.
L'incontro è stato scandito dagli interventi di Paolo Maggioli, presidente Confindustria Romagna e Pres. Unindustria Rimini, Andrea Gnassi sindaco e presidente Provincia di Rimini, Sido Bonfatti presidente Carim, Patrizio Bianchi assessore Scuola, Formazione Professionale, Università e Ricerca, Lavoro – Regione Emilia Romagna, Licia Mattioli presidente Comitato tecnico per l’internazionalizzazione e gli investitori esteri di Confindustria, Paola Giuri Professoressa e Responsabile dell’Unità organizzativa del Dipartimento di Scienze Aziendali Università di Bologna – Campus di Rimini.
Al Bilancio Sociale Aggregato del 2015 (elaborato su dati riferiti al 2014) hanno partecipato 29 aziende che contano 7.660 dipendenti e 2.200 milioni di fatturato. Il Valore Aggiunto globale netto 2014 supera i 572 milioni di euro. La remunerazione del personale: nel 2014 è stata di oltre 376 milioni di euro. La remunerazione della P.A., che non è altro che le tasse pagate rileva che le imprese hanno versato all’erario oltre 73 milioni di euro. Un dato che evidentemente sfata l’opinione che le imprese, specialmente quelle grandi, non paghino le tasse.
Analizzando il numero dei lavoratori, l’84% dei dipendenti risulta assunto con contratto a tempo indeterminato (di cui il 94% a full-time). Persiste da parte delle imprese aderenti al progetto la volontà di investire: nelle proprie persone: in formazione e sicurezza, con impegno crescente rispetto al 2013, in ricerca e sviluppo; nello sviluppo dell’internazionalizzazione e dell’innovazione; nel mantenimento – e in diversi casi nel rinnovo – degli impianti, delle attrezzature e della tecnologia nel rispetto di precise politiche ambientali.
Durante l'incontro, Unindustria ha presentato la ricerca “Internazionalizzare per crescere” realizzata dall'Università di Bologna-Campus di Rimini sui dati delle indagini export-internazionalizzazione elaborate da Unindustria Rimini nel tempo grazie al contributo di Banca Carim, rileva che le imprese campione impegnate in attività di import ed export, sono passate da 69 nel 2005 a 169 nel 2015. Le aziende esportatrici sono cresciute da 63 a 151 e quelle importatrici da 41 a 116.
Il 14% delle imprese esporta in modo persistente in tutto il periodo analizzato, mostrando anche un aumento dell’intensità delle esportazioni ed una vocazione marcatamente internazionale. Soprattutto le più piccole, rappresentano esportatori occasionali o che si affacciano per la prima volta sui mercati internazionali. Le imprese più piccole tendono ad esportare in pochi paesi, anche a causa dell’elevato rischio ed investimento associato a nuovi processi di internazionalizzazione.
Il numero di imprese che esporta in pochi paesi (da 1 a 5) è piuttosto elevato ed aumenta nel tempo in particolar modo nel 2014 e 2015, passando da meno di 50 imprese fino al 2010 a oltre 90 imprese nel 2015.
Le aziende stanno allargando L’ORIZZONTE GEOGRAFICO delle esportazioni aprendosi verso i principali Paesi emergenti, anche se distanti geograficamente e culturalmente. Restano preponderanti le esportazioni in Europa occidentale e dell’Est (in particolare Germania, Francia e Spagna - rispetto al 2005 Germania e Francia si scambiano la prima posizione). Seguono Asia, Stati Uniti e Russia. Rispetto al 2005 nelle prime dieci posizioni nel 2015 entrano Belgio, Cina, Olanda ed Emirati Arabi.
GLI OSTACOLI maggiormente percepiti (tra il 50%-60% del campione negli anni) restano l'individuazione di partner stranieri. Seguono, per una quota importante di imprese che nel 2014 arriva al 42%, la complessità delle operazioni legali, burocratiche ed amministrative. Fra gli ostacoli finanziari e di supporto l’inadeguatezza delle risorse finanziarie e l’assicurazione al credito all’export rappresentano barriere ritenute rilevanti soprattutto nel periodo 2010-2014 da oltre il 25% delle imprese.
Fondamentale l'importanza dell'esperienza sul campo, del fare sistema: dai risultati sulla percezione degli ostacoli e la necessità dei servizi ritenuti prioritari dalle imprese si può ritenere che le aziende abbiano acquisito esperienza nei processi di internazionalizzazione, e allo stesso tempo che il lavoro fatto da istituzioni ed associazioni territoriali come Unindustria Rimini, abbiano fornito servizi sempre più utili ed efficaci per l’apertura ai mercati internazionali delle imprese del territorio.
unindustria_rimini_bilancio_sociale_aggregato_15.jpg Notizie CSRCon il Bilancio Sociale Aggregato, le aziende partecipanti, associate a Unindustria Rimini, vogliono informare in modo trasparente tutti gli associati, le istituzioni e l’opinione pubblica sulla propria mission, sui valori nei quali credono e sulle attività coerenti con le attese degli attori sociali del territorio. Per questo Target Sinergie ha rinnovato la sua convinta adesione a questo strumento di trasparenza e comunicazione della Responsabilità sociale d’impresa. E’ infatti questo il secondo anno di partecipazione allo strumento varato da Unindustria Rimini, che è stato presentato all’incontro del 3 dicembre, “Internazionalizzare per crescere”, che ha chiuso il ciclo delle celebrazioni per il settantesimo di Unindustria Rimini.
L’incontro è stato scandito dagli inetrventi di Paolo Maggioli, presidente Confindustria Romagna e Pres. Unindustria Rimini, Andrea Gnassi sindaco e presidente Provincia di Rimini, Sido Bonfatti presidente Carim, Patrizio Bianchi assessore Scuola, Formazione Professionale, Università e Ricerca, Lavoro – Regione Emilia Romagna, Licia Mattioli presidente Comitato tecnico per l’internazionalizzazione e gli investitori esteri di Confindustria, Paola Giuri Professoressa e Responsabile dell’Unità organizzativa del Dipartimento di Scienze Aziendali Università di Bologna – Campus di Rimini.
Al Bilancio Sociale Aggregato del 2015 (elaborato su dati riferiti al 2014) hanno partecipato 29 aziende che contano 7.660 dipendenti e 2.200 milioni di fatturato. Il Valore Aggiunto globale netto 2014 supera i 572 milioni di euro. La remunerazione del personale: nel 2014 è stata di oltre 376 milioni di euro. La remunerazione della P.A., che non è altro che le tasse pagate rileva che le imprese hanno versato all’erario oltre 73 milioni di euro. Un dato che evidentemente sfata l’opinione che le imprese, specialmente quelle grandi, non paghino le tasse.
Analizzando il numero dei lavoratori, l’84% dei dipendenti risulta assunto con contratto a tempo indeterminato (di cui il 94% a full-time). Persiste da parte delle imprese aderenti al progetto la volontà di investire: nelle proprie persone: in formazione e sicurezza, con impegno crescente rispetto al 2013, in ricerca e sviluppo; nello sviluppo dell’internazionalizzazione e dell’innovazione; nel mantenimento – e in diversi casi nel rinnovo – degli impianti, delle attrezzature e della tecnologia nel rispetto di precise politiche ambientali.
Durante l’incontro, Unindustria ha presentato la ricerca “Internazionalizzare per crescere” realizzata dall’Università di Bologna-Campus di Rimini sui dati delle indagini export-internazionalizzazione elaborate da Unindustria Rimini nel tempo grazie al contributo di Banca Carim, rileva che le imprese campione impegnate in attività di import ed export, sono passate da 69 nel 2005 a 169 nel 2015. Le aziende esportatrici sono cresciute da 63 a 151 e quelle importatrici da 41 a 116.
Il 14% delle imprese esporta in modo persistente in tutto il periodo analizzato, mostrando anche un aumento dell’intensità delle esportazioni ed una vocazione marcatamente internazionale. Soprattutto le più piccole, rappresentano esportatori occasionali o che si affacciano per la prima volta sui mercati internazionali. Le imprese più piccole tendono ad esportare in pochi paesi, anche a causa dell’elevato rischio ed investimento associato a nuovi processi di internazionalizzazione.
Il numero di imprese che esporta in pochi paesi (da 1 a 5) è piuttosto elevato ed aumenta nel tempo in particolar modo nel 2014 e 2015, passando da meno di 50 imprese fino al 2010 a oltre 90 imprese nel 2015.
Le aziende stanno allargando L’ORIZZONTE GEOGRAFICO delle esportazioni aprendosi verso i principali Paesi emergenti, anche se distanti geograficamente e culturalmente. Restano preponderanti le esportazioni in Europa occidentale e dell’Est (in particolare Germania, Francia e Spagna – rispetto al 2005 Germania e Francia si scambiano la prima posizione). Seguono Asia, Stati Uniti e Russia. Rispetto al 2005 nelle prime dieci posizioni nel 2015 entrano Belgio, Cina, Olanda ed Emirati Arabi.
GLI OSTACOLI maggiormente percepiti (tra il 50%-60% del campione negli anni) restano l’individuazione di partner stranieri. Seguono, per una quota importante di imprese che nel 2014 arriva al 42%, la complessità delle operazioni legali, burocratiche ed amministrative. Fra gli ostacoli finanziari e di supporto l’inadeguatezza delle risorse finanziarie e l’assicurazione al credito all’export rappresentano barriere ritenute rilevanti soprattutto nel periodo 2010-2014 da oltre il 25% delle imprese.
Fondamentale l’importanza dell’esperienza sul campo, del fare sistema: dai risultati sulla percezione degli ostacoli e la necessità dei servizi ritenuti prioritari dalle imprese si può ritenere che le aziende abbiano acquisito esperienza nei processi di internazionalizzazione, e allo stesso tempo che il lavoro fatto da istituzioni ed associazioni territoriali come Unindustria Rimini, abbiano fornito servizi sempre più utili ed efficaci per l’apertura ai mercati internazionali delle imprese del territorio.
Su Csr news, la newsletter del Consorzio Sociale Romagnolo, è stata pubblicata l'intervista a Simone Vezzali, presidente della cooperativa sociale In Opera, nonché direttore del personale del gruppo Target Sinergie.
Simone Vezzali, presidente della cooperativa In Opera dal 2011: dopo oltre un anno dell’insediamento del nuovo CdA del CSR, può raccontare quali sono le sue sensazioni rispetto al lavoro che viene svolto dal CSR e sull’importanza del suo ruolo?
In quest’ultimo anno è cambiata la configurazione del CSR, sicuramente grazie al fatto che c’è stato un ricambio generazionale nel CdA, un passaggio che ha generato la necessità di creare una direzione operativa più strutturata e più dinamica. Questo cambiamento è stato un bene perché ci ha permesso di supportare adeguatamente la trasformazione del CSR da ambito territoriale riminese all’Area Vasta Romagnola. Il dinamismo della direzione ha permesso di superare le difficoltà che potevano derivare dalla poca conoscenza delle nuove realtà aggregate.
Ora il CSR con l’ingresso delle nuove cooperative del ravennate e del forlivese si è ampliato decisamente, assumendo i contorni di consorzio di Area Vasta: cosa ne pensa di questo allargamento?
Il CSR è una grande opportunità, che è nata dall’aver colto una necessità: un soggetto di area vasta per competere nelle gare del sociale. Era Romagnolo di nome, ora lo è anche di fatto, e ha avuto un suo primo battesimo sul terreno di bandi di ampio respiro. Se ci fermiamo però a questo solo ambito, rischiamo di perdere la vera opportunità che è la creazione di un soggetto davvero portatore di contenuti sociali di portata molto più complessa, che travalicano i confini ristretti ai quali siamo abituati come singole cooperative. Come fare a sfruttare la nostra opportunità ed essere portatori di nuovi contenuti? Di sicuro continuando il lavoro dei gruppi tematici – commerciale pubblico e privato, comunicazione, inserimenti lavorativi – aggirando il rischio di non portarli avanti con la dovuta continuità. Faccio un po’ di autocritica, su questo. Ma sono conscio che avere tante forze fresche e punti di vista nuovi possono darci nuova linfa e contenuti da elaborare: non possiamo perdere le nuove opportunità che ci donano i colleghi romagnoli appena entrati.
Quali sono le sfide più importanti che secondo lei il CSR ha davanti a se’?
Per la sua esistenza il CSR ha bisogno di affrontare il mercato sempre di più con professionalità. E’ quello che ci chiedono i nostri clienti sia pubblici sia privati. Ma occorre farlo senza “far fuori” la nostra identità sociale. Questo significa che occorre investire in ambito formativo, progettuale, comunicativo.
Su cosa sta lavorando oggi In Opera?
Stiamo lavorando a un allargamento della base sociale, che significa però anche un maggior coinvolgimento dei soci. E registriamo anche un andamento molto altalenante dell’occupazione. Territorialmente abbiamo cambiato il nostro target di lavori, i luoghi dove avevamo concentrate le commesse. Ora grazie a collaborazioni che abbiamo costruito, i nostri cantieri sono situati dall’Abruzzo alla Lombardia, un cambiamento che ci ha portati a un diverso e più duttile approccio organizzativo, oltre ad averci aperto a diverse esigenze sociali.
Qualche numero della cooperativa: quanti operatori e quanti diversamente abili?
Al primo dicembre 2015 dovremmo raggiungere i 100 lavoratori, di cui 47 appartenenti a categorie protette, il che ci porta a sfiorare il 50% di occupazione sociale. Sull’ampliamento a nuovi soci non posso essere preciso perché il processo è in corso, ma stiamo parlando di un aumento davvero significativo.
Tra i servizi della cooperativa, ne è nato qualcuno di nuovo particolarmente importante o diverso rispetto al passato che la qualifica in maniera interessante?
Abbiamo accresciuto notevolmente il nostro impegno rispetto alla gestione di servizi di tipo Cuptel sanitario, con partner incontrati sul nostro cammino con i quali abbiamo partecipato a gare di grande respiro. Questo ci ha permesso di partecipare a occasioni che prima non ci sognavamo nemmeno di guardare.
Come immagina il futuro della sua cooperativa?
Sempre più qualificata nella gestione dei servizi, ma sarebbe una prospettiva affascinante sviluppare nuovi progetti in ambito produttivo, penso alle occasioni legate alla natura o alla produzione agricola.
Adesso che il CSR è di area vasta, cosa cambia per in Opera?
Si aggiungono nuovi auspici: che le collaborazioni che abbiamo intrapreso possano diventare proficue anche con i nuovi soci del Consorzio Sociale Romagnolo.
simone_vezzali_direttore_hr_target_sinergie.jpg Dicono di noi NotizieDebutta a Oristano il Natale con i circa 800 dipendenti Target Sinergie (in tutta Italia) per scambiarsi gli auguri e i doni in allegria, anche quest'anno attraverso appuntamenti nelle città principali dove l'azienda riminese ha dei cantieri di logistica. Si comincia con la Sardegna, oggi alle 19,30 e domani alle 11,30, all'agriturismo Archelao (S.P. Fenosu Tiria - Podere 80, Loc. San Quirico), a Oristano, con i dipendenti impiegati presso la Marr e il pastificio Cellino. Poi si passa in Toscana, con la festa di domenica 13 dicembre alle 10,30, presso il Novotel in via Tevere 23, a Sesto Fiorentino, dove arriveranno i nostri collaboratori impiegati nelle strutture della GDO toscana, quelli impiegati nella sede Marr di Bologna e le operatrici impiegate presso l'Ausl di Siena.
I dipendenti della sede centrale di Rimini e dei cantieri abruzzesi e romagnoli si daranno appuntamento sabato 12 dicembre alle ore 19 al Circolo Parrocchiale Spadarolo Vergiano (via Marecchiese 293), Rimini, mentre in Campania l'appuntamento è mercoledì 16 dicembre alle ore 14, alla Country House (Via D’Annunzio 42) di Carinaro, dove festeggeranno i nostri collaboratori impiegati presso la Comifar, azienda di grande distribuzione farmaceutica. In Lombardia invece è in preparazione l'appuntamento natalizio: pochi dettagli da sistemare e presto comunicheremo luogo e data per i nostri collaboratori meneghini.
In attesa di vederci di persona, buon Natale e buone Feste.
invito_natale_dipendenti_15.jpg NotizieDebutta a Oristano il Natale con i circa 800 dipendenti Target Sinergie (in tutta Italia) per scambiarsi gli auguri e i doni in allegria, anche quest’anno attraverso appuntamenti nelle città principali dove l’azienda riminese ha dei cantieri di logistica. Si comincia con la Sardegna, oggi alle 19,30 e domani alle 11,30, all’agriturismo Archelao (S.P. Fenosu Tiria – Podere 80, Loc. San Quirico), a Oristano, con i dipendenti impiegati presso la Marr e il pastificio Cellino. Poi si passa in Toscana, con la festa di domenica 13 dicembre alle 10,30, presso il Novotel in via Tevere 23, a Sesto Fiorentino, dove arriveranno i nostri collaboratori impiegati nelle strutture della GDO toscana, quelli impiegati nella sede Marr di Bologna e le operatrici impiegate presso l’Ausl di Siena.
I dipendenti della sede centrale di Rimini e dei cantieri abruzzesi e romagnoli si daranno appuntamento sabato 12 dicembre alle ore 19 al Circolo Parrocchiale Spadarolo Vergiano (via Marecchiese 293), Rimini, mentre in Campania l’appuntamento è mercoledì 16 dicembre alle ore 14, alla Country House (Via D’Annunzio 42) di Carinaro, dove festeggeranno i nostri collaboratori impiegati presso la Comifar, azienda di grande distribuzione farmaceutica. In Lombardia invece è in preparazione l’appuntamento natalizio: pochi dettagli da sistemare e presto comunicheremo luogo e data per i nostri collaboratori meneghini.
In attesa di vederci di persona, buon Natale e buone Feste.
Ho apprezzato molto la sobrietà della manifestazione riminese. Una scelta non scontata e che in altri contesti – social ma sopratutto politici in ambienti lontani da me – non è stata utilizzata. Il cortocircuito di un simile caos di sangue, paure, notizie e pregiudizi in questo nostro tempo può innescare derive bestiali. Eravamo in molti a testimoniarne la non accettazione.
Scendevo in piazza dopo molto tempo, con il timore latente di trovarmi nel dejavù di mille e mille manifestazioni, i cui volti erano assimilati a questa o quella posizione. Mi ero riservato di non accettarlo, ritagliandomi una solitaria testimonianza in un angolo della nostra bella piazza, quasi uscita da un quadro di De Chirico. La porzione della mia città raggiunta dal tam tam ha scelto di rendere la dolorosa occasione un luogo di convergenza di umani intenti piuttosto che di differenze. Chi ha convocato cosa – corpi intermedi, istituzioni laiche e religiose, Movimento CL, partiti – è passato in secondo piano, chi ha parlato ha interpretato le indefinibili forme dello sgomento che ci ha portato a riunirci, collante di diversità talvolta contrastanti.
Mi ha fatto piacere, in questo contesto, il prefetto che ha testimoniato di portare la vicinanza del Governo. Sembra una frase fatta, ma a pensarci bene, quale era ieri il minimo comune denominatore delle tante entità in piazza? E poi il vescovo Francesco, che ha parlato di non arrendersi al nichilismo di una frase letta su un muro, «Produci consuma crepa». Probabilmente senza saperlo, ha citato IL gruppo punk italiano per eccellenza, CCCP, che nel 1986 invitava con la canzone Morire proprio a quel che auspicava ieri. Come diceva Calvino, un classico “non ha finito di dire quel che ha da dire”.
Argomenti: Luoghi:Il dott. Giovanni Benaglia e l’avv. Davide Grassi parteciperanno, in qualità di relatori, al convegno dal titolo “Responsabilità civili e penali degli amministratori e del collegio sindacale in caso di fallimento o crisi aziendale”. Il convegno, organizzato da Legacoop Romagna, Rete servizi Romagna, Federcoop, Coopservizi e Contabilcoop, si terrà il giorno 20 novembre 2015 dalle ore 15 alle 19 presso la sala ROMOLO BIANCHI, in via Caduti di Marzabotto 40 a Rimini. L’obiettivo è quello di fornire agli amministratori delle cooperative e delle società in genere gli strumenti per capire le responsabilità personali a cui vanno incontro quotidianamente.
“La realtà economica di questi anni ci ha messo sotto gli occhi il fatto che le società e le cooperative falliscono sempre più spesso”, spiega Giovannni. Benaglia “Le conseguenze per gli amministratori sono identiche sia che si tratti di multinazionali o di piccole società a conduzione familiare. Anche se si è in buona fede, non tutti sono consapevoli delle responsabilità patrimoniali e penali a cui si va incontro”.
Il dottor Benaglia relazionerà sulla disciplina della responsabilità civile di amministratori e sindaci revisori mentre l’avvocato Grassi sui reati fallimentari quali bancarotta semplice, documentale e fraudolenta. Gli altri relatori del corso saranno il dott. Luca Grossi, commercialista riminese, che relazionerà sulla disciplina della responsabilità degli amministratori e del collegio sindacale per le società che adottano il modello ex D. Lgs 231/01 e il dott. Massimo Albore, notaio a Rimini, che interverrà illustrando la disciplina dei trust e dei fondi patrimoniali.
Il convegno è gratuito ed è aperto a tutti.
Notizie ImpreseOggidi Alejandro Scherzer
I) Il mio vincolo con il Grande Maestro: E. Pichon Rivière.
Alla fine del 2006, Ana M. Pampliega ha avuto la cortesia di invitarmi al tributo realizzato dalla 1° Scuola di Psicologia Sociale della Repubblica Argentina e la A. P. S. R. A. (Associazione degli Psicologi Sociali della Reppublica Argentina) in occasione della commemorazione, nel giugno 2007, dei 100 anni di Pichon Rivière.
Si celebravano anche i 50 anni della Psicologia Sociale Argentina e i 40 anni della fondazione della Scuola. Di fronte a questo onore, accettai subito.
Inoltre, ci chiese, anche ad altri colleghi, un breve contributo da divulgare prima dell’evento per pubblicarlo sul sito web della Scuola.
In quell’occasione, ho voluto far conoscere un aspetto del mio rapporto con il Grande Maestro: da un sogno con Pichon Rivière.
Quello che leggete in seguito, è stato inviato come risposta alla richiesta fatta.
Per: caballeroandanteEPR@orillasdelplata.com
C.C: a pag. Web Omaggio a Pichon Rivière
Oggetto: dall’altra parte del fiume (Rivière).
Stimato Pichon Rivière, caro Maestro:
È con grande emozione che mi metto in contatto con Lei dopo più di trent’anni.
Grazie alla sensibilità di Ana Quiroga e di Joaquín P. R., ho avuto il Suo nuovo indirizzo di posta elettronica e so, per certo, che solo pochissime persone lo conoscono.
Sono quell’uruguaiano che, nel 1975, lasciò a casa Sua i miei primi scritti che mi legano alla Psicologia Sociale che Lei fondò –insieme ad altri “hidalgos” che l’hanno seguita, ispirati nelle “Strategie Terapeutiche” e nell’ “Approccio Pluridimensionale”.
Racconto spesso il lapsus che ho avuto quando abbiamo parlato al telefono alcuni giorni dopo. Volevo sapere il parere che meritavano i miei lavori e, volendo dire che ero uno grandemente dedito alle sue idee, ho detto che ero ““un gran adicto” (tossicomane) delle sue idee”. Sono stato molto preoccupato per un po’ di tempo, per questo lapsus, pensando come avrebbe Lei preso quelle parole. Più tardi ho capito che era stata la cosa migliore che Lei avrebbe potuto sentire da un giovane uruguaiano appena laureato in Psicologia Sociale, dalla Sua Scuola e dall’altra parte del fiume.
Avendo il privilegio di conoscere la Sua posta elettronica, invio questa mail per congratularmi con Lei con tutto me stesso, per questi anniversari così importanti: Il Suo e quello della Sua Scuola. E colgo l’occasione per raccontarLe che ho provato, insieme ad altri, a portare avanti, con una certa originalità, le Sue idee, nel mio paese. È stato da quando Bauleo, un precursore, un altro Grande Maestro, nel 1967 – sempre 40 anni fa-, arrivò a questa riva del “Plata”. Abbiamo un altro compleanno da festeggiare come può vedere. So che, pur essendo così impegnato a scrivere nuovi argomenti ed essendo un viaggiatore itinerante del mondo, vorrei presentarLe alcuni dei miei contributi. Così come continuo a pensarli, come cerco di risolverli alla luce della pratica. Sempre dalla pratica. Pichon, il Suo pensiero è vivo. A Montevideo noi diciamo: “Vivo e vegeto”. Non so se lei sa che, in uno degli omaggi che la Scuola Le organizzò, nel 2000, presentai un lavoro intitolato “Il pensiero vivo di EPR”, in un tavolo indimenticabile insieme a: Ana Quiroga, Fidel Moccio, Marcos Berstein, Alberto González.
ALEJANDRO SCHERZER
“Il pensiero di EPR, per noi, è un punto di riferimento…” dicevo all’inizio del lavoro, e ho sviluppato quello che per me è stato il suo maggior contributo nel campo della pratica clinica e gruppale: il concetto di EMERGENTE. E ho spiegato anche il perché. Non sono il suo ripetitore, neanche la suo eco. Mi sento un sostenitore e contribuisco allo Schema Aperto Pichoniano. Porto e apporto.
Tento di coniugare il suo pensiero, base della nostra pratica sociale in questo tempo. Coniugare, giocare con, estrarre il succo, per creare, per produrre strumenti, materie prime, per la pratica psicosociale. Con il peso degli anni, oso dirLe che la vedo come un “baqueano” nel mondo, un esperto nello sfidare le correnti avverse quando si è sulla barca.
Io mi vedo come un rabdomante nella mia terra, passo dopo passo, colpendo i due pezzi di legno -come fanno loro- per vedere in quale punto del terreno bisogna scavare per trovare, con alta probabilità, una sorgente d’acqua sotterranea. Come potrà vedere, quasi un medium, impegnando la mia energia in tutte le sue aree espressive.
Pichon –mi piace come soprannome rispettoso- preferisco non racchiudere la Psicologia Sociale definendola “Psicologia Sociale Pichoniana”, perché così finiremmo soltanto per ripetere le sue idee iniziali –geniali a quei tempi- ma rimanendo impantanati nel passato. Ancora di meno, ridurla a una Psicologia degli ambiti o a una Psicologia di gruppi operativi.
Preferisco chiamarla “Una Psicologia Sociale di Origine e Radice Pichoniana. La Psicologia Sociale Operativa (come altri preferiscono)”. Mi interessa sottolineare di più la radice anziché l’origine.
Pichon, il suo pensiero vivo è emancipazione. Decentra il soggetto dall’individualismo attraverso il gruppo. Collettivizza, rende coscienti, punta alla liberazione delle condizioni concrete quotidiane dell’esistenza. È in movimento! Non è più quello di prima, stava cambiando. Si è evoluto, è quello di adesso. Come molti dei suoi compatrioti dicono: “lui ci ha (E) arricchiti, (E) arricchendoci…”. È qui in giro, viene, sta con noi, dentro di noi, ci accompagna, ci sostiene.
Sa una cosa, aggiungerei –se qualcun’altro non l’ha fatto prima- che lei continua ad essere parte di ognuno di noi che ci siamo ispirati in quella fonte inesauribile e illimitata: “Enrique essendo noi…”
Senza false modestie, credo che ho imparato da lei a sviluppare un certo pensiero connettivo complementare, e ad aprirlo. Nelle mie produzioni c’è qualcosa di questo.
Voglio raccontarle qualcosa di incredibile che mi è capitato nel 2003.
Ho sognato con Lei.
Il sogno era così: lei era in piedi sul ciglio della porta di casa mia, un edificio di appartamenti, Vidal 715. Vestito con un gilet scuro, camicia bianca con maniche lunghe, pantaloni scuri, capelli bianchi, barba anche sul mento e baffi bianchi. Era alto e snello. Sorrideva e diceva alla gente che stava arrivando a una conferenza che io tenevo a casa mia: “Avanti… passate, passate…” E gli consegnava con la mano sinistra una sorta di programma sulle attività, mentre salutava stringendogli la mano destra. Era ancora presto, e c’erano poche persone nella sala. In quel momento, sono arrivate due Psicologhe amiche e discepole mie, che erano state detenute durante la dittatura in Uruguay, per la loro militanza politica. Pichon, lei era molto simile, fisicamente, a un ex Decano di Architettura della nostra Università della Repubblica che arrivò ad essere Presidente dell’Assemblea Generale del Claustro, massimo organo dell’Università del co-governo universitario.
Lì, in piedi, irradiava un’energia imponente, trasmetteva una vibrazione “molto speciale”, tale come quella che ho sentito quando la vidi per la prima volta entrando alla Scuola, salutando tutti quelli che si incontravano sul proprio cammino.
Questo è stato il sogno.
Queste Psicologhe mi raccontarono, una volta libere, nella democrazia, che quando erano detenute nel penitenziario femminile, ricordavano molto il loro gruppo di appartenenza della formazione in Psicologia Sociale, e quello gli dava speranza. Loro hanno lavorato clandestinamente, insieme ad altre detenute, con il gruppo operativo, sui compiti della convivenza all’interno del carcere. Né più né meno. Hanno trasgredito le regole del carcere, coordinando in maniera operativa il loro Gruppo!.. è come il momento della verità degli strumenti appresi!!!
Ho fatto tantissime interpretazioni personali, con diversi episodi della mia storia, a causa delle mie associazioni che ora sono irrilevanti. Ma è stato soltanto un sogno? O lei è passato a casa mia? Per abilitarmi con quel: “passate, passate”, dandomi un passaggio, passandomela, come nel calcio? O per incoraggiarmi con quel: “avanti”?
Abilitazione che, alla base di questo incontro, questa volta a casa mia, assumo, per concretizzare diversi cambiamenti nella mia vita. Un altro giro di spirale nella mia produzione e nella mia identità personale, dopo essermi ritirato dai miei incarichi come Professore universitario.
E quella figura donchisciottesca? Come Le sembra quel nobile cavaliere, alto, esile, che assunse un ruolo storico nella lotta contro l’ingiustizia sociale, con le sue utopie, che forse alcuni hanno associato, anni indietro, a un Don Chisciotte contro i mulini a vento! Una persona di grande statura intellettuale, artistica, letteraria, estetica, alternata con un umile “apriporta” di un’attività estranea.
Mi stava forse ricambiando la breve visita che, accompagnando Bauleo, Le abbiamo fatto nella sua abitazione tanti anni fa? Se non ricordo male, stava aspettando Zito Lema per continuare alcune conversazioni. Col passar degli anni, sono riuscito a migliorare quella dipendenza, che mi generava grandi emozioni, ma che limitava la mia capacità di scelta. Oggi posso dire che sono arrivato allo stato di addetto. Così, sono più libero di scegliere di essere un sostenitore – formare parte – di questa linea di pensiero e di azione.
Nell’allegato Le invio alcuni abbozzi su contributi, convergenze e divergenze.
Sono titoli.
Forse, a partire d’ora, già veterani ambedue, potremo incontrarci presto, per uno scambio proficuo e permanente.
Attendo una pronta risposta, Le auguro il meglio nei suoi meritati omaggi e nelle sue produzioni.
Un profondo ringraziamento a Lei, ai miei maestri, alla vita.
Un abbraccione e al prossimo giro di spirale (molto dialettico), Alejandro Scherzer.
(Diciembre de 2006).
alescher@adinet.com.uy
Teléfono: (005982) 27107378.
II) Dopo questa e-mail a Pichon Rivière, ho inviato tre copie:
Alla Scuola di Psicologia Sociale, ad Ana Quiroga e a Joaquín Pichon Rivière, (figlio di Pichon, Psicologo Sociale e Presidente di A.P.S.R.A.: Associazione di Psicologi in Psicologia Sociale della Repubblica Argentina). Mi hanno ringraziato molto emozionati per il testo che hanno pubblicato nella web.
Alcuni giorni dopo, Joaquín P. R. si è messo in contatto con me dicendomi che non gli avevo inviato l’allegato di cui parlo nella mail a Pichon.
La sua richiesta mi ha fatto sorridere perché tale allegato non esisteva, era una licenza della scrittura. Ridiamo tutti i due ogni volta che lo racconto.
Però Joaquín aveva ragione. Ero in debito con E. P. R. a cui avevo promesso quel documento.
Così, come promesso un paio di anni fa a E. P. R., gliel’ho inviato e oggi lo pubblico qui.
III) Dopo un po’ di tempo, nel Laboratorio di Scrittura con i Professori Adriana Pastorino e Cholo Gómez, stimolanti collaboratori di questo prodotto, e di altri, è sorta l’idea di pubblicare, congiuntamente con altri compagni di quella corrente letteraria, il libro “Storia di labirinti”. Abbiamo concordato che la lettera a Pichon era materiale pertienente.
Adriana Pastorino ha scritto:
Nota dell’editore: “L’appropriazione dell’arte nell’espressione delle più variegate discipline dell’accadere umano non è una novità. In più di un tratto del percorso scientifico, ci sono dei labirinti che solo si esprimono o si risolvono ricorrendo alla finzione. Questo è il caso del seguente testo, un messaggio di posta elettronica ad un gran maestro che non c’è più. Alejandro, che è docente, ricercatore ed ex-cattedratico universitario, ha avuto bisogno di rompere le convenzioni e si è espresso in forma fantasticata per collaborare ad un omaggio al suo grande maestro. Come dice nella sua “e-mail”, ha avuto bisogno di comportarsi come un rabdomante, “quasi un medium, impegnando la mia energia in tutte le sue aree espressive”.
Nota dell’autore (A. S.): Enrique Pichon Riviére nacque nel 1907. Arrivò alla Repubblica Argentina all’età di 4 anni. Morì nel 1977. Fu uno dei precursori della Psicanalisi in Argentina e il fondatore della Psicologia Sociale di Rio de la Plata.
L’ho visto tre volte in vita mia. Solo una volta sono stato al suo fianco, a casa sua, poco prima della sua scomparsa.
Abbiamo avuto una breve conversazione e una stretta di mano che ancora il mio palmo destro conserva.
IV) Inserisco ora il commento della Dott.ssa Ana M. Rodríguez, uruguaiana, collega e artista in Arti Plastiche, sulla lettera a Pichon.
Quando Alejandro ci disse che “aveva avuto bisogno di comportarsi come un rabdomante, quasi un “medium”, impegnando tutte le sue energie in tutte le aree espressive”, a mio avviso, descrive lo stato di qualcuno che è gioioso e proficuamente catturato da un sogno ad occhi aperti.
Le parole che cito qui sotto sono di Bachelard e mi baso su di loro per spiegare le mie dichiarazioni precedenti: “ Improvvisamente un’immagine si colloca al centro del nostro essere immaginativo fermandoci, fissandoci, infondendo essere. Il cogito è conquistato da un oggetto del mondo, un oggetto che da solo rappresenta il mondo. Il dettaglio immaginato è una punta che penetra il sognatore originando in lui una meditazione concreta”. (La parte sottolineata è mia) (1.2)
Nel caso di Alejandro l’immagine che lui vive come “passaggio” è incontro e trasmutazione. Alejandro diventa Enrique e Pichon diventa Scherzer producendo un giro di vite o di spirale produttiva che aggiungerà nuove idee-mattoni a una comune edificazione: la Psicologia Sociale Operativa che per essere sociale e operativa sarà sempre in costruzione.
È in quella conjunctio che segnalavamo sopra, dove la voce –così sottolinea Alejandro- non diventa eco perché quell’incontro quasi corporeo genera e materializza una nuova voce. Voce polifonica che anche se crea scienza, germina, costruisce, non solo dall’intelletto ma anche dal sentimento e questo è molto serio dato che può succedere che il suo suono faccia rinascere Don Chisciotte “quel manchego, quel bizzarro fantasma del deserto” nel secolo XXI, il quale, sotto l’impero della stupidità, la tecnologizzazione e la banalizzazione: “tutto il mondo è sano di mente, terribile, mostruosamente sano” (3), (4).
V) Il documento allegato condensa e concentra argomenti che sono affrontati in diversi lavori sul web. Ho voluto fare una breve spiegazione di ogni item, ma la sua estensione de-contestualizzava il carattere del documento della lettera a E. P. R.. Preferisco rimandare ai contenuti del web.
Bibliografía:
1. Bachelard Gastón. “La poética de la ensoñación”. 1982, México, Fondo de Cultura Económica.
2. León Felipe: Pero ya no hay locos. En Antología rota1947, Bs. As Editorial Pleamar.
3. Idem.
4. Dott.ssa Ana M. Rodríguez.
(traduzione dallo spagnolo ad opera di Fabiola Gomez)
Una giornata di golf, intensa e divertente a giudicare dagli scatti che ritraggono i partecipanti al primo evento di Target Sinergie «Golf school: il gioco come metafora della logistica», in scena al Riviera Golf Resort il 9 ottobre. Undici ospiti tra dirigenti, responsabili logistica di aziende come Gucci, Palletways, Mec3, consulenti d’impresa e aderenti ad Adaci ed a Apco hanno accettato l’inconsueto invito a imparare il golf e a scoprire con noi le connessioni che questo gioco ha con la supply chain e i servizi in outsourcing.
L’appuntamento era al Riviera Golf Resort, a San Giovanni in Marignano, una splendida cornice ricettiva che si è confermata all’altezza della fama, dove dopo un breve briefing conoscitivo, i nostri ospiti sono stati scortati sul campo da golf dal maestro Matteo Matteoni, PGA professional, che ha spiegato i fondamenti del gioco e poi via, sul campo pratica, attrezzato professionalmente con tutto il necessaire per imparare lo swing. Qualche spiegazione suil gesto atletico, qualche tiro di prova e poi via, tutti a “sparare palline”, dapprima in modo incerto, poi via via più sicuri, sotto la esperta guida del maestro. Poi, la seconda parte della sessione di insegnamento, dedicata al putt: al mettere la palla in buca. Qualche colpo per prendere confidenza con la diversa postura e poi la competizione: una gara a coppie, ospiti – operativi Target Sinergie, che ha divertito e coinvolto sul green del Riviera Golf.
«E’ stato un momento di incontro con clienti e colleghi davvero importante per noi – ha commentato Davide Zamagni, presidente di Target Sinergie, anche lui nei panni di golfista in erba per un giorno – divertente per l’aspetto ludico ma sopratutto perché ci ha permesso di stringere relazioni più proficue e chiarire lo spirito dell’outsourcing: fare insieme per raggiungere l’obiettivo. Poche ore dopo Maurizio Raggi, direttore commerciale di Mec 3, mi ha scritto una lusinghiera mail che ben riassume lo spirito della giornata: “Ciao Davide, volevo ringraziarti per il bel pomeriggio. Una iniziativa originale organizzata con la vostra consueta cordialità e professionalità. Con sincera stima per te e per la Vostra Azienda”. L’ho inoltrata ai miei collaboratori: la stima di un cliente è il miglior plauso che possiamo ricevere per il nostro lavoro».
Il blog fotografico di Marco Mantanari delle sessioni mattutina e pomeridiana.
Venerdì 9 ottobre anche lo studio Grassi Benaglia Moretti brinderà al nuovo volto del centro storico all’interno dell’iniziativa “CENTRO DIVINO”, manifestazione organizzata dal Comune di Rimini che unisce shopping, enogastronomia, musica e cultura per dare il benvenuto al nuovo volto della città che cambia. Lo Studio, infatti, avrà un proprio punto informativo in Piazzetta Zavagli, all’interno dell’evento che si svilupperà lungo tutto il percorso semicircolare che parte da piazza Ferrari per arrivare a Piazza Cavour. “Finalmente si restituisce a Piazzetta Zavagli quella dignità che merita”, dichiara Giovanni Benaglia socio fondatore dello Studio associato. “Negli ultimi anni era diventata un parcheggio selvaggio di auto, moto e biciclette, abbandonata a sé stessa. Ringraziamo, per questo, l’Amministrazione Comunale per gli interventi messi in cantiere in questi mesi, non solo in Piazzetta Zavagli ma in tutto il centro cittadino”. Benaglia ricorda, poi, che “come Studio nel 2006, in netta controtendenza per l’epoca, abbiamo scelto di aprire la sede all’interno del Centro Storico: molti nostri colleghi lo stavano progressivamente lasciando, perché ritenuto scomodo, per de-localizzarsi in periferia, in punti più accessibili con l’automobile e più vicini agli uffici pubblici. Noi, invece, abbiamo scelto la qualità della vita e di ridare valore alle relazioni umane. Il centro storico è una filosofia di vita: niente traffico, vita più lenta e riflessiva, incontrare gente, vivere senza lo smog. Il centro storico è l’elogio della lentezza, della vita a misura d’uomo, del dialogo e dell’incontro. Abbiamo scelto di riappropriarci dei nostri tempi. Oggi possiamo dire di avere avuto ragione!”
Notizie ImpreseOggiCosa c’entra il golf con la logistica? Per noi di Target Sinergie c’entra, eccome, e lo spiegheremo ai nostri invitati – responsabili logistici, Ceo e consulenti – al primo evento organizzato al Riviera Golf, venerdì 9 ottobre, insegnandogli attraverso un professionista i primi rudimenti di questo sport affascinate, che diverte e nello stesso tempo racchiude in se alcuni fondamenti del fare impresa oggi e dei servizi logistici in outsourcing.
Il golf è un gioco che si basa su tattica, tecniche e concentrazione, capacità mentali che utilizziamo ogni giorno quando affrontiamo il lavoro nella supply chain. Nello stesso tempo insegna a gestire lo stress, pensare strategicamente e a costruire, giocando, resistenza mentale e fiducia in se stessi. Ecco perché viene praticato da dirigenti e quadri d’azienda in tutto il mondo. Ventisette milioni di giocatori – 20 solo negli Stati Uniti – non possono avere torto.
Nel golf, si gioca insieme ad altri giocatori, ma l’avversario da battere è il campo. E’ una delle essenze del golf, perché ti misuri con gli ostacoli e con la tua capacità di superarli contando sull’attrezzatura a tua disposizione e la tua abilità nell’utilizzarla. Solo professionalità e risultati. E anche questi elementi risuonano familiari quando parliamo di mercato e logistica. Se parliamo di logistica in outsourcing, ancora di più: si gioca in partnership per battere “il campo”.
Ai nostri ospiti, oltre all’occasione di conoscerci meglio, offriremo i fondamenti del gioco sotto forma di lezione – tenute dal PGA professional Matteo Matteoni – sullo swing e sul putt, i due tiri fondamentali del golf. Lo swing, infatti, serve alla partenza e lungo tutto il percorso per avvicinarsi all’obbiettivo, il green. Il putt invece è il tiro di precisione per chiudere la buca. Due aspetti ugualmente fondamentali per affrontare qualunque percorso, dal più semplice al più impegnativo. Un po’ come la logistica in outsourcing: uno strumento che, una volta conosciuto, consente di raggiungere qualunque obbiettivo e superare ogni ostacolo del mercato.
Sarà relatrice Gladys Adamson, da Buenos Aires, che presenterà un suo lavoro di ricerca operativa con giovani in condizione di vulnerabilità. Si tratta di un intervento di prevenzione in quartieri periferici e degradati di Buenos Aires.
La partecipazione è gratuita.
Lo studio Grassi Benaglia Moretti promuove questo Convegno e vi partecipa attraverso Marco Moretti, consigliere dell'Unione dei Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Rimini, che è l'organizzatrice dell'evento.
Scarica la locandina al seguente link:
Programma:
Modera il prof. dott. Pier Luigi Marchini, professore associato Università di Parma, presidente Fondazione Centro Studi UNGDCEC.
14.30 / REGISTRAZIONE PARTECIPANTI
15.00 / INTRODUZIONE E SALUTI
dott.ssa Eleonora Ursini Casalena, presidente UGDCEC Rimini
dott. Bruno Piccioni, presidente ODCEC Rimini
dott. Simone Caprari, coordinatore UNGDCEC Emilia Romagna
dott. Fazio Segantini, presidente UNGDCEC
15.15 / INIZIO LAVORI
Il panorama di riferimento delle StartUP innovative in Italia e all’estero
prof.ssa Paola Giuri, professore associato Università di Bologna
Aspetti giuridici delle StartUP innovative: forme e deroghe societarie
dott.ssa Laura Mastrangelo, dottore commercialista in Parma
Aspetti fiscali delle StartUP innovative
dott. Stefano Ruberti, dottore commercialista in Mantova, vice presidente UNGDCEC
StartUP design model
il ruolo del commercialista nella creazione e nello sviluppo del progetto d’impresa
dott. Alessandro Garlassi, dottore commercialista in Reggio Emilia
17.00 / COFFEE BREAK
17.30 / TAVOLA ROTONDA
Gli strumenti di finanziamento delle StartUP innovative tra metodi tradizionali e innovativi con un’esperienza applicativa
Intervengono:
– dott. Maurizio Maraglino Misciagna, dottore commercialista in Taranto, fondatore di Puglia Startup, direttore generale Muum Lab
– dott. Giovanni De Caro, innovation manager Gruppo Intesa Sanpaolo
– Giorgio Pruccoli, consigliere regione Emilia Romagna
– Maurizio Ermeti, presidente associazione Forum Rimini Venture
– TIWI s.r.l.
19.00 / FINE LAVORI
È stata richiesta al C.N.D.C.E.C. l’attribuzione dei crediti validi per la Formazione Professionale Continua.
Seguirà SERATA UNIONE con cena e dopocena presso
NEWPORT RIMINI
VIA BECCADELLI 17, 47921 RIMINI
È richiesto un contributo per la serata di euro 35,00 a persona, da saldare in loco, che include la cena e una consumazione per il dopocena. Occorre confermare la partecipazione alla serata tramite il modulo che segue. (Si chiede di comunicare eventuali allergie e/o intolleranze nel campo “note” o inviando un’email all’indirizzo segreteria@ugdcec.rimini.it).
La partecipazione al convegno è gratuita, è tuttavia richiesta l’iscrizione obbligatoria per fini organizzativi mediante la compilazione del modulo che troverete al seguente link:
Notizie Newsletter Grassi Benaglia Moretti, avvocati & commercialistiCon il decreto legge 83/2015, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 20 agosto 2015, viene introdotta una normativa specifica, con lo scopo di rafforzare la tutela del creditore in caso di pignoramento, che riguarda l'espropriazione di beni oggetto di vincoli d'indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito: la cosiddetta “revocatoria semplificata”.
L'istituto introdotto dal d.l. in esame permette al creditore, qualora si ritenga pregiudicato da una donazione, da un fondo patrimoniale o un vincolo di destinazione in genere, di poter iniziare l'esecuzione forzata senza attendere una sentenza dichiarativa d’inefficacia del trasferimento ritenuto lesivo.
Viene introdotta nel nostro ordinamento civilistico una presunzione secondo cui gli atti sopra indicati sono stipulati in frode al creditore: tale presunzione, però, lede il diritto di difesa del debitore, ma anche del terzo che ha ricevuto tali beni. In particolare è proprio la posizione di quest’ultimi ad essere fortemente compromessa. Potranno, infatti, opporsi all’esecuzione solo rappresentando motivi circoscritti all’esistenza del pregiudizio e alla conoscenza in capo al debitore del pregiudizio medesimo. L’opposizione, da parte del terzo che si ritiene pregiudicato, va proposta entro un anno dalla data di trascrizione dell'atto di trasferimento del debitore. Da ciò deriva che tutti gli atti di cessione, di donazione, di costituzione di fondo patrimoniale, trust e vincoli in genere, sono da ritenersi "sospesi" sino al termine dell'anno dalla loro trascrizione.
Decorso l’anno, il creditore pregiudicato avrà la possibilità di agire con l'azione revocatoria prevista dall’art. 2901 c.c.. Tuttavia non potrà avvalersi della “revocatoria semplificata”: infatti, prima di iniziare l’azione di esproprio, dovrà ottenere la sentenza dichiarativa dell'inefficacia del trasferimento posto in essere e solo successivamente iniziare le azioni esecutive.
Notizie Newsletter Grassi Benaglia Moretti, avvocati & commercialisti“L'Ordine dei Dottori Commercialisti di Rimini dovrebbe vietare ai propri iscritti di riscuotere le imposte per conto dei clienti”. Giovanni Benaglia va giù duro sull'ennesimo scandalo che ha riguardato, nei giorni, scorsi un commercialista riminese che, secondo l'accusa, sarebbe scappato con le tasse dei propri clienti, invece di versarle all'erario. Copione identico da anni ormai, cambiano solo nomi e vittime: la soluzione, però, per prevenire questi reati è semplicissima, come spiega Giovanni Benaglia, socio dello studio legale tributario GRASSI BENAGLIA MORETTI: ”l’Ordine potrebbe emanare una direttiva con la quale vieta agli iscritti di incassare le tasse dai propri clienti, perché non si svolge alcun servizio utile a loro facendo questo. Ciascun commercialista, infatti, può inviare, attraverso i canali Entratel, direttamente sul conto del cliente i bollettini di addebito delle imposte. Incassare i soldi in anticipo è semplicemente inutile! Vietarlo vorrebbe dire impedire comportamenti anomali da parte di alcuni pochi iscritti”.
Benaglia poi continua:”La circolare può essere emanata immediatamente, nel primo Consiglio utile. Dopodichè si passa a fare i controlli a campione tra gli iscritti, per verificarne il rispetto e, nel caso, comminare le sanzioni. Così come si richiede il rispetto della formazione professionale continua, allo stesso modo lo si deve chiedere per quello che riguarda le norme deontologiche. Il compito dell'Ordine è prevenire i comportamenti fraudolenti, non punirli. Per questo c'è la magistratura. Gli Ordini professionali non nascono per limitare l'accesso alla professione! Il loro compito è quello di tutelare la “fede pubblica”, surrogando lo Stato nei compiti di vigilanza. Se questo non accade, come la cronaca dimostra, tanto vale chiuderli!”. Infine, conclude “il nostro Studio non incassa dai clienti alcuna tassa ma ad ogni scadenza invia a ciascuno di loro l'avviso dell'imminente addebito sul conto. Mi sembra un'azione di trasparenza e correttezza dovuta a chi quotidianamente ci dà fiducia”.
Analisi e commenti Newsletter Grassi Benaglia Moretti, avvocati & commercialistidi Simona Maini, Agnese Marchetti, Elena Marini, Arianna Occhio, Marella Tarini
INTRODUZIONE
Il nostro gruppo di ricerca si costituisce nel 2010. Il tema intorno a cui ci raggruppiamo è il trauma. Sicuramente non è casuale che 7 donne (rimaste poi 5) siano attratte da una riflessione su questo argomento.
Non è casuale. Ci diciamo, sorridendo, che siamo nella pancia, nell’antico, nel primordiale, e chissà quale emergente rappresentiamo nella Scuola “J. Bleger”, o cosa sentiamo su di noi depositato per immergerci in un pozzo già a prima vista così profondo.
L’INIZIO.
All’inizio la strada è stata tracciata dal prof. Bonfantini che, durante una lezione sulla metodologia della ricerca, ci parla del “fatto sorprendente” come motore di ogni ricerca degna di essere chiamata tale.
Il generatore della ricerca è il fatto sorprendente, il nuovo che stupisce e non ha spiegazione immediata nel già noto.
Di fatti sorprendenti ne emergono almeno 3 nel corso delle condivise riflessioni all’interno del nostro gruppo di ricercatrici. Il comune denominatore è comunque la parola “trauma”.
PRIMO FATTO SORPRENDENTE
E’ la non corrispondenza tra entità del trauma ed effetto.
Un apparente piccolo trauma può produrre effetti psichici importanti, talvolta devastanti, e viceversa. Semplificando, visualizziamo la situazione in un contenitore che ha un contenuto più o meno fluido, più o meno organizzato, che venga colpito da un corpo contundente e si incrini. L’entità dell’incrinatura sarà la risultante tra la forza del colpo e lo spessore del contenitore. E quello che si fa strada, il contenuto che fuoriesce, dipenderà sia dall’entità dell’incrinatura ma anche dall’essere più o meno fluido del contenuto, dal suo essere più o meno grezzo, disorganizzato, instabile . La cosa si complica laddove la demarcazione contenente\contenuto non è così netta. In quelle personalità che hanno già di per sé falle e varchi, risultati, forse, non di grandi eventi ma di tanti ripetuti piccoli quotidiani microtraumi.
SECONDO FATTO SORPRENDENTE
E’ il trauma che, in alcuni casi, ripete se stesso, si autoriproduce. Per usare un paragone biologico, in alcuni casi sulle forze riparative, rigenerative, che portano naturalmente la ferita a guarigione, prevalgono forze di automantenimento della ferita, che si cronicizza, diventa ulcera torbida, infetta, o peggio, ancora più subdolamente, guarisce per poi ricomparire, riprodursi, in una specie di memoria del danno che non vuol guarire. Un Alien che riproduce se stesso e non vuol dimenticare…. che sia come diceva Brecht che è la fragilità della memoria che dà forza agli uomini?….
CHI E’ STATO SBATTUTO A TERRA SEI VOLTE
COME POTREBBE RISOLLEVARSI LA SETTIMA
PER RIVOLTARE IL SUOLO PIETROSO
PER RISCHIARE IL VOLO NEL CIELO?
E’ LA FRAGILITÀ DELLA MEMORIA CHE DA’
FORZA AGLI UOMINI
(Brecht, Elogio della dimenticanza)
TERZO FATTO SORPRENDENTE
In un gruppo di operatori che assistono al trauma provocato da parte di un utente ad uno di loro, o al racconto di questo trauma, accadono cambiamenti significativi.
Nel pensare a questi interrogativi è inevitabile cercare una definizione comune sui termini chiave: Trauma” e Memoria.
TRAUMA
Parola innanzi tutto somatica: lesione prodotta accidentalmente da agenti meccanici la cui azione vulnerante è superiore alla resistenza dei tessuti su cui operano. Ma Trauma è anche parola psichica per eccellenza.
Ci colpisce il concetto di Freud di post definizione di un evento come trauma.
All’inizio, quando un evento accade, è COMMOZIONE e SPAVENTO.
La COMMOZIONE: con questo si intende l’aspetto somatico dell’evento, che provoca un’affluenza di eccitazione che irrompe e pone in pericolo l’integrità.
Il soggetto non può reagire mediante scarica adeguata o elaborazione psichica.
Lo SPAVENTO: è l’aspetto psichico dell’evento. Il termine usato da Freud è “Hilflosigkeit” che letteralmente è: lo stato di impotenza dell’originale e naturale condizione del cucciolo d’uomo.
All’inizio l’evento è commozione e spavento. Viene rimossa la memoria di qualcosa che solo più tardi sarà definito trauma.
Ancora, abbiamo lavorato molto sul termine Memoria con le infinite declinazioni, il rapporto che ha la memoria nella definizione, risoluzione o mantenimento del trauma.
In questo girovagare senza mete precise, ma ricco di suggestioni, ci guidano alcune letture. Ma anche libere associazioni, frammenti di film, di libri, ricordi, immagini infantili, racconti brevi e sinceri. Forse è a questo punto che, più o meno consapevolmente, il gruppo prende una svolta.
Diviene evidente:
Il Trauma nell’ambito individuale
Il tema del trauma è vastissimo ed affrontabile da infinite prospettive, è ritornato negli ultimi anni all’attenzione dei clinici e dei ricercatori dopo essere stato adombrato per molto tempo nella formulazione del pensiero psicoanalitico.
Nella ricerca, l’ambito a cui ci siamo riferite è quello individuale, ed il trauma è stato inteso non tanto come evento, quanto come esperienza soggettiva che si sviluppa in processi fenomenici successivi. Naturalmente, la nostra teoria di riferimento è la Concezione Operativa di Gruppo, quindi per noi, concettualmente, qualsiasi esperienza soggettiva, individuale, avviene all’interno di una dimensione gruppale, sia se inserita in un contesto istituzionale che collettivo.
Questo, anche quando l’esperienza sia vissuta da un soggetto “isolatamente”, in quanto entrano in azione, nella organizzazione della risposta all’evento traumatico, le rappresentazioni interne che il soggetto ha del gruppo al quale appartiene o al quale è appartenuto, in sostanza le dinamiche relative al suo gruppo interno primario o ai suoi gruppi di appartenenza successivamente internalizzati nel corso della sua esistenza.
Cosicché la nostra ricerca si è incentrata sulla investigazione di come si possano essere prodotte risposte ad un evento traumatico vissuto soggettivamente, laddove questo soggetto appartiene ad un gruppo, e di come le rappresentazioni del suo gruppo interno abbiano rispecchiato o meno le dinamiche presenti nel suo gruppo esterno attuale, il gruppo a cui il soggetto appartiene prima dell’evento, al momento dell’evento e nello sviluppo del processo successivo all’evento.
L’ipotesi sulla quale stiamo tentando di investigare è che un evento traumatico soggettivo irrompe determinando alterazioni sia sul contenitore che sul contenuto o, nel linguaggio della concezione operativa, sia sull’inquadramento che sul processo interno del soggetto e del gruppo di appartenenza e, nello specifico, sul sistema dei vincoli presente in quel determinato gruppo.
LA RICERCA
Per questa ricerca, secondo le ipotesi appena descritte, abbiamo lavorato su un gruppo istituzionale, una équipe di lavoro, all’interno della quale un operatore ha vissuto una esperienza traumatica durante lo svolgimento della propria professione.
Ciò che si voleva verificare è la dimensione e la qualità dei vincoli esterni ed interni sperimentati dai soggetti in quel gruppo e la loro eventuale trasformazione in seguito all’evento traumatico.
Si tratta di un’équipe istituzionale pubblica di un Servizio dell’Italia Centrale che eroga interventi nel campo della Igiene Mentale, multiprofessionale e transdisciplinare, istituita nel 1991.
Nel corso dei decenni, l’organizzazione ha avuto varie rimodulazioni che l’hanno portata a delinearsi secondo la dimensione che mostra al momento dell’indagine: tre infermieri professionali, un’assistente sociale, tre psicologi, di cui uno a contratto, quattro medici, di cui tre sono psichiatri. Una particolarità di questa équipe è che è costituita quasi completamente da donne, l’unico professionista di sesso maschile è uno degli infermieri professionali. Peraltro, il Servizio interagisce anche con personale appartenente al Privato Sociale del territorio attivo nel medesimo settore di intervento (Comunità Residenziali), con il quale condivide periodicamente, oltre ai programmi messi in essere per i pazienti, i percorsi formativi congiunti ed i momenti di supervisione, e anche uno di questi operatori esterni di comunità è di sesso maschile
In questo quadro, una delle psichiatre, dopo la stabilizzazione in ruolo, subisce un’aggressione, mentre presta servizio, da parte di una paziente assistita da molto tempo dalla struttura. Durante un colloquio individuale, l’utente, femmina, aggredisce la dottoressa verbalmente e con il lancio di alcuni oggetti che non la colpiscono direttamente, ma le conseguenze di questo evento derivano dai movimenti bruschi fatti per evitare gli oggetti scagliati. Dopo l’evento, la psichiatra sviluppa un problema alla colonna vertebrale e poi una sindrome post- traumatica da stress, per cui resta per circa sei mesi lontana dal servizio, con un certificato di infortunio sul lavoro per i postumi descritti. L’assenza della professionista, per tutto il tempo in cui si svilupperà, non verrà colmata da alcuna sostituzione.
Appare significativo segnalare che questa équipe, fin dal momento della sua fondazione, ha voluto costruire un’ECRO (Schema Concettuale di Riferimento Operativo) condiviso tra i suoi integranti per operare attraverso una effettiva interazione multiprofessionale e transdisciplinare. A questo scopo, tutti gli operatori di qualsiasi qualifica che si sono avvicendati nel corso degli anni, hanno frequentato la Scuola “José Bleger” per l’apprendimento della Concezione e della Tecnica Operativa di Gruppo. Sempre con la medesima finalità, l’équipe è stata fin dall’inizio costantemente supervisionata, attraverso incontri cadenzati, grazie all’intervento di un supervisore esterno esperto in COG.
Una volta rientrata in servizio la psichiatra, sono stati attivati, per decisione condivisa nell’équipe, cinque incontri di supervisione a cadenza quindicinale espressamente dedicati alla elaborazione di questa esperienza traumatica.
Metodologia
In questo campo apparivano rappresentate le istanze dei fatti sorprendenti che avevamo enucleato in premessa. Si è pensato quindi di ricercare proprio al suo interno, e di applicare i metodi che si riferiscono al paradigma della Investigazione Qualitativa, secondo il dispositivo della Osservazione Partecipante. Abbiamo deciso cioè di partecipare in qualità di osservatrici partecipanti alle sedute di supervisione che l’équipe aveva programmato per l’elaborazione dell’evento, di predisporre una rotazione delle osservatrici in modo che il processo potesse essere partecipato da più di un soggetto del gruppo di ricerca, e di enucleare gli emergenti di questo processo per analizzarli, in seguito, all’interno dell’intero gruppo di ricerca riunito, nel tentativo di addivenire collettivamente ad una ricostruzione delle risultanze investigative.
Prima di descrivere come si è svolto il lavoro sull’osservazione del gruppo degli operatori, crediamo sia necessario descrivere anche come ha operato al suo interno il nostro gruppo per tale lavoro di ricerca.
Innanzitutto le date per i nostri incontri erano stabilite di volta in volta, gli incontri sono stati numerosi, a volte con lunghe pause, ma il nostro gruppo ha tenuto, i vincoli si sono formati e non c’è mai stata la volontà di abbandonare malgrado la difficoltà nell’incontrarsi.
In alcuni momenti difficili in cui il gruppo sembrava sfilacciarsi, e pareva impossibile andare avanti, abbiamo riconosciuto come elemento di coesione l’aver partecipato noi stesse, come integranti, ai gruppi operativi organizzati dalla Scuola Bleger.
Nei nostri incontri abbiamo sempre pensato di non voler stabilire ruoli particolari: lavoriamo in gruppo ma senza avere un coordinatore o un osservatore, ci autogestiamo, non c’è qualcuno che in maniera stabile verbalizza.
Ad ogni incontro si integrano le verbalizzazioni individuali precedenti e su quelle nascono nuovi spunti di riflessioni e lavoro.
Lavorare sul trauma: pensarlo, osservarlo, scriverne, non è un lavoro facile, sempre ritorna il proprio vissuto interno.
Anche nel nostro gruppo viviamo ruoli diversi, così come nell’équipe osservata: siamo psicologhe, medico e psichiatra.
Inoltre, il nostro gruppo di ricerca ha una implicazione forte con l’équipe osservata: una delle nostre colleghe lavora nel Servizio stesso dove si è svolto l’incidente ed ha partecipato come integrante a tutte le sedute di supervisione, altri componenti dell’équipe sono conosciuti da tutte noi, frequentano l’Istituto Bleger e ne hanno condiviso la formazione; questa sottolineatura è importante, ma non impedisce una lettura degli eventi così come da noi impostata.
Veniamo ora alle osservazioni svolte. Gli incontri di supervisione sono stati in totale 5, noi abbiamo deciso di osservare il primo, quello centrale e l’ultimo.
Il Supervisore della équipe era il Dott. Montecchi, sostituito nei due centrali dal Dott.de Berardinis. Noi, come già detto, ci siamo alternate per effettuare la osservazione partecipante attraverso la quale sviluppare la ricerca, per cui le tre sedute di supervisione osservate hanno avuto tre osservatrici diverse.
Ognuna delle tre osservatrici ha poi riportato dentro il gruppo di ricerca ciò che ha annotato durante le supervisioni e si sono individuati gli emergenti.
Abbiamo poi analizzato le osservazioni attraverso i nostri riferimenti teorici, le nostre libere associazioni, il vissuto di gruppo attraversato a sua volta dal trauma. Quel che ci interessava non era tanto l’evento in sé, e attribuire una qualche responsabilità, ma studiare il possibile cambiamento dei vincoli e del gruppo, in questo caso un’équipe, attraversata da un trauma.
Vediamo ora, di seguito, un breve resoconto di ognuno dei tre incontri osservati, e i tre emergenti individuati.
Da notare che le frasi pronunciate dagli integranti dell’équipe sono messe tra virgolette e tra parentesi i ruoli professionali degli operatori; infine chiamiamo X l’operatrice che ha subito l’aggressione
1° Gruppo 23/11/2012
Supervisiona: L. Montecchi
Ricercatrice osservatrice partecipante: Agnese
Integranti: 14
L’operatrice aggredita non c’e all’inizio, arriverà in ritardo.
Presentazione del compito da parte del supervisore.
” L’idea era quella di riflettere su ciò che si è prodotto nell’équipe in seguito all’aggressione degli operatori , se siamo d’accordo”
Silenzio…..
Parla X (operatrice aggredita, che intanto è arrivata) : “Forse ci è stato utile parlare del conflitto esterno ma anche le nostre modalità sono molto violente… Il conflitto è stato al nostro interno…”
In tutta la riunione non si parlerà mai dell’accaduto, il discorso si sposta all’interno dell’équipe, si fa riferimento ad un gruppo di studio precedente: tempo addietro, infatti, nel Servizio si era costituito un gruppo di studio temporaneo composto da alcuni degli operatori, che si era dato come compito la rilettura del testo “Simbiosi ed Ambiguità” di José Bleger.
(Psicologa): ” Il conflitto traumatico è al nostro interno. Nel gruppo di studio sono emerse difficoltà sul mettere insieme professionalità diverse sulla diagnosi, sul suo significato, come si fa, etc.”
Per quasi tutto il tempo domina il tema della diagnosi, con confusione e conflittualità.
(Operatore di comunità): “Senza diagnosi non puoi lavorare… arrivano persone senza diagnosi…”
(Psicologa): “E’ sulla discriminazione, l’esplicitazione di una discriminazione porta ad un conflitto”.
Si fa riferimento qui al fatto che, solo di recente, è stato espressamente chiesto al Servizio, per questioni amministrative, di formulare diagnosi psicopatologiche “ufficialmente” condivise dai sistemi di classificazione ICD 10 o DSM IV, indispensabili per ottenere le ripartizioni della spesa necessaria per l’inserimento in Comunità Residenziale e per avvalorare la prescrizione di farmaci, in particolare antipsicotici atipici.
(Psicologa) : “Queste diagnosi psicopatologiche come avete intenzione di gestirle? La mia diagnosi è una restituzione di una valutazione diagnostica su base relazionale, con codici linguistici diversi dal DSM… c’è un problema di ruoli, il gruppo forse era simbiotico, ora si sta differenziando…”
(Psichiatra): “Lo avete capito perché ho chiesto le diagnosi?”
Solo alla fine della riunione, all’interno di un conteggio statistico sugli utenti, emerge il dato di due utenti che si sono suicidati dopo le dimissioni e di uno deceduto per overdose.
Gli emergenti sono:
1) La persona aggredita arriva in ritardo.
2) “Le epistemologie non convergono, frammentazioni di linguaggi… ognuno parla una lingua propria”
3) “Due suicidi sono un grosso trauma, la famiglia di P. (uno dei ragazzi suicidi) si è comportata in modo molto violento con il Servizio”.
2°Gruppo: 13/12/2012
Supervisiona: M. De Berardinis
Ricercatrice osservatrice partecipante: Elena
Integranti: 10
Inizia la supervisione , manca X, che arriverà in ritardo.
Compito: parlare di quel che è accaduto all’interno del servizio e di tutto ciò che si vuole.
Emerge il fatto dei suicidi, il fatto che la famiglia di uno di questi ragazzi si sia scagliata contro il Servizio e che il parroco, durante la messa di commiato, abbia fatto un’omelia contro la struttura pubblica..
Viene raccontato per la prima volta l’episodio dell’aggressione ma sembra soprattutto perché è cambiato il supervisore, e quindi per renderlo edotto degli accadimenti. Ma poi viene fuori il fatto che 3 anni prima, la stessa paziente ha agito un comportamento simile con un altro psichiatra, maschio, poi trasferitosi (per altri motivi) in un altra Struttura.
C’è tensione tra le diverse figure operative, si parla della Diagnosi Operativa.
Arriva X, insieme ad un’altra operatrice.
Emerge la sensazione di una disgregazione tra i ruoli, gli infermieri lamentano di sentirsi come poliziotti, non si sente il riconoscimento del ruolo.
I pazienti sembra sappiano da chi poter ottenere ciò che vogliono.
Emerge il problema di una non comunicazione tra i diversi settori e ruoli.
C’è rabbia, perché c’è chi viene ascoltato e chi no.
X.: “Fuori di qui ho cercato la risposta”.
Alcune operatrici escono perché hanno un gruppo.
X.: “Il gruppo mi avrebbe frammentato”, “non volevo sentire nessuno” .
“Sapevo che sarebbe andata così, avevo chiesto di vedere insieme a qualcuno questa paziente, ma sono abituata a far da sola senza pensarci. Mi è stato detto che dovevo farlo io, perché ero l’operatore di riferimento. Sono stata paralizzata dalla paura”.
Si discute animatamente sulla definizione del ruolo.
Ci si chiede se lo psichiatra deve dare per scontato che ci siano aggressioni e saper in qualche modo reagire ad esse o se queste aggressioni invece non debbano far parte del mandato.
Le opinioni a tal proposito non sono concordi.
Emerge la domanda se loro, come operatori, si devono occupare di maleducati da rieducare o di pazienti.
Gli emergenti individuati sono:
1) La persona aggredita arriva in significativo ritardo.
2) “Quello che succede in quella casa non si sa, come noi qui”. “Qui per parlare bisogna usare violenza”.
3) “Chi è il nostro alleato: il paziente violento o il collega?”.
3° Gruppo 10/ 5/ 2013
Supervisiona L. Montecchi
Ricercatrice osservatrice partecipante: Arianna
Integranti: 13, 1 assente
Anche a questo incontro l’operatrice aggredita arriva in ritardo.
Il primo intervento è significativo : “C’è l’accorpamento dei Dipartimenti, stiamo anticipando una diaspora…”
Il gruppo si riferisce al fatto che sta per concretizzarsi una riorganizzazione regionale della rete delle strutture sanitarie secondo criteri di Area Vasta, e si teme che il Servizio verrà accorpato insieme ad altri in un unico Dipartimento provinciale.
Questo sarà il motivo di fondo di tutto il gruppo, la sensazione di qualcosa destinato a cambiare per sempre, e l’impossibilità di opporre resistenza.
Arriva X in ritardo, mentre il discorso è: tutto finisce e nessuno ha detto niente, ho un brutto presagio , il peggio deve arrivare.
Le viene detto : “hai tentato una fuga”
L’idea è che per riprendere le forze bisogna andare fuori.
X dice: “devo tornare nella caverna”.
Quindi l’équipe è attraversata da questo continuo pensiero dello stare dentro o fuori, del pubblico e del privato, dell’esterno che arriva come una minaccia a sgretolare tutto.
Nella parte centrale dell’incontro vengono portati per la prima volta dei sogni.
Nel primo, c’è la descrizione dello stesso gruppo d’équipe, in una stanza rivestita di mattoni, con una rete in alto, ad un certo punto una persona, descritta come un’amazzone, sembra un uomo ma è una donna, si alza, corre verso la finestra e si lancia rompendo la rete, chi racconta dice che va a vedere e quella persona è sfracellata.
“Era la persona più pessimista del gruppo!”
Il secondo sogno è stato fatto da un’altra operatrice la stessa notte del primo: “dovevo recuperare la mia macchina con gli alberi che si sfracellavano ed era pericoloso.”
Terzo sogno, raccontato da una ulteriore operatrice: “torno a casa e la trovo piena d’acqua, era il mare, mi mettevo su una zattera di rete ma cado, non so nuotare e dico: è il momento di morire. Trovo un ragazzo che mi dice: ti aiuto!. Quando esco c’è un uomo elegante vestito di blu che mi dice di stare tranquilla, ma in realtà non fa niente, poi vedo due colleghe che mi aiutano e mi aspettano con gli asciugamani…”.
Tutti i tre sogni fanno pensare al gruppo che c’è una parte, il femminile, che protegge, come una madre, e c’è una parte negativa, maschile, che va eliminata, ammazzata, o sfracellata, ci sono il maschile e il femminile che si mischiano ma allo stesso tempo confondono, la persona del primo sogno che si sfracella è un’amazzone, con gli stivali, con la coda di cavallo, una donna che fa l’uomo.
Il gruppo lavora su questi temi: dentro/fuori, precari/stabili, il ruolo che si gioca, con tutte le diverse professioni, ma anche con il maschile o femminile: madre che deve solo nutrire o femmina che si può divertire, c’é il cambiamento che porta alla disgregazione, i vincoli e le relazioni che se mutano, finiscono:
“Sono stufa di nutrire, il compito femminile non può essere solo questo”
“Indurre dipendenza è un modo per non vedere la propria”
“Un conto è la vacanza, un conto la foto delle vacanze!”
“Se veniamo accorpati perdiamo questo modo di lavorare”
Nell’ultima parte si lavora su come ci si aspetta che avvenga il cambiamento, è la violenza che irrompe, rappresentata proprio da un uomo (il nuovo direttore che arriva dal potere centrale e che si teme sarà incaricato di dirigere l’unica struttura dipartimentale che verrà configurata in seguito all’accorpamento degli attuali servizi) che usa la violenza e la sua forza sulle Strutture gestite da donne.
Nella conclusione ci si sforza di essere propositivi, viene detto che i modelli che funzionano sono così come questo, a rete, e la rete consiste in una forma articolata, non come un modello dove c’è un sole centrale che nasconde ed ha la supremazia su tutto il resto.
Gli emergenti sono:
1) la persona aggredita arriva in ritardo: “stiamo anticipando una diaspora.”
2) Chi esce si sfracella o annaspa.
3) L’uomo che viene da fuori violenta.
CONSIDERAZIONI
In questo lavoro ci colpiscono immediatamente 3 elementi.
In prima istanza, rileviamo l’effettività del fatto sorprendente dal quale siamo partite: un trauma “apparentemente” lieve può provocare un’onda traumatica con una significatività importante.
L’utente si è scagliata infatti contro l’operatrice con forte aggressività, ma non c’è stato un esito immediato particolarmente grave.
Per la particolare competenza clinica del Servizio, si può rilevare che rabbia ed aggressività siano comportamenti che si possono attendere da utenti così problematici, ma l’effetto dell’attacco è dirompente: sia sull’individuo, portando l’operatrice a rimanere assente dal lavoro per diversi mesi, sia sul gruppo, innescando un processo che è stato l’oggetto delle nostre osservazioni. Quindi: piccolo trauma – grande effetto.
In secondo luogo, l’apparente scarso interesse ad affrontare il caso in sé.
Non si parla mai, o quasi, del fatto accaduto; solo nel secondo incontro, in maniera approssimativa e principalmente per via del cambio del supervisore. In pratica, è assente una cronaca dell’evento, una narrazione che possa condurre il gruppo a rivedere ciò che è successo e cercare di comprendere cause ed effetti.
Il terzo elemento è il ritardo dell’aggredita, che si ripeterà sempre.
Il conflitto e le ansie del gruppo si coagulano intorno a due temi principali che useremo come analizzatori: il potere e le differenze (di ruolo, sessuali, di linguaggi).
IL POTERE
Sin dalla prima riunione è evidente un conflitto di ruoli tra le professioni incentrato sul problema della diagnosi: chi deve o vuole o può fare diagnosi, come la si fa, a cosa serve.
Dall’osservazione emerge che vi è stata la richiesta istituzionale, esterna al servizio, di redigere diagnosi specifiche per i pazienti, questo conduce a discutere su chi ufficialmente può o deve fare la diagnosi, quindi su chi ha maggiori responsabilità ma anche potere.
Questa evidenza porta ad un altro analizzatore. La necessità della diagnosi espressa secondo criteri nosografici descrittivi e la conseguente differenziazione dei ruoli probabilmente mobilita delle ansie latenti, ci si riferisce al fatto che ci fosse un tempo in cui il linguaggio era comune (il tempo della “diagnosi operativa” costruita con l’apporto valutativo di tutte le figure professionali), condiviso, un “ bel tempo perduto”, linguaggio che ora appare frammentato, non più familiare e scontato.
La richiesta esterna della diagnosi fa uscire dall’idea, un po’ utopica, che gli operatori sono tutti uguali, dall’idea di una comunicazione condivisa, che poi si è incrinata e comunque non è più quella di prima.
Gli integranti dell’équipe, che non pensavano alle differenze come origine di conflitto e per i quali la diagnosi era il risultato di un lavoro collettivo, sono costretti ad assumere la differenza e l’obbligo di una diagnosi specifica secondo canoni esterni.
Si distingue tra chi ha più o meno potere, o ruoli diversi: lo psichiatra che è diverso dallo psicologo, chi è assunto a tempo indeterminato e chi no, chi è un tirocinante o un volontario, chi fa il padre o la madre, chi è accogliente e chi è autoritario. E la declinazione di queste distinzioni è caricata di una forte tonalità aggressiva.
LE DIFFERENZE
Sembra emergere la differenza tra ruolo materno e paterno che si inserisce su quello professionale. Ricordiamo che l’équipe è costituita quasi tutta da donne ad eccezione di un infermiere.
Il ruolo dello psicologo sembrerebbe quello più accogliente e tollerante, quindi simile al ruolo materno, il ruolo dello psichiatra, diversamente, sembra essere (o meglio, questo sembra il deposito del gruppo di operatori nei suoi confronti) quello di chi dà le regole, più autoritario. Proprio per questo esercizio d’autorità è il ruolo professionale verso cui, secondo questo gruppo, anche se non esplicitamente, sembra più naturale sia rivolta l’aggressività di coloro che le regole le devono subire.
Il gruppo è calibrato su un’identificazione collettiva con il “femminile”, mentre il ruolo dello psichiatra è vissuto come rappresentante della mascolinità ed è questo che viene esposto, per mandato conferito dal gruppo medesimo, all’aggressione esterna. Quindi, sembra di poter dire che questo stesso ruolo è oggetto di una forte aggressione implicita anche all’interno del gruppo delle operatrici.
I conflitti professionali sembrano, allora, confondersi con i conflitti di genere.
Quel che è accaduto può quindi essere l’agito di una aggressività non riconosciuta interna al gruppo, ma elementi aggressivi e violenti erano provenuti già da prima dall’esterno: il Servizio aveva in effetti subìto delle aggressioni importanti:
Sembra, allora, che il trauma abbia messo in luce alcune fragilità nei vincoli, non evidenti finora sul piano manifesto, e procurate o esacerbate, presumibilmente, da queste azioni, ed esperienze politraumatizzanti precedenti: l’aggressività latente legata al conflitto professionale e di genere, la rabbia non esplicitata legata a questo conflitto latente e quella legata alle altre aggressioni subite dall’esterno, il dissenso non detto o non ascoltato che si sono insinuati tra le crepe ed il gruppo all’improvviso si è dovuto rimettere in gioco.
Il trauma può fungere in un gruppo come collante ma anche come elemento disgregativo: a noi sembra che, in questa osservazione, sia andato un po’ più in questa seconda direzione.
Si è inserito come un cuneo nella quotidianità e ha rotto il linguaggio familiare: prima erano apparentemente tutti uguali, una sorta di condivisione matriarcale dei poteri, adesso no, irrompe ed emerge il conflitto, determinato dalla percezione evidente delle differenze, che sono differenze di ruoli e di genere, e la differenza di genere richiama e sembra sovrapporsi alla differenza dei ruoli e innesca dinamiche competitive. La compattezza del gruppo è destabilizzata, la gestione della paziente non avviene secondo percorsi autenticamente condivisi, si apre il varco alla possibilità dell’aggressione, si genera il trauma: anche la risposta ad esso non è aggregata e condivisa, ma mostra modelli di risposta e di elaborazione frammentati. Il soggetto, vittima dell’evento aggressivo, cerca risposte secondo un paradigma individualistico.
Ci chiediamo: la posizione del gruppo di professionisti è dipesa anche da come si è posta l’operatrice aggredita? E lei avrebbe potuto sottrarsi al mandato conferitole da esso? Diceva infatti di sé, durante una delle supervisioni osservate: “Sapevo che sarebbe andata così, avevo chiesto di vedere insieme a qualcuno questa paziente, ma sono abituata a far da sola senza pensarci. Mi è stato detto che dovevo farlo io, perché ero l’operatore di riferimento.”
Apparentemente lei ha poi avuto, in seguito all’accadimento traumatico, un atteggiamento di rottura col gruppo: non ha chiesto aiuto, si è assentata per un lungo periodo, alle supervisioni da noi osservate è arrivata sempre in ritardo, “anticipando la diaspora” con un messaggio aggressivo che si riflette nelle dinamiche gruppali.
Tutto quel che abbiamo osservato e poi riportato al nostro gruppo di ricercatrici riverbera su di noi in modo differente, dati i nostri ruoli e i nostri gruppi interni: intorno a questo dibattiamo e cerchiamo di analizzare i contenuti che emergono. E’ come essere una squadra, un’osservatrice si avvicina di più ad un’ipotesi o all’altra.
Ma ci sembra di poter condividere unitariamente che la ricerca abbia evidenziato alcune risultanze, che vorremmo lasciare però sotto forma di domande aperte, per suscitare ed identificare pensieri e canali ulteriori di ricerca . Infatti, secondo alcuni autori della Rivista “Psicologia Social” di Bahia Bianca (Bernardo Jiménez Dominguez ) i ricercatori psicosociali dovrebbero considerarsi “costruttori di opere effimere” , quindi la ricerca dovrebbe servire, una volta ultimata, a produrre pensieri generativi e desideri di aprire ulteriori canali di investigazione.
Le risultanze sono:
1) un gruppo curante omogeneo per genere ascrive al suo proprio genere la specificità dell’esercizio della cura? Un gruppo di maschi, cioè, pensa che la cura debba seguire criteri “maschili” e un gruppo di donne pensa che la cura sia legittima solo secondo criteri “femminili”? Il curare è maschile e la cura è femminile?
2) I conflitti fra categorie professionali sono conflitti di genere?
3) Come gioca la specificità di genere nel determinare difficoltà a rifiutare il deposito dei mandati? Per le donne è forse più difficile rifiutare il deposito di un mandato?
4) La prevalente omogeneità di genere, in un gruppo, rende i processi di differenziazione più difficili? Li rende carichi di un’aggressività reciproca importante tra i membri? Fa emergere dinamiche espulsive rispetto a chi si differenzia?
5) I politraumi precedenti e ripetuti espongono a successive, più dirompenti, esperienze traumatiche?
Div. III - Cat.11E - 2015 prot. n.3024/100TULPS/2015
VISTI gli atti d’Ufficio, da cui risulta che xxxxxx [...], in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della società “Mani Avanti S.r.l.” con sede legale a Riccione [...], è titolare dell’autorizzazione n.586 rilasciata dal Sindaco di Riccione il 25/02/2015 per tenere in Riccione - via Chieti, 44 - pubblici trattenimenti danzanti nel pubblico esercizio (discoteca) ad insegna “Cocoricò” e che la somministrazione di alimenti e bevande, effettuata nel locale in favore degli avventori, è stata delegata dalla citata società al sig. XXXX [....], come da S.C.I.A. presentata al Comune di Riccione, a firma di quest’ultimo, il 25/03/2015;
VISTA la segnalazione n.48811/5-51 della Compagnia Carabinieri di Riccione, datata 24/07/2015, da cui si evince che nelle prime ore del mattino del 19/07/2015, al Pronto Soccorso dell’Ospedale “Ceccarini” di Riccione, il minore Lamberto Lucaccioni, di anni 16 - poco prima trasportato al nosocomio in autoambulanza per un grave malessere fisico sopravvenutogli mentre stava ballando all’interno della suddetta discoteca - decedeva a seguito di “arresto cardiorespiratorio in abuso metilenediossimetanfetamina”;
VISTA l’ordinanza di misura coercitiva n. 4230/2015 R.G.N.R. emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Rimini - Dott. Vinicio Cantarini - il 25/07/2015, nelle more del procedimento penale instauratosi per il gravissimo fatto sopra decritto, da cui emerge che la causa del decesso del giovane “veniva identificata nell’abuso di sostanza stupefacente di tipo MDMA” (pag. 1), che il medesimo, per quanto è risultato dalle indagini svolte dai Carabinieri di Riccione e dalla Procura della Repubblica di Rimini, si era procurato in due distinte occasioni, la prima delle quali a Città di Castello (PG), ove abitava e l’altra all’interno del “Cocoricò” (pag. 3), da uno stesso fornitore che a sua volta, per soddisfare la richiesta del Lucaccioni, si era riapprovvigionato nella discoteca da uno sconosciuto spacciatore (pag. 3);
CONSIDERATO che, al di là del luogo e/o della persona presso la quale il minore Lamberto Lucaccioni possa essersi procurato la sostanza stupefacente che gli ha poi cagionato la morte, particolarmente significativa appare la circostanza che egli, pur essendosela procurata giorni prima, non l’abbia consumata subito per soddisfare un bisogno psicofisico tipico del tossicodipendente, bensì se la sia procurata per consumarla in un momento successivo, ovvero in uno “spazio emotivo” ben definito, perché nella sua concezione distorta di divertimento, il “Cocoricò” e le serate ivi organizzate rappresentavano il luogo “perfetto” ove assumerla. Paradigmatico di ciò, il fatto che l’abbia tenuta con sé per due giorni almeno, l’abbia trasportata dal luogo ove dimorava abitualmente al luogo ove si era temporaneamente trasferito in vacanza (Pinarella di Cervia) e da lì, ancora, l’abbia nuovamente conservata fino alla serata del 18/07/2015 e quindi quel giorno l’abbia trasportata definitivamente a Riccione, dove poi l’ha assunta proprio per predisporsi psicofisicamente a trascorrere in maniera per lui “appropriata” l’agognata serata al “Cocoricò”. Se dunque Lamberto Lucaccioni, sulla base dei dati allo stato disponibili, può ora definirsi consumatore (anche meramente occasionale) di stupefacenti “a scopo ricreativo”, è emblematico che egli, in quanto tale, abbia scelto non solo il tipo di droga da assumere (ovvero MDMA, una c.d. “club drug”, nota anche come ecstasy) ed il momento preciso in cui assumerla, ma che abbia ritenuto che, nell’intero circondario della località ove si trovava in vacanza, il luogo “giusto” doveva essere il “Cocoricò”;
RILEVATO che dalla segnalazione dei Carabinieri di Riccione emerge che un fatto analogo si era già verificato il 2 gennaio 2014, quando un giovane napoletano di 32 anni fu trovato cadavere dai carabinieri nella stanza di un albergo di Miramare (RN), ove lo stesso aveva preso temporaneamente alloggio con una nutrita comitiva di amici.
Le indagini dell’Arma, infatti, hanno permesso di attribuire la morte del ragazzo ad arresto cardiocircolatorio, che è risultato essere stato provocato dall’abuso di una mistura letale di alcool e droga, che il malcapitato aveva ingerito durante la serata precedente, trascorsa con gli amici nel locale in premessa.
RILEVATO altresì che la stessa ordinanza di misura coercitiva n. 4230/2015 R.G.N.R. emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Rimini rievoca un ulteriore episodio (pagg. 4 e 5), peraltro oggetto di giudicato da parte dello stesso Ufficio-G.I.P. con sentenza ex art. 444 c.p.p. del 08/07/2014, a seguito del quale un altro soggetto è stato condannato per avere ceduto droga ed in tal modo procurato lesioni personali ad una ragazza, in data 20/07/2013, “all’interno dello stesso locale, dove la giovane entrò in stato comatoso subito dopo l’assunzione. La circostanza che desta preoccupazione (commenta il G.I.P. nella richiamata ordinanza) è che anche in tale occasione i protagonisti (diretti/indiretti) della vicenda risultano essere ragazzi che svolgevano funzioni di PR o che collaboravano con questi ... omissis... per la discoteca COCORICÒ”;
Accadimenti simili, anche se taluni con epiloghi differenti, dalla citata informativa dei Carabinieri ed in questi atti, risultano essersi già verificati in quel luogo in un passato anche recente, e precisamente:
il 20/12/2004, quando un giovane avventore di diciannove anni, sentitosi male all’interno della discoteca per abuso di metanfetamine, morì nonostante i ripetuti tentativi di rianimazione compiuti dal personale del servizio “118” e del Pronto Soccorso di Riccione, ove era stato immediatamente trasportato;
il 27/11/2011, quando un giovane frequentatore accusò un malessere mentre ballava nella discoteca in premessa e, una volta trasportato d’urgenza all’Ospedale di Riccione, gli fu riscontrata una grave intossicazione da sostanze stupefacenti di varia natura - anfetamine, metanfetamine, benzodiazepine, cocaina e cannabinoidi - che rese necessario il suo ricovero nel reparto di rianimazione, in quanto in grave pericolo di vita, tant’è vero che gli dovettero poi praticare un trapianto di fegato;
il 03/08/2012, quando un giovane avventore (ventenne) fu colto da malore mentre si trovava all’interno del locale in questione; dopo essere stato soccorso e trasportato presso l’Ospedale di Riccione, i medici stabilirono che le cause del malessere erano da attribuire ad abuso di metanfetamine;
il 26/08/2012, quando una coppia di giovani frequentatori, sentitasi male mentre stava ballando nella suddetta discoteca, venne fatta trasportare presso il vicino ospedale di Riccione. La ragazza (ventenne), giudicata in grave pericolo di vita, venne trasferita all’Ospedale di Rimini con diagnosi di “stato comatoso con presenza di consolidamenti polmonari di origine ioatragena in intossicazione acuta da stupefacenti”, mentre al ragazzo (ventinovenne) venne diagnosticata un’overdose da stupefacenti. Le indagini condotte nell’immediatezza da parte dei carabinieri di Riccione, portarono a concludere che i due avevano assunto una pericolosa miscela di alcool e sostanze stupefacenti, quest’ultime reperite nella stessa discoteca al pari degli alcolici ed immediatamente ingerite;
il 04/08/2013, quando per un altro giovane avventore (ventenne) si rese necessario il ricorso al soccorso sanitario d’urgenza, in quanto sentitosi male mentre si trovava nel parcheggio antistante il “Cocoricò”. Anche per esso, la diagnosi dei medici fu “poliabuso di sostanze” , tant’è vero che i militari rinvennero nella sua disponibilità ulteriore sostanza stupefacente e per tale motivo lo segnalarono al Prefetto per la violazione dell’art. 75 del DPR 309/90;
l’01/12/2013, quando all’ospedale di Riccione fu trasportato d’urgenza un ulteriore frequentatore anconetano del locale (ventunenne), crollato all’interno del locale privo di conoscenza, in preda ad un forte stato d’agitazione con alitosi alcolica ed allucinazioni visive. Le ammissioni del giovane e gli immediati accertamenti compiuti dai carabinieri di Riccione portarono, anche in quel caso, a stabilire che egli aveva assunto alcool e MDMA mentre si trovava nella discoteca in esame, dove aveva trascorso la serata con propri amici. Il giovane, rispresosi a seguito delle cure prestategli, fu poi dimesso con diagnosi “abuso etilico e sostanze psicotrope”.
RILEVATO che in data 28 luglio 2015 a pag. 6 del QN “Il Resto del Carlino” è stato pubblicato un articolo di stampa dal quale si apprendeva di un ragazzo minorenne ricoverato presso un ospedale di Bergamo per aver assunto una dose di MDMA, che gli aveva provocato una grave intossicazione al fegato per la quale necessita di un trapianto dello stesso organo. Nella circostanza la madre del minore affermava di aver appreso dal figlio che aveva assunto la droga presso la discoteca “cocoricò” di Riccione. A seguito di immediate indagini esperite dalla Squadra Mobile di Como, su richiesta della Questura di Rimini, si appurava che il minore, in realtà, aveva assunto la dose di MDMA a una festa tenutasi a Torino, con ciò creandosi una forma di “giustificazione” anche nei confronti dei genitori, considerando i noti eventi ripetitivi e anologhi avvenuti nel corso degli anni presso la discoteca “Cocoricò”, lasciando credere alla genitrice, la presunta veridicità di quanto affermato dal figlio, proprio per la diffusa percezione in ambito nazionale, di ciò che accade presso la suddetta discoteca.
VISTI gli atti d’Ufficio, da cui risulta che in passato si è reiteratamente reso necessario sospendere la licenza del locale in premessa, essendosi ciclicamente riproposte le condizioni per l’adozione del provvedimento di cui all’art.100 T.U.L.P.S., oltre che per i fatti sopra esposti, anche a causa della recidivanza del fenomeno di spaccio e di consumo di sostanze stupefacenti e psicotrope all’interno o nelle pertinenze della discoteca stessa, nonché per la continua commissione di reati predatori posti in essere, anche con inaudita violenza, dai suoi frequentatori - assioma testimoniato, oltre che dal grave nocumento alla sicurezza ed alla salute dei giovani avventori, anche dal continuo ripetersi delle condotte illecite accertate e dagli atti giudiziari o amministrativi che le hanno documentate e che sono stati posti a fondamento dei provvedimenti stessi (si citano la sospensione della licenza per giorni 60, ex art.100 T.U.L.P.S., con decreto del Questore di Forlì datato 02/08/1994; la sospensione della licenza per giorni 20, ex art.100 T.U.L.P.S., con decreto del Questore di Rimini datato 09/12/1999; la sospensione della licenza per giorni 8, ex art.100 T.U.L.P.S., con decreto del Questore di Rimini del 24/09/2004; la sospensione della licenza per giorni 15, ex art.100 T.U.L.P.S., con decreto del Questore di Rimini del 23/12/2004; la sospensione della licenza per giorni 7, ex art.100 T.U.L.P.S., con decreto del Questore di Rimini del 15/08/2008; la sospensione della licenza per giorni 15, ex art.100 T.U.L.P.S., con decreto del Questore di Rimini del 02/12/2011 e la sospensione della licenza per giorni 21, ex art.100 T.U.L.P.S., con decreto del Questore di Rimini del 24/08/2013).
RILEVATO inoltre che in data 30/08/2012, con provvedimento adottato congiuntamente dal Questore e dal Comandante Provinciale dei Carabinieri di Rimini, uno dei precedenti gestori del locale era stato diffidato ad attenersi a delle particolari prescrizioni a tutela della sicurezza delle manifestazioni e degli intrattenimenti organizzati nella discoteca, proprio a seguito del continuo verificarsi di taluni episodi pregiudizievoli per l’ordine e la sicurezza pubblica ed in particolare per la sicurezza degli avventori, con peculiare riferimento allo spaccio di stupefacenti o sostanze psicotrope e quindi, all’abituale - se non addirittura costante - ritrovo in quel luogo di persone pericolose.
PRESO ATTO tuttavia, che la Compagnia Carabinieri di Riccione, nella cui circoscrizione la discoteca medesima ha la propria sede, ha nuovamente ribadito (con la segnalazione n.48811/5-51 del 24/07/2015) che il rapporto di fattiva collaborazione instauratosi nel tempo tra il Comando, i gerenti ed il personale addetto alla sicurezza del locale, è via via scemato, proprio a seguito delle proposte di chiusura del medesimo formulate dal Comando stesso al Questore di Rimini. Peraltro, lo stesso Comando, già a partire dal mese di marzo 2014 (nota n.48811/5-43 “P” di protocollo del 03/03/2014, pag.9) - aveva evidenziato che la politica di gestione del locale “è assolutamente mutata... con una radicale sospensione dell’atteggiamento collaborativo verso le Forze dell’Ordine ed i CC di Riccione in particolare. Ciò è documentabile da una lunga serie di precedenti arresti eseguiti su segnalazione degli addetti alla sicurezza del locale che, da quella data in poi (n.d.r.: dal 24/08/2013, data di adozione di un provvedimento ex art.100 TULPS da parte del Questore di Rimini, su segnalazione degli stessi Carabinieri) sono drasticamente calati, limitando le richieste di intervento dei carabinieri prevalentemente per circostanze inevitabili”.
RILEVATO oltretutto che, come si evince dal documento di sintesi datato 20 luglio 2015 predisposto dall’AUSL della Romagna - U.O.C. Emergenza Territoriale della Provincia di Ravenna -, dal 01/01/2014 al 20/07/2015, alla centrale operativa “118 di Area Vasta Romagna” risultano pervenute quattordici richieste di soccorso verso la discoteca in questione - prevalentemente rivolte a ragazzi in stato confusionale per esotossicosi alcolica o per poliabuso di sostanze psicoattive, ovvero ancora per conseguenze traumatiche e lesioni personali cagionate loro da terzi con atti di violenza - a tre delle quali è stato assegnato il codice di criticità “rosso”, mentre ad altri tre (di cui due per i fatti citati) quello “giallo”;
RILEVATO anche che, come documentato dalla Polizia Municipale di Riccione con la nota prot. n.31180/15 del 28 luglio 2015 e con i relativi atti allegati, presso la discoteca “Cocoricò”, risulta essere stato attivato, a richiesta dei gestori del locale, anche un presidio di soccorso sanitario, garantito dalla Società “Croce Azzurra S.r.l.” con sede legale a Riccione, operativo dall’anno 2013, specialmente nel fine settimana o soltanto durante taluni eventi che ivi vengono organizzati e normalmente dalle ore 00:00 alle ore 05:00. Tale presidio, composto da un tecnico d’emergenza e da un infermiere professionale con autoambulanza - come peraltro confermato dall’amministratore delegato della cennata società -, risulta intervenire sia all’interno che all’esterno della discoteca, indifferentemente a richiesta del personale addetto alla sicurezza del locale, ovvero dei suoi stessi frequentatori e svolgere un servizio autonomo e parallelo rispetto a quello pubblico reso dal “118”.
Detto servizio, pur non avendo predisposto un sistema di tracciamento univoco delle prestazioni erogate e/o delle generalità o dell’età delle persone nei cui confronti vengono rivolte, risulta avere comunque documentato, per l’anno 2014, l’esecuzione di ulteriori quattordici interventi che hanno richiesto il trasporto del paziente al vicino ospedale di Riccione, quasi tutti per abuso etilico, traumi o lesioni personali derivanti da opera di terzi;
CONSIDERATO che il Sindaco di Riccione, nell’ultimo biennio, risulta avere adottato nei confronti dei gestori del locale in esame i seguenti provvedimenti autoritativi:
prot. n. 40 del 12/04/2013: sospensione della licenza di trattenimenti danzanti per giorni uno, decisa a seguito dell’accertamento compiuto in data 01/04/2013 dalla Polizia Municipale di quel Comune, circa la trasgressione della prescrizione del Sindaco di chiudere il locale e cessare i trattenimenti al pubblico all’orario stabilito. Nel provvedimento si legge che il gestore del locale, alle ore 10:00 di quel giorno, non aveva ancora chiuso la discoteca nonostante la citata prescrizione gli imponesse di farlo alle ore 05:00 e che la Polizia Municipale, all’atto dell’accertamento, rilevava “la presenza di molteplici ragazzi che, alterati da alcol e droghe, si intrattenevano all’esterno del locale...”;
prot. n.43 del 12/05/2014: diffida, per avere organizzato nella discoteca, in data 22/23 febbraio 2014 “spettacoli teatrali” contrari al buon costume, cui hanno potuto assistere avventori minorenni (ammessi in sala nonostante l’espresso divieto contenuto nella licenza), realizzati mediante l’esibizione di figuranti/artisti completamente nudi, collocati a coppie ai lati di alcuni portali, attraverso i quali i frequentatori erano costretti a passare per poter accedere in sala e senza poter evitare di strisciare sul corpo dei figuranti/artisti stessi;
prot. n.123 del 12/08/2014: diffida, per avere nuovamente organizzato nella discoteca, in data 22/04/2014 i medesimi “spettacoli teatrali” osceni di cui al punto precedente;
prot. n.35728 del 10/09/2014: sospensione della licenza di trattenimenti danzanti per giorni due, decisa a seguito dell’accertamento compiuto in data 07/09/2014 dai Carabinieri di Riccione, circa la trasgressione della prescrizione del Sindaco di chiudere il locale e cessare i trattenimenti al pubblico all’orario stabilito. Nel provvedimento si legge che il gestore del locale, alle ore 05:30 di quel giorno, non aveva ancora interrotto i trattenimenti musicali e danzanti, nonostante la citata prescrizione gli imponesse di farlo alle ore 05:00;
prot. n.72 del 29/05/2015: sospensione della licenza di trattenimenti danzanti per giorni uno, decisa a seguito dell’ulteriore accertamento compiuto in data 26/04/2015, alle ore 06:35, dai Carabinieri di Riccione, relativo ad un’altra trasgressione della prescrizione del Sindaco di chiudere il locale e cessare i trattenimenti al pubblico all’orario stabilito;
RILEVATO che, nonostante il dispositivo di sicurezza posto in essere dai gestori della discoteca e l’innegabile rapporto di fattiva collaborazione instauratosi tra essi, gli addetti alla sicurezza e le varie FF.OO. - attuato anche e specialmente in occasione di particolari eventi che hanno richiamato in passato e richiamano ancora oggi una moltitudine di giovani e per i quali sono stati posti in essere interventi mirati per evitare il verificarsi di episodi pregiudizievoli per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica -, il fenomeno dello spaccio e del consumo di sostanze stupefacenti e/o psicotrope all’interno o nelle pertinenze del locale in questione non è soltanto continuato, ma ha assunto nel tempo dimensioni allarmanti, con gravissimo nocumento all’ordine ed alla sicurezza pubblica, anche grazie al contemporaneo aumento di correlati fatti di violenza e/o microcriminalità che vedono protagonisti diretti e/o indiretti i giovani avventori.
Infatti, oltre ai gravissimi episodi sopra enunciati, l’attività di contrasto compiuta in quel luogo da personale dei Carabinieri di Riccione a partire dall’ultimo provvedimento di sospensione della licenza del locale ex art.100 T.U.L.P.S. adottato, ha fatto registrare i seguenti risultati:
nella nottata tra il 31/10 e l’01/11/2013 venivano arrestati due cittadini marocchini di 19 e 24 anni, resisi responsabili di rapina aggravata nei confronti di un giovane frequentatore della discoteca e di porto abusivo di coltello.
Nel corso della stessa serata, nel parcheggio della discoteca, venivano altresì tratti in arresto:
un ventottenne trentino, trovato in possesso di varie dosi di sostanza stupefacente da destinare allo spaccio nel locale, consistenti complessivamente in g. 5.9 di cocaina e g. 4.4 di MDMA;
un ragazzo diciannovenne, che si trovava in fila per entrare nella discoteca, in quanto trovato in possesso di diverse qualità di sostanze stupefacenti, suddivise in dosi, da destinare allo spaccio all’interno del locale. Nell’occorso gli venivano sequestrati tre “spinelli” preparati con marijuana, g. 1.33 di MDMA suddivisi in n.3 dosi singole e g. 5.8 di marijuana, anch’essa suddivisa in dosi;
Nello stesso frangente, un marocchino di 20 anni ed un tunisino di 19 venivano segnalati al Prefetto quali consumatori di sostanze stupefacenti, che venivano loro sequestrate, rispettivamente, nella misura di g. 0.2 di MDMA e g. 2.0 di hashish;
il 24/11/2013, un giovane bolognese veniva sorpreso all’interno del locale con un coltello a serramanico con una lama da 9 cm. e successivamente denunciato in stato di libertà per il porto ingiustificato di tale strumento. Lo stesso, essendo stata trovata nella sua disponibilità della cocaina per uso personale, veniva segnalato al Prefetto quale tossicodipendente;
il 02/02/2014, alle ore 04:00 circa, veniva arrestato un giovane marocchino che aveva tentato di spendere una banconota falsa da € 50,00, per pagare il corrispettivo dell’ingresso alla discoteca. Il giovane, all’esito della successiva perquisizione, veniva trovato in possesso di un’ulteriore ed identica banconota fasulla, che deteneva nel portafogli;
il 06/04/2014, verso le h. 04:00, un giovane albanese, dopo un’accesa lite con una propria coetanea, occorsa mentre i due erano in fila per entrare al “Cocoricò”, veniva allontanato dal personale addetto alla sicurezza degli eventi. Evidentemente contrariato per la cosa, il giovane albanese prelevava dalla propria autovettura un pesante utensile, col quale si avventava sui citati addetti, colpendoli ripetutamente alla testa e procurando loro lesioni personali. Il ragazzo, nell’immediatezza, veniva denunciato dai carabinieri per il porto ingiustificato del citato strumento;
il 20/04/2014 un ventisettenne italiano pregiudicato veniva tratto in arresto in quanto trovato in prossimità dell’ingresso della discoteca in possesso di g. 25 di anfetamina suddivisa in n. 19 dosi da destinare allo spaccio in favore dei giovani avventori;
nel corso della stessa nottata, veniva altresì arrestato un uomo pregiudicato di 32 anni il quale, avvicinati due giovani clienti della discoteca che si stavano allontanando in bicicletta dalla stessa, uno dei quali minorenne, usava loro violenza sessuale;
il 24/04/2014 veniva arrestato un diciottenne ferrarese che, all’interno della discoteca, veniva sorpreso in possesso di g. 9.0 di ketamina suddivisa in n. 9 dosi, da destinare allo spaccio in favore dei giovani avventori;
il 30/04/2014 venivano arrestati due giovani:
un italiano pregiudicato, classe 1990, trovato in possesso di g. 1.30 di ketamina, g. 3.15 di cocaina e g. 1.65 di hashish, tutti suddivisi in dosi e pronte da spacciare;
ed uno studente albanese, classe 1995, che aveva in disponibilità g. 4.55 di cocaina frazionata in dosi da destinare alla cessione ai giovani avventori della discoteca;
nella stessa nottata venivano arrestati due studenti minorenni che, nell’area propspiciente il locale, si erano appena resi responsabili di rapina aggravata nei confronti di due giovani frequentatori, sottraendo loro, sotto la minaccia di un coltello, un telefono cellulare e del denaro contante. I due malfattori venivano trovati in possesso, oltreché del coltello e della refurtiva, anche di g. 0.38 di hashish e g. 0.42 di MDMA;
il 10/05/2014, nel parcheggio della discoteca, due donne (una 35enne romana ed una 36enne pesarese) venivano arrestate poiché trovate in possesso di g. 11.36 di cocaina, g. 21.77 di MDMA, che detenevano suddivise in dosi già pronte da smerciare all’interno della discoteca. La successiva perquisizione domiciliare eseguita nei loro confronti, permetteva ai carabinieri di sequestrare ulteriori g. 31.16 di MDMA e g. 1.21 di hashish, anche questi già frazionati in dosi singole da destinare allo spaccio, un bilancino di precisione e materiale per il confezionamento dello stupefacente.
Nel corso della stessa serata è stato arrestato un ventenne tunisino sorpreso a rubare, unitamente ad un complice rimasto ignoto, telefoni cellulari agli avventori mentre ballavano. Nell’occorso venivano recuperati tre smartphone appena trafugati a due ragazze;
il 05/07/2014 veniva arrestato un giovane albanese, classe 1992, trovato in possesso di g. 4.6 di sostanza stupefacente detta “speed”, suddivisa in n.8 dosi pronte per lo spaccio;
nel corso della medesima serata, veniva denunciato in stato di libertà un venticinquenne foggiano che, senza alcun motivo plausibile, rivolgeva frasi oltraggiose all’indirizzo dei carabinieri, a causa del servizio da essi prestato;
il 19/07/2014 veniva arrestato un venticinquenne milanese pregiudicato, trovato in possesso di g. 6 di MDMA suddiviso in n.30 dosi da destinare allo spaccio. Il medesimo è in quel frangente risultato altresì colpito da ordinanza di esecuzione per espiazione pena detentiva domiciliare, emessa dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, in forza della quale doveva espiare la pena di un anno e sei mesi di reclusione, per reati commessi in precedenza;
il 27/07/2014, venivano arrestati tre ragazzi stranieri, resisi responsabili di quattro distinte rapine aggravate e continuate (oltre a ricettazione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti), commesse nel parcheggio antistante la discoteca ai danni di altri giovani avventori, anche con l’espediente di vendere loro sostanze stupefacenti, che poi i carabinieri trovavano effettivamente in loro possesso e sequestravano;
nella notte tra il 26 ed il 27/07/2014, nel corso di una perquisizione eseguita in un appartamento riccionese nella disponibilità della gestione del locale e da questa dato in uso ad alcuni giovani “P.Rs.” della discoteca, venivano sequestrate a quest’ultimi diverse dosi di sostanze stupefacenti detenute per uso personale. In particolare, ad un venticinquenne della provincia di Napoli veniva trovata marijuana per g. 1.17; un suo comprovinciale di 27 anni veniva trovato in possesso di tre dosi di hashish per complessivi g. 2.76 e due di marijuana per un totale di g. 0.93, mentre ad un terzo ragazzo di 26 anni, della provincia di Lodi, veniva trovata della cocaina per g. 0.2. Tutti e tre venivano segnalati al Prefetto in qualità di tossicodipendenti;
il 03/08/2014, all’interno della discoteca, venivano arrestati un ventenne aretino pregiudicato che, ai fini di spaccio, deteneva di g. 3,46 di MDMA e grammi 1.1 di marijuana (e che ammetteva di avere in precedenza, nella stessa sala, già spacciato tre dosi di MDMA che gli avevano fruttato 90 euro), nonché un ventenne albanese pregiudicato che, per le stesse finalità, deteneva g. 3.46 di cocaina ripartiti in sei dosi, g. 0.2 di ketamina suddivisi in due dosi e g. 0.75 di maijuana, tutte da destinare allo spaccio in favore dei giovani frequentatori del locale;
nello stesso contesto e nelle medesime circostanze, i carabinieri individuavano e denunciavano in stato di libertà un operaio diciannovenne torinese, trovato in possesso di g. 3.2 di MDMA, suddivisi in dosi singolarmente confezionate e detenute ai fini di spaccio;
il 09/08/2014, nei pressi della pista da ballo della discoteca, venivano arrestati due giovani, classe 1991 e classe 1985, colti in flagranza di spaccio e contestualmente trovati in possesso di g. 0.22 di marijuana, g. 12.58 di hashish, g. 0.26 di mdma e g. 2.12 di ketamina, tutti suddivisi in dosi pronte per lo spaccio;
quella stessa notte:
nel parcheggio della discoteca, veniva individuato ed arrestato anche un pregiudicato marocchino di 18 anni, che poco prima, all’interno del locale si era reso responsabile di un furto e di un tentato furto di effetti personali in danno di alcuni clienti che li avevano lasciati incustoditi;
all’interno del locale veniva individuato e denunciato in stato di libertà, per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, anche un giovane pistoiese trovato in possesso di n. 7 compresse di ecstasy, nonché della somma in denaro contante di € 220,00, ritenuta il provento dell’illecita attività compiuta sino a quel momento;
il 14/08/2014, nel locale venivano arrestati due giovani di 20 e 23 anni. Il primo, all’interno della discoteca veniva notato avvicinare ripetutamente i giovani astanti e quindi, sottoposto a controllo, veniva trovato in possesso di g. 7.6 di marijuana suddivisa in n.6 dosi, nonché di g. 2.0 di MDMA, anch’esso frazionato in dosi, tutte pronte da smerciare nella discoteca. Il secondo, sempre all’interno del locale, veniva notato dai militari mentre si appartava con dei giovani frequentatori ed al controllo risultava possedere g. 4.9 di MDMA frazionati in dosi da destinare allo spaccio;
nella stessa nottata, veniva indagato in stato di libertà un venticinquenne modenese che, dopo essere stato sorpreso ad avvicinare ripetutamente i giovani frequentatori del locale, si scopriva possedere g. 1.5 di hashish, g. 1.6 di cocaina ed una pasticca di ecstasy, da destinare allo spaccio;
il 17/08/2014, sempre all’interno della medesima discoteca e sempre per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, venivano tratti in arresto un egiziano clandestino di 21 anni, tre italiani, di cui due ventenni e un ventiquattrenne, mentre un minorenne, anch’esso italiano, veniva denunciato in stato di libertà per lo stesso reato. Contestualmente, una ragazza veniva segnalata al Prefetto in qualità di tossicodipendente. Nello specifico:
lo straniero ed il minore, consegnavano spontaneamente un coltello a serramanico con lama da cm.7.5, g. 0.16 di marijuana, g. 0.55 di MDMA, g. 0.13 ed uno spinello già pronto di hashish e n.15 dosi di cocaina (quest’ultime detenute dal minorenne). La successiva perquisizione permetteva di rinvenire sulla persona dell’egiziano un ulteriore dose di cocaina da g. 0.30. Nell’occorso il minore confessava che le dosi di cocaina da lui detenute gli erano state consegnate dall’egiziano che, con tale espediente, aveva tentato di eludere eventuali controlli rivolti alla sua persona.
dei tre italiani, uno veniva trovato in possesso di n.24 dosi di MDMA per complessivi g. 6.0, n.14 dosi di cocaina per un totale di g. 6.70 e g. 1 di hashish; un altro, in compagnia di una coppia di amici, risultava detenere g. 16.25 di MDMA già frazionato in dosi da destinare allo spaccio. Il ragazzo e la ragazza in sua compagnia, a loro volta venivano trovati rispettivamente in possesso di una dose di MDMA confezionata in maniera identica a quelle rinvenute in possesso del suo amico e, quanto alla ragazza, di modiche quantità di hashish, ketamina e MDMA detenute per uso personale. Il ragazzo veniva quindi tratto in arresto per concorso nel reato con l’amico, mentre quest’ultima veniva segnalata al Prefetto quale consumatrice di stupefacenti;
il 24/08/2014, verso le h. 2.30, nei pressi dell’ingresso della discoteca veniva arrestato un giovane italiano, classe 1992, trovato in possesso di g. 0.5 di marijuana e g. 3.6 di MDMA suddivisi in n.14 dosi da destinare allo spaccio nel locale. Il medesimo era stato notato dai militari mentre avvicinava ripetutamente i giovani frequentatori in procinto di entrarvi;
nel corso della stessa nottata, veniva denunciato in stato di libertà uno studente diciottenne della provincia di Milano che, all’ingresso del medesimo localwe, veniva trovato in possesso di g. 18.9 di marijuana e g. 0.5 di hashish, che occultava negli indumenti intimi e che deteneva al fine di destinarli allo spaccio nella discoteca;
il 05/10/2014, nel parcheggio antistante la discoteca veniva arrestato un ventunenne pregiudicato, colto nell’atto di cedere ad un giovane frequentatore del locale una dose di cocaina da g. 0.4. Nel corso dell’immediata perquisizione rivoltagli, il medesimo veniva trovato in possesso, di ulteriori g. 1.4 della medesima sostanza, chiaramente detenuta ai fini di spaccio;
nella notte tra il 20 ed il 21/12/2014, all’interno della discoteca veniva arrestato un uomo italiano di 35 anni, resosi responsabile di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Costui veniva individuato dai carabinieri in atteggiamento sospetto nella sala “piramide” e nell’immediatezza trovato in possesso di n. 9 confezioni monodose, contenenti complessivamente g. 3.8 di una sostanza giallastra in cristalli, poi rivelatasi negativa al narcotest, che egli teneva in mano e che vendeva ai frequentatori come fosse sostanza stupefacente MDMA. Alla successiva perquisizione, sulla sua persona venivano rinvenuti occultati g. 6.4 di marijuana genuina frazionata in n.8 dosi da destinare allo spaccio, nonché una cospicua somma di denaro in banconote di vario taglio, provento dell’attività illecita compiuta sino a quel momento;
il 26/01/2015, nel parcheggio antistante la discoteca, venivano arrestati due ragazzi e due ragazze (delle quali una minorenne), tutti italiani, trovati in possesso di n. 30 dosi di MDMA e di n. 5 dosi di ketamina da destinare allo spaccio in favore dei giovani frequentatori del locale;
il 15/02/2015, in prossimità dell’ingresso della discoteca, i carabinieri controllavano una donna di 33 anni, pregiudicata, che veniva trovata in possesso di g. 16.1 di cocaina suddivisi in n.27 dosi e g. 24.10 di MDMA frazionati in n.103 dosi, pronte per essere smerciate ai giovani avventori del locale;
nella frangente, altri due giovani di 25 e 20 anni che si trovavano in sua compagnia venivano denunciati in stato di libertà in quanto sorpresi in possesso di g. 2.8 di MDMA e g. 1.1 di hashish il primo, nonché g. 2.3 di MDMA il secondo;
il 26/04/2015, all’interno del locale, venivano arrestati per il reato di detenzione ai fini di spaccio di varie sostanze stupefacenti, in concorso tra loro, quattro giovani italiani (tra i quali una ragazza ed un minorenne). L’atteggiamento sospetto di costoro veniva segnalato ai carabinieri dal personale addetto alla sicurezza della discoteca. Uno dei ragazzi ed il minorenne venivano immediatamente trovati in possesso di n.15 dosi di ketamina e g. 5,8 di MDMA frazionati in 25 dosi pronte per essere cedute ai giovani avventori, nonché di complessivi € 480,00 derivanti dalle cessioni sino a quel momento compiute. La successiva perquisizione domiciliare, compiuta nella stanza d’albergo ove tutti dimoravano, permetteva di rinvenire nella disponibilità della ragazza altre 25 dosi di MDMA, per un peso complessivo di g. 6.1, nonché ulteriori 58 dosi di MDMA, corrispondenti a g. 12.3, nella disponibilità del quarto ragazzo, oltre ad € 470,00 anch’essi ricavati dall’attività di spaccio;
nel corso della stessa serata:
all’interno della discoteca veniva arrestato un ventenne marocchino pregiudicato, resosi responsabile di una rapina aggravata in danno di un giovane frequentatore della medesima cui, sotto la minaccia della lama di un cutter e dopo averlo colpito in viso con un pugno, aveva richiesto la consegna del denaro in suo possesso;
veniva denunciato in stato di libertà un diciannovenne italiano pregiudicato, trovato in possesso di g. 8.6 di hashish detenuti ai fini di spaccio;
veniva denunciato in stato di libertà un ventiquattrenne tunisino, trovato in possesso di una banconota falsa da € 20,00;
l’01/05/2015 veniva arrestato un giovane italiano, classe 1995, trovato in possesso di g. 21.2 di sostanza stupefacente del tipo MDMA suddivisa in n.65 dosi e g. 0,8 di sostanza stupefacente del tipo marjiuana.
il 05/07/2015, i carabinieri procedevano al controllo di un ventenne romano che si trovava all’esterno della discoteca in atteggiamento ritenuto sospetto. Sottoposto ad immediata perquisizione, veniva trovato in possesso di sostanza stupefacente opportunamente confezionata per essere ceduta a terzi, oltre a n. 55 dosi preconfezionate di una sostanza in polvere di colore bianco, poi risultata negativa al narcotest, per un peso complessivo di g. 9.8 (evidentemente da lui spacciata in modo fraudolento come sostanza stupefacente). Esteso l’atto all’autovettura nella sua disponibilità, venivano rinvenuti g. 18.1 di MDMA suddiviso in n. 68 dosi preconfezionate; g. 3.5 di marijuana e g. 33.5 di hashish, anch’esse frazionate in quantitativi separati e pronti per lo spaccio ai giovani frequentatori del locale;
il 19/07/2015, all’interno della discoteca, veniva arrestato in flagranza di reato un giovane pregiudicato veronese, classe 1995, trovato in possesso di n.21 dosi di sostanza stupefacente del tipo MDMA per un peso complessivo di g. 10.0, da destinare allo spaccio in favore dei giovani avventori;
nella stessa serata, all’interno della discoteca, veniva denunciato in stato di libertà anche un uomo di 38 anni, che al medesimo fine deteneva g. 6.9 di marijuana, g. 6.9 di hashish e g. 0.6 di cocaina;
RITENUTO che i fatti sopra esposti dimostrino in maniera ineluttabile che il locale pubblico ad insegna “Cocoricò” sia divenuto nel tempo un punto di riferimento per persone pericolose, orbitanti nell’ambiente dello spaccio e del consumo smodato - ovvero dell’abuso - di sostanze stupefacenti e psicotrope, con gravi e ricorrenti ripercussioni, oltre che per l’ordine e la sicurezza pubblica, anche e soprattutto per la salute e per l’incolumità dei giovani frequentatori, circostanza di fatto sicuramente idonea a sorreggere un giudizio prognostico di pericolosità, con riguardo all’esercizio dell’attività nel detto locale e quindi all’apertura al pubblico del medesimo.
Si tratta, infatti, di accadimenti la cui pericolosità per l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini è obiettiva in sé e di assoluta autoevidenza, e come tali essi integrano perfettamente gli estremi per l’applicazione tanto dell’art. 100, primo comma del TULPS quanto del secondo comma del medesimo articolo (revoca dell’autorizzazione, in presenza di fatti ripetuti, come è accaduto nel caso di specie).
Il locale è ormai percepito e incontestabilemente considerato negli ambienti e circuiti reali e virtuali del mondo giovanile, un simbolo degli eccessi, ovvero un luogo ove, secondo tale distorta percezione, è ammissibile abbandonarsi a forme estreme ed incontrollate di divertimento, spessissimo mediante l’assunzione di pericolosissimi miscugli di bevande alcoliche, sostanze eccitanti, e/o stupefacenti e/o allucinogene di ogni genere, che portano i giovani avventori a perdere il contatto con la realtà e a non percepire più i segnali d’allarme del proprio organismo, tant’è che in numerosissime occasioni si rende necessario il ricorso alle cure mediche.
Appare evidente che, alla luce degli avvenimenti sopra elencati, tanto le azioni intraprese dalle FF.OO. che le apprezzabili iniziative puntualmente avviate dai gestori della sala, anche conformandosi alle prescrizioni ricevute dalle Autorità (quali la realizzazione di un sistema di videosorveglianza atto a controllare i locali ed il parcheggio della discoteca con il potenziamento dell’illuminazione di quest’ultimo; l’aumento del numero degli addetti alla sicurezza; l’adozione di iniziative volte a sensibilizzare ed a scoraggiare l’abuso di sostanze, realizzata anche in collaborazione con la Polizia Stradale, ecc.), non hanno sortito né un effetto dissuasivo efficace né, a maggior ragione, un rimedio, in quanto la consumazione di gravi delitti è inesorabilmente continuata di pari passo con il radicamento nel locale di soggetti (persone pregiudicate o pericolose) dediti ad attività illecite, spessissimo giovanissimi e addirittura adolescenti, al pari delle vittime dei reati stessi.
RITENUTO pertanto che - al di là di ogni valutazione sul comportamento tenuto dal titolare - in relazione ad elementi obbiettivi e concreti desunti dalle circostanze sopra esposte, ricorre una situazione tale da configurare una fonte di pericolo concreto, persistente, grave ed attuale per la collettività, poiché l’esercizio pubblico in premessa è divenuto di fatto un ritrovo di persone pericolose per la sicurezza pubblica e pertanto costituisce un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini (con particolare riferimento agli altri frequentatori del pubblico esercizio ed a coloro che vi prestano attività lavorativa);
RAVVISATA l’esigenza di contrastare il consolidamento della situazione creatasi adottando, in via preventiva e cautelare, una misura a garanzia di interessi pubblici primari quali la sicurezza e l'ordine pubblico ed al tempo stesso atta a dissuadere la frequentazione malavitosa del pubblico esercizio in questione, privando i soggetti dediti ad attività delittuose, o comunque illecite, del luogo di loro abituale aggregazione e così avvertendo, tanto costoro quanto gli abituali frequentatori del locale, che il luogo stesso è oggetto di particolare attenzione da parte dell’Autorità di P.S.;
CONSIDERATO che sussiste altresì la necessità di contrastare tutti quegli aspetti devianti volti a modificare o addirittura a porre in pericolo la tutela dei dettami posti alla base della Carta Costituzionale, quali diritti fondamentali ed irrinunciabili dei cittadini, ripristinando, mediante l’adozione di un provvedimento urgente, a tutela di primari interessi quali l’ordine e la sicurezza pubblica, la moralità, il buon costume e la sicurezza dei cittadini, anche quelle percezioni, assunte dalla maggioranza dei cittadini in ordine a concetti etici e morali, oltre che nel caso del concetto stesso di sicurezza pubblica;
CONSIDERATA in particolare la necessità di fornire tutela ai soggetti minorenni nei confronti dei quali appare incontestabile la particolare attenzione che la normativa nazionale (e in primis la Costituzione della Repubblica Italiana) e internazionale (cfr. a titolo esemplificativo la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948) rivolge loro, essendo i minori persone certamente più fragili e vulnerabili rispetto alle altre e, per tale motivo, soggette, ben più di altre, a sfruttamento ed abusi da parte di altri soggetti;
ESSENDO pertanto sussistente un inderogabile obbligo delle pubbliche Autorità di attivarsi al fine di evitare che il corretto sviluppo psico-fisico dei minori possa risultare pregiudicato da condotte e/o fatti criminosi commessi in luoghi dove è pur consentito il loro accesso;
RITENUTE sussistenti le particolari esigenze di celerità del procedimento di cui all’art.7 della L.241/90, che consentono di omettere la comunicazione d’avvio dello stesso, stante l’urgenza inderogabile di adottare un provvedimento a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, al fine di interrompere la situazione di pregiudizio e di prevenire possibili fonti di pericolo per gli interessi sopra prospettati (cfr. T.A.R. Veneto Sez. III, 23 marzo 2009, n. 742; Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 febbraio 2007, n. 505; Tar Toscana, Sez. I, 16 maggio 2006, n. 2325);
CONSIDERATO, alla luce delle motivazioni poste a sostegno dell’odierno provvedimento, ampiamente ed esaustivamente citate nelle premesse, che la formale partecipazione al procedimento da parte del destinatario del provvedimento stesso, nulla potrebbe in concreto apportare per far sì di far mutare la decisione presa circa la sua adozione e/o circa la quantificazione della durata dello stesso (Cons. Stato, VI, 29 luglio 2008, n. 3786; Cons. Stato, Sez. V, Sent. 18/04/2012, n. 2257; Cons. Stato, Sez. IV , Sent. 17/09/2012, n. 4925; Cons. Stato, Sent. n.1060/2015; Cons. Stato Sez. VI, Sent. 27/04/2015, n.2127), per cui egli, col suo intervento, non avrebbe in alcun modo potuto influire né sul contenuto, né nell’an, né nel quantum del presente provvedimento;
LETTI gli artt. 1, 5 e 100 del Testo Unico delle Leggi di P.S. approvato con R.D. 18 giugno 1931, nr.773;
l’art.9 della L. 25 agosto1981, nr.287;
gli artt.7, 21 ter e 21 octies della L. 7 agosto 1990, n.241;
REPUTATO infine che la gravità e la recrudescenza dei fenomeni descritti - reiterati anche immediatamente dopo la passata adozione di provvedimenti interdittivi o prescrittivi dell’Autorità di P.S. -, unita all’altissima frequenza con cui viene accertata la commissione di gravi reati, non consentano di giungere ad una prognosi favorevole - quanto all’idoneità ed all’adeguatezza - nei confronti di un provvedimento di sospensione della licenza dell’esercizio in esame, per un periodo contenuto entro quello massimo previsto dal combinato disposto dell’art.100 del T.U.L.P.S. e dell’art.9/3° comma della L.287/91.
Gli episodi pregiudizievoli degli interessi collettivi tutelati, infatti, sono stati nel tempo ripetuti dai frequentatori del locale anche immediatamente dopo l’adozione di provvedimenti interdittivi o prescrittivi dell’Autorità di P.S. - quasi a sottolinearne l’inadeguatezza - e con una frequenza reiterata ciclicamente, non solo nel corso di un determinato intervallo temporale di mesi o settimane, ma anche durante singole serate.
Da ciò si deve necessariamente dedurre che il locale de quo rappresenta un concreto e gravissimo pericolo per l’ordine pubblico e per la sicurezza dei cittadini.
RITENUTE quindi sussistenti, proprio per i motivi suddetti e per la gravità dei fatti rappresentati in premessa, le “particolari esigenze di ordine e sicurezza pubblica” che consentono, in luogo del più gravoso ed afflittivo provvedimento di revoca previsto dal 2° comma dell’art.100 TULPS, l’adozione di un decreto di sospensione della licenza di durata eccedente i 15 giorni, al fine di scongiurare un concreto pericolo per la pubblica sicurezza, allo stato perseguibile unicamente con l’impedimento della frequentazione della sala per un congruo periodo;
DECRETA
le licenze per tenere pubblici spettacoli e intrattenimenti danzanti, nonché per somministrare al pubblico alimenti e bevande nel locale pubblico denominato “Cocoricò”, sito in Riccione - via Chieti, 44 - ed ogni autorizzazione e/o licenza di polizia amministrativa ad esse accessoria e/o complementare di cui è titolare il sig. XXXX, in preambolo identificato, è sospesa per giorni 120 (centoventi), a decorrere dal giorno successivo a quello della notifica del presente provvedimento;
DIFFIDA
fin d’ora il Sig. XXXXX ad adempiere al dispositivo del presente decreto, con la conseguente chiusura al pubblico del citato locale per il periodo di vigenza della comminata sospensione della licenza ed astenendosi dall’adottare iniziative volte ad eluderne ed a vanificarne gli effetti con l’avvertenza che l’eventuale inottemperanza al dispositivo ed alla presente intimazione, oltre a costituire illecito penale a mente del disposto dell’art.650 C.P. (sempre che non costituisca un più grave reato), comporterà l’esecuzione coattiva anche, occorrendo, con l’impiego della Forza Pubblica e costituirà elemento di certa valutazione ai fini della revoca della licenza;
DISPONE
che la/e licenza/e sospesa/e venga/no depositata/e, fino al termine della scadenza del provvedimento, presso la Questura di Rimini - Divisione Polizia Amministrativa, Sociale e dell’Immigrazione.
DELEGA
la IV Sezione della Divisione Polizia Amministrativa, Sociale e dell’Immigrazione della Questura di Rimini per la notifica e l’esecuzione del presente decreto, con facoltà di sub-delega.
Responsabile del procedimento amministrativo, è il Primo Dirigente della Polizia di Stato Dott. Achille ZECHINI, dirigente la Divisione di Polizia Amministrativa, Sociale e dell’Immigrazione della Questura di Rimini;
Si avverte l’interessato che avverso il presente decreto è ammesso proporre:
- ricorso gerarchico al sig. Prefetto della Provincia di Rimini, entro 30 gg. dalla data di notifica;
- ricorso giurisdizionale al T.A.R. dell’Emilia Romagna, entro 60 giorni dalla data di notifica.
Rimini lì, 01 agosto 2015
IL QUESTORE
(Improta)
fin qui il documento del questore. I legali del locale hanno annunciato il ricorso al provvedimento nelle sedi opportune.
Argomenti:Lo studio GRASSI BENAGLIA MORETTI è in possesso dell’elenco dei 767 dirigenti dell’Agenzia delle Entrate dichiarati illegittimi dalla sentenza n. 37 del 2015 grazie alla precisa richiesta avanzata dal dott. Benaglia Giovanni nei confronti dell’Ufficio Fiscale di Rimini.
Si ricorda che la conseguenza di tale sentenza è quella di disporre che gli atti firmati dai dirigenti dichiarati illegittimi siano da considerare nulli, per carenza di legittimità dei dirigenti stessi.
Vista l’importanza della sentenza lo Studio è a disposizione dei propri clienti o degli interessati, per verificare, attraverso i suoi professionisti, se le cartelle di Equitalia ricevute si basano su atti dell’Agenzia delle Entrate che sono stati emessi da dirigenti non legittimati a farlo. In tal caso, infatti, si potrà avanzare ricorso per far dichiarare l’inesistenza dell’atto impositivo.
Notizie ImpreseOggi
La Corte Costituzionale dichiara illegittima la recidiva obbligatoria. Il Giudice delle leggi, investito della questione di conformità alla Costituzione, si è pronunciato con sentenza n. 185/2015 (depositata il 23 luglio), dichiarando l'illegittimità costituzionale della norma. Alla Corte era stato posto il seguente quesito:
E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, quinto comma, del codice penale in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione (Cass. penale, sez. V, ord., 10 settembre 2014 (ud. 3 luglio 2014), n. 37443)
In particolare, la Consulta ha ritenuto illegittimo il 1° comma dell'art. 99 del Codice penale, per violazione degli articoli 3 e 27 della Carta Costituzionale, poiché comporterebbe un inaccettabile automatismo sanzionatorio. La norma in questione prevede un aumento di pena sulla base del riscontro della precedente condanna e della circostanza che il nuovo reato commesso rientri nell'elenco indicato all'art. 407 comma 2, lettera a) del Codice di procedura penale (di "grave allarme sociale").
Secondo la Corte Costituzionale, dunque, l'inasprimento del trattamento sanzionatorio appare privo di ragionevolezza, "perché inadeguato a neutralizzare gli elementi eventualmente desumibili dalla natura e dal tempo di commissione dei precedenti reati e dagli altri parametri che dovrebbero formare oggetto della valutazione del giudice, prima di riconoscere che i precedenti penali sono indicativi di una più accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità del reo".
L'automatismo previsto dall'art. 99 comporta un aumento anche laddove vi sia un unico precedente, benché remoto e altresì inidoneo ad accentuare il disvalore penale ai fini della recidiva.
Si tratta perciò di una presunzione assoluta che si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
Così il comma 5 dell'art. 99, il quale a giudizio della Consulta violerebbe anch'esso i dettami costituzionali - l'art. 27 - non rispettando il principio di necessaria proporzione tra offesa recata e qualità/quantità della sanzione. Osserva, infatti, la Corte: "la preclusione dell'accertamento della sussistenza nel caso concreto delle condizioni che dovrebbero legittimare l'applicazione della recidiva può rendere la pena palesemente sproporzionata, e dunque avvertita come ingiusta dal condannato, vanificandone la finalità rieducativa prevista dall'art. 27 Cost. 3° comma".
Conclude, il Giudice delle leggi, dichiarando "pertanto incostituzionale l'art. 99 comma 5, limitatamente alle parole "è obbligatorie e.."
La pronuncia della Corte Costituzione dovrebbe ora conseguire effetti soprattutto con riguardo ai procedimenti ancora pendenti.
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