In principio era una “Traccia sul web”. Web log, appunto. Poi contratta in “blog”. Una pagina dove segnavi dei link interessanti e al limite li commentavi. Poi però i motori di ricerca si sono evoluti in modo più estensivo, mentre lo strumento si è prestato a diventare qualcosa di più, una forma di editoria fuori dagli schemi formali conosciuti (e inaccessibili ai più), E' diventato un modo per raccontarsi e raccontare qualcosa – qualsiasi cosa – e confrontarsi con gli altri. Ma questa evoluzione la potete conoscere meglio se consultate wikipedia (qui in italiano, una voce meno “estesa”, diciamo). Per amore di brevità, schematizzerò un po' (arbitrariamente) dividendo i blog in quelli personali e quelli tematici.
Quelli personali sono dei diari, dove dentro ci si mette un po' di tutto: annotazioni, pensieri, racconti, scazzi e impressioni. E' il proprio mondo che si propone al lettore, con tutti i rischi che comporta una simile operazione. Se non scrivi in maniera interessante e coinvolgente, non è che vai molto lontano. Come ha detto Orhan Pamuk, quando gli hanno conferito il Nobel per la letteratura nel 2006, «Chi scrive parla di cose che tutti conoscono ma che non sanno ancora di conoscere. Così, scrittori e lettori, avvertono quanto tutti gli uomini hanno in comune. La grande letteratura non parla della nostra capacità di giudizio, ma della nostra abilità di metterci nei panni degli altri». Diciamo che, fatte le dovute proporzioni tra un libro di un Nobel e un blog, la chiave di successo per scrivere un diario digitale è tutta qui.
Quelli tematici invece hanno un taglio più preciso: scelgono un argomento e lo sviluppano. Attualità, politica, viaggi, cucina: non occorre essere un giornalista per crearli, basta un po' di passione e di esperienza nello scrivere. Poi, per avere un certo successo, è chiaro che questi ingredienti non bastano più. Occorre maturare. Occorre misurarsi con i lettori, stimolarli, esserne stimolati. Occorre documentarsi, essere aggiornati. In una parola, occorre professionalizzarsi. Per questo io vedo il blog come una forma del comunicare che offre degli spiragli interessanti anche nella comunicazione d'azienda, non solo ad alti livelli, come siamo da tempo abituati a vedere in diversi settori del mercato. Anzi, forse è un terreno d'incontro con il proprio pubblico che potrebbe diventare privilegiato, di sicuro per chi fa politica, ma anche per una piccola impresa. A patto che abbia qualcosa di interessante da proporre, beninteso.
Io percepisco il blog come un modo per comunicare un po' informale. Come vestirsi con le scarpe inglesi preferite, il completo che ti è più comodo, ma senza la cravatta. Magari togliendosi pure la giacca, se fa caldo. Ecco, un modo per fare il proprio sporco lavoro – di comunicare – ma rilassandosi un pochettino con la forma. Sempre elegante, certo, deve essere piacevole alla lettura. Precisa, si capisce, perché il rispetto per chi ti ascolta ci vuole sempre. Ma più, come dire... colloquiale. Ecco, si scende da quell'immaginario podio da conferenziere che ci si confeziona in testa quando si redige un comunicato stampa o un articolo di giornale e si dialoga con un immaginario capannello di persone – amici, colleghi, concorrenti – stretti intorno a te. Qualcosa tipo: «oggi al lavoro ho notato questa cosa che mi ha dato da pensare». E giù a stilare un post, che man mano che procede dona forma all'intuizione. E man mano che i post procedono nella pubblicazione si delinea la figura di chi pubblica, il suo lavoro, la sua personalità. Ecco, forse il blog è il luogo dove l'immagine pubblica può acquistare uno spessore, quasi fino a diventare reale.